A.17.3 Relazione Paesaggistica - Home Valutazione degli effetti ...

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PREMESSA. La relazione paesaggistica relativa alla centrale eolica prevista in comune ...... e Calabria delle Guide Rosse del Touring Club Italiano. “Il Vulture è  ...
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INDICE CAPITOLO 1 PREMESSA 1.1 - Il progetto eolico e il paesaggio: adesione ai criteri delle linee guida ministeriali 1.2 - Criteri generali di progettazione e di inserimento paesaggistico CAPITOLO 2 CARATTERI PAESAGGISTICI DELL’AMBITO GEOGRAFICO INTERESSATO DALLA CENTRALE EOLICA 2.1 - Inquadramento geografico 2.2 - Il fiume Ofanto 2.3 – Il Vulture 2.4 – Il territorio comunale di Melfi 2.5 - Lineamenti storici

CAPITOLO 5 REGESTO DEI VINCOLI AMBIENTALI E PAESAGGISTICI E DI TUTELA DEL TERRITORIO – INTERFERENZE DELLA CENTRALE EOLICA E CONFORMITA’ DEL PROGETTO AL PIEAR 5.1 - Sistema delle aree naturali protette 5.2 - sistema delle aree natura 2000 (aree SIC e ZPS) 5.3 - Aree IBA e RAMSAR 5.4 - Paesaggio e patrimonio storico-culturale 5.5 - La normativa nazionale per la tutela del rischio idrogeologico - PAI 5.6 - Piano Strutturale di Potenza 5.7 - Piano urbanistico del Comune di Melfi Allegati grafici da 5_1 a 5_8

CAPITOLO 3 PRINCIPI INSEDIATIVI, CRITERI DI SCELTA DEL SITO DI IMPIANTO E DI PROGETTAZONE 3.1 - Criteri di scelta del sito di impianto 3.2 - Precisazione dei limiti della centrale eolica e descrizione dei caratteri del sito e del layout 3.3 - Criteri di progettazione, modalità di valorizzazione paesaggistica e di fruizione 3.4 – Verifica delle interferenze dell’impianto rispetto alle componenti orografiche, idrografiche, vegetazionali e ambientali dell’area. 3.5 - Conformità del progetto al PIEAR Allegati grafici da 3_1 a 3_17 CAPITOLO 4 RELAZIONI PERCETTIVE TRA LA CENTRALE EOLICA E IL PAESAGGIO Allegati grafici da 4_1 a 4_18

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CAPITOLO 1 PREMESSA La relazione paesaggistica relativa alla centrale eolica prevista in comune di Melfi (PZ) in località “Monte Carbone”, è stata redatta osservando i criteri introdotti dal D.P.C.M: del 12 dicembre 2005, e precisati dalle Linee Guida elaborate dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Direzione Generale per i Beni Architettonici e Paesaggistici – Servizio II – Paesaggio, titolate: “Gli impianti Eolici: suggerimenti per la progettazione e la valutazione paesaggistica”. (dicembre 2006); tali indicazioni sono state recepite e costituiscono parte integrante del testo delle recentissime Linee guida per il procedimento di cui all’articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 per l’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di impianti di produzione di elettricità da fonti rinnovabili nonché linee guida tecniche per gli impianti stessi. parte IV - inserimento degli impianti nel Paesaggio e sul Territorio (Ministero Dello Sviluppo Economico di concerto con Il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e con Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali - settembre 2010). L’intervento, finalizzato alla produzione energetica, ai sensi dell’Art 4 del D.P.C.M: del 12 dicembre 2005 rientra tra le opere di grande impegno territoriale benché trattasi di un impianto eolico di 10 aerogeneratori, ciascuno da 3 MW di potenza nominale, che pertanto può considerarsi come di medie dimensioni. La centrale eolica interessa l’area agricola ubicata a nord-est del territorio comunale di Melfi, nella provincia di Potenza (Regione Basilicata), ai confini con la Provincia di Foggia (Regione Puglia). L’area di impianto è ubicata a circa 4,1 km nord-est dal centro abitato di Melfi presso la località Monte Carbone; a circa 7,5 km est e 2,5 km nord si rinvengono rispettivamente il centro abitato di Lavello e la estesissima zona industriale di San Nicola di Melfi, che occupa una fascia di terreno parallela sia al corso del Fiume Ofanto a Nord che alla SS 655 a sud. Il sistema territoriale interessato comprende un’area collinare medio e alto-collinare, compresa tra circa 150 e 660 metri s.l.m., che dal versante nord-orientale del complesso montuoso del Monte Vulture digrada verso la valle del Fiume Ofanto a nord. Le quote maggiori, complessivamente esterne al sito di intervento, sono raggiunte da Monte Perrone (661 metri s.l.m.), Colle Montanaro (655 metri s.l.m.), Toppo S. Paolo (508 metri s.l.m.), Monte Solorso (551 metri

s.l.m.), Monte Galliano (456 metri s.l.m.) e Monte Cervaro (484 metri s.l.m.) e Monte Carbone (368 m s.l.m.). Il territorio dell’area vasta interessa il bacino idrografico destro del Fiume Ofanto. Il Fiume Ofanto attraversa il settore estremo settentrionale dell’area da ovest a est, mentre numerosi torrenti e canali, suoi affluenti destri, l’attraversano da sud a nord. Tra questi ultimi si segnalano il Vallone Camarda Vecchia, il Vallone di Catapane, il Vallone Casella e il Torrente Olivento. Oltre ad alcune piccole vasche artificiali per la raccolta dell’acqua, presso il settore orientale dell’area vasta (esterno al sito di intervento), si rileva il Lago del Rendina, di modesta superficie (circa 180 ettari), creatosi in seguito alla costruzione di una diga lungo il sopra citato Torrente Olivento. Ipotizzando di tracciare una sezione trasversale che parte dalle pendici nord orientali del Monte Vulture e oltrepassa il corso del fiume Ofanto, passando per Melfi e per l’area di impianto, appare evidente che l’andamento delle balze collinari sia tale da nascondere la vista della centrale eolica dalla città e dal suo prestigioso castello Svevo, così come dalle principali strade, dai principali punti di vista notevoli e dai centri abitati ubicati sulle pendici settentrionali del Monte Vulture; in particolare fanno da schermo visivo i profili del Monte Perrone e del Colle Montanaro, posti immediatamente a nord di Melfi, e traguardando da sud verso nord, la centrale risulterebbe visibile esclusivamente dalle cime del Monte Vulture, ma solo dai pochi tratti non coperti da vegetazione boschiva. La visibilità della centrale eolica risulta viceversa possibile traguardando da nord verso sud e in particolare dalla zona industriale di San Nicola, dalla valle dell’Ofanto e quindi dagli altipiani meridionali del Tavoliere delle Puglie, e in particolare dai territori dei comuni di Candela, Ascoli Satriano, Cerignola, Ordona, Stornarella, centri abitati che distano comunque oltre 20 Km dall’area di impianto. Per quanto detto, pur trattandosi di un intervento di carattere aerale, la particolarità dell’ubicazione fa sì che l’intervento non assuma un carattere rilevante rispetto ai temi delle interferenze potenziali della centrale eolica con le grandi visuali panoramiche da punti di vista notevoli. La centrale si inserisce in ogni caso in un contesto che merita di essere approfondito e studiato con attenzione, in quanto dal punto di vista paesaggistico costituisce il risultato della sovrapposizione di segni storici interessanti (le masserie e il sistema tratturale), di strutture morfologiche e orografiche (le balze collinari e le profonde incisioni), e delle recenti infrastrutture legate alla realizzazione del polo industriale (nuova viabilità spesso sopraelevata, linee elettriche, capannoni, piazzali, bacini di accumulo di acqua) che hanno assai modificato l’attuale uso del suolo e

determinato il quasi totale abbandono delle strade che storicamente collegavano la valle dell’Ofanto a Melfi e ai comuni del Vulture. Pertanto, per la valutazione dei rapporti determinati dall’opera rispetto all’ambito spaziale di riferimento, lo studio paesaggistico si è focalizzato sulla doppia scala: interessa infatti l’intero bacino visuale interessato dall’impianto nonché l’immediato intorno e il rapporto con la configurazione attuale e con i caratteri paesaggistici storicamente consolidati. Traguardando dal sito di impianto verso Nord (Fiume Ofanto) e verso Sud (cime del Vulture), nonostante la notevole antropizzazione del contesto, le condizioni generali di visibilità dell’ambito geografico di interesse danno la possibilità di comprendere nel suo insieme la chiarezza geografica dei luoghi e la stratificazione insediativa dell’intorno, e soprattutto di apprezzare la ricchezza morfologica dei caratteri e l’intrinseca bellezza dell’area connotata dalla presenza sullo sfondo del vulcano e della valle del fiume Ofanto. Con un solo sguardo si svela la natura idro-geo-morfologica, l’intero sistema della stratificazione insediativa e del paesaggio rurale e i motivi che l’hanno determinata e si dispiega in maniera paradigmatica un immagine perfettamente aderente all’attuale concezione di paesaggio; è utile ricordare che lo stesso è sintesi ed espressione dei valori storici, culturali, naturali, climatici, morfologici ed estetici del territorio ed è pertanto un organismo in evoluzione che si trasforma; quella che vediamo è l’attuale immagine di una storia continua: condizioni storiche, politiche, economiche, hanno nel tempo interessato l’ambito di interesse e determinato la trasformazione agraria, prodotto i grandi interventi infrastrutturali di regimentazione del fiume, la realizzazione del polo FIAT e delle aree industriali, della ferrovia, delle strade, dei centri abitati; quello che si percepisce è un territorio “denso”, che trova nella rispettosa compresenza di aspetti geografici, di antico e nuovo, il suo grande valore estetico; un luogo che, data la sua configurazione ed i favorevoli aspetti di ventosità, può assorbire senza traumi l’inserimento dei nuovi segni introdotti dalle installazioni eoliche, sempre che si adoperino tutti gli strumenti tecnici e culturali più avanzati in fase di scelta del sito di ubicazione, di progetto paesaggistico e in termini di tutela delle componenti più sensibili. Pertanto, fatto salvo il rispetto dei vincoli imposti dagli enti competenti in materia di tutela delle componenti ambientali, culturali e storiche, nonché l’adesione alle norme vigenti e alle linee guida specifiche sugli impianti eolici, l’attenzione prevalente del progetto va riferita principalmente alla definizione di criteri di scelta del sito e ai principi insediativi della centrale eolica rispetto ai caratteri della compagine paesaggistica dei luoghi.

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Vista a volo di uccello da EST, tratta da Google Earth Pro; l’area della centrale eolica Monte Carbone si inserisce in posizione mediana tra le pendici settentrionali del complesso vulcanico del Monte Vulture e la valle del fiume Ofanto. Lungo un asse ipotetico che congiunge i due elementi caratteristici della zona, il fiume e il vulcano, si trovano Melfi, l’area di impianto (nell’ellisse rossa) e, in primo piano nell’immagine, l’estesissima zona industriale di San Nicola di Melfi. Le balza collinari poste immediatamente a nord di Melfi e in particolare il Colle Montanaro e il Monte Perrone alti circa 660 m slm, schermano la vista della centrale eolica dalla cittadina e dai centri abitati e le principali strade della cintura settentrionale del Vulture. L’impianto si confronta percettivamente con le strade di valle e con le zone immediatamente esterne alle periferie dei centri abitati di Lavello, di Venosa e, a grande distanza, di Candela. Per questo motivo l’attenzione progettuale è ricaduta sulla continua verifica del rapporto visuale tra le strade di valle, gli aerogeneratori e il fuoco visivo del profilo del Vulture.

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Vista a volo di uccello DA NORD, tratta da Google Earth Pro: in primo piano le anse del fiume Ofanto, e proseguendo verso sud, l’area industriale di San Nicola di Melfi. La presenza del polo produttivo, ha comportato grandissime trasformazioni sia a livello socio economico che sui caratteri paesaggistici storicamente consolidati dell’area. In particolare si fa riferimento alle recenti infrastrutture legate alla sua realizzazione e quindi alle linee elettriche di alta e altissima tensione, ai capannoni, ai piazzali, ai bacini di accumulo di acqua, e soprattutto alla nuova viabilità spesso sopraelevata che ha determinato il quasi totale abbandono delle strade che e storicamente collegavano la valle dell’Ofanto a Melfi e ai comuni del Vulture. Ai margini di una di queste, la SP 111, anticamente detta “vicinale di Masseria Madama Laura”, di dispone la centrale eolica di Monte Carbone inquadrata nell’ellisse bianca). A sinistra dell’immagine, il Lago del Rendina e le propaggini di Lavello e, sullo sfondo, il caratteristico skyline del Monte Vulture.

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1.1 - Il progetto eolico e il paesaggio: adesione ai criteri delle linee guida ministeriali La qualità del paesaggio e la definizione di un modello di sviluppo sostenibile sono obiettivi fondamentali per ogni trasformazione che riguardi il territorio, e pertanto assumono un ruolo prioritario anche nell’ambito della progettazione degli impianti eolici. In tale senso il termine paesaggio va espresso nella più ampia accezione possibile, intendendo per esso la stratificazione di segni, forme, strutture sociali e testimonianze di passati più o meno prossimi che ne hanno determinato l’attuale configurazione, e le cui tracce possono risultare elementi guida per ulteriori trasformazioni. Questo infatti è il punto di partenza per una progettazione di tali infrastrutture nel territorio, capaci di inserirsi all’interno del significato specifico dei luoghi. Il tema molto dibattuto dell’“inserimento paesaggistico degli impianti eolici è pertanto fatto assai più complesso e radicale del semplice impatto visivo, perchè coinvolge la struttura sociale dei territori ed imprime segni e trasformazioni, anche fisiche, che vanno oltre la stessa vita stimata di un impianto. Il rapporto con il paesaggio rappresenta il più delicato tra i temi sollevati nei confronti della diffusione dell’eolico; si fa strada la convinzione che gli impianti eolici, determinando di fatto nuove condizioni visive dell’intorno interessato, siano di fatto dei detrattori di valori paesaggistici; per avvalorare questa tesi si fa un costante riferimento al rapporto antitetico tra nuove infrastrutture ed un astratto concetto di integrità paesaggistica. Ebbene, su questo bisogna soffermarsi con grande attenzione affrontando in maniera più complessa il concetto stesso di paesaggio e come questo possa essere declinato nei territori interessati. La tutela del paesaggio rappresenta il più scottante tra i temi sollevati da coloro che a vario titolo esprimono diffidenza se non ostilità nei confronti della diffusione dell’eolico; in particolare si teme che l’eccessiva visibilità degli impianti e la conseguente nuova immagine che si sovrappone alle attuali forme del paesaggio, possa determinare riflessi negativi soprattutto per i settori legati al turismo. A proposito del complesso rapporto tra nuove infrastrutture e il paesaggio, sembra opportuno richiamare l’attenzione sui principi fondamentali su cui si basano le Linee Guida elaborate dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Direzione Generale per i Beni Architettonici e Paesaggistici – Servizio II – Paesaggio, titolate: “Gli impianti Eolici: suggerimenti per la progettazione e la valutazione paesaggistica”. (dicembre 2006); ”...Paesaggio designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori

naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni” (art.1, Convenzione Europea per il Paesaggio). Paesaggio è un concetto a cui si attribuisce oggi un’accezione vasta e innovativa, che ha trovato espressione e codifica nella Convenzione Europea del Paesaggio, del Consiglio d’Europa (Firenze 2000), ratificata dall’Italia (maggio 2006), nel Codice dei beni culturali e del paesaggio (2004 e successive modifiche), nelle iniziative per la qualità dell’architettura (Direttive Architettura della Comunità Europea, leggi e attività in singoli Paesi, fra cui l’Italia), in regolamentazioni di Regioni e Enti locali, in azioni di partecipazione delle popolazioni alle scelte. La questione del paesaggio è oggi ben di più e di diverso dal perseguire uno sviluppo “sostenibile”, inteso solo come capace di assicurare la salute e la sopravvivenza fisica degli uomini e della natura: è affermazione del diritto delle popolazioni alla qualità di tutti i luoghi di vita, sia straordinari sia ordinari, attraverso la tutela/costruzione della loro identità storica e culturale. È percezione sociale dei significati dei luoghi, sedimentatisi storicamente e/o attribuiti di recente, per opera delle popolazioni, locali e sovra locali: non semplice percezione visiva e riconoscimento tecnico, misurabile, di qualità e carenze dei luoghi nella loro fisicità. È coinvolgimento sociale nella definizione degli obiettivi di qualità e nell’attuazione delle scelte operative. Per il concetto attuale di paesaggio ogni luogo è unico, sia quando è carico di storia e ampiamente celebrato e noto, sia quando è caratterizzato dalla “quotidianità” ma ugualmente significativo per i suoi abitanti e conoscitori/fruitori, sia quando è abbandonato e degradato, ha perduto ruoli e significati, è caricato di valenze negative. Dal punto di vista paesaggistico, i caratteri essenziali e costitutivi dei luoghi non sono comprensibili attraverso l’individuazione di singoli elementi, letti come in una sommatoria (i rilievi, gli insediamenti, i beni storici architettonici, le macchie boschive, i punti emergenti, ecc.), ma, piuttosto, attraverso la comprensione dalle relazioni molteplici e specifiche che legano le parti: relazioni funzionali, storiche, visive, culturali, simboliche, ecologiche, sia storiche che recenti, e che hanno dato luogo e danno luogo a dei sistemi culturali e fisici di organizzazione e/o costruzione dello spazio (sistemi di paesaggio). Essi hanno origine dalle diverse logiche progettuali (singole e/o collettive, realizzate con interventi eccezionali o nel corso del tempo), che hanno guidato la formazione e trasformazione dei luoghi, che si sono intrecciate e sovrapposte nei secoli (come, per esempio, un insediamento rurale ottocentesco con il suo territorio agricolo di competenza sulla struttura di una centuriazione romana e sulle bonifiche monastiche in territorio di pianura). Essi sono presenti (e leggibili) in tutto o in parte, nei caratteri

attuali dei luoghi, nel palinsesto attuale: trame del passato intrecciate con l’ordito del presente. Essi caratterizzano, insieme ai caratteri naturali di base (geomorfologia, clima, idrografia, ecc.), gli assetti fisici dell’organizzazione dello spazio, l’architettura dei luoghi: tale locuzione intende indicare, in modo più ampio e comprensivo rispetto ad altri termini (come morfologia, struttura, forma, disegno), che i luoghi possiedono una specifica organizzazione fisica tridimensionale; che sono costituiti da materiali e tecniche costruttive; che hanno un’organizzazione funzionale espressione attuale o passata di organizzazioni sociali ed economiche e di progetti di costruzione dello spazio; che trasmettono significati culturali; che sono in costante trasformazione per l’azione degli uomini e della natura nel corso del tempo, opera aperta anche se entro gli auspicabili limiti del rispetto per il patrimonio ereditato dal passato…” E ancora: “Impianti eolici e paesaggio “ogni intervento deve essere finalizzato ad un miglioramento della qualità paesaggistica dei luoghi, o, quanto meno, deve garantire che non vi sia una diminuzione delle sue qualità, pur nelle trasformazioni”. Ciò significa che la conoscenza dei caratteri e dei significati paesaggistici dei luoghi è il fondamento di ogni progetto che intenda raggiungere una qualità paesaggistica. Si tratta di un assunto che può sembrare ovvio, ma che, nella realtà della progettazione contemporanea degli interventi di trasformazione territoriale, non solo relativi all’eolico, è assai poco presente: le scelte di localizzazione e strutturazione di un impianto eolico sono motivate, in prevalenza, da ragioni tecniche, economiche, di risparmio energetico; vengono considerati i possibili effetti ambientali e naturalistici (qualità dell’aria/acqua/suolo/rumore, tutela della fauna, della flora, della biodiversità), per i quali vi sono una sensibilità diffusa, una strumentazione tecnica abbastanza consolidata, delle richieste normative; vi è un impegno per il miglioramento del disegno delle macchine, con notevoli risultati. Ma vi sono indubbie difficoltà, come ben emerge dagli indirizzi e dalle linee-guida esistenti, sia estere che italiane, a studiare con la necessaria specificità di criteri, metodi e strumenti – e a utilizzare nelle scelte progettuali- i caratteri paesaggistici dei luoghi, intesi come grande “architettura” e come sedimentazione di significati attribuiti dalle popolazioni. Ogni nuova realizzazione entrerà inevitabilmente in rapporto con i caratteri paesaggistici ereditati e su di essi avrà in ogni caso delle conseguenze...”

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E qui diventa fondamentale citare il passo fondamentale delle Linee Guida Ministeriali: “…Va, dunque, letta ed interpretata la specificità di ciascun luogo affinché il progetto eolico diventi caratteristica stessa del paesaggio e le sue forme contribuiscano al riconoscimento delle sue specificità instaurando un rapporto coerente con il contesto esistente. Il progetto eolico deve diventare, cioè, progetto di nuovo paesaggio…”. 1.2 - Criteri generali di progettazione e di inserimento paesaggistico Per dare risposte concrete ai temi precedentemente accennati, senza eludere il problema del corretto inserimento degli impianti eolici, occorre precisare che non vi è dubbio che esistono impianti compatibili e ben progettati e realizzati e di contro, pessime realizzazioni e progetti che possono determinare un reale impatto negativo in termini di qualità complessiva dei luoghi. E quindi il problema esiste e il tema diventa assai più complesso e merita delle ulteriori riflessioni che inevitabilmente tirano in ballo le responsabilità del progetto sia in termini di scelta opportuna del sito che di qualità complessiva dell’impianto. Infatti, aldilà delle regolamentazioni che come sempre possono imporre vincoli e incidere sulla quantità ma quasi mai sulla qualità, quello che necessita è dare spazio ad una progettazione attenta, l’unica condizione che può garantire la compatibilità paesaggistica degli impianti, e determinare elementi di valore aggiunto anche in termini estetici e di promozione della conoscenza delle caratteristiche dei luoghi. La ricerca dei giusti rapporti ed equilibri tra approcci apparentemente antitetici, quali lo sfruttamento di una forma di energia pulita ed inesauribile ed una relazione con il territorio intelligente ed attenta all’innovazione e ai valori storici, culturali e paesaggistici, diventa tema prioritario all’interno della questione fondamentale che ci troviamo attualmente ad affrontare, costituita dallo sviluppo delle energie rinnovabili. Tutto questo richiede una corretta comprensione di cosa significa progettare e realizzare impianti eolici nel territorio, a partire dalla scelta dei luoghi, luoghi mai indifferenti, connotati ed accomunati dalla forte presenza del vento che ne traccia le superfici e ne definisce i caratteri, dalle presenze antropiche, dalle trame d’uso dei suoli, dalla presenza di infrastrutture di trasporto. Gli impianti stessi sono infrastrutture di trasporto: le richiedono per essere realizzati, lo sono perché catturano, convertono e trasmettono energia, che cedono ad altre infrastrutture perché venga distribuita sul territorio nazionale.

Non sempre quindi il luogo più opportuno è quello più ventoso, è sempre una combinazione di fattori in cui sono determinanti la presenza di infrastrutture, la collocazione rispetto ai centri abitati, la verifica delle intersezioni con le risorse ed i vincoli idrogeologici ed ambientali. Tracciare una nuova strada per accedere ad un impianto è sicuramente un’operazione più incisiva ed impattante, rispetto ad un luogo, della presenza stessa degli aerogeneratori, perché comporta ridefinizioni di assetti proprietari, ridisegni di strutture e forme del paesaggio, perché aggrega nuove trasformazioni ed usi ed incide o sovrappone permanentemente nuovi segni a quelli già presenti. Ogni azione sul territorio interviene all’interno di un sistema di segni, reticoli sovrapposti di tracce intelligibili o criptate nel significato, rispetto alle quali noi possiamo decidere di aggiungere o togliere, comunque selezionare e rispetto ad esse intervenire. Da un punto di vista strettamente progettuale bisogna saper comprendere e al tempo stesso precisare il campo di interazione tra queste infrastrutture ed il paesaggio. Innanzitutto va compresa la questione di rapporti dimensionali che travalicano in certi casi la possibilità di essere messi in relazione. Difficile stabilire percettivamente l’effettiva grandezza di queste torri se non in un rapporto di prossimità, così come le operazioni di scavo e rinterro, anche di sezione molto limitata, possono diventare segni, ombre percepibili a grandissima distanza. Piccoli segni sul territorio possono amplificarsi, grandi dimensioni superare la scala della misurabilità. I rapporti non possono essere scontati né preordinati, mutano in relazione alle condizioni spaziali. Solo l’incontro tra i luoghi specifici e gli elementi tecnologici necessari alla realizzazione di una centrale eolica, può stabilirne modi di impianto, forme ed impatti. Aerogeneratori, viabilità di adduzione, piazzole, spazi di manovra e cantiere vincolati alla misura e trasportabilità delle torri stesse, rete di distribuzione dell’energia sono componenti fisse nella progettazione di un impianto. Certamente è difficile stabilire prefigurazioni, l’attenzione alla lettura del territorio, in tutte le sue componenti non solo fisiche, ma anche socioeconomiche, può essere garanzia di corretto inserimento e sviluppo o proiezione futura. Solo una progettazione attenta ai caratteri del territorio può dunque consentire di trovare una risposta efficace ai problemi di inserimento ambientale delle centrali eoliche. Inoltre, le modalità realizzative dell’intervento possono prevedere, ove necessario, efficaci azioni di ripristino, e soprattutto l’interramento dei cavidotti (operazione abbastanza costosa ma che permette di eliminare le linee elettriche aeree, unica vera fonte di impatto negativo legato ai campi eolici, soprattutto per l’inquinamento elettromagnetico prodotto).

E rispetto alla riconoscibilità dei valori territoriali delle nostre zone e alla capacità di diffondere i valori paesaggistici che determinano la bellezza dei nostri paesaggi, un impianto eolico ben progettato può rappresentare un valore aggiunto e può dare un impulso proprio a nuove forme di turismo. La direzione e l’intensità del vento e le curve della “vena fluida” della massa d’aria che definisce lo spazio vuoto ricco di energia disegnano una mappa che si intreccia con quella geografica e topografica, che evoca nelle sue tracce il racconto di un paesaggio, stratificazione di eventi naturali e artificiali, di storia dell’uomo, di miti, di leggende. E’ possibile allora strutturare un impianto eolico riappropriandosi di un concetto più vasto di energia associata al vento, utilizzando le tracce topografiche, esaltando gli elementi paesaggistici, facendo emergere gli aspetti simbolici e i culti arcaici, giocando con il movimento e l’intensità delle correnti d’aria, con la vegetazione, con i suoni, modulando le caratteristiche percettive (visive e sonore) prodotte dagli stessi aerogeneratori pur contenendone al massimo l’impatto; valutando al tempo stesso in termini estetici positivi questi elementi tecnologici dall’accurato design che possono far parte a pieno titolo di un “paesaggio del vento”, anche utilizzando la loro valenza segnaletica come “landmark”, formidabile strumento di riconoscibilità delle aree interessate. L’asse tecnologico e infrastrutturale degli impianti eolici, ubicato nei punti con le migliori condizioni anemometriche e geotecniche, incrociandosi con le altre trame, diventa occasione per far emergere e sottolineare le caratteristiche peculiari di un sito. Dare un nuovo senso alle infrastrutture tecniche, creando le condizioni di crescita economica e perseguendo la valorizzazione e lo sviluppo anche turistico, può calamitare nuove attenzioni verso i territori facenti parte dei bacini eolici della Campania, della Puglia e della Basilicata. Un nuovo itinerario che attraversa un caratteristico “paesaggio del vento”, si può strutturare e far incrociare con altri itinerari, quelli escursionistici, archeologici, culturali, monumentali, storici, naturalistici, già da tempo consolidati. Più che un itinerario in senso stretto, può intendersi come una linea fisica e ideale che collega luoghi straordinari per caratteristiche geografiche, ambientali, paesaggistiche e storico culturali, e per gli stessi motivi dalle grandi potenzialità turistiche; crinali, pianori, leggeri insellamenti garantiscono le migliori condizioni per utilizzare al massimo l’energia generata dal vento e al tempo stesso rappresentano possibile mete di escursioni o punti mediani all’interno di itinerari di altissimo livello.

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Gli aspetti di maggiore interesse dei territori in cui insistono i bacini eolici sono legati non solo al valore degli ambienti naturali e delle testimonianze artistiche, monumentali e culturali, ma risiedono principalmente nell’altissima qualità del paesaggio che rende anche il semplice attraversamento di queste zone un’esperienza indimenticabile.

Al tempo stesso il comprensorio è noto anche per la scelta di ospitare uno tra i poli produttivi e industriali più grandi di tutto il mezzogiorno d’Italia, lo stabilimento FIAT e più in generale l’area SATA con tutto l’indotto; una scelta di incredibile impatto sull’economia e quindi sulla trasformazione fisica e paesaggistica del territorio.

Per quanto detto, nella lettura dei luoghi e dei caratteri paesaggistici non si può non considerare che il vento rappresenta un elemento dominante dei territori interessati e in quanto tale genera di per sé condizioni di assoluta specificità dei luoghi..

La presenza dell’area industriale ha reso necessarie una profonda attività di adeguamento e potenziamento della viabilità e delle infrastrutture elettriche, così come di impianti di riserva idrica.

Pur facendo parte di territori diversi per caratteri paesaggistici generali, i luoghi ventosi idonei per l’utilizzo dell’energia eolica presentano aspetti geografici simili; che siano ubicati in mare in prossimità delle coste, o su crinali che quasi sempre coincidono con confini amministrativi o su pianori in leggero declivio, si distinguono spesso per analoghe caratteristiche. Inteso scientificamente come spostamento prevalentemente orizzontale delle masse d’aria tra zone di differente pressione, il vento caratterizza i luoghi connotati dall’evidenza dei fenomeni ad esso associati. Il vento erode e disegna i profili e i rilievi, alimenta percezioni visive dinamiche legate al movimento (dell’acqua, della vegetazione, delle nuvole), genera e propaga i suoni (assumendo un ruolo fondamentale nella costruzione del paesaggio sonoro), disegna i cieli, genera condizioni cromatiche del mare sempre differenti, condiziona nelle sue variazioni il carattere e l’umore degli abitanti (soprattutto quando imperversa il garbino o lo scirocco), il clima e gli aspetti morfologici e vegetazionali. A fronte di questa forte caratterizzazione, bisogna superare lo schema classico di codifica dei sistemi paesaggistici e riconoscere viceversa tutte le implicazioni di un paesaggio del vento, ovvero di un luogo ove le condizioni climatiche ed i fenomeni associati hanno un ruolo estremamente importante nella struttura paesaggistica; questo permetterebbe di ribaltare l’assunto (che sottende ad ogni discussione sull’eolico) secondo cui gli aerogeneratori, che hanno necessità del vento per trasformarne l’energia cinetica in energia meccanica e quindi elettrica, rappresentino sempre e comunque un danno per l’immagine e la fruizione di un luogo. In questo senso la vicina area del Monte Vulture e in generale il territorio melfitano rappresentano per certi versi un esempio straordinario di utilizzo consapevole delle risorse naturali, prima fra tutte la risorsa primaria per eccellenza, l’acqua, e poi il bosco, la terra e il prodotto tipico, il celeberrimo vitigno, l’Aglianico del Vulture che ha proiettato la zona alla ribalta del mondo intero in quanto territorio di primo piano per gli aspetti eno-gastronomici.

E ancora, immediatamente a ridosso dell’area industriale, scorre il Fiume Ofanto, sulle sponde del quale sono sorti diversi impianti di cave di inerti. In definitiva l’area risulta ricca di aspetti anche contrastanti tra loro: fortemente antropizzata e industrializzata e al tempo stessa con una vocazione agricola ancora marcata; i segni fisici delle due componenti economiche prevalenti si confrontano sempre, a volte a distanza, a volte sovrapponendosi, spesso con accentuato stridore (si pensi ai piloni delle strade di grande comunicazione sopraelevate che di fatto “attaccano a terra” senza grande attenzione al reticolo viario preesistente). L’area è quindi a nostro giudizio idonea per l’utilizzo di un’altra risorsa, quella naturale del sopra suolo, il vento, elemento caratteristico dei luoghi e fonte ottimale per la produzione di energia pulita e a bassissimo impatto ambientale. Per questo motivo, la centrale eolica ben si sposa con le direttive di sviluppo e nello stesso tempo rappresenta il chiaro segno di una forte adesione territoriale al tema del rispetto dell’ambiente anche attraverso la produzione energetica da fonti rinnovabili; questa condizione non può che influenzare la percezione complessiva dell’intervento.

non comporta problematiche di impatto cumulativo né di tipo diretto che indiretto. Nell’immediato intorno, la presenza di una fitta rete elettrica di media e alta tensione, ha già favorito l’installazione di impianti di produzione di energia da fonte rinnovabile, in particolare impianti eolici costituiti da singole turbine di media taglia che sono stati realizzati avvalendosi di procedure autorizzative semplificate. La presenza di tali installazioni è sporadica per cui, a parte la debita considerazione in cui va tenuta una turbina da 800 kW che dista circa 600 ml dall’impianto, risulta trascurabile lo studio degli impatti cumulativi tra la centrale eolica di progetto e gli impianti simili ubicati nelle vicinanze. In relazione all’inserimento paesaggistico, i criteri di progettazione del layout per l’impianto in questione sono ricaduti non solo sulla ottimizzazione della risorsa eolica presente in zona, ma anche sulla ricerca di un posizionamento ottimale delle turbine, al fine di interagire positivamente con le componenti antropiche e naturalistiche che contraddistinguono il sito e quindi minimizzare le opere di trasformazione del suolo, di armonizzare l’intervento con l’orografia, a totale beneficio della percezione visiva dell’impianto stesso, così come specificato nei capitoli 3 e 5. Il tutto al fine di calibrare il peso complessivo dell’intervento rispetto ai caratteri attuali del paesaggio e alla configurazione futura, nonché i rapporti visivi e formali determinati, con una particolare attenzione alla percezione dell’intervento dal territorio, dai centri abitati e dai percorsi, all’unità del progetto, alle relazioni con il contesto. L’obiettivo è, quindi, quello di proporre un intervento che sappia relazionarsi con il contesto paesaggistico nel rispetto delle sue forme, ovvero che sappia attualizzarne i contenuti senza violare la compagine preesistente.

In merito alla presenza di impianti di produzione di energia da fonte eolica, c’è da sottolineare che i territori che prospettano sulla media valle del fiume Ofanto, e in parte anche quelli limitrofi al Vulture, sono da tempo interessati dalla presenza di impianti eolici già realizzati o autorizzati e in fase di cantierizzazione. In Basilicata l’impianto ad oggi più vicino al sito è quello recentemente installato in comune di Ripacandida (18 aerogeneratori da 2 MW), ma che dal sito non risulta visibile e viceversa;per quanto riguarda la Puglia, in gran lontananza sono visibili dal sito diversi aerogeneratori ubicati in Comune di Ascoli Satriano, Candela, Rocchetta Sant’Antonio e che prospettano sulla valle dell’Ofanto. In definitiva le colline che definiscono i margini della valle ofantina, già annoverano tra i caratteri paesaggistici rilevanti, la presenza delle torri eoliche anche se rispetto ad esse, la grande distanza del sito di progetto,

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CAPITOLO 2 CARATTERI PAESAGGISTICI DELL’AMBITO GEOGRAFICO INTERESSATO DALLA CENTRALE EOLICA 2.1 - Inquadramento geografico La Basilicata si estende per 9.992 km² e confina a nord con la Puglia e con la Campania; ad est con la Puglia; ad ovest con la Campania; a sud con la Calabria. Si affaccia a ovest sul Mar Tirreno nel Golfo di Policastro; e a sud sul Mar Jonio, nel Golfo di Taranto. Il territorio della Basilicata è prevalentemente montuoso (46,8). I massicci del Pollino (Serra Dolcedorme - 2.267 m) e del Sirino (Monte Papa 2.005 m), il Monte Alpi (1.900 m), il Monte Raparo (1.764 m) ed il complesso montuoso della Maddalena (Monte Volturino - 1836 m) costituiscono i maggiori rilievi dell'Appennino lucano. Nell'area nordoccidentale della regione è presente un vulcano spento, il monte Vulture. Le colline costituiscono il 45,13% del territorio e sono prevalentemente di tipo argilloso, soggette a fenomeni di erosione che danno luogo a frane e smottamenti. Le pianure occupano solo l'8% del territorio. La più estesa è la piana di Metaponto che occupa la parte meridionale della regione, lungo la costa ionica. Le coste del litorale ionico sono basse e sabbiose mentre quelle del litorale tirrenico sono alte e rocciose. La Basilicata ha una grande diversità ambientale ed è suddivisa in cinque sotto-zone diverse: - Vulture-Melfese a nord-est con caratteristiche di altipiani per lo più seminati a grano, mentre nella zona del Vulture abbiamo alternanza di boschi e viti; - Potentino/Dolomiti lucane a nord-nord-ovest con una prevalenza di boschi e montagne con un'altezza media di 1200-1500 metri; - Lagonegrese, Pollino e Val d'Agri a sud-ovest che rappresenta la vera montagna lucana con altezze anche superiori ai 2000 metri e una forte presenza di foreste e boschi; - Collina materana al centro-est che presenta collina ed alta collina con una grande presenza di argille brulle e calanchi; - Metapontino a sud-sud-est che è una vasta pianura alluvionale dove si pratica un'agricoltura intensiva di tipo industriale e una tipologia di costa di tipo bassa e sabbiosa. Le diversità di queste cinque zone si riflettono anche a livello faunistico, che a quello floristico ed infine a quello climatico

“Provincia di Basilicata – Atlante del Regno di Napoli –- M. Cartaro 1613

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L’area interessata dal progetto della centrale eolica fa parte della sotto zona geografica del Vulture-Melfese , ed è ubicata nel settore nord della Basilicata, immediatamente a ridosso della media valle dell’Ofanto e prossima alla località San Nicola, laddove il corso del fiume, dopo aver descritto una profonda ansa, cambia direzione passando dalla direttrice sud-nord a quella ovest-est. L’ubicazione dell’area di progetto è prossima al confine amministrativo tra la Puglia e la Basilicata, confine sancito dal corso del Fiume Ofanto da cui l’impianto dista 4,5 km. Gli elementi idro-geo-morfologici caratteristici della zona e che ne costruiscono l’identità paesaggistica sono certamente due: il fiume Ofanto, nascosto tra le pieghe dell’omonima valle, che scorre con andamento sinuoso e costituisce limite e confine, e il complesso vulcanico del Vulture, elemento emergente e punto di riferimento geografico soprattutto rispetto ai territori dell’antica Daunia, della piana del Tavoliere delle Puglie, della Murgia barese , della Fossa Bradanica e della parte collinare della Basilicata nord-orientale. 2.2 - Il fiume Ofanto L’area di nostro interesse è ubicata in posizione mediana rispetto all’ambito del Bacino idrografico interregionale del fiume Ofanto che nasce presso Nusco in Irpinia e dopo 165 Km sfocia nell’Adriatico a Nord di Barletta, dopo aver attraversato a monte la regione Campania per circa 20 Km e la regione Basilicata per 106 Km, a valle la regione Puglia per non più di 50 Km. Per gli aspetti di governo e di tutela del corso d’acqua e dell’intero del bacino idrografico afferente, il soggetto competente è l’AdB della Puglia. La valle dell'Ofanto segna grosso modo il confine tra le unità morfologico strutturali del sub-appennino appulo campano, del bassopiano del Tavoliere di Foggia e dell'altopiano della Murgia. Il fiume Ofanto ha un bacino di circa 2790 km2 ed ha forma pressoché trapezoidale con una maggiore estensione sul versante destro del suo bacino, in territorio campano, a causa dell’elevata erodibilità del territorio attraversato, costituito in gran prevalenza da depositi sedimentari sciolti, in corrispondenza della parte protesa verso sud. La storia geologica del bacino idrografico del fiume Ofanto inizia durante il Cretaceo, quando alle nostre latitudini incominciò a formarsi un grande bacino marino in cui si accumularono stratificazioni di sedimenti con una notevole abbondanza di carbonato di calcio. Il bacino dell’Ofanto presenta due formazioni geologiche ben differenziate: la parte NE, pianeggiante, comprende la porzione meridionale del Tavoliere e le porzioni alluvionali oloceniche del corso d’acqua; la parte SW la cui

orografia montano-collinare si presenta caratterizzata da successioni rocciose che vanno dagli affioramenti flyshoidi dell’Appennino avellinesepotentino fino a quelli vulcanici del Vulture. Tra l'alta valle e la media valle si erge il complesso vulcanico del Monte Vulture, che costringe il fiume Ofanto a deviare verso nord e a descrivere un'ampia ansa, trasformando il suo reticolo idrografico da dentritico in centrifugo, producendo in tal modo un'azione erosiva molto intensa proprio sulle pendici dell'edificio vulcanico. I sedimenti trasportati dal fiume Ofanto trovano il loro naturale epilogo nella formazione di una costa bassa e sabbiosa, tipica dei fiumi adriatici e mediterranei in generale, contribuendo al colmamento del golfo di Manfredonia.

Vista della valle dell’Ofanto dal sito di impianto; in primo piano Villa Mariannina e al centro l’area industriale di San Nicola di Melfi

La lunghezza dell’asta principale è di circa 170 Km con pendenza media dello 7.48%, l’afflusso medio annua è di circa 720 mm; la temperatura media annua è di poco superiore a 14 °C. Il regime idraulico del fiume è di tipo torrentizio e i deflussi sono concentrati nel periodo autunno-invernale. La mancanza in lunghi tratti di vegetazione, la presenza di terreni impermeabili sciolti, le elevate precipitazioni e l'andamento irregolare del letto conferiscono al fiume, nella zona dell'alto bacino ed in parte nel medio, un'azione erosiva molto intensa. Gli affluenti, pur essendo di scarsa consistenza come portata, rivestono comunque un ruolo determinante, essi infatti assicurano il mantenimento di un delicato equilibrio idrografico e idrogeologico all’interno del fiume, attraverso il costante apporto solido e liquido, in grado di assicurare per l'intero anno la presenza di acqua nell'alveo, grazie al loro assetto stagionale con carattere torrentizio, condizione molto importante per la vita del fiume. Nell’ambito del Piano di Gestione delle acque del Distretto idrografico dell’Appennino Meridionale (nel quale rientra la Regione Basilicata), inoltre, l’area del Vulture è classificata come area vulnerabile ai nitrati di origine agricola (come successivamente definito e approfondito nel PTA redatto dalla regione lucana) e alla desertificazione. In corrispondenza delle pendici settentrionali del Vulture, la valle del fiume è piuttosto stretta dai versanti boscosi che vi si affacciano e il letto fluviale è confinato dalle infrastrutture viarie e ferroviarie; ciò nonostante è presente una folta fascia riparia che garantisce a questo tratto del fiume un carattere di elevata naturalità. L’area di intervento ha un rapporto con il corso d’acqua prevalentemente di tipo visivo anche se la percezione della valle fluviale è fortemente condizionata dalla presenza dell’estesissimo complesso industriale dell’Area FIAT e Melfi SATA, per cui prevale sicuramente il caratteristico paesaggio fatto di capannoni, tralicci elettrici, viabilità.

Vista della Valle dell’Ofanto dalla SP 111, salendo verso il sito di impianto; in evidenza, i bacini di accumulo di acqua che intercettano gli affluenti del fiume, e le singole torri eoliche di media taglia

In primo piano l’estesa zona industriale di Melfi e, sullo sfondo, le torri eoliche che svettano sui profili collinari del sub-appennino dauno, disposti sulla sinistra idrografica del fiume Ofanto

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Ofanto. Nell’ovale rosso, l’area di progetto che si trova in posizione mediana rispetto all’intera asta fluviale

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2.3 – Il Vulture Orazio, Carmina o Odes, III, 4, 9-13: Me fabulosae Volture in Apulo | nutricis extra limina Pulliae| ludo fatigatumque somno | fronde nova puerum palumbes |texere - Un giorno favolose colombe mi protessero | con le fronde più tenere del bosco | quando bambino sull'apulo Vulture | uscito dalla casa della nutrice Pullia -| mi addormentai spossato | dai miei giochi e dal sonno. (traduzione di Germano Zanghieri) « Il Vulture fu un vulcano ardente, tremendo. Ha trenta miglia di circonferenza; è lungi trenta miglia dalla più vicina sponda dell'Adriatico. Ha per confini al sud il fiume di Atella, all'est quel di Rapolla, all'ovest e al nord l'Ofanto. Chiude nel suo recinto Melfi, Rionero, Rapolla, Barile, Atella e molti villaggi. » (Cesare Malpica, La Basilicata: impressioni, Venosa, Osanna, 1993 Etimologia del toponimo Vulture Interessantissime sono le ipotesi che gli studiosi hanno elaborato per risalire all’origine del nome del vulcano: due sono le più probabili e fanno riferimento rispettivamente alle caratteristiche morfologiche del monte e alla presenza del vento che rappresenta un aspetto climatico preponderante. Secondo alcuni studiosi che hanno sostenuto la prima ipotesi, il monte Vulture ha assunto questo nome dalla forma conica aperta che ricorda l’apertura alare di un volatile, per cui sarebbe stato paragonato a un avvoltoio (il nome antico era Vultur, avvoltoio); se aldilà dell’aspetto legato alla forma del monte si volesse suffragare un'etimologia unicamente ornitologica, l'origine del toponimo sarebbe da ravvisare nel fatto che l'interno del vulcano e gran parte delle vette sono rivestiti da una ricca vegetazione arborea che in passato offriva senz'altro ampie possibilità di nidificare a due precise specie di avvoltoio, quelle note ad Aristotele: il capovaccaio (Neophron percnopterus) e l'avvoltoio monaco (Aegypius monachus), che ai dirupi preferiscono gli alberi. Invece il grifone (Gyps fulvus) e l'avvoltoio degli agnelli (Gypaëtus barbatus) per nidificare prediligono le pareti rocciose scoscese. Secondo altri studiosi, il nome sarebbe da far derivare da Volturnus, divinità strettamente legata alla costante presenza del vento caldo meridionale, lo scirocco o favonio per gli antichi Volturno - in latino Volturnus o Vulturnus - è il nome di due divinità, una romana e una campana, di carattere diverso, ma confusi tra loro sia nella poesia classica (ma non nelle opere scientifiche latine), sia nei vecchi studi di filologia classica.

Un’antica cartografia inglese riporta la suddivisione in aree culturali, la distribuzione dei principali centri abitati e il reticolo fluviale e stradale in epoca romana; all’incrocio delle principali regioni; viene segnalata in giallo la presenza del “Monte Vultur” che fa quasi da perno, costringendo il fiume Ofanto “Aufidus” a piegare verso nord, per poi riprendere il suo corso verso il mare di Barletta “Bartulium”

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Volturno è un dio romano, omonimo del fiume campano, ma a Roma era patrono del vento caldo di sud-est, il moderno scirocco. Al suo culto era preposto un flamine minore, il flamen Volturnalis; la sua festività era denominata Volturnalia e si celebrava il 27 agosto. Favorino, citato da Aulo Gellio, riferisce che il terzo vento, quello che viene dal punto in cui il sole si alza al solstizio d'inverno, i Romani lo chiamano Volturnus e la maggior parte dei Greci, con un nome composto, Eurónotos, perché si situa tra il Noto e l'Euro. Altri hanno proposto un collegamento con il nome dell'avvoltoio (in quanto, stando a Eliano- La natura degli animali II,46 - i venti che fecondavano le avvoltoie erano Noto (oppure Euro in mancanza del primo), o con il nome del monte Voltur o Vultur nei pressi di Venosa, ricordato già da Orazio. In definitiva, la fantasia degli antichi ha sintetizzato i caratteri del monte e si è concentrata sia sulla singolare forma del vulcano e sia sul carattere ventoso del territorio. In ultimo giova annotare che recentissimi ritrovamenti archeologici in siti neolitici del basso Tavoliere delle Puglie hanno dato alla luce delle incisioni in cui si fa riferimento a culti e riti religiosi nei villaggi, con ben visibile sullo sfondo la sagoma di un monte stilizzato e a forma di piramide. Secondo gli studiosi non vi è alcun dubbio: si tratta del Vulture, il cui profilo svetta e si percepisce nitidamente dalla piana foggiana; i villaggi neolitici avevano sempre necessità di un rilievo a cui fare riferimento e a cui riconoscere il ruolo di concentratore di energia e di luogo prossimo al divino. Di seguito si descrivono i caratteri precipui del complesso montuoso del Vulture. Il Vulture è un gruppo montuoso d'origine vulcanica della Basilicata nordoccidentale, in provincia di Potenza, presso il confine con la Campania e la Puglia. Rappresenta il punto più a nord della quinta dorsale che attraversa la Basilicata e si pone sul versante Adriatico dell'Appennino Lucano anche se ne rimane geograficamente isolato. L'apparato vulcanico, che ha una superficie di 27 kmq, è molto simile per forma e costruzione al Vesuvio e all'edificio pure vulcanico di Roccamonfina in provincia di Caserta. La montagna, che raggiunge i 1.326 m di altitudine, sorge in posizione nord, nord-est rispetto ai monti Santa Croce (1.407 m), Pierno (1.268 m), Caruso (1.228 m) e Costa Squadra (1.342 m), dai quali è separata dalla fiumara di Atella, emissaria del fiume Ofanto. L'edificio vulcanico del Vulture è costituito da una serie di cime disposte a semicerchio che si innalzano ad est dai 250 metri sul livello del mare del greto dell'Ofanto ai 1286 m. s.l.m. della Solagna dei Piloni e a nord-est dai 700 m. s.l.m. fino ai 1326 metri del Pizzuto di Melfi che costituisce la vetta più alta di tutto il massiccio. Fra le altre cime che coronano il

massiccio spiccano la Serra del Fascino (1228 m. s.l.m.) e il Monte S. Michele (1262 m. s.l.m.), che nel loro insieme danno a tutto il complesso una configurazione pressoché tronco-conica, ben visibile dai vari punti cardinali, con base a contorno sfrangiato ed a pendenze variabili a seconda dei versanti. Le fertili e rigogliose pendici, ricoperte da una stupenda foresta secolare, fanno dimenticare che un tempo il Vulture era un vulcano attivo. Le prime esplosioni vulcaniche che segnano l'inizio della formazione del Vulture, circa ottocentomila anni fa (era quaternaria), scoppiarono nel mezzo di una valle (Valle di Vitalba), la quale venne morfologicamente stravolta dalle lave eruttate dalle diverse bocche vulcaniche apertesi in tempi e punti diversi. Le lave si depositarono intorno ai crateri formando progressivamente un cono quasi regolare nella parte centrale che non rimase intatto. Esso, infatti, nel tempo venne dapprima aperto verso occidente da un'ampia caldera e i suoi fianchi furono successivamente squarciati a sud-ovest da una violenta esplosione dando vita a due bocche indipendenti, separate da uno stretto lembo di terra, dove attualmente sono ospitati i due Laghi di Monticchio. Oggi ogni attività vulcanica è assente, le due bocche ospitano i due Laghi di Monticchio, diversi fra di loro e alimentati da una falda acquifera sotterranea. Protetti da una cortina verdissima e fittissima di faggi, querce, castagni, ontani, frassini, aceri e tigli, i laghetti vulcanici costituiscono forse la nota più pittoresca del singolare paesaggio del Vulture. Le acque e i boschi sono ricchi di fauna di ogni specie. Ma la rarità del Vulture è la "Bramea europea", farfalla notturna che si ritrova soltanto in Asia. Per proteggerla, la Forestale ha creato una Riserva naturale di 200 ettari, primo esempio in Italia (1971) di area protetta per tutelare un insetto. La sua presenza qui è legata al "Fraxinus oxycarpa", antichissima pianta di origine balcano-asiatica. Estesi e pregiati sono i boschi di castagno: Marroncino di Melfi D.O.P. è la denominazione protetta delle prelibate castagne che si producono in questi luoghi. Nella zona del Monte Vulture si estendono oltre 1500 ettari di vitigno rosso Aglianico. L'Aglianico del Vulture è infatti annoverato tra i più grandi vini rossi d'Italia. Le aziende del settore nel territorio sono circa quaranta e producono, annualmente, circa due milioni e mezzo di bottiglie. Alle pendici sorgono numerosi stabilimenti per l'imbottigliamento dell'acqua minerale. Il monte ha un aspetto maestoso, le sue vette sono coperte da fitti boschi, abitati da numerose specie di animali e nei suoi dintorni sorgono numerosi centri abitati ricchissimi di storia e elementi di interesse culturale: Melfi, Rapolla, Barile, Rionero in Vulture, Atella, e a poca distanza, Ripacandida e Venosa. Per questi motivi è una delle aree turistiche più importanti della Basilicata.

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Le principali caratteristiche storiche e ambientali della zona sono raccontate mirabilmente nel brano seguente, tratto dal volume Basilicata e Calabria delle Guide Rosse del Touring Club Italiano. “Il Vulture è un gruppo montuoso d'origine vulcanica della Basilicata nordoccidentale in provincia di Potenza, presso il confine con la Campania e la Puglia. L'apparato vulcanico, che ha una superficie di 27 kmq, è molto simile per forma e costruzione al Vesuvio e all'edificio pure vulcanico di Roccamonfina in provincia di Caserta. Entro la cerchia più ampia, che culmina nel monte Pizzuto di Melfi (1326 m), si innalza un cono di età più recente (Pizzuto di San Michele, 1262 m) nel cui cratere si aprono i due laghetti di Monticchio. Numerose le sorgenti minerali nella zona e rilevante la sismicità. Si tratta di un vulcano spento fin dall’epoca preistorica. Il territorio del Vulture costituisce una delle unità subregionali meglio individuate della Basilicata, identificata all’incirca con la cosiddetta regione melfese: essa comprende il territorio dei comuni di Atella, Barile, Lavello, Maschito, Melfi, Montemilone, Rapolla, Rionero in Vulture, Ripacandida, Ruvo del Monte e Venosa dove nacque il poeta Orazio. L’intera plaga su cui domina l’antico vulcano rappresenta una delle principali attrattive turistiche della Basilicata per il pittoresco aspetto dei paesi, per l’austera bellezza del vulcano, per il suggestivo paesaggio, caratterizzato dalle foreste e dagli stupendi laghi di Monticchio, e infine per alcuni centri ricchi di storia e di arte. Vulcano spento dall’epoca preistorica, il Vulture è a caldera, o a recinto, costituito da una grande cerchia esterna, in gran parte distrutta verso ovest, nel cui seno si leva un cono minore racchiudente un cratere distoma, ora occupato dai due laghi di Monticchio. La cerchia esterna si eleva con due vette, il Vulture propriamente detto o Pizzuto di Melfi, 1326 metri, e il Pizzuto di San Michele o semplicemente San Michele, 1262 metri.... Un vulcano estinto Il Vulture è un vulcano estinto nell’età pleistocenica, alto 1327 slm., si eleva sul fondo di vallate quaternarie, sito a 40° e 30’ di latitudine e a 3° e 11’ di longitudine dal meridiano di Roma ai margini orientali della regione per cui costituisce la frontiera di tre regioni: la Lucania, la Puglia e l’Irpinia, delimitate da un gruppo montuoso, il cui apparato si estende per una superficie di 27 Kmq, molto simile al Vesuvio e al massiccio vulcanico di Roccamonfina. Col materiale eruttivo il Vulture ha sbarrato il corso delle acque, dando origine agli antichi laghi della Valle di Vitalba e di Venosa, poi svuotatisi. A testimoniare l’esistenza di questi antichi specchi d’acqua rimangono sedimenti conglomerati vulcanici, ricchi di conchiglie lacustri e di ossa di ippopotami e di elefanti vissuti in questa zona in epoca preistorica.

Numerosi sono i manufatti litici rinvenuti. I materiali eruttivi, sparsi fino oltre 25 chilometri dal cratere, sono costituiti prevalentemente da leucite e contengono un minerale caratteristico, l’haüyna (appartenente al gruppo dei feldspatoidi, silicato di calcio e sodio). Nelle falde esterne del vulcano si riconoscono focolai eruttivi secondari come il Toppo San Paolo e la collina di Melfi. La zona del Vulture ha sempre rivestito un particolare interesse antropogeografico: fittamente abitata in età preromana, in seguito vi fiorirono le città di Venusia, Acheruntia, Bantia; più tardi divenne uno dei primi centri della conquista normanna ed ebbe una posizione importante anche al tempo degli Svevi, quando vi sorsero numerosi castelli (più importanti tra tutti quelli di Lagopésole e di Melfi). Sotto gli Angioini la regione del Vulture fu assegnata da Giovanna II nel 1420 a Gianni Caracciolo; gli Aragonesi diedero Venosa ai Del Balzo. Il paese fu devastato dalle truppe del Lautrec e nel 1528 Melfi venne saccheggiata e incendiata. Dopo il 1860 il Vulture fu al centro di un vasto movimento legittimista, degenerato nel brigantaggio, che ebbe tra i maggiori esponenti Carmine Crocco.

Le fertili e rigogliose pendici, ricoperte di una stupenda foresta secolare, ci fanno forse dimenticare che esso, per varie analogie strutturali e geodinamiche, è associabile ai vulcani tutt'ora attivi come il Vesuvio e l'Etna. Anfratti, grotte e canaloni residui rendono ancora oggi l'immagine di un territorio ortograficamente tormentato dal susseguirsi di portentosi sconvolgimenti naturali, mai estinti nella memoria poetica di tanti artisti. Da sempre nota per le sue acque minerali e per la produzione di vino e di olio rinomati, l'area del Vulture rappresenta anche un lembo di territorio di particolare interesse naturalistico in quanto racchiude numerosi ecosistemi caratterizzati da una ricca componente biotica. Si trova a 5,5 km verso Nord Ovest dalla città sulla strada comunale. La salita è molto panoramica e attraversa un fitto bosco di castagni, conifere e cerri. L’aspetto del monte varia in maniera molto notevole, a seconda dei punti da cui lo si osserva: dal Tavoliere e dalle Murge richiama l’occhio per la sua caratteristica forma conica e per l'altezza. Osservato da vicino, da Melfi, Rionero o Atella, si presenta molto maestoso.

In virtù dei materiali vulcanici, la regione è molto fertile. L’interno del vulcano e gran parte delle vette sono rivestiti dal bosco di Monticchio, formato da faggi, querce di diverse specie, castagni, tigli, aceri, carpini, olmi, frassini, pioppi, ontani. Vi si contarono 977 specie di piante, tra cui notevoli il sommaco, la robbia, il rabarbaro, il rabarbaro bastardo (Rumex alpinus), la valeriana. La fauna è rappresentata da tassi, puzzole, donnole, faine, martore, scoiattoli, ghiri, istrici, lepri, lontre, volpi, tartarughe, numerose specie di uccelli. I fenomeni vulcanici si riducono ai terremoti (gravissimi quelli del 1851 e del 1930) e all’esistenza di acque minerali (le più note sono quelle di Monticchio), acidule o aciduloferruginose; fa eccezione quella sulfurea presso la Taverna della Rendina. La montagna abbonda di sorgenti, in media tra i 400 e i 600 metri: ve ne sono però di molto più elevate: la fontana dei Giumentari sgorga a 1049 metri, mentre le sorgenti di Rionero sono quasi a livello del fondo dei laghi. Nel versante sud-orientale, in contrada la Francesca, sgorgano sorgenti di acqua minerale con emanazione di anidride carbonica, utilizzate in alcuni stabilimenti, soprattutto a Rapolla e nei suoi dintorni.

Per quanto riguarda il rapporto percettivo, dall’area di impianto risulta visibile sullo sfondo solo la parte sommitale del caratteristico profilo del Vulture, in particolare percorrendo la SP 111 traguardando a sud. Infatti, le dorsali di Colle Montanaro (655 m slm) e Monte Perrone (661 m slm), non consentono di percepire la maggior parte dei versanti settentrionali del vulcano, così come schermano la vista da e verso la cittadina di Melfi, che si situa immediatamente a valle delle loro pendici meridionali.

Guida d’Italia. Basilicata e Calabria, Touring Club Italiano, Milano 1980.

Aspetti percettivi Per chi dalle pianeggianti terre del Tavoliere o della Capitanata si accinge a raggiungere la Basilicata, punto di riferimento inequivocabile è la conica sagoma del monte Vulture primo baluardo naturale di una regione montuosa per i suoi due terzi. Millenni di storia, arte e tradizioni si sono succeduti all'ombra della sua mole vulcanica resa ancora più imponente dalla posizione isolata dell'intero complesso della catena appenninica

Vista del Vulture dalla SP 111, nei pressi dell’area di impianto

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2.4 – Il territorio comunale di Melfi Il progetto ricade integralmente nel comune di Melfi (PZ). Il comune si colloca nell'estremo nord della Basilicata, al confine con la Puglia e in particolare con la provincia di Foggia, in un territorio prettamente collinare con un'altitudine media di circa 530 metri sul livello del mareIl comune ha una superficie di 205,15 kmq; con una popolazione di circa 20.000 abitanti, è secondo per numero di abitanti nella provincia dopo Potenza e quarto nella Basilicata dopo il capoluogo di regione, Matera e Pisticci. Melfi ha un clima temperato freddo, con piogge irregolari e presenti perlopiù nelle stagioni autunnali e invernali. Gli inverni sono rigidi con frequenti nevicate. Le estati sono piuttosto calde con un clima secco. Secondo i dati medi del trentennio 1961-1990, la temperatura media del mese più freddo, gennaio, si attesta a +5,6 °C, mentre quella del mese più caldo, agosto, è di +23,6 °C. L’intero territorio comunale si distingue per una notevole ventosità accentuata da fenomeni locali probabilmente ascrivibili alle differenze di temperatura dei suoli dipendente dal repentino salto di quota altimetrica esistente tra il Monte Vulture e la piana del fiume Ofanto. L’area di progetto sotto questo aspetto è interessata fortemente dal fenomeno di spostamento delle masse d’aria dovuto a cambiamenti di pressione, in quanto si colloca in un cono aperto che collega la valle dell’Ofanto ai territori interni prevalentemente montuosi; la stessa valle fluviale, costretta dai rilievi collinari della Puglia e della Basilicata, rappresenta un canale di vento molto importante, come testimoniano i numerosi impianti eolici realizzati e ad essa prospicienti. Costituita da un centro storico di aspetto complessivamente medievale, la città è diventata recentemente uno dei centri più produttivi della Basilicata e uno dei maggiori nuclei imprenditoriali del Meridione grazie al polo industriale SATA, sorto nei primi anni novanta, che ospita infatti uno dei più importanti stabilimenti del gruppo FIAT e relativo indotto. Come richiamato in premessa, la presenza della vasta area industriale ha comportato non solo una modifica del contesto economico e del rapporto occupazionale rispetto alle tradizionale pratiche agricole, ma anche lo sviluppo di una rete stradale e infrastrutturale che di fatto ha stravolto gli assetti viari storicamente consolidati e spesso si sovrappone con indifferenza ad un paesaggio rurale di riconosciuto valore..

Il territorio comunale di Melfi si dispone infatti in posizione intermedia tra i due elementi strutturanti l’intorno, il Vulture e l’Ofanto e, come detto in premessa, la cittadina di Melfi e l’area di impianto si innestano su una potenziale linea di sezione che, con andamento SSO-NNE, parte dalla cima del Monte, taglia le pendici nord-orientali del vulcano e attraversa il corso del fiume. Lungo quest’asse immaginario si susseguono nel giro di 15 chilometri paesaggi assolutamente diversi tra loro: si parte dalle pendici boschive del vulcano, ricchissime di castagneti e querceti, si attraversa la rete infrastrutturale della SS 658 Foggia-Potenza e il centro abitato di Melfi, per poi passare per altopiani dominati da seminativi, oliveti, vigneti e macchia mediterranea; superato il versante settentrionale del colle Montanaro, si discende attraverso la SP 111 verso la valle dell’Ofanto, caratterizzata dal paesaggio industriale dell’area di San Nicola di Melfi, sino a raggiungere il corso d’acqua, anticipato da una cospicua fascia ripariale.

Trasformata in un vero e proprio borgo rurale, rappresenta da sempre un riferimento per il territorio melfese, come testimoniano le ricchissime testimonianze archeologiche che partono dal periodo neolitico.

La masseria Leonessa Il paesaggio melfese presenta fuori dal centro urbano e nelle sue porzioni più amene, un mosaico costituito da antichi casali rurali, sorgenti, chiese, colline a dolce pendenza, da secoli ricoperte di oliveti, vigneti e soprattutto di estesi campi di grano e incise da un fitto reticolo idrografico. Le distese coltivate sono punteggiate da alcune masserie fortificate di particolare interesse architettonico e storico quali Masseria Leonessa e Masseria Parasacco. Le masserie rappresentano uno degli elementi tipici del paesaggio lucano sia per il ruolo storico che come elemento significante d’architettura e trasformazione del territorio. Esse rappresentano il centro e il simbolo dell’organizzazione agraria e sono espressione dello stretto rapporto tra uomo-campagna, lavoro-residenza. La tipologia più diffusa è quella della masseria fortificata, una costruzione di tipo chiuso verso l'esterno e con le aperture rivolte prevalentemente sulla corte interna; le stesse mura perimetrali e le torrette angolari di avvistamento, proteggevano uomini e animali, assolvendo quindi ad una funzione difensiva. L’organizzazione delle masserie è quella tipica di un nucleo autosufficiente in cui edifici residenziali e di servizio si fondono e si compenetrano sino a formare un unicum costruttivo di straordinario valore architettonico e storico. La masseria Leonessa, edificata a cavallo del XVIII – XIX sec. ha svolto in passato sia una funzione produttiva, come testimoniato dai depositi e dai numerosi annessi, sia funzione gestionale ed organizzativa delle attività agricole. L’apprezzamento difensivo è molto contenuto ed costituito da una torretta pensile con feritoie ad otto realizzata con laterizi. L’ingresso è voltato (a botte) e presenta lo stemma della famiglia Doria, un tempo proprietaria del complesso edilizio.

La Masseria Parasacco è ubicata a poca distanza dal fiume Ofanto ed è sorta tra il XV ed il XVI secolo come "posta di pecore" della transumanza. L'edificio principale ottocentesco ha la forma di una "masseria fortificata". Nelle vicinanze si notano due monumentali pozzi ed una chiesa rurale. Nel XIX e XX secolo è stata di proprietà degli Aquilecchia di Melfi

La masseria Parasacco Il paesaggio melfitano è quindi un susseguirsi di situazioni che testimoniano la ricchezza paesaggistica di un intorno storicamente punto di contatto tra le regioni interne della Lucania e il Tavoliere delle Puglie. Per tale motivo, trattandosi di un territorio di frontiera, sono evidenti tracce storiche relative alla viabilità antica in particolare connesse alla pratica della transumanza, particolarmente diffusa tra la Lucania e la Puglia e afferenti all’organizzazione della Regia Dogana Aragonese.

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Il sistema tratturale, innestatosi su tracciati prevalentemente di epoca romana, è ricchissimo e costituito da una fitta rete di antiche vie erbose che, distaccandosi dal regio Tratturo Melfi-Castellaneta che corre in direzione Ovest-Est, discendono verso il Fiume Ofanto per poi collegarsi alla trama principale pugliese che converge verso Foggia, Cerignola e Canosa di Puglia e da questi centri si dirama verso le diverse Locazioni. I principali tratturi che interessano il territorio, censiti nella Carta Generale dei Tratturi, sono i seguenti: Il Regio Tratturo n. 21, Melfi-Castellaneta; a cui si aggiungono quelli classificati come tratturi non reintegrati: il Regio Tratturello n. 57, Cerignola-Melfi (che taglia l’area di impianto in direzione nord-sud); il Regio Tratturello n. 59, Rendina-Canosa; il Regio Tratturello n. 63, Venosa-Ofanto; il Regio Tratturello n. 37, Foggia-Ordona-Lavello; il Regio Tratturello n. 60, Vallecupa-Alvano; il Regio Tratturello n. 61, Lavello-Minervino; il Regio Tratturello n. 62, Lampagiano Spesso i tracciati antichi sono attualmente sede delle principali strade comunali e provinciali che ancora innervano il territorio melfitano, hanno perso le caratteristiche originarie e difficilmente sono distinguibili come vie erbose, sebbene catastalmente risultino ancora censiti e di proprietà del Pubblico Demanio Parco Tratturi. Nei casi in cui seguono un tracciato diverso dalle odierne strade, spesso risultano occupati da coltivazioni abusive, per cui risulta difficile coglierne l’originario sedime, come nel caso del Regio Tratturello Melfi-Cerignola, che attraversa l’area della centrale eolica in progetto, snodandosi nelle immediate vicinanze degli aerogeneratori contrassegnati dai numeri 05, 07, 09 e 10.. Per questo motivo, come meglio di descriverà di seguito, la società T-Power srl intende promuovere un’attività di valorizzazione dell’antica via erbosa, attraverso un’operazione di recupero del tracciato, che preveda l’utilizzo di cippi e la messa a dimora di arbusti e vegetazione che ne segnino l’originario sedime e lo rendano visivamente evidente.

La mappa riporta il sistema delle “lunghe vie erbose” di transumanza, così come riportate nella Carta Generale dei Tratturi; questi tracciati tratturali principali, si intrecciano con i sistemi di viabilità rurale interni che ancora permangono; in particolare si segnalano la vecchia e storica Strada di Leonessa (ora SP 9), le strade delle contrade Capannone, Chiatramone, Leonessa e Accovatura, percorsi che la nuova viabilità in sopraelevata ha di fatto reso quasi inutilizzabili; in particolare si fa riferimento alla strada della contrada Chiatramone che corre al di sotto delle SP Melfi-Sata e Melfi-Ofanto e che per la scarsa frequentazione e manutenzione si è quasi trasformata in un corso d’acqua.

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Oltre al sistema tratturale, sono tante le vecchie strade o i tratturi locali che ancora permangono, come richiamati in una vecchia cartografia catastale del Comune di Melfi. La stessa SP 111 che attraversa l’area di intervento, ricalca il tracciato della vecchia vicinale Madama Laura e in parte della vicinale detta del tratturo di Montelungo. A est dell’impianto, il passa il Tratturello regio Melfi-Cerignola, oggi non più riconoscibile se non a livello catastale. Il progetto salvaguarda tutti i tracciati storici.

Sopra: Carta catastale del Comune di Melfi, con evidenza del progetto e della viabilità storica; marcato in arancio, il Regio Tratturo Melfi – Castellaneta; trattandosi di una vecchia mappa, vi sono inevitabili problemi di precisa sovrapposizione con la posizioni della viabilità e degli aerogeneratori di progetto. A fianco: mappa estratta dalla collezione cartografica della famiglia Pamphil-Doria e in basso una vista della città di Melfi, tratta dall’atlante Pacichelli-1703

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2.5 - Lineamenti storici Dal punto di vista storico, nella zona del Vulture e del Comune di Melfi, si hanno segni della presenza di popolazioni che hanno abitato l'area sin dal neolitico. Periodo pre-romano Le prime tracce di una vera e propria civiltà sono però legate ai flussi delle popolazioni cosiddette "pre-romane". Non a caso, i primi centri abitati di medie dimensioni, tra i quali quelli in prossimità delle attuali cittadine di Melfi (" Afrodisia ") e di Banzi, risalgono all' VIII - VII secolo a.C., quando gli Iapigi, detti poi Dauni, popolazione proveniente dall'Asia minore, di stabilisce in una vasta zona del Questa è una popolazione dalla cultura ellenistica molto legata al culto del cavallo, la quale, secondo la tradizione, arrivò in queste zone sotto la guida deL re Dauno e di Diomede, l'eroe citato da Omero nell'Iliade appunto quale eccellente domatore di cavalli. In questo contesto la zona del Vulture rappresenta un confine naturale con la terra dei boschi e dei lupi, inoltre, la posizione a cavallo tra l'Irpinia e la Puglia è garanzia di una favorevole cintura difensiva ed un punto di controllo delle attività delle popolazioni confinanti. Il destino delle terre di confine è, però, anche quello di essere un crocevia di più popoli e un insieme variegato di più culture,infatti, nel corso dei secoli si succedono anche altre popolazioni che sono portate a stabilirsi in questi luoghi. Ai Dauni si uniscono e poi si sostituiscono i Sanniti (IV - III sec. a.C.). Le tracce della loro presenza sono ritrovate ancora a cavallo del territorio di Melfi (" Mefites ", in onore della dea della bellezza, alla quale venivano attribuite le capacità curative e tonificanti derivanti dalle acque minerali che ancor oggi sgorgano dalle sorgenti del monte Vulture) e soprattutto di Lavello (" Forentum ") che nel periodo era una vera e propria città, punto di riferimento per l'intera zona. Di quella fiorente epoca quale è stata quella pre-romana, sono pervenuti sino ad oggi numerosi reperti conservati nelle sale del "Museo Nazionale del Melfese", ubicato nel castello di Melfi. Impero Romano Con l'espansione della potenza romana ed in seguito alle tre " Guerre Sannitiche", nel III sec. a.C . inizia la lunga dominazione romana nella zone del Vulture come di tutta la penisola italica centro meridionale. In questo periodo nell'area non esistono più importanti centri abitativi, perché secondo le principali ipotesi, le popolazioni locali vengono dedotte in una zona più accessibile perché posta in prossimità delle grandi vie di comunicazione, come conseguenza nel 291 a.C. nasce la colonia romana di " Venusia", l'odierna Venosa , che ha dato i natali al poeta latino Quinto Orazio Flacco . L'area sannita del Vulture non rimane però dal tutto disabitata ma, al contrario, per la già citata posizione strategica e

la fertilità dei campi, viene costruito un accampamento fortificato nei pressi della vecchia città di Melfi e diverse ville e masserie, delle quali non da oggi ne stanno affiorando i resti, nelle pianure alla base del complesso vulcanico. Medioevo e Normanni Dopo la caduta dell'Impero Romano d'Occidente e le invasioni barbariche, in epoca medievale si ritrovano nuovamente notizie importanti sulla zona, infatti sono presenti tracce della presenza longobarda e bizantina. Nel 1018, la città di Melfi viene "rifondata" proprio dai bizantini del capitano Boioannes con funzione di fortezza militare. Dopo pochissimi anni, nel 1041, la città cade nelle mani dei Normanni di Guglielmo Braccio di ferro e del fratello Roberto il Guiscardo. In questo periodo la città di Melfi incomincia ad essere al centro delle vicende storiche dell'epoca; la cittadina ha un prorompente sviluppo urbanistico perché diviene capitale dei possedimenti normanni dell' Apulia e di lì a poco, nel 1059, è sede del celebre " Concilio di Melfi " dove, alla presenza del Papa Nicolò II, Roberto il Guiscardo dichiara di convertirsi al Cristianesimo ottenendo in cambio per se e per la sua famiglia il titolo di Vassallo della Chiesa di Roma e di Principe di Sicilia. Il rapporto tra la chiesa di Roma e i Normanni vede nello sfondo sempre presente la città di Melfi, nella quale nel corso dei decenni si sono susseguiti numerosi concili tra i quali quello del 1089, indetto da Papa Urbano II, in cui vennero approvati numerosi articoli del diritto canonico romano e dove venne anche stabilita la partecipazione dei Normanni alla prima crociata. L'innesto alla dinastia normanna di quella sveva degli Hohenstaufen , che portò ad unire sul capo di Federico II la corona di Imperatore dell'impero germanico e quella di Re di Sicilia, significò anche per Melfi un nuovo periodo di fermenti culturali, vista l'istituzione per volere imperiale di una commissione di iureconsulti che nel 1231 portò alla pubblicazione delle costituzioni federiciane del " Liber Augustalis ", dette anche " Costituzioni melfitane ". Sempre nel periodo medievale a cavallo del X-XIII sec. nella zona del melfese si assiste ad un incremento della presenza di ordini monastici, anche eremiti, sia occidentali, aderenti cioè alla "regola benedettina", che orientali, i basiliani. Ne sono testimonianze tangibili l'Abbazia di San Michele e i resti del complesso di Sant'Ippolito, poste sulle rive dei laghi di Monticchio , ma anche innumerevoli grotte rupestri affrescate rinvenute nei tenimenti di Melfi e della vicina Rapolla, tra le quali non si può non ricordare la chiesetta di "Santa Margherita" o quella di " Santa Lucia" e molte altre sparpagliate nei boschi vulturini. Il tramonto della dinastia federiciana significa la perdita di importanza non solo per la città di Melfi ma per tutta l'area del Vulture. Di qui in avanti inizia un periodo di decadenza che si è protratto nei secoli segnato anche

dall'avvicendarsi di varie dominazioni straniere. Iniziando dagli Angioini del Regno di Napoli e passando poi a quella borbonica, la zona diviene feudo di moltissime famiglie che servono la corona.

Venosa, vestigia della romana “Venusia”

Il castello di Federico II di Svevia a Melfi

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La città di Melfi, che comunque continua ad essere il centro più importante della zona, diventa prima feudo della famiglia fiorentina degli Acciaiuoli, per passare poi ai Caracciolo e infine, nel 1531 va in dono al principe genovese Andrea Doria, quale ringraziamento per i servigi offerti alla corona di Spagna nella guerra contro i Francesi per il controllo dell'Italia. Ai tempi dell'unità d'Italia la zona del Vulture è nelle condizioni del resto del Sud Italia, afflitta da miseria, disoccupazione ed analfabetismo, racchiusa quasi a chioccia intorno alla sua montagna. Qui, tutto appare come asservito alle dipendenze di poche famiglie "pseudo-nobili", le quali sanno solo sfruttare la popolazione e le poche risorse presenti per interessi di parte, come peraltro largamente illustrato dal rionerese Giustino Fortunato e successivamente dal melfitano Francesco Saverio Nitti. Brigantaggio È proprio in questo clima che si sviluppa il fenomeno del brigantaggio post-unitario , che ha nei piccoli paesi dell'area quali Rionero in Vulture, Atella, Rapolla, i principali centri della rivolta filo borbonica. I briganti della zona, tra i quali si ricorda il rionerese Carmine Crocco, trovano rifugio proprio nelle selve vulturine, le quali rappresentano per vari periodi a cavallo tra il 1861 ed il 1863, una vera e propria area fuori dal controllo militare piemontese. Le odierne attività Ad oggi la zona del Vulture e in particolare del melfese è l'area trainante dell’economia del nord della Basilicata; è sede di un polo industriale che gravita intorno allo stabilimento FIAT S.A.T.A. di San Nicola di Melfi; trattasi di un grande polo industriale con una superficie di 2.700.000 m² e oltre 7.000 addetti. La scelta di collocare il complesso industriale proprio a Melfi è considerata strategica, data il suo particolare insediamento geografico su una direttrice che collega bene la Basilicata con Puglia e Campania. Ci sono, inoltre, circa 30 aziende collegate all'indotto FIAT, tra cui Magneti Marelli, Tower Automotive, Benteler, Proma e Lear. Altro importante impianto produttivo è quello della Barilla, sorto nel 1994 e dotato di una superficie di oltre 51.000 m² . Le Officine Grandi Riparazioni delle Ferrovie dello Stato, che impiegavano circa 200 persone, sono state invece smantellate nel 2005.

eno-gastronomica italiana e internazionale; le larghe e fertilissime pendici del vulcano, ospitano estesi vigneti coltivati ad aglianico: il termine sembra derivare dal termine vitis hellenica, il vitigno che la tradizione vuole importato nella terra degli Enotri dall’ antica Grecia. Nei vigneti a consumo familiare la tecnica colturale è molto antica: viti condotte ad alberello basso e tralci raccolti su tre canne appositamente disposte; di altrettanto valore è l’industria legata all’imbottigliamento e la commercializzazione delle acque minerali e le attività più slow legate alla raccolta e alla conservazione delle castagne, dei funghi e più in generale di tutti i prodotti dei boschi dell’area vulcanica e delle tipicità dell’arte gastronomica dei centri dell’area melfese. Questi aspetti di tipicità e di valori naturalistici e paesaggistici, generano un’attenzione turistica nei confronti del Vulture e dei centri limitrofi. Il valore delle invarianti paesaggistiche e la storia e le testimonianze dei centri urbani e del territorio, soddisfano interessi molteplici che vanno dalle escursioni naturalistiche, alle visite delle grotte naturali trasformate in cantine di Barile e Rapolla, delle sorgenti di acque minerali, dei centri storici, dei tantissimi beni culturali, archeologici e architettonici, in particolare di Venosa di Melfi, del castello e del suo museo nazionale archeologico. Il Museo Nazionale del Melfese conserva varie testimonianze archeologiche rinvenute nel comprensorio del Vulture, riguardanti le popolazioni indigene della preistoria e dei periodi dauno,sannita, romano, bizantino e normanno. Il museo ospita Il cosiddetto Sarcofago di Rapolla, monumento originario dell'Asia Minore rinvenuto verso la metà del 1800 e datato II sec d.C. Di enorme interesse la “brocchetta di Ripacandida”, reperto ellenico con raffigurazioni dei cicli astronomici di Archimede.

Ma la vera forza dell’economia del Vulture e la ragione per cui il territorio è riconosciuto a livello nazionale e internazionale, risiede nei settori che puntano sull’utilizzo, la valorizzazione e la commercializzazione dei prodotti tipici, pregiati e conosciuti e apprezzati sin dall’antichità. Il Vulture è infatti la zona di produzione del pregiatissimo “Aglianico del Vulture” che ha proiettato l’intera regione Basilicata nei circuiti dell’eccellenza

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CAPITOLO 3 PRINCIPI INSEDIATIVI, CRITERI DI SCELTA DEL SITO DI IMPIANTO E DI PROGETTAZONE

Pertanto le analisi di intervisibilità non sono state approfondite e valutate solo per l’aspetto quantitativo ma prevalentemente per quello qualitativo;

deve essere facilmente raggiungibile e collegata alla viabilità regionale , provinciale e comunale principale;

La ricerca dei giusti rapporti ed equilibri tra approcci apparentemente antitetici, quali lo sfruttamento di una forma di energia pulita ed inesauribile ed una relazione con il territorio attenta all’innovazione e ai valori storici, culturali e paesaggistici, diventa tema prioritario all’interno della questione progettuale legata alla centrale eolica “Monte Carbone” in territorio di Melfi. Risulta fondamentale una corretta comprensione di cosa significa progettare e realizzare impianti eolici nel territorio, a partire dalla scelta dei luoghi, luoghi mai indifferenti, connotati ed accomunati dalla forte presenza del vento che ne traccia le superfici e ne definisce i caratteri, dalle presenze antropiche, dalle trame d’uso dei suoli, dalla presenza di infrastrutture di trasporto.

ciò che conta è la qualità dei rapporti percettivi che si determinano con l’introduzione degli aerogeneratori. Sono questioni che attengono alle tecniche proprie dell’architettura del paesaggio e alla sua specificità disciplinare basata sulla ricerca di nuove qualità nelle relazioni tra il nuovo e l’esistente.

in merito alle aree protette, agli spostamenti locali e alle rotte migratorie dell’avifauna:

La centrale eolica determinerà un nuovo segno importante tra i tanti che caratterizzano il territorio e la sua presenza sarà determinante nella costruzione di un nuovo paesaggio. Diventa importante proporre un progetto di architettura del paesaggio che possa potenziare le relazioni tra il nuovo e l’esistente e introdurre tutti gli accorgimenti che permettano la realizzazione di una centrale eolica di alta qualità espressiva e compositiva. Il progetto va allora considerato come uno strumento fondamentale che può indagare con grande attenzione le reali implicazioni e i rapporti complessi che possono intercorrere tra un’infrastruttura di produzione energetica da fonte eolica (attività ritenuta di pubblica utilità ma che comporta rilevanti trasformazioni) e il paesaggio che l’accoglie; quello che necessita è dare spazio ad una progettazione attenta, l’unica condizione che può garantire la compatibilità paesaggistica degli impianti e determinare elementi di valore aggiunto anche in termini estetici e di promozione della conoscenza delle caratteristiche dei luoghi. Partendo da questo presupposto, ovvero che gli impianti vanno progettati come elementi non estranei ma relazionati al contesto, assume un significato diverso anche il tema dell’impatto visivo. Le strutture visivamente non devono compromettere gli elementi di riconoscibilità dei luoghi ma semmai introdurre nuovi valori percettivi attraverso progetti non casuali, ma capaci, con precisi allineamenti e dispositivi compositivi, di introdurre nuove forme di relazione con l’esistente.

3.1 - Criteri di scelta del sito di impianto Come accennato nei precedenti paragrafi il contesto in cui si inserisce l’intervento è caratterizzato da una grande ricchezza di elementi di interesse naturalistico, morfologico, paesaggistico e di uso del suolo; rispetto ad essi, la dislocazione dell’impianto definirà nuovi rapporti visivi, nuovi usi e creerà condizioni tali da rendere necessario il disegno di una nuova carta topografica. Recuperando quindi il concetto già espresso del carattere ‘geografico’ dell’intervento e del suo significato che supera e va oltre la scala percettiva della media e breve distanza, abbiamo ritenuto opportuno stabilire alcuni criteri insediativi che risultano dalla somma di molte condizioni: fisiche, giuridico-amministrative, percettive. I criteri utilizzati per individuare e perimetrare rispetto al comprensorio di interesse l’area ottimale per l’inserimento di una centrale eolica sono i seguenti: in merito alla ventosità: l’area del parco eolico non deve subire turbolenze causate dall’eccessiva vicinanza alle vette del complesso montuoso del Vulture né coperta dai colli circostanti ed essere al tempo stesso aperta rispetto alle direzione dei venti, quelli dominanti e più produttivi in termini energetici, che a livello locale definiscono le caratteristiche anemologiche; in particolare, l’area deve essere scoperta rispetto ai venti che si incanalano nella valle dell’Ofanto e rispetto a quelli provenienti dal I e III quadrante ossia da NNE e S-SO; In merito alla copertura boschiva e all’attuale uso del suolo:

l’area di impianto deve essere ubicata all’esterno dalle aree SIC, ZPS, IBA e RAMSAR e comunque interessare un sito che permetta di evitare impatti negativi sugli habitat prioritari, sulla flora, sulla fauna e soprattutto sugli spostamenti dell’avifauna sia a livello locale che sulle lunghe rotte migratorie; in merito alle caratteristiche percettive del contesto: l’area di impianto deve essere ubicata in modo tale da confrontarsi prevalentemente con punti panoramici posti a grande e media distanza dal sito, in modo che la trasformazione possa essere riassunta nell’ambito del complessivo skyline del monte Vulture e dei colli dell’ambito melfese e delle aree circostanti; l’area prescelta deve quindi consentire di poter collocare le turbine in modo tale che le stesse non interferiscano mai con il caratteristico skyline del monte; un’area che, utilizzando progettualmente le condizioni orografiche, possa garantire un inserimento morbido in modo tale che dai centri abitati e dalle strade panoramiche principali l’impianto non appaia incombente o intrusivo. In merito alla pianificazione vigente e in fase di attuazione: l’area di impianto non deve pregiudicare ma semmai potenziare gli obiettivi di valorizzazione paesaggistica né interferire negativamente con le attività finalizzate al miglioramento della fruizione turistica; l’area di installazione degli aerogeneratori non deve interessare aree e beni tutelati per legge ai sensi del D.lvo 42/04; l’area prescelta e più in generale il progetto nel suo insieme, devono essere conformi alla pianificazione regionale, provinciale e comunale vigente e in particolare a livello settoriale devono rispondere ai principi, criteri e requisiti individuati e normati dal PIEAR (piano integrato energetico-ambientale regionale). Per un’approfondita verifca dell’adesione del progetto ai principi del PIEAR, si confronti l’ultimo paragrafo del presente capitolo, intitolato “Conformità del progetto al PIEAR”.

Il sito di impianto non deve interessare aree boschive e zone adibite a coltivazioni pregiate, ma aree adibite a seminativi o caratterizzate da zone erbacee degradate e prive di specie vegetali prioritarie così come definite dalle direttive nazionali e internazionali di conservazione; l’area

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3.2 - Precisazione dei limiti della centrale eolica e descrizione delle caratteristiche del sito e del layout. Nell’ambito del comprensorio descritto precedentemente, il sito che meglio risponde ai suddetti requisiti e che rispetta i criteri di inserimento prescelti e per le favorevoli condizioni percettive che determina rispetto ai principali punti notevoli del territorio e ai centri abitati, è ubicato in posizione mediana tra la città di Melfi e la valle dell’Ofanto. Esso si colloca a valle delle pendici settentrionali del Colle Montanaro in corrispondenza della Masseria “Villa Mariannina”, complesso originariamente denominato Madama Laura, toponimo che dava il nome anche all’attuale Vallone della Zingara, che lambisce a ovest l’area di impianto e confluisce nel Vallone della Casella. L’area di impianto è attraversata dal tratto della SP 111 (anch’essa anticamente denominata vicinale di Madama Laura) che con stretti tornanti discende verso la valle dell’Ofanto, ed è delimitata: a Nord dalla SS 655 , dalla SP 18 ex strada consorziale del Basso Melfese) che corre parallela al corso del Fiume Ofanto (quota in questo tratto circa 180 m slm), e lungo cui si attesta il polo industriale di San Nicola di Melfi con gli stabilimenti FIAT e quelli dell’indotto. a est dalla ferrovia Appulo-Lucana, dal Torrente Olivento, dallo sbarramento artificiale del bacino del lago del Rendina a sud dal Regio Tratturo Melfi – Castellaneta (sul cui tracciato in parte si attesta il tratto della Sp 111 che discende verso Melfi) e dal Colle Montanaro e che in questo tratto ricalca il tracciato della vecchia strada detta di Masseria Madama Laura; a ovest dalla Sp Melfi-SATA e dalla SP Melfi-Ofanto che si collegano alla SS 655, dalla vecchia e storica strada SP 9 detta anche SP di Leonessa, e dalle strade delle contrade Capannone, Chiatramone, Leonessa e Accovatura (strade che la nuova viabilità in sopraelevata ha di fatto reso quasi inutilizzabili (in particolare la strada della contrada Chiatramone che corre al di sotto delle SP Melfi-Sata e Melfi-Ofanto). L’impianto dista: da Melfi (515 m slm) in linea d’aria, circa 4,200 km da Lavello (310 m slm), circa 7,550 km dal Lago di Rendina (200 m slm) circa 3,5 Km dal Corso del Fiume Ofanto (4,500 km circa) Le balze collinari di questa parte settentrionale del territorio melfese, afferenti alla destra idrografica Ofantina che digradano verso la valle del Fiume Ofanto, sono profondamente incise da valloni che affluiscono al fiume principale e che prevalentemente seguono una direttrice sud-nord; si segnalano in particolare, da Ovest 6,5verso est, i valloni:

Caprai (presso Leonessa), Sportone, del Paradiso, Soforso, Camarda Vecchia, di Catapone, Vallone della Zingara e delle Caselle e infine il Torrente Olivento che corre a valle del Lago del Rendina, questo ultimo alimentato dalle sorgenti del torrente e da tante altre fonti limitrofe. Di quelli più vicini all’area di impianto, solo alcuni sono censiti nell’elenco delle principali acque pubbliche della Provincia di Potenza e del Comune di Melfi e precisamente il Vallone della Casella (continuazione di quello detto della Zingara) contrassegnato con il numero 462, Il Vallone di Catapane n. 463, e il Vallone di Solorso n. 464 e il Torrente Olivento n.434. Elementi di interesse prossimi all’area di impianto sono la chiesetta della Madonna di Macera e la Taverna Caduta, posta immediatamente a margine del Regio Tratturo Melfi – Castellaneta. Il Regio Tratturo in questo tratto ricalca il tracciato antico della romana via Appia e in particolare, secondo la ricostruzione attuale, ricade nel Segmento 32 dal km 330,0 al km 365,6, che va dal Ponte di Santa Venere (Pons Aufidi) sull’Ofanto e sino a Venosa (Venusia). Ad una testata del ponte si collocava la statio Pons Aufidi di cui oggi si scorgono le rovine. Nello stesso luogo un ponte medioevale ed un ponte ferroviario hanno sconvolto il sito originario. La strada in direzione di Venosa (Venusia) non ha lasciato tracce sul terreno, e quindi gli storici ipotizzano proprio il tracciato che segue il crinale delle colline ad nord di Melfi, avvalorato dall'esistenza d'antica datazione e dei reperti ritrovati nei pressi della cappella della Madonna di Macera. Come precedentemente accennato, altro elemento di interesse che attraversa l’area di impianto è il Regio Tratturello Melfi-Cerignola, di cui non si distingue l’antico sedime che permane come evidenza catastale. A circa 6,5 Km di distanza dalla centrale eolica, di rilevante interesse è la presenza della Masseria fortificata Leonessa, che da il nome alla frazione rurale. Oltre alla masseria Villa Mariannina, nei dintorni si distinguono le masserie Menolecchia e Caella, nei pressi dell’omonimo Vallone. Per quanto riguarda l’uso del suolo e le caratteristiche vegetazionali, il sito presenta delle forme di antropizzazione piuttosto marcata, masserie, annessi produttivi, strade, tralicci e linee elettriche, che si inseriscono in un ambito sostanzialmente agricolo e coltivato per lo più a seminativo. Permangono dei residui di pascolo e incolti, mentre lungo i valloni, sono presenti lembi di fasce riparie. Trascurabile è la presenza di alberi e lembi di bosco, se si eccettuano alcuni oliveti e modesti rimboschimenti di conifere, elementi questi ultimi, totalmente estranei alle perdute tipicità forestali dei luoghi costituite prevalentemente da querceti. Il sito è raggiungibile utilizzando la SP 111, strada ormai quasi in disuso ma che, prima della realizzazione delle nuove strade (la SP Malfi-Ofanto e la SP Melfi-Sata) costituiva la via preferenziale per assicurare il

collegamento tra Melfi e la grande viabilità (la SS 655) che attraversa la valle ofantina e collega alla SS Bradanica e all’Autostrada A16 NapoliCanosa. Ubicata all’interno dell’area appena descritta e precisamente nelle immediate vicinanze della località Monte Carbone (368 m slm) e della masseria Villa Mariannina (403 m slm), la centrale eolica di Monte Carbone, prevede la realizzazione di 10 aerogeneratori da 3 MW, di altezza al mozzo pari a 89/99 ml e diametro pari a 101/122 m (H massima 150 m), e di un pari numero di piazzole di montaggio. Gli aerogeneratori si dispongono su entrambi i lati della SP 111, a distanza di oltre 200 ml dalla stessa e si elevano sui rilievi collinari o sui loro versanti, attestandosi su differenti quote altimetriche che passano dai 279 m slm della torre 05 ai 407 m slm della torre 10. In dettaglio le quote dei 10 aerogeneratori sono le seguenti: T01_362,50 m slm, T02_304,00 m slm, T03_339,50 m slm, T04_359,50 m slm; T05_ 279,00 m slm; T06_399,00 m slm; T07_325,00 m slm; T08_404,00 m slm; T09_407,50 m slm; T10_407,50 m slm. In fase di cantiere, le piazzole di montaggio (piazzole temporanee) degli aerogeneratori interesseranno una superficie complessiva di 3,4 ha (le dimensioni di ogni singola piazzola di forma rettangolare sono 60 m x 57 m), mentre, a cantiere ultimato verrà eseguito un sostanziale ripristino planimetrico e morfologico al termine del quale piazzole permanenti occuperanno in fase di esercizio una superficie complessiva di 1,1 ha. La viabilità interna all’impianto si collega a strade o sentieri esistenti che si collegano alla SP 111 o alle grandi aree libere di pertinenza della masseria Villa Mariannina. Poiché la SP 111, salendo da valle verso Melfi, presenta nel primo tratto degli stretti tornanti, solo nella parte a monte risulta utilizzabile per assicurare il transito dei mezzi necessari per il trasporto dei componenti degli aerogeneratori. Per questo motivo si prevede la sistemazione di una strada esistente che si distacca dalla strada vicinale detta del Tratturo Montelungo-Ofanto e, seguendo l’andamento del Vallone di Vizzarro, si congiunge alla SP 111 nei pressi dell’intersezione con l’antico Regio Tratturello Melfi-Cerignola; la strada, lunga circa 3,2 km, è stata in parte allargata per rendere possibile il trasporto dei componenti di un aerogeneratore da 800 kW del tipo Enercon E-53 già installato e funzionante. A termine della sistemazione e degli allargamenti previsti, la strada occuperà una superficie di circa 1,7 ha. In dettaglio, per accedere alle piazzole dei 10 aerogeneratori sarà necessario costruire circa 4000 metri di strada ex-novo che occuperà una superficie di 2,2 ha (larghezza = 5,5 m) e adeguare circa 1350 metri di strada esistente (0,7 ha) con allargamento della struttura stradale.

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Per trasferire l’energia prodotta dagli aerogeneratori alla nuova SE di Melfi occorrerà interrare circa 10,7 km di cavidotto di cui 2,6 di collegamento tra la cabina di raccolta, in cui confluiscono i tratti di cavidotto di collegamento tra gli aerogeneratori, e la Stazione Elettrica di trasformazione. La nuova SE di Melfi e la stazione di utenza occuperanno rispettivamente una superficie di 7 ha e 0,2 ha. Complessivamente la centrale eolica, a cantiere ultimato avrà sottratto una superficie agricola di 3,3 ha (piazzole permanenti + strade exnovo=1,1 ha + 2,2 ha)., porzione davvero minima se si considera che l’area considerata come sito di intervento, copre una superficie di 1422,9 ettari, Tale superficie è stata stimata secondo parametri diffusamente utilizzati per le verifiche ambientali e si ottiene imponendo un buffer minimo di 1 km dagli aerogeneratori e comprendente la nuova stazione SE di Melfi, la stazione di utenza, il cavidotto interrato e la strada da adeguare necessaria al raggiungimento dell’impianto. Dal punto di vista progettuale, date le caratteristiche del sito e la delicatezza complessiva dell’ambito spaziale interessato, la scelta fondamentale è stata quella di prevedere un minor numero di aerogeneratori di grande taglia rispetto alla possibile alternativa, ossia aumentare il numero di macchine limitandone la potenza e utilizzando tutti gli spazi morfologicamente idonei all’installazione. La scelta è stata motivata prevalentemente per modificare il meno possibile i crinali e i versanti, garantendone l’integrità, per utilizzare quasi esclusivamente la viabilità esistente e per limitare l’effetto selva e i problemi percettivi che l’utilizzo di un maggior numero di aerogeneratori comporta; in relazione a questo ultimo aspetto, con un numero maggiore di aerogeneratori diventa più difficile il controllo delle posizioni delle turbine rispetto a punti di vista molteplici e soprattutto rispetto alla relazione visiva tra gli stessi, l’impianto e lo skyline caratteristico del Vulture, elemento che costituisce un fuoco visivo eccezionale per i territori circostanti e in particolare per chi percorre la valle dell’Ofanto. Le 10 turbine si dispongono intorno al nucleo rurale della masseria Villa Mariannina seguendo tre precise direttrici compositive che generano un dispositivo architettonica tale da rendere l’inserimento paesaggistico della centrale eolica appropriato rispetto alla valenze e alle caratteristiche orografiche del sito. In particolare le turbine T01, T02 e T05 disegnano un arco discendente a circa 1 km a nord della masseria, con centro sulla T02 e direttrice nordovest _ sud-est; le tre torri sono interdistanti e posizionate a 1000 m di distanza tra loro. La torre T01, si dispone in cima al Monte Carbone ad una quota di 362,50 m, la T02 è posta a quota 304 m mentre la T05 a

quota 279 m. Le tre torri sono raggiungibili da strade interne ai terreni, che si distaccano dalla vicinale detta del tratturo di Montelungo-Ofanto. La T02, centro dell’arco sopra descritto, diventa il punto di partenza per un altro elemento che struttura il layout: un arco con direttrice nord-sud, che abbraccia ad ovest il nucleo della masseria Villa Mariannina e sul cui ideale tracciato si dispongono le torri T02, T03, T06, T08, T09. Di queste, solo la T09 di dispone a est della SP 111, mentre le altre si attestano a ovest della strada che in pendenza attraversa il sito da sud a nord e da cui si distaccano alcuni viottoli esistenti che vengono utilizzati per raggiungere gli aerogeneratori. L’arco di costruzione, risale dalla T02 verso la T09, partendo dai 304 m e culminando ai 407 m della T09; le altre due torri interessate, la T06 e la T08, si attestano rispettivamente a 399 m e 404 m slm.

garantiscono circa la limitata modifica e alterazione dei suoli; In merito ai rapporti percettivi che si stabiliscono con i territori inseriti nel bacino visuale di riferimento, la disposizione delle turbine garantisce un ordine geometrico che limita l’effetto selva e rende più libera la vista dello skyline del complesso montuoso del Vulture, soprattutto per chi osserva dalle strade che attraversano la valle dell’Ofanto; anche dai comuni lucani interessati visivamente dalla presenza della centrale eolica, la disposizione delle turbine limita le interferenze negative rispetto alla percezione attuale del profilo del monte.

Terzo e ultimo elemento geometrico di costruzione, è costituito da una retta, idealmente tracciata a est della SP 111, che, con andamento altimetrico inclinato, parte dalla T05 (estremo orientale del primo arco sopra descritto) e termina alla T10 con punto medio costituito dalla T07. Le tre torri distano tra loro 660 ml e si attestano a 279 m (la T05), a 325 m (la T07) e a 407 m slm (la T10). La T07, così come la T09 sono raggiunte attraverso strade di nuova costruzione che partono dalla SP 111, mentre la T10 si raggiunge con un braccio che si distacca dalla sopra citata strada che dal tratturo di Montelungo si collega alla SP 111. Un altro elemento caratteristico dell’impianto è l’applicazione di un criterio di ritmo e di interdistanza tra le torri eoliche; si è già detto dell’interdistanza tra le torri disposte lungo la “retta inclinata” e lo stesso principio è stato utilizzato per regolare la posizione tra le torri T02; la T04 e T06 che distano dalla T03 522 m. Il layout proposto trova quindi il valore estetico e di inserimento nella logica compositiva intrinseca, nella regolarità del dispositivo architettonico, nella precisione degli allineamenti e delle interdistanze tra le turbine. Rispetto alla producibilità, date le distanze imposte, la disposizione prescelta non comporta significative perdite di scia e interferenze reciproche negative tra le turbine e risulta ottimizzato rispetto alle direzioni dei venti prevalenti. Risultano ampiamente rispettati i parametri minimi di distanza tra le turbine e tra le file su cui si attestano (si superano di gran lunga i 3 diametri previsti per le configurazioni sfalsate). Tutti gli aerogeneratori mantengono una distanza appropriata rispetto ai recettori sensibili e alla Masseria intorno a cui si dispongono. Rispetto all’orografia, la scelta dei punti di installazione idonei e l’utilizzo prevalente della viabilità esistente e le attività di ripristino a fine cantiere,

Schema delle geometrie generatrici del layout e delle distanze tra le torri

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Vista da SUD, in veste autunnale, dell’area di ubicazione della centrale eolica Monte Carbone; a sinistra, il complesso rurale della masseria Villa Mariannina e, sullo sfondo, la valle dell’Ofanto e l’rea industriale di San Nicola di Melfi.

Vista da NORD, in veste estiva, dell’area di impianto; all’estrema sinistra si intravedono le vette del Vulture, le cui pendici settentrionali sono schermate dai colli a nord di Melfi; tale condizione impedisce la vista dell’impianto dalla cittadina.

Vista da EST dell’area di impianto, lungo la strada vicinale detta del “Tratturo di Montelungo-Ofanto”; al centro dell’immagine il profilo arrotondato del Monte Carbone, che dà il nome alla località.

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3.3 - Criteri di progettazione, modalità di valorizzazione paesaggistica e di fruizione Ferma restando l’adesione alle norme vigenti in materia di tutela paesaggistica e ambientale, la proposta progettuale indaga e approfondisce i seguenti aspetti: le caratteristiche orografiche e geomorfologiche del sito, con particolare riguardo ai sistemi che compongono il paesaggio (acqua, vegetazione, uso del suolo, viabilità carrabile e percorsi pedonali, conformazione del terreno, colori); la disposizione degli aerogeneratori sul territorio, lo studio della loro percezione e dell’impatto visivo rispetto a punti di vista prioritari (insediamenti concentrati o isolati), a visioni in movimento (strade); i caratteri delle strutture, le torri, con indicazioni riguardanti materiali, colori, forma, ecc. e con particolare attenzione alla manutenzione e durabilità; la qualità del paesaggio, i caratteri del territorio e le trasformazioni proposte (interventi di rimodellazione dei terreni, di ingegneria naturalistica, di inserimento delle nuove strade e strutture secondarie, ecc.), la gestione delle aree e degli impianti, i collegamenti tra le strutture; le forme e i sistemi di valorizzazione e fruizione pubblica delle aree e dei beni paesaggistici (accessibilità, percorsi e aree di fruizione); le indicazioni per l’uso di materiali nella realizzazione dei diversi interventi previsti dal progetto (percorsi e aree fruibili, strutture), degli impianti arborei e vegetazionali (con indicazione delle specie autoctone previste), eventuali illuminazioni delle aree e delle strutture per la loro valorizzazione nel paesaggio. Con riferimento agli obiettivi e ai principi suddetti si richiamano alcuni criteri di base utilizzati nella scelta delle diverse soluzioni previste, al fine di migliorare l’inserimento dell’infrastruttura nel territorio senza tuttavia trascurare i criteri di rendimento energetico determinati dalle migliori condizioni anemometriche: rispetto dell’orografia del terreno (limitazione delle opere di scavo/riporto); massimo riutilizzo della viabilità esistente; realizzazione della nuova viabilità rispettando l’orografia del terreno e secondo la tipologia esistente in zona o attraverso modalità di realizzazione che tengono conto delle caratteristiche percettive generali del sito;

impiego di materiali che favoriscano l’integrazione con il paesaggio dell’area per tutti gli interventi che riguardino manufatti (strade, cabine, muri di contenimento, ecc.) e sistemi vegetazionali; Rispetto delle componenti idrografiche e orografiche, per cui si prevede l’utilizzo delle modalità di interramento di tutti i cavidotti interni ed esterni di collegamento alla rete elettrica e della modalità di perforazione teleguidata nei casi in cui il tracciato delle linee intercetta impluvi o acque pubbliche attenzione alle condizioni determinate dai cantieri e ripristino della situazione “ante operam” con particolare riguardo alla reversibilità e rinaturalizzazione o rimboschimento delle aree occupate temporaneamente da camion e autogrù nella fase di montaggio degli aerogeneratori (elaborato 06 del progetto allegato). Questo insieme di attenzioni si è tradotto nelle seguenti indicazioni progettuali. Per evitare l’introduzione di nuove strade, l’impianto sarà servito quasi esclusivamente da una viabilità esistente; si prevede la sola costruzione di brevi tratti di strada per raggiungere le postazioni di macchina. Salvaguardandone le caratteristiche e l’andamento (che consente varie modalità di percezione degli aerogeneratori), l’insieme delle strade diventa il percorso ottimale per raggiungere l’impianto eolico, sia per i conduttori dei fondi, sia per gli escursionisti, in quanto l’impianto stesso diventa una possibile meta di interesse anche didattico, come dimostrano le fortunate esperienze condotte nella vicina Puglia, dove le visite guidate agli impianti eolici consentono di far conoscere luoghi di grande valore ma che difficilmente risultano inseriti in circuiti turistici. Le strade e le piazzole sono segnate da minimi movimenti di terra che nel seminativo a regime diverranno quasi impercettibili vista la rinaturalizzazione delle stesse. La conformazione del luogo, le caratteristiche del terreno, i colori, i segni delle divisioni catastali e l’andamento delle strade, le tracce dei mezzi impiegati per la conduzione agricola dei fondi, suggeriscono le modalità di realizzazione delle infrastrutture a sevizio dell’impianto. Il sistema di infrastrutturazione complessiva dell’impianto (accessi, strada, piazzole, cabine di distribuzione e cavidotto) è pensato per assolvere le funzioni strettamente legate alla fase di cantiere e alla successiva manutenzione degli aerogeneratori e, applicando criteri di reversibilità, per assecondare e potenziare un successivo itinerario di visita.

L’ambito delle piste esistenti viene ridisegnato con un articolato sistema di elementi vegetazionali; il sistema delle strade connette i percorsi trasversali che dalla piana risalgono il versante. Il suolo viene semplicemente costipato per consentire il transito dei mezzi durante il cantiere e nelle successive fasi di manutenzione. Si prevede la rinaturalizzazione dell’intero sedime catastale delle strade che risulta essere molto più ampio dell’attuale strada e anche di quella che servirà per raggiungere le turbine; a fine cantiere verrà realizzata un’attività di colonizzazione con arbusti e erbacee delle fasce di bordo delle strade, il che garantirà il ripristino dei caratteri della viabilità storica che attraversava questi luoghi, facendo sì che il percorso risulti particolarmente gradevole anche per gli escursionisti; i bordi stradali, per tutta l’ampiezza del sedime catastale, saranno colonizzati con formazioni prevalentemente arbustive a ginestre e cespugli spinosi (Spartium junceum, Rosa spp., Rubus ssp., Prunus ssp.). Le strade che seguono e consolidano i tracciati già esistenti saranno realizzate in stabilizzato ecologico composto da frantumato di cava dello stesso colore del terreno. Lievi modellazioni e rilevati in terra delimitano le piazzole di servizio. L’area necessaria per la movimentazione durante la fase di cantiere, a montaggio degli aerogeneratori ultimato, subirà un processo di rinaturalizzazione e durante il periodo di esercizio dell’impianto sarà ridotta a semplice diramazione delle strade che servono le piazzole. In linea generale il sistema di infrastrutturazione dell’impianto è realizzato con elementi facilmente removibili e la stessa tecnica di trattamento dell’area carrabile consente una successiva facile rinaturalizzazione del suolo. Particolare attenzione verrà riservata a fine lavori alla valorizzazione dell’antico tracciato del Regio Tratturello Melfi-Cerignola, nelle cui vicinanze si attestano gli aerogeneratori T05, T07, T09 e T 10; le opere necessarie per la loro realizzazione non comportano alterazione del tracciato tratturale, se si eccettuano due attraversamenti trasversali necessari per raggiungere la T07 e per il passaggio del cavidotto interrato in uscita dalla T10. Poichè il tracciato del tratturello non è più riconoscibile se non a livello catastale, è intenzione del proponente concordare con l’Ufficio Parco Tratturi di Foggia, competente per la gestione del bene demaniale, e con le Soprintendenze archeologica e paesaggistica del MIBAC, competenti per gli aspetti di tutela, azioni di valorizzazione che potrebbero tradursi nella messa a dimore di arbusti e alberature e la disposizione di cippi miliari, per assicurare il riconoscimento e la percorribilità dell’antica via erbosa che si connette al Regio tratturo Melfi-Castellaneta

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STUDIO DI RICOMPOSIZIONE PAESAGGISTICA E RIPRISTINO, A CHIUSURA CANTIERE, DELLE PIAZZOLE DI MONTAGGIO. Le piazzole a servizio degli aerogeneratori sono predisposte in fase di cantiere allo scopo di consentire il montaggio delle parti che formano gli stessi aerogeneratori. L’impatto sul paesaggio, anche in tale caso, è transitorio ed è riconducibile alla modifica dei profili del terreno ed alla variazione della attuale copertura del suolo, in parte con utilizzo di materiale inerte compattato ed in parte per la sistemazione di semplice terreno compattato. Allo stesso modo, per quanto attiene alle due piazzole, si prevede un parziale ripristino del profilo originario del terreno ed un recupero ambientale, questo ultimo esteso a tutta l’area precedentemente interessata in fase di cantiere, compresa anche quella definita come “area di cantiere”, con vegetazione composta da essenze autoctone. Tali soluzioni riducono al minimo le variazioni rispetto allo stato attuale e non determinano un’alterazione dei caratteri d’insieme del paesaggio, sia quelli geomorfologici che quelli vegetazionali, ne la perdita di elementi strutturali del paesaggio. A titolo esemplificativo si riportano a lato alcune immagini di ripristini realizzati in impianti di grande taglia. In alto l’esempio di piazzole ripristinate e ridotte alle strette necessità di esercizio. Più sotto le immagini di un parco eolico in cui è messa a confronto la fase di cantiere con il ripristino. Se già in fase di progettazione, si opera in funzione del ripristino finale è possibile, a cantiere ultimato, risagomare le sezioni riadattandole al profilo originario del pendio. Le foto mostrano che posizionando accuratamente del pietrame sull’unghia di scarpata e ripristinando la coltre vegetale e i drenaggi dell’acqua, è possibile, entro tempi piuttosto ridotti (meno di un anno), attivare naturalmente una colonizzazione di piante spontanee e in breve ripristinare l’arbusteto e il pascolo

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3.4 - Verifica delle Interferenze dell’impianto rispetto alle componenti orografiche, idrografiche, vegetazionali e ambientali dell’area. Rispetto al sistema delle aree protette, l’area risulta esterna e non interferisce con Parchi Nazionali, Aree Importanti per l’Avifauna (Important Bird Areas - IBA), Zone di Protezione Speciale (ZPS), Riserve Statali e Regionali e Oasi WWF. Esternamente all’area vasta, a circa 8 km sud-ovest dagli aerogeneratori di progetto, si rileva la Zona di Protezione Speciale (ZPS) “Monte Vulture” (codice: IT9210210). Il sito di impianto risulta esterno al Parco Naturale Regionale “Fiume Ofanto” e il Sito di Importanza Comunitaria “Valle Ofanto – Diga Capacciotti” (codice: IT9120011), le cui aree sono in gran parte tra loro sovrapposte, e disteranno circa 4,5 km nord dagli aerogeneratori di progetto. Si sottolinea che il tratto del F. Ofanto che interessa l’area vasta e le aree prossime ad essa risulta estremamente antropizzato a causa della presenza della zona industriale di San Nicola di Melfi, delle pratiche agricole di tipo estensivo e delle cave di estrazione. La vegetazione riparia risulta degradata e nel complesso l’ecosistema fluviale si caratterizza per una scarsa biodiversità faunistica. Si escludono, quindi, interferenze negative dovute a impatti diretti sugli habitat interni alle aree protette citate. Per quanto riguarda gli aspetti idrogeomorfologici, come detto, il sito è prevalentemente collinare e le balze si susseguono intervallate da impluvi profondi e valloni; nei pressi degli aerogeneratori è presente il Vallone della Zingara, mentre alcuni tratti di cavidotto interrato di collegamento tra gli aerogeneratori e la cabina di raccolta e tra questa e la Stazione Elettrica, intercettano il Vallone della Zingara e il vallone di Catapane, nelle cui vicinanze sorgerà la futura stazione elettrica RTN a 380 kV, che sarà collegata in entra-esce sulla linea a 380 kV “Matera-Santa Sofia”, in adiacenza della quale è prevista l’area utente necessaria per il collegamento della centrale eolica di Monte Carbone. Come precedentemente accennato, per il collegamento alla rete elettrica si prevede il completo interramento dei cavidotti. In corrispondenza di impluvi e delle acque pubbliche sopra citate, si prevede l’utilizzo della perforazione teleguidata, che consente di non alterare minimamente il letto dei corsi d’acqua e di non rimuovere ghiaie o sedimenti; la perforazione verrà eseguita sulla base di sondaggi geognostici e verrà approfondita al di sotto del banco argilloso impermeabile. I tracciati elettrici interrati e quelli stradali non interesseranno cigli di scarpata o discontinuità morfologiche, e nei casi in cui la necessità di assicurare pendenze accettabili, per consentire il trasporto degli aerogeneratori, dovesse rendere necessari opere di scavo e rinterro, queste saranno eseguite raccordando le scarpate alla morfologia dei

terreni attraversati e comunque assicurando il corretto smaltimento delle acque meteoriche e il loro convogliamento a recapiti naturali. Considerando queste modalità esecutive e l’esigua porzione di terreno interessato dalle opere, si può considerare poco rilevante la potenziale interferenza negativa con il contesto. Per quanto riguarda l’aspetto vegetazionale e di uso del suolo rinvenibile in situ, si rimanda per il dettaglio alla Relazione Naturalistica dello Studio di Impatto Ambientale (allegfato A.17.4) di cui di seguito se ne richiamano alcuni brani con particolare riferimento alle note che si riferiscono ai potenziali impatti e interferenze dell’opera in progetto. Nel sito di impianto sono presenti segni di antropizzazione di tipo urbano, di antropizzazione di tipo agricolo (a grande prevalenza), aree semi naturali e naturali. Le aree antropizzate di tipo urbano sSono rappresentate da alcune tipologie d’infrastrutture e insediamenti antropici. In particolare sono riconoscibili: edifici, dati da insediamenti abitativi sparsi a carattere prevalentemente rurale (poderi), masserie e piccoli nuclei residenziali, capannoni e relative aree di pertinenza, distribuiti nel contesto territoriale a vocazione agricola; da strade caratterizzate da infrastrutture della viabilità principale e secondaria; da infrastrutture elettriche aeree di media, alta e altissima tensione, sostenute da imponenti tralicci metallici. Per quanto riguarda le aree antropizzate di tipo agricolo, si distingue la presenza di : Seminativi Le colture maggiormente utilizzate sono quelle seminative cerealicole non irrigue, caratterizzate maggiormente dal grano duro (Triticum durum Desf.) e foraggere. Nei coltivi e soprattutto lungo i loro margini incolti, la flora spontanea è tipicamente costituita da specie infestanti generalmente a ciclo annuale che si sviluppano negli intervalli tra una coltura e le altre quali: Calendula arvensis, Stellaria media, Diplotaxis erucoides, Cerastium glomeratum, Anagallis arvensis, Rumex bucephalophorus, Amaranthus albus, Amaranthus retroflexus, Poa annua, Urtica membranacea, Galium aparine, Sonchus oleraceus, Sonchus tenerrimus, Lithospermum arvense, Lupsia galactites, Setaria verticillata, Digitaria sanguinalis, Sorghum halepense, Raphanus raphanistrum ecc. Si tratta di una vegetazione nitrofila con elevata percentuale di specie a ciclo breve che s’inquadra in parte nella Classe fitosociologica Stellarietea mediae (R. Tx, Lohm. & Preising 1950), una classe che comprende la vegetazione terofitica su suoli nitrificati.

Le complessive opere di progetto in gran parte interesseranno direttamente i seminativi. Dal punto di vista naturalistico e conservazionistica non si evincono interferenze negative. Uliveti Le coltivazioni legnose sono rappresentate esclusivamente dagli uliveti i cui pochi appezzamenti si presentano di scarsa estensione e sparsi. Nelle aree marginali degli appezzamenti si rinviene una vegetazione nitrofila con elevata percentuale di specie a ciclo breve che si inquadra in parte nella Classe fitosociologica Stellarietea mediae (R. Tx, Lohm. & Preising 1950), una classe che comprende la vegetazione terofitica su suoli nitrificati. L’interesse ecologico di quest’associazione vegetazionale non è particolarmente elevato, anche se nell’area in esame gli appezzamenti di uliveti isolati nell’ambito delle ampie e vaste superfici foraggere possono rivestire una funzione di “isole ecologiche”. Lo stesso vale per gli appezzamenti di vite (Vitis vinifera subsp. Vinifera). Nessuna opera di progetto interesserà direttamente ed indirettamente gli uliveti. Non si evincono, quindi, interferenze negative. Incolti Nella tipologia principale data dalle aree antropizzate a uso agricolo, sono state incluse inoltre, come aree attigue a quelle agricole, una percentuale di appezzamenti a terreno incolto attualmente caratterizzati da vegetazione erbacea infestante e spesso localizzati fra i coltivi in uso o in zone limitrofe alle infrastrutture antropiche presenti. Queste aree si rinvengono inoltre, lungo i margini dei campi, delle strade, di alcuni canali e dei torrenti e nelle aree di pertinenza delle masserie. Le componenti floristiche rinvenibili sono di origine spontanea, all’interno dei quali la vegetazione può essere definita come “sinantropica”, cioè comprendente specie che “seguono l’uomo” e trovano il loro habitat proprio nelle aree, in parte abbandonate da quest’ultimo, ma strettamente connesse alle sue attività. Generalmente si tratta di ambienti poveri di sostanza organica, nei quali s’insediano le specie vegetali adattate a vivere in condizioni di estrema “povertà”, quali quelle appartenenti a famiglie come le Compositae e le Graminaceae che raccolgono diverse specie pioniere e colonizzatrici di ambienti alterati. Alcune opere di progetto, e in particolare l’adeguamento delle strade e la messa in opera del cavidotto interrato, interesseranno fasce interessate da incolti posti ai margini stradali e dei campi. Dall’analisi della vegetazione non si evincono interferenze negative in quanto gli incolti sono interessati da vegetazione sinantropica (inquadrate nella Classe fitosociologica Stellarietea mediae) di scarso valore naturalistico e conservazionistico. Gli impatti su queste formazioni vegetazionali

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saranno comunque mitigati in seguito al ripristino di terreno vegetale e alla ricolonizzazione spontanea delle specie. Non si evincono, quindi, interferenze negative. In merito alle aree semi naturali e naturali, esse ono costituite da formazioni vegetazionali spontanee. Spesso sono posti lungo il corso dei torrenti e sui versanti dei valloni e nelle aree più acclivi dei rilievi collinari e alto-collinari, dove i mezzi agricoli opererebbero con difficoltà o dove si verificano fenomeni legati al dissesto idrogeologico. Si rinvengono: Pascoli Sono costituitida formazioni vegetazionali erbacee spontanee e sub spontanee per lo più utilizzate come aree trofiche degli allevamenti ovini e bovini discretamente diffusi nel sito. Nella maggior parte dei casi si rinvengono situazioni degradate e antropizzate, con vegetazione sinantropica terofitica riferibile alla Classe Stellarietea mediae (R. Tx, Lohm. & Preising 1950), e emicriptofitica nitrofilo-ruderale riferibile alla classe Artemisietea vulgaris (Lohm. Prsg. E Tx. 1950). Solo in rari casi e su superfici poco estese, dove i suoli sono meglio strutturati e soggetti a lieve erosione superficiale, si trova una vegetazione caratterizzata dal forasacco (Bromus erectus) che inquadrano la Classe Festuco-Brometea (Br.-Bl. et R. Tx. ex Klika et Hadac 1944) riferibile all’habitat di interesse comunitario prioritario 6220 – * Percorsi substeppici di graminacee e piante annue dei TheroBrachypodietea. Nessuna opera di progetto interesserà direttamente ed indirettamente i pascoli. Non si evincono, quindi, interferenze negative. Arbusteti La vegetazione degli arbusteti (macchia e gariga) è caratterizzata da specie arbustive più o meno ravvicinate tra loro, che rappresenta lo stato intermedio della serie climax di vegetazione dell’area. Si possono riconoscere su suoli “immaturi”, poco evoluti, i cespuglieti e mantelli fisionomicamente dominati da un fitto corteggio di specie mesotermofili come il prugnolo (Prunus spinosa), le rose (Rosa canina, R. arvensis, R. agrestis), biancospino (Crataegus monogyna), rovo (Rubus fruticosa e R. ulmifolius) riferibili al Pruno-Rubion ulmifolii (O. de Bolòs (1954) 1962). Laddove i suoli possiedono ancora una buona differenziazione degli orizzonti pedogenetici su versanti a dolce pendio, si sviluppano cespuglieti fisionomicamente dominati dalla ginestra (Spartium junceum) accompagnati da altre specie tipiche e costruttrici di consorzi arbustivi a largo spettro di diffusione quali Prunus spinosa, clematide (Clematis vitalba). Frequente è anche la presenza di specie forestali a carattere pioniero come Quercus cerris e Quercus pubescens. L’inquadramento

fitosociologico per queste formazioni arbustive è lo Spartio junceiCytisetum sessilifolii (Biondi, Allegrezza, Guitian 1988). Si rilevano, inoltre, delle specie di chiara derivazione delle foreste di latifoglie come la berretta da prete (Euonymus europaeus), il (Ligustrum vulgare), il corniolo (Cornus mas), la sanguinella (Cornus sanguinea), l’acero campestre (Acer campestre), acero minore (Acer monspessulanum), i sorbi (Sorbus domestica, S. torminalis). In alcuni casi si rilevano piccoli arbusti di Quercus cerris e Quercus pubescens. Questa tipologia è di scarsissima estensione e molto frammentata e distribuita lungo i margini delle strade, presso le aree di pertinenza degli edifici, lungo le aree golenali dei canali e torrenti e a contatto con i pascoli. Alcune opere di progetto, e in particolare l’adeguamento delle strade e la messa in opera del cavidotto interrato, interesseranno alcune fasce interessate da arbusteti posti ai margini stradali e dei campi. Gli impatti su queste formazioni vegetazionali saranno mitigati in seguito al ripristino di terreno vegetale e alla piantumazione di specie arbustive autoctone. Non si evincono, quindi, interferenze negative significative. Fasce arboree-arbustive Assenti sono i boschi di latifoglie rappresentati esclusivamente da stretti filari, fasce arboree-arbustive e alberi isolati di cerro (Quercus cerris) e roverella (Quercus pubescens) inquadrabili nella Classe Querco-Fagetea (Braun-Blanquet et Vlieger 37). Nello strato arbustivo si rinvengono numerose rosacee quali il rovo (Rubus ulmifolius), le rose (Rosa canina, R. arvensis, R. agrestis), il prugnolo (Prunus spinosa), il biancospino (Crataegus monogyna, C. oxyacantha) e di specie eliofile quali l’asparago (Asparagus acutifolius) ed erbacee provenienti dai prati circostanti. Inoltre, lungo i margini delle strade principali ubicate a nord del sito, si rinvengono fasce arboree-arbustive dominate dalla Robinia (Robinia pseudoacacia), originaria dell’America del nord e importata in Europa nel 1600, ritenuta infestante. Nessuna opera di progetto interesserà direttamente ed indirettamente le fasce arboree-arbustive. Non si evincono, quindi, interferenze negative. Boschi di conifere Presso l’area centrale del sito e presso alcune aree di pertinenza degli edifici si rinvengono piccoli popolamenti di conifere con pino d’Aleppo (Pinus halepensis), alcuni cipressi comuni (Cupressus sempervirens) ed eucalipto (Eucalyptus globulus), quest’ultimo importato dall’Oceania. Queste formazioni rivestono scarsa importanza naturalistica sia per le scarse estensioni che per le specie presenti. Ciò nonostante, nell’area in esame, caratterizzata da ampie e vaste superfici di seminativi, rivestono la funzione di “isole ecologiche”.

Nessuna opera di progetto interesserà direttamente ed indirettamente i boschi di conifere. Non si evincono, quindi, interferenze negative. Vegetazione azonale riparia e vasche di raccolta d’acqua I corsi d’acqua del sito d’intervento, caratterizzati da regime idrografico stagionale, sono stati fortemente degradati da fenomeni di ceduazione poco giustificabili sotto ogni punto di vista che spesso li hanno ridotti ad ambienti primigeni allo stato di boscaglia o di stretti filari. Numerosi ed estesi, infatti, sono i gap vegetazionali arborei e arbustivi. A stretto contatto con l’alveo bagnato, lungo le sponde dei torrenti e dei canali, si trova una vegetazione azonale riparia. Questa vegetazione è costituita da strette fasce vegetazionali arboree, arbustive e lianose tra cui abbondano i salici (Salix alba, S. triandra, S. viminalis ecc.) e l’olmo campestre (Ulmus minor). Quasi assenti il pioppo nero (Populs nigra), il pioppo bianco (Populus alba), ontani (Alnus glutinosa) e frassini (Fraxinus angustifoglia). Nel complesso la vegetazione riparia è riferibile al Populetalia albae. Lungo i numerosi e lunghi gap vegetazionali arborei si rilevano i fragmiteti (Phragmites australis). In queste situazioni la scarsa copertura vegetale permette la colonizzazione da parte di specie ruderali e infestanti dei coltivi, favorite dall’umidità del suolo, e specie nitrofile invasive come ad esempio i rovi (Rubus caesius, R. ulmifolius), l’ortica (Urtica dioica), l’equiseto (Equisetum telmateja), la cannuccia d’acqua (Phragmites australis) e la tifa (Typha angustifolia). In prossimità degli alvei si rilevano, inoltre, specie vascolari importanti come le semimmerse date dal Crescione (Nasturtium officinale) e la Menta acquatica (Mentha acquatica), le specie igrofile date dallo Jiunco contratto (Juncus conglomeratus) e dal Ranuncolo (Ranunculus ficaria). Nel complesso, gli habitat cui si fa riferimento sono da intendersi potenziali a causa della bassissima estensione e della forte predominanza di specie sinantropiche. Infatti, la percentuale delle specie sinantropiche nitrofile è elevata, più che negli altri habitat, perché è proprio nei canali che si convoglia, tramite lisciviazione dal suolo, parte dei concimi, fitofarmaci, anticrittogamici e insetticidi utilizzati durante le fasi di lavorazione agricola. Soprattutto i concimi contengono nitrati e fosfati che selezionano positivamente le specie nitrofile provenienti dai campi limitrofi. Si rinvengono alcune piccole vasche artificiali di raccolta d’acqua lungo le cui sponde vi sono fasce a fragmiteto. Nessuna opera di progetto interesserà direttamente ed indirettamente la vegetazione azonale riparia e le vasche di raccolta d’acqua. Non si evincono, quindi, interferenze negative.

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3.5 - Conformità del progetto al PIEAR Il progetto è stato concepito per assicurare la compatibilità con “i principi generali per la progettazione, la costruzione, l’esercizio e la dismissione degli impianti eolici” riportati nel capitolo 1 dell’allegato A del piano di indirizzo energetico ambientale regionale (PIEAR) approvato con Legge Regionale n.1 del 19 gennaio 2010 e ss.mm. e ii. Il Disciplinare del PIEAR e gli allegati tecnici relativi, sono stati approvati con Deliberazione Della Giunta Regionale 29 dicembre 2010, n. 2260 “Legge Regionale 19 gennaio 2010 n. 1, art. 3 - Approvazione Disciplinare e relativi allegati tecnici”, e rappresenta anche l’adeguamento regionale ai disposti delle delle “Linee Guida Nazionali per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili” di cui al D.lvo 10 settembre 2010. Nello specifico, con riferimento puntuale agli indirizzi del piano (e in questo documento esclusivamente per ciò che riguarda i criteri di ubicazione e progettazione, tralasciando la fase di costruzione e di esercizio e gli aspetti documentali e i requisiti societari), è stata analizzata la rispondenza dell’impianto e del progetto ai seguenti parametri : ubicazione dell’impianto eolico; requisiti di progettazione; criteri per la progettazione, costruzione, esercizio e dismissione;

la Realizzazione di una cabina di raccolta (dim. 10.0x4.00x3.10 m.); la ealizzazione di tratti di cavidotto interrato che segue la viabilità esistente e di progetto per una lunghezza pari a 8115 ml; la realizzazione di cavidotto esterno interrato di collegamento tra la cabina di raccolta e la stazione elettrica per una lunghezza di 2650 ml; la realizzazione della stazione di utenza per la trasformazione AT/MT. Conformità agli indirizzi del PIEAR Il PIEAR distingue gli impianti eolici in impianti di “grande generazione”, quelli per i quali la potenza nominale è superiore a 1MW, e quelli di “piccola generazione”, ossia quelli che soddisfano contemporaneamente le seguenti condizioni: a) potenza nominale massima complessiva inferiore a 1MW; b) numero massimo di 5 aerogeneratori. Nel caso in esame, si prevede l’installazione di 10 aerogeneratori di potenza singola pari a:3 MW e pertanto si tratta di un impianto di “grande generazione”; a seguire si riporta la corrispondenza del progetto ai requisiti di piano riportati agli articoli 1.2.1.1-1.2.1.11 dell’appendice A del piano (par.1.2 “Procedure per la costruzione e l’esercizio degli impianti eolici”). Aree e siti definiti dal PIEAR

In sintesi, la soluzione di progetto prevede l’installazione di 10 aerogeneratori e la realizzazione delle relative opere accessorie civili ed impiantistiche. Nel dettaglio, si prevede: l’installazione di 10 aerogeneratori con le seguenti caratteristiche: P nominale = 3MW H al mozzo = tra 89 m e 99 m D rotore = tra 101m e 122 m H totale (hub+raggio) = max 150 m La turbina di riferimento è la Vestas V112 da 3,075 MW con H al mozzo = 94m e D =112 m; la realizzazione di 10 piazzole temporanee per il montaggio degli aerogeneratori e opere di fondazioni; restringimento con ri-naturalizzazione delle aree temporanee di cantiere comprese le piazzole di montaggio, al termine dei lavori; la realizzazione di nuove piste di accesso per una lunghezza complessiva di 4000 ml di cui 1250 ml su strada esistente ma al momento ridotta a sentiero; l’adeguamento di 3200 m di viabilità esistente;

Il PIEAR individua: le aree non idonee, all’interno delle quali non è consentita la realizzazione degli impianti eolici di macrogenerazione, ovvero quelle aree che per effetto dell’eccezionale valore ambientale, paesaggistico, archeologico e storico, o per effetto della pericolosità idrogeologica, il piano intende preservare (aree e siti non idonei); le aree idonee di valore naturalistico, paesaggistico e ambientale, ovvero le aree dei Piani Paesistici soggette a trasformabilità condizionata o ordinaria, i Boschi governati a ceduo e le aree agricole investite da colture di pregio (quali ad esempio le DOC, DOP, IGT, IGP, ecc.); in tali aree si consente esclusivamente la realizzazione di impianti eolici, con numero massimo di quindici aerogeneratori, realizzati da soggetti dotati di certificazione di qualità (ISO) ed ambientale (ISO e/o EMAS). le aree idonee, quelle che non ricadono nelle altre categorie. Con riferimento a quanto indicato all’art. 1.2.1.1 dell’Appendice A, circa “aree e siti non idonei”, si fa presente che: L’impianto non interessa Riserve Naturali regionali e statali; L’impianto ricade all’esterno di aree SIC e pSIC L’impianto ricade all’esterno di aree ZPS e quelle pZPS

L’impianto ricade all’esterno di Oasi WWF; L’impianto ricade al di fuori del buffer dei 1000m dai siti archeologici e storico monumentali; L’impianto è esterno al perimetro delle aree comprese nei Piani Paesistici di Area vasta soggette a vincolo di conservazione A1 e A2; L’impianto insiste su seminativi e non interferisce con superfici boscate governate a fustaia ; L’impianto insiste su seminativi e non interferisce aree boscate ed a pascolo percorse da incendio da meno di 10 anni dalla data di presentazione dell’istanza di autorizzazione del presente progetto ; L’impianto ricade a più di 1000m dalla fascia costiera; L’impianto ricade all’esterno del buffer dei 150m dalle Aree fluviali, umide, lacuali e le dighe artificiali, se si escludono brevi tratti di attraversamento di cavidotti; L’impianto di progetto inoltre ricade all’esterno degli ambiti del PAI, per cui l’intervento è compatibile con esso. L’impianto è esterno agli ambiti urbani come individuati dal Regolamento Urbanistico e PRG di Melfi; L’impianto non interessa le aree dei Parchi Regionali esistenti; L’impianto non interessa le aree comprese nei Piani Paesistici di Area Vasta; L’impianto non interessa quote superiori i 1.200 m di altitudine (la posizione delle torri si attesta ad una quota altimetrica media tra 270 e 410 m slm; L’impianto non ricade in aree di crinale individuate dai Piani Paesistici di Area Vasta come elementi lineari di valore elevato; Per quanto detto, la proposta ricade nella categoria delle “aree idonee”, così come individuate dal PIEAR. Requisiti di progettazione Il PIEAR ai punti 1.2.1.3, 1.2.1.4 e 1.2.1.5 individua i requisiti minimi, tecnici, di sicurezza ed anemologici, che i progetti di impianti eolici di grande generazione debbano soddisfare. A seguire si verifica il rispetto dei suddetti requisiti. Con riferimento ai requisiti tecnici minimi individuati al paragrafo 1.2.1.3 si e quindi in merito ai dati di producibilità, si fa presente che: La velocità media annua del vento misurata a 25 m è pari a 6,16 m/s e pertanto, e sicuramente è superiore a 4 m/s; la velocità media misurata a 60 m è pari a 6,51 m/s. Il valor medio delle ore equivalenti di funzionamento di tutti gli aerogeneratori della Wind Farm si attesta su valori superiori alle 2600 ore/anno soddisfacendo il requisito minimo di 2000 ore/anno per ogni singolo aerogeneratore. Le ore equivalenti di funzionamento medie annue del parco ammontano a 2643 ore/anno;

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Come richiesto dal PIEAR è stato redatto un progetto di sviluppo locale finalizzato al raggiungimento degli obiettivi del PIEAR. Con riferimento ai requisiti tecnici di sicurezza individuati al paragrafo 1.2.1.4 si fa presente che: E’ garantita la distanza minima degli aerogeneratori da ogni abitazione (maggiore dei 300 m e comunque superiore a 2,5H) e sono rispettati i limiti di pressione acustica, i limiti di Flickering-Shadow nonché la distanza minima di sicurezza di sicurezza in caso di rottura degli organi rotanti. La distanza minima dalle strade statali e dalle autostrade è superiore ai 300m, ed è tale da garantire il rispetto della distanza di sicurezza in caso di rottura accidentale degli organi rotanti. La distanza dalle strade provinciali è superiore ai 200m e comunque tale da garantire il rispetto della distanza di sicurezza in caso di rottura accidentale degli organi rotanti. E’ stata garantita la distanza minima di 200m dalle strade di accesso alle abitazioni. Nel calcolo delle opere in c.a. si tiene conto della classificazione sismica del comune di Melfi osservando quanto previsto dall’Ordinanza n. 3274/03 e sue successive modifiche, nonché al DM 14 gennaio 2008 ed alla Circolare Esplicativa del Ministero delle Infrastrutture n.617 del 02/02/2009. Si precisa inoltre che il progetto in esame non interferisce con le attività con i centri di osservazione astronomiche e di rilevazione dei dati spaziali, che non risultano presenti sul territorio in esame. Criteri e accorgimenti in fase di progettazione Ai punti 1.2.1.6, 1.2.1.7, 1.2.1.7, 1.2.1.8 e 1.2.1.9 dell’appendice A, il PIEAR definisce i criteri e gli accorgimenti che devono essere seguiti nelle diverse fasi, dalla progettazione alla fase di cantiere, esercizio, gestione e dismissione finale. A seguire si dettaglia l’adempimento del progetto alle prescrizioni del PIEAR circa il rispetto dei citati criteri. Progettazione Al progetto è allegata la relazione dello Studio di Impatto Ambientale nel quale sono stati analizzati tutti gli elementi che possono indurre impatti significativi sulle componenti ambientali, antropiche e paesaggistiche interessate dalla realizzazione dell’intervento, analizzando gli impatti

nelle diverse fasi di costruzione, esercizio e dismissione, descrivendo le relative misure di mitigazione o compensazione. In fase di progettazione, al fine di evitare l’insorgere del così detto “effetto gruppo” o “effetto selva”, dannoso sia per il paesaggio che per l’avifauna, sono state rispettate le distanze minime tra gli aerogeneratori, ovvero: la distanza minima fra aerogeneratori è pari a 395 m (tra la T09 e la T10) e quindi superiore a 3 volte il diametro del rotore (nel caso in esame 3D = 3 x 112 = 336 m; la verifica è confermata anche con il rotore massimo previsto come range (3D = 3 x 122 = 366 m); l’impianto si sviluppa su più file e segue il principio della configurazione sfalsata tra turbine, al fine di evitare perdite di scia rispetto alla direzione dei venti dominanti; la minima distanza imposta tra le file perpendicolari alla direzione prevalente (nel caso in esame Ovest Sud Ovest è pari a 521 m (vedi allegato 3_04) ed è pertanto ampiamente rispettato il criterio di distanze minima pari a 3D, previsto per impianti con tale configurazione. Nel rispetto dei criteri progettuali adottati si precisa che: In progetto si prevede l’utilizzo di aerogeneratori su torre tubolare, con trasformatore da BT a MT interno alla base della torre. La colorazione della torre avverrà con vernici antiriflesso di colore chiaro (bianco – avana), in modo da favorire un inserimento morbido nel paesaggio. Le uniche colorazioni previste riguardano le segnalazioni necessarie per garantire la sicurezza del volo a bassa quota. Il punto per l’ubicazione del punto di allaccio alla rete dipende dalla Soluzione Tecnica Minima Generale (STMG) rilasciata dal gestore della Rete. lo schema di allacciamento prevede che la centrale venga collegata in antenna con la sezione a 150 kV della futura stazione elettrica RTN a 380 kV, che sarà collegata in entra-esce sulla linea a 380 kV “MateraSanta Sofia”. Una volta definito il punto di allaccio, l’impegno è stato quello di definire il tracciato del cavidotto esterno che meglio ottimizzi la sua lunghezza e che, al contempo, preveda per quanto possibile la posa del cavidotto interrato su strada esistente. L’impianto di progetto ricade in prossimità di compluvi, ma non di torrenti montani e morfostrutture carsiche quali doline e inghiottitoi e comunque gli aerogeneratori saranno disposti rispettando la naturale conformazione morfologica del sito.

necessario, in corrispondenza dei punti a pendenza maggiore, al fine di ridurre il fronte di scavo e riporto, si prevederanno interventi di contenimento con tecniche di ingegneria naturalistica. Il sito d’impianto è raggiungibile tramite viabilità esistente verificata in sede di sopralluogo. Per raggiungere la posizione delle torri verranno realizzate delle piste che si sviluppano a partire dalla viabilità esterna. Il tracciato delle strade di cantiere è stato definito in modo tale da assecondare la naturale conformazione del sito, contenendo le alterazioni morfologiche. Ove possibile, nella definizione della viabilità interna è stato ripercorso il tracciato di piste esistenti, tracce seguite dai mezzi agricoli nella conduzione delle pratiche agricole, in modo da concorrere al duplice obiettivo di limitare l’introduzione di nuovi segni e migliorare la fruibilità dei fondi. Si ribadisce che la consistenza della viabilità esistente è tale da permettere il trasporto delle componenti degli aerogeneratori di progetto prevedendo solo alcuni interventi puntuali di allargamento delle aree di manovra in corrispondenza di tornanti e curve. L’accesso al campo, come più volte ribadito, è garantito dalla viabilità esistente. Le uniche piste di nuova realizzazione saranno quelle interne al campo nei punti ove è necessario raggiungere la posizione delle turbine. Le piste di cantiere di nuova realizzazione, che si svilupperanno a partire da quelle esistenti, saranno in massicciata tipo “Mac Adam” similmente alle carrarecce esistenti e verranno ricoperte da stabilizzato ecologico del tipo “Diogene”, realizzato con granulometrie fini composte da frantumato di cava dello stesso colore utilizzato per le strade sterrate esistenti in modo da uniformarsi il più possibile all’esistente per un corretto inserimento nella realtà paesaggistica del luogo. A lavori ultimati, le piste e le piazzole verranno ristrette all’ingombro strettamente necessario alla gestione dell’impianto. Le stesse piste, come già detto, miglioreranno la fruibilità dei fondi per lo svolgimento delle pratiche agricole. A lavori ultimati le piste non prevedranno finitura con materiali impermeabili. In progetto è previsto la realizzazione di un opportuno sistema di regimentazione delle acque meteoriche per evitare il dilavamento delle aree di cantiere e l’insorgere di fenomeni di erosione superficiale.

L’impianto è stato concepito in modo tale da assecondare la naturale conformazione morfologica dei siti in modo da contenere per quanto possibile i movimenti di terra (sbancamenti e riporti di terreno). Ove

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PRINCIPI INSEDIATIVI, CRITERI DI SCELTA DEL SITO DI IMPIANTO E DI PROGETTAZONE

INSERIMENTO DEL PROGETTO NELLA MAPPA CATASTALE DEL COMUNE DI MELFI DEI PRIMI DEL ‘900 disegnata da Menduni Nella mappa sono evidenti i tracciati dei corsi d’acqua, il tratturo Melfi - Calstellaneta (a sud) e il tratturello Melfi Cerignola (as est) che definiscono l’area progetto

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elaborato

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PRINCIPI INSEDIATIVI, CRITERI DI SCELTA DEL SITO DI IMPIANTO E DI PROGETTAZONE

INSERIMENTO DEL PROGETTO NELLA MAPPA CATASTALE DEL COMUNE DI MELFI DEI PRIMI DEL ‘900 disegnata da Menduni dettaglio AREA DI PROGETTO Sono evidenziate le turbine e il diagramma compositvo del progetto che si mette in relazione con i principali segni strutturanti il territorio: i corsi d’acqua, le strade storiche e i tratturi. In rosso è evidenziato il catastale corrispondente al TRATTURELLO MELFI-CERIGNOLA

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PRINCIPI INSEDIATIVI, CRITERI DI SCELTA DEL SITO DI IMPIANTO E DI PROGETTAZONE

INSERIMENTO DEL PROGETTO NELLA MAPPA CATASTALE ATTUALE dettaglio AREA DI PROGETTO Sono evidenziate le turbine e il diagramma compositvo del progetto. In rosso è evidenziato il catastale corrispondente al TRATTURELLO MELFI-CERIGNOLA

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FOTOINSERIMENTO SU ORTOFOTO

SCHEMA DI IMPIANTO Nel diagramma sono evidenziate le turbine, le strade di progetto e la relazione geometrica spaziale tra le turbine

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FOTOGRAFIE STATO DI FATTO

stato di fatto VISTA N 1

stato di fatto VISTA N 2

stato di fatto VISTA N 3

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FOTOGRAFIE STATO DI FATTO

stato di fatto VISTA N 4

stato di fatto VISTA N 5

stato di fatto VISTA N 6

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FOTOINSERIMENTO VISTA N 1

A lato il cono visivo relativo alla ripresa fotografica, e lo schema planimetrico di una piazzola a ripristino avvenuto. Sotto il fotoinserimento con indicate le turbine visibili.

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FOTOINSERIMENTO VISTA N 2

A lato il cono visivo relativo alla ripresa fotografica, e lo schema planimetrico di una piazzola a ripristino avvenuto. Sotto il fotoinserimento con indicate le turbine visibili.

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STATO DI PROGETTO

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FOTOINSERIMENTO VISTA N 3

A lato il cono visivo relativo alla ripresa fotografica, e lo schema planimetrico di una piazzola a ripristino avvenuto. Sotto il fotoinserimento con indicate le turbine visibili.

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FOTOINSERIMENTO VISTA N 4

A lato il cono visivo relativo alla ripresa fotografica, e lo schema planimetrico di una piazzola a ripristino avvenuto. Sotto il fotoinserimento con indicate le turbine visibili.

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FOTOINSERIMENTO VISTA N 5

A lato il cono visivo relativo alla ripresa fotografica, e lo schema planimetrico di una piazzola a ripristino avvenuto. Sotto il fotoinserimento con indicate le turbine visibili.

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PRINCIPI INSEDIATIVI, CRITERI DI SCELTA DEL SITO DI IMPIANTO E DI PROGETTAZONE

FOTOINSERIMENTO VISTA N 6

A lato il cono visivo relativo alla ripresa fotografica, e lo schema planimetrico di una piazzola a ripristino avvenuto. Sotto il fotoinserimento con indicate le turbine visibili.

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STATO DI PROGETTO

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PROPOSTA DI VALORIZZAZIONE DEL TRATTURELLO MELFI - CERIGNOLA NELL’AMBITO DI PROGETTO Negli schemi a lato è marcato in rosso il catastale del tratturello Melfi - Cerignola che si intende valorizzare. Nel fotoinserimento è evidenziato il tratturello che passa tangente alle turbine 9, 7 e 5 e che può essere sottolineato dalla piantumazione di siepe arbustive composte da specie autoctone.

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CAPITOLO 4 RELAZIONI PERCETTIVE TRA LA CENTRALE EOLICA E IL PAESAGGIO In definitiva il progetto individua il quadro delle relazioni spaziali e visive tra le strutture, il contesto ambientale, insediativo, infrastrutturale, le proposte di valorizzazione dei beni paesaggistici e delle aree, le forme di connessione, fruizione, uso che contribuiscano all’inserimento sul territorio. Il tutto al fine di calibrare il peso complessivo dell’intervento rispetto ai caratteri attuali del paesaggio e alla configurazione futura, nonché i rapporti visivi e formali determinati, con una particolare attenzione alla percezione dell’intervento dal territorio, dai centri abitati e dai percorsi, all’unità del progetto, alle relazioni con il contesto. La visibilità degli aerogeneratori rappresenta un fattore di impatto che non necessariamente va considerato come impatto di tipo negativo; si ritiene che la disposizione degli aerogeneratori, così come proposta, ben si adatti all’orografia del sito e possa determinare un valore aggiunto ad un territorio che, come testimoniano i segni fisici e i tanti toponimi, risulta fortemente marcato e caratterizzato dalla presenza del vento. L’analisi dettagliata e la verifica dell’impatto visivo dell’impianto costituisce un elemento fondamentale della progettazione e l’analisi delle condizioni percettive è stato uno strumento determinante non per la verifica a valle delle scelte di layout, ma per la definizione a monte del posizionamento delle turbine e quindi della forma dell’impianto. A tale scopo, alla costante attività di sopralluogo e di verifica in situ si è aggiunto l’ausilio della tecnologia: è stato appositamente elaborato un modello digitale del terreno e, dopo aver inserito le turbine con la dimensione reale nel modello tridimensionale, attraverso un file con estensione kmz generato dal programma Wind-Pro, si è potuto verificare continuamente il layout soprattutto in merito alle modifiche percettive nel paesaggio e al rapporto visivo che le turbine avrebbero determinato rispetto all’intorno; Il file kmz, caricato sul programma Google Earth Pro, consente infatti di viaggiare virtualmente dentro e intorno l'impianto potendo così verificare l'interferenza potenziale dell’intervento con il paesaggio, osservando da qualsiasi punto di vista del territorio. A nostro avviso la disposizione del layout rende possibile un inserimento morbido e poco invasivo nel contesto paesaggistico; le turbine ovviamente creano nuovi rapporti percettivi ma non stravolgono, dalla media e grande distanza, l’attuale percezione del monte Vulture e del suo caratteristico skyline dai principali punti panoramici ubicati lungo le strade che che attraversano la valle del fiume Ofanto e dai centri abitati; in un rapporto di prossimità l’impianto è sempre percepibile per parti e mai nell’insieme e in ogni caso le turbine fissano dei traguardi visivi tra i

quali gli elementi caratteristici dell’intorno assumono un rilievo ancora più importante. Verificato quindi il layout già nella fase preliminare, e successivamente definita con precisione la posizione degli aerogeneratori, è possibile simulare, comprendere e valutare l’effettivo impatto che la nuova struttura impiantistica genera sul territorio. Il tema della valutazione della percezione visiva dell'impianto, come richiesto dalle linee guida nazionali, normalmente può essere affrontato con l'elaborazione di una carta dell'intervisibilità basata su un modello tridimensionale del terreno creato a partire dalle curve di livello; su di essa sono rappresentati i punti del territorio da cui è possibile vedere almeno un elemento dell'impianto, e per differenza cromatica i punti dai quali l'impianto non risulta visibile. Tale elaborazione digitale affronta il tema asetticamente e esclusivamente partendo da un astratto principio quantitativo che tiene conto semplicemente dell'orografia del territorio, tralasciando gli ostacoli determinati dalla copertura boschiva e dai manufatti. E' un metodo che non da assolutamente conto delle relazioni visive reali e soprattutto non entra nel merito della qualificazione delle viste e dei nuovi rapporti percettivi che si instaurano tra il paesaggio attuale e l'intervento impiantistico che in esso si inserisce. Per questo motivo, per determinare la validità dell'inserimento paesaggistico e per verificare l'effettiva percezione dell'impianto, lo studio di carattere generale è stato approfondito e verificato attraverso una puntuale ricognizione in situ che interessa particolari punti di osservazione (centri abitati e punti panoramici) e i principali percorsi stradali. La reale percezione visiva dell'impianto eolico dipende quindi non solo dall'orografia del territorio, ma anche dall'andamento delle strade, dalla copertura boschiva e dagli ostacoli che di volta in volta si frappongono tra l'osservatore e l'oggetto della verifica percettiva. Ad ogni modo dalla carta dell’intervisibilità risulta chiaro che il bacino visuale in cui il progetto ricade è ristretto alla valle dell’Ofanto e, come più volte richiamato nello studio paesaggistico, l’orografia e in particolare i crinali del Colle Montanaro (655 m slm) e del Monte Perrone (661 m slm), che distano circa 1,5 km da Melfi (515 m slm), non solo coprono di fatto la vista dell’impianto dai punti più elevati e dal castello federiciano della cittadina, ma anche da tutti i centri abitati e dalle principali strade che fanno parte della cintura delle pendici settentrionali del Vulture. Come detto, l’impianto può risultare visibile esclusivamente dalle strade che attraversano la valle dell’Ofanto e da singolari punti immediatamente esterni alle periferie di Lavello, Venosa e, a grande distanza, di Candela. D’altra parte per tutti coloro che attraversano la valle percorrendo la SS 655 e in generale per chi dalle Puglie o dai limiti settentrionali della Basilicata si dirigono verso l’interno, il principale fuoco visivo è rappresentato dallo skyline del Vulture.

Per questo motivo il posizionamento dell’impianto si è concentrate proprio sulla massima attenzione affinché nessun elemento della centrale potesse interferire e disturbare la vista del caratteristico profilo del vulcano, forte elemento di identità di questi luoghi. La verifica ex post, conferma questa attenzione posta sulla scelta localizzativa e su layout della centrale eolica. Rispetto all’intero comprensorio l’impianto impegna visivamente une porzione di territorio limitato e in ogni caso gli aerogeneratori si confrontano e si aggiungono ad un insieme di elementi “nuovi” per questo territorio: la zona industriale di San Nicola, le torri piezometriche, gli elettrodotti, le grandi strade che attraversano il territorio di Melfi spesso in sopraelevata; all’interno del bacino visuale, come si vedrà in dettaglio negli allegati grafici al capitolo, le condizioni percettive sono fortemente condizionate dall’orografia e a volte dalla copertura boschiva che riducono notevolmente i punti da cui l’impianto risulta visibile. Per quanto riguarda i punti panoramici, non vi sono punti notevoli riconosciuti come panoramici da cui l’impianto risulta visibile. la verifica è stata elaborata rispetto ai coni visuali che si aprono da Lavello e Venosa, da cui l’impianto risulta visibile esclusivamente dalle strade in uscita dai centri abitati. Anche dalla masseria Leonessa l’impianto risulta quasi integralmente coperto dalla vegetazione e dal Monte Cervaro Per quanto riguarda le strade, la verifica è stata fatta considerando tutta la viabilità principale e secondaria che interessa l’intorno, e come risulta chiaro dalle tavole allegate, per particolari condizioni orografiche, la reale visibilità dell’impianto è ben più ridotta rispetto a quanto appare nella carta dell’intervisibilità. La verifica ha interessato la SS 655, la SS 93, la SP 111, la SP 9 e la SS 658, nonchè alcune strade della Provincia di Foggia da cui l’impianto potenzialmente potrebbe risultare visibile sia pure a considerevole distanza (oltre 15 km). Negli allegati grafici sono riportati i punti dai quali è stata effettuata la verifica, le fotografie verso l’impianto e le viste che simulano la variazione percettiva che dagli stessi punti la costruzione dell’impianto implicherebbe. Per evitare la discrezionalità che il fotomontaggio classico rende possibile, le viste simulate derivano sempre dall’elaborazione consentita dal programma di navigazione satellitare Google Earth Pro in cui sono state inserite le turbine in 3D con il caricamento del file kmz del software Wind Pro. La verifica dell’impianto effettuata dalla comparazione tra le viste attuali e quelle simulate, conferma quanto detto a proposito dell’inserimento paesaggistico; la scelta del sito e il dispositivo architettonico che sottende al posizionamento delle turbine, rendono l’inserimento poco invasivo e soprattutto, nella totalità dei punti di vista verificati, le torri eoliche non interferiscono mai negativamente con la percezione del Vulcano.

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CAPITOLO 5 REGESTO DEI VINCOLI AMBIENTALI E PAESAGGISTICI E DI TUTELA DEL TERRITORIO – INTERFERENZE DELLA CENTRALE EOLICA MONTE CARBONE Di seguito vengono elencati i principali vincoli relativi all’area vasta interessata dal progetto della centrale eolica di Monte Carbone. In calce ad ogni descrizione delle aree protette dal punto di vista ambientale e paesaggistico e delle relative direttive di tutela, si riportano le eventuali interferenze dirette e indirette del progetto. 5.1 - SISTEMA DELLE AREE NATURALI PROTETTE I boschi costituiscono una risorsa naturale di fondamentale importanza per il territorio della Regione Basilicata. La superficie forestale regionale, nel 2003, ammontava a 191.918 ettari, pari al 19,2% della superficie territoriale regionale, distribuita nell’area montana per il 64,2%, in territorio collinare per il 29,3% e in area pianeggiante per il 6,5%; nello stesso anno in Italia la percentuale di superficie forestale sulla superficie territoriale era pari al 22,8%. È da notare che la percentuale di superficie forestale sulla territoriale, in Basilicata, ha registrato un aumento abbastanza costante negli ultimi 50 anni, con un incremento totale tra il 1948-49 ed il 2002 del 19%. Ai fini della conservazione della biodiversità è da tenere in considerazione il livello di minaccia di specie vegetali che mostra per la regione Basilicata la consistenza numerica della flora totale ed il numero di specie endemiche ed esclusive. In regione Basilicata, al 2005, oltre il 6% della flora è rappresentata da specie endemiche e solo lo 0,24% da specie esclusive, nello stesso anno le specie endemiche in Italia erano pari al 15,3%. Di contro nello stesso anno si registra un’alta incidenza della flora esotica (6%) che evidenzia un livello significativo di antropizzazione del territorio regionale e quindi un rischio di perdita di biodiversità comunque al di sotto della media nazionale pari al 10,4%. Nella Regione Basilicata sono istituite 17 aree protette, di cui: due Parchi Nazionali: il Parco Nazionale del Pollino e il Parco Nazionale dell'Appennino Lucano – Val d'Agri – Lagonegrese; due Parchi Regionali: il Parco Regionale delle Chiese Rupestri del Materano e il Parco Regionale Gallipoli Cognato - Piccole Dolomiti Lucane;

otto Riserve Statali: Rubbio, Monte Croccia, Agromonte Spacciaboschi, Metaponto, Grotticelle, I Pisconi, Marinella Stornara, Coste Castello; sei Riserve Naturali Regionali: Abetina di Laurenzana, Lago Piccolo di Monticchio, San Giuliano, Lago Laudemio (Remmo), Lago Pantano di Pignola, Bosco Pantano di Policoro. In totale la superficie territoriale delle aree terrestri protette è pari a 120.062 ettari (12,53% della superficie territoriale contro il 9,66% della media nazionale), di cui 83.245 ettari (pari al 69,3% delle aree terrestri protette) di Parchi Nazionali, 965 ettari di Riserve Naturali Statali (0,8% delle aree terrestri protette), 33.655 ettari di Parchi Naturali Regionali (28% delle aree terrestri protette) e 2.197 ettari di Riserve Naturali Regionali (1,8% delle aree terrestri protette). Per quanto riguarda l’area di interesse, è in itinere la procedura per l’istituzione di un Parco regionale nell’area del Vulture: la Giunta Regionale della Basilicata ha approvato il 25 luglio 2007 il disegno di legge istitutivo del Parco naturale regionale del Vulture, che allo stato attuale includerebbe Monte Vulture, Santa Croce, Bosco Grande, Lago Grande e Piccolo di Monticchio. Di seguito si descrivono i principali caratteri delle aree naturali protette della zona del Vulture, e le potenziali interferenze della centrale eolica. La Riserva naturale orientata statale “Grotticelle” si estende per 209 ettari tra il lato est del Monte Vulture e il fiume Ofanto nelle frazioni di Monticchio Bagni, ad una quota tra i 400 e i 650 metri sul livello del mare. Questa area protetta con delle condizioni climatiche caldo-umide è stata istituita per conservare integro l'habitat ideale per la 'Bramea' (Acanthobrahmaea europaea HARTIG), una rara specie di falene le cui le larve dipendono dal frassino (Fraxinus oxicarpa) e dal ligustro (Ligustrum) per sopravvivere. La Acanthobrahmaea europaea è stata scoperta dall'entomologo Federico Hartig nel 1963 durante una spedizione scientifica sul Vulture. La Acanthobrahmaea europaea è l'unico rappresentante di questa famiglia in Europa mentre gli altri membri della famiglia dei Brahmaeidae sono falene di origine Asiatica. Potenziali interferenze tra la centrale eolica e l’area protetta La centrale eolica di Monte Carbone non ha interferenze dirette nè indirette con le valenze ambientali, naturalistiche e paesaggistiche

dell’area protetta. In particolare, data l’orografia, la posizione dell’area protetta che risulta posizionata ad una quota medio bassa, e la successione delle principali vette del massiccio vulcanico, anche dal punto di vista percettivo non vi è alcuna relazione tra l’ambito protetto e la centrale eolica in progetto. Riserva Naturale regionale 'Lago Piccolo di Monticchio' I 187 ettari di Riserva Naturale Lago Piccolo di Monticchio sono situati nella zona di caldera del Monte Vulture e si estendono nei territori dei Comuni di Atella e Rionero. Come il Lago Grande anche il Lago Piccolo occupa una bocca craterica dell'antico vulcano. Il Lago Piccolo viene alimentato da alcune sorgenti subacquee che sono ricche di sali minerali e ha sponde molto ripide che finiscono sul fondo del bacino ad una profondità di 38 metri. La Riserva Naturale del Lago Piccolo di Monticchio e Patrimonio Regionale Forestale è stata individuata con Delibera di G.R. di Basilicata n.° 4123 del 30/08/1984. L'area fa parte di un vasto territorio già dichiarato di notevole interesse pubblico con D. M. del 4 maggio 1966, ai sensi della Legge n. 1497 del 29/06/1939. Attualmente l'area protetta è stata trasferita alla regione Basilicata con D.M. 27/11/1982. Tutta l'Oasi ricade nel territorio della Provincia di Potenza, nei Comuni di Atella e Rionero in Vulture e comprende, oltre al Lago Piccolo , una parte di foresta demaniale. Quest'area è situata sul versante interno delle pendici del massiccio Vulcanico del Monte Vulture, è coperta da faggeti, castagneti, querceti, e lecceti, raggiunge la cima del monte S.Michele e parte del versante del bosco faggeta fino alle sponde del Lago Grande. Con Legge Regionale n. 28 del 28 giugno 1994, (recante norme per l'individuazione, istituzione, tutela e gestione delle aree protette in Basilicata"), l'attività di gestione delle aree naturali protette è stata affidata alle Province. Con Delibera di Consiglio Provinciale del 25 luglio 1996, n° 128 è stato approvato il vigente Regolamento di gestione e fruizione della Riserva Naturale del Lago Piccolo di Monticchio. Potenziali interferenze tra la centrale eolica e l’area protetta La centrale eolica di Monte Carbone non ha interferenze dirette né indirette con le valenze ambientali, naturalistiche e paesaggistiche dell’area protetta, e neanche di tipo visivo. Parco Naturale Regionale del Vulture (istituito ma non approvato) Dopo un complesso iter istituzionale e di concertazione con i Comuni dell'area del Vulture, la Giunta Regionale con deliberazione n. 1015 del 24 luglio 2007, ha approvato il disegno di legge istitutivo del Parco Naturale Regionale del Vulture. Comprende nove Comuni: Atella,

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Barile, Ginestra, Melfi, Rapolla, Rionero in Vulture, Ripacandida, Ruvo del Monte e San Fele. La delimitazione a 9 Comuni sembra essere quella che meglio ha saputo coniugare le esigenze naturalistiche con quelle economico-sociali dell'area, dopo che, precedenti perimetrazioni a 15 o a 5 Comuni, erano state accantonate per ragioni diverse.

il rischio di collisione per l’avifauna in volo. La stessa tecnologia sofisticata degli aerogeneratori e il basso numero di giri, evita anche che l’emissione acustica possa infastidire altre presenze faunistiche.

Il disegno di legge approvato dalla Giunta stabilisce anche le misure di salvaguardia, gli indirizzi e strumenti per il funzionamento e la gestione dell'Ente Parco (organi, piano per il Parco, piano pluriennale economico e sociale per la promozione delle attività compatibili, principi e procedure per l'adozione dello Statuto e del regolamento). Il Parco Naturale del Vulture avrà specifiche finalità: tutelare e conservare le caratteristiche naturali, ambientali, paesaggistiche, storicoarcheologiche e paleontologiche del territorio, con particolare riferimento all'emergenza ambientale, geomorfologia e idrogeologica costituita dai laghi vulcanici di Monticchio e dal Monte Vulture; proteggere le specie animali e vegetali autoctone (la farfalla Bramea, ad esempio, e la faggeta di Monticchio unica in Europa al di sotto dei 600 metri); organizzare il territorio per la fruizione di un'utenza ampliata (disabili, anziani, bambini) per finalità culturali, scientifiche, didattiche, turistiche e ricreative; promuovere la ricerca scientifica; salvaguardare e valorizzare i centri storici e i nuclei rurali; contrastare fenomeni di dissesto idrogeologico; promuovere la raccolta differenziata dei rifiuti e razionalizzare l'uso delle risorse disponibili (suolo, sottosuolo, acqua, patrimonio agro-silvopastorale, paesaggio).

Recependo la direttiva comunitaria 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992 relativa alla «conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche», comunemente denominata direttiva «Habitat», con Decreto del Ministero dell’Ambiente del 3 aprile 2000, pubblicato sulla gazzetta ufficiale il 22.04.00 sono stati individuati sul territorio regionale 47 SIC (Siti di Interesse Comunitario), nonché, 17 ZPS (Zone a Protezione Speciale) in riferimento alla Direttiva CEE 79/409 “Uccelli”. Il 70% di essi risulta ricompreso in aree protette (parchi o riserve naturali) e/o in Piani Paesaggistici, altri sono inseriti in aree protette in corso di istituzione. Al 2005 la superficie territoriale regionale interessata da ZPS è pari a 35.590 ettari (3,6% della superficie regionale a fronte del 9,9% della media nazionale), la superficie interessata da SIC approvati e proposti è pari a 55.462 ettari (5,6% della superficie regionale, valore più basso tra le regioni italiane e molto al di sotto della media nazionale pari al 14,6%).

Potenziali interferenze tra la centrale eolica e la futura area protetta La centrale eolica di Monte Carbone non produce interferenze con la futura area protetta. Dal punto di vista percettivo l’impianto potrebbe entrare nel cono visivo dei punti più elevati delle pendici settentrionali del vulcano, ma la fitta copertura boschiva non rende possibile la vista dell’impianto che viceversa la carta dell’intervisibilità sembra consentire. L’unico impatto potenziale potrebbe essere nei confronti dell’avifauna in quanto l’area di impianto si colloca in una posizione mediana tra il monte e la valle dell’Ofanto e potrebbe rappresentare un elemento di disturbo rispetto al transito di volatili attraverso questo corridoio. Lo studio naturalistico allegato al SIA esclude tale possibilità, non risultando la presenza di un vero e proprio corridoio ecologico scientificamente monitorato. Ad ogni modo la centrale eolica risulta composta da soli 10 aerogeneratori, molto distanti tra loro e con una tecnologia in grado di garantire la massima produzione di energia pur mantenendo un bassissimo numero di giri delle pale al minuto. Queste caratteristiche, come si desume dai monitoraggi effettuati nella vicina Puglia in zone con presenza di molti aerogeneratori, garantiscono contro

5.2 - SISTEMA DELLE AREE NATURA 2000 (AREE SIC E ZPS)

Altri ambiti di tutela che interessano l’area in studio sono: il Piano paesistico di area vasta del Vulture e il bacino idrominerario del Vulture con la Legge Regionale n. 9 del 16-04-1984 “Norme per la protezione del bacino idrominerario del Vulture e il “Piano di tutela e sviluppo del bacino idrominerario del Vulture” (L.R. 43 del 6 settembre 1996). L’area di intervento ricade all’interno del Piano di tutela e sviluppo del bacino idrominerario del Vulture. I siti designati sono soggetti ai vincoli fissati dalla normativa regionale sulla Valutazione di Impatto Ambientale, la Legge Regionale 47/98 che, in anticipo rispetto all’azione nazionale, ha di fatto recepito la direttiva CEE 97/11 di modifica della precedente direttiva 85/337. Essi sono sottoposti a norme di salvaguardia ai sensi dell’art.6 della direttiva 92/43 “Habitat”.

Per le aree della Rete Natura 2000, non è stato redatto alcun piano di gestione. Nel merito, la Regione Basilicata con D.G.R. n. 1925 del 28.12.2008 ha approvato un programma attraverso il quale realizzare monitoraggio, misure di conservazione e piani di gestione sui Siti di Rete Natura 2000, distinguendo i siti per i quali realizzare misure ed i siti per i quali redigere piani di gestione. Analogamente per le ZPS, con D.P.G.R. n. 65 del 19.03.2008 sono stati definiti i “Criteri minimi per i piani di gestione dei siti Natura 2000” con l’elenco dei siti destinati a misure di conservazione ed a piani di gestione. Relativamente ai siti da noi analizzati, la Regione ha previsto la definizione di ‘misure di tutela e conservazione’. Potenziali interferenze tra la centrale eolica e le aree del sistema “Natura 2000”. La Centrale eolica di Monte Carbone risulta esterna ad aree SIC e ZPS. Pertanto si può verificare l’interferenza eventuale dell’area vasta che circonda l’area di progetto rispetto ai siti di interesse comunitario e alle zone di protezione speciale. Esternamente all’area vasta, a circa 8 km sud-ovest dagli aerogeneratori di progetto, si rileva la Zona di Protezione Speciale (ZPS) “Monte Vulture” (codice: IT9210210). Il settore marginale settentrionale dell’area vasta interferisce con il Parco Naturale Regionale “Fiume Ofanto” e il Sito di Importanza Comunitaria “Valle Ofanto – Diga Capacciotti” (codice: IT9120011), le cui aree sono in gran parte tra loro sovrapposte, e disteranno circa 4,5 km nord dagli aerogeneratori di progetto. Si escludono, quindi, interferenze negative dovute a impatti diretti sugli habitat interni alle aree protette citate. Si sottolinea che il tratto del F. Ofanto che interessa l’area vasta e le aree prossime ad essa risulta estremamente antropizzato a causa delle pratiche agricole e delle cave di estrazione. Infatti, la vegetazione riparia risulta degradata e nel complesso l’ecosistema fluviale si caratterizza per una scarsa biodiversità faunistica. Inoltre, la Diga Capacciotti è esterna all’area vasta di studio e dista circa 15 km nord-est dagli aerogeneratori di progetto. 5.3 - AREE IBA E RAMSAR

Per quanto riguarda i fattori di pressione sulla aree protette un interessante indicatore della frammentazione delle aree protette è la densità delle infrastrutture di comunicazione sulle stesse. In Basilicata la lunghezza complessiva delle infrastrutture di comunicazione è di 5.229,5 km, con una densità sulla superficie territoriale pari a 5,2 m/ha contro una media nazionale di 6,6 m/ha. Tuttavia la densità delle stesse infrastrutture sulle aree protette è pari a 4,1 m/ha superiore alla media nazionale pari a 3,1 m/ha.

Per quanto riguarda le zone umide di interesse internazionale (aree Ramsar), in Basilicata sono stati individuati due siti, il Lago di San Giuliano con una superficie di 2.118 ettari e il Pantano di Pignola con 172 ettari. Il comune di Melfi non è interessato da aree IBA; il progetto dunque è esterno al perimetro di aree IBA. In particolar modo, l’area IBA più vicina ricade a circa 30 Km dal sito (IBA 209 “Fiumara di Atella”). Potenziali interferenze tra la centrale eolica e le aree IBA e RAMSAR.

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Data la distanza dell’area di progetto dalle zone su indicate, è possibile definire nulle le potenziali interferenza tra le stesse e la centrale eolica di progetto. 5.4 - PAESAGGIO E PATRIMONIO STORICO-CULTURALE Decreto Legislativo 22 gennaio 2004 n. 42 Il Decreto Legislativo 22 gennaio 2004 n. 42, così come modificato ed integrato dal Decreto Legislativo 24 marzo 2006 n. 157, oltre a prevedere che lo Stato e le Regioni assicurino la tutela e la valorizzazione del paesaggio approvando piani paesaggistici, ovvero piani urbanisticoterritoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici, concernenti l'intero territorio regionale, stabilisce che le Regioni verifichino la conformità tra le disposizioni dei suddetti Piani paesistici e le nuove disposizioni e provvedano agli eventuali adeguamenti. La Regione Basilicata, con Deliberazione di Giunta Regionale n. 1048 del 22.04.2005, ha avviato l’iter per procedere all’adeguamento dei vigenti Piani paesistici di area vasta alle nuove disposizioni legislative. In ogni caso, ai sensi dell’articolo 142 del D.Lgs. 42/2004, fino all'approvazione del piano paesaggistico sono tutelate per legge le seguenti aree: a) i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare; b) i territori contermini ai laghi compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i territori elevati sui laghi; c) i fiumi, i torrenti, i corsi d'acqua iscritti negli elenchi previsti dal testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative sponde o piedi degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna; d) le montagne per la parte eccedente 1.600 metri sul livello del mare per la catena alpina e 1.200 metri sul livello del mare per la catena appenninica e per le isole; e) i ghiacciai e i circhi glaciali; f) i parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di protezione esterna dei parchi; g) i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento, come definiti dall'articolo 2, commi 2 e 6, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 227; h) le aree assegnate alle università agrarie e le zone gravate da usi civici; i) le zone umide incluse nell'elenco previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 13 marzo 1976, n. 448; l) i vulcani;

m) le zone di interesse archeologico individuate alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 42/2004. In relazione a questo ultimo punto, con il DM 22-12-83, la rete dei Regi Tratturi della Basilicata, le loro diramazioni minori e ogni altra pertinenza, quali risultano dalla documentazione giacente presso il Commissariato per la reintegra di tratturi di Foggia, sono stati riconosciuti di notevole interesse per l’archeologia, la storia politica, militare, sociale eo culturale, e assoggettati alle direttive di tutela della 1089/39 recepita dall’attuale TU 42/04, con la prescritta vigilanza della Soprintendenza Archeologica. Nel 2003, in Basilicata il 20% della superficie territoriale era tutelata per effetto delle disposizioni contenute nel D.Lgs. 42/04 (ex Legge 1497/39), il 13% in provincia di Potenza ed il 33% in provincia di Matera; tale dato è in linea con la media nazionale (19%) ed è rimasto sostanzialmente invariato rispetto al 2000. Nello stesso anno in Basilicata circa il 38% della superficie territoriale era tutelata per effetto delle disposizioni contenute nel D.Lgs. 42/04 (ex Legge 431/85) Per quanto riguarda il patrimonio storico-culturale, le considerazioni svolte nel seguito fanno riferimento al patrimonio artistico storico e monumentale, al patrimonio documentario ed al patrimonio bibliotecario presente sul territorio regionale. Il patrimonio artistico storico e monumentale comprende musei, gallerie, pinacoteche, aree archeologiche e monumenti come castelli, palazzi, ville, chiostri, templi e anfiteatri; questi istituti di antichità e d’arte statali sono gestiti dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali tramite le Soprintendenze. Di seguito si elencano i principali beni architettonici e archeologici dell’area vasta vincolati con decreto ministeriale e cartografati nelle tavole allegate (in grassetto i comuni più vicini all’area di progetto):

ATELLA - Torre e ruderi del Castello - D.M. 15.03.96 - Convento di Santa Maria degli Angeli - D.M. 19.05.83 - Ruderi della Badia Sant'Ippolito - D.M. 25.06.85 - Grotta basiliana di San Michele Arcangelo di Monticchio - L. 364/1913 - Not. 23.02.13 - Portale Chiesa S. Maria degli Angeli - L. 364/1913 - Not. 27.10.11 - Bifora sec. XIV Casa Saraceno - L. 364/1913 - Not. 12.10.11 - Vitalba - Serra San Marco (art. 1 e 3 D.Lgs. 490/99) - Cimitero: ritrovamento zanna elephans (art. 2 e 49 D.Lgs. 490/99) AVIGLIANO - Castello di Lagopesole - D.M. 31.05.97 BARILE

- Masseria Fortunato - C.da Le Querce - D.M. 22.02.88 - Masseria Rotondo - D.M. 14.08.93 - Fontana dello Steccato - D.M. 10.02.96 - Decl. 18.03.83 - D.M. 22.07.00 - Acquedotto romano L. 364/1913 - Not. 10.06.16 FILIANO - Palazzo Corbo - D.M. 13.10.81 - Masseria Inforchia - D.M. 17.10.89 LAVELLO - Masseria Bosco delle Rose - D.M. 13.10.92 - Masseria Marchesa - D.M. 19.11.92 - Masseria Finocchiaro - D.M. 19.11.92 - Masseria Iannuzzo - D.M. 08.10.92 - Masseria Giustino Fortunato - D.M. 27.09.89 - Camino in pietra Casa Vulpio - Legge 364/1913 - Not. 06.08.26 - Camino ligneo Palazzo Ducale - Legge 364/1913 - Not. 07.08.26 - Palazzo Ducale - Legge 364/1913 - Not. 17.11.26 - Casa del Diavolo, rudere di un edificio termale romano - villa romana di epoca imperiale - resti di un sepolcro paleocristiano III° in - contrada “Pozzo d’Alitta” - Chiesa Diruta art. 21 D.Lgs. 490/99 e art. 1 e 3 D.Lgs. 490/99 - Loc. Gravetta art. 21 D.Lgs. 490/99 e art. 1 e 3 D.Lgs. 490/99 - santuario dauno-romano (III-I a.C.) - Loc. Cimitero art. 21 D.Lgs. 490/99 e art. 1 e 3 D.Lgs. 490/99 - Loc. Carrozze art. 1 e 3 D.Lgs. 490/99 - Loc. San Felice art. 4 D.Lgs. 490/99 - Loc. Posta Scioscia art. 1 e 3 D.Lgs. 490/99 - Ipogeo della prima età del Bronzo, MASCHITO - Palazzo Colombo - D.D.R. 01.04.04 - Palazzo Nardozza - D.D.R. 11-07.2006 MELFI - Castello - Decl. 06.09.73 - Palazzo Pastore - D.M. 30.03.96 - Palazzo Aquilecchia - D.M. 25.03.83 - D.M. 16.04.84 - Masseria Leonessa - D.M. 14.08.93 - Masseria Parasacco - D.M. 30.10.95 - D.M. 30.10.97 - Mura Normanne e Porta Venosina - D.M. 26.05.59 - Portale in pietra Casa Desino - Legge 364/1913 - Not. 16.05.29 - Grotta S. Margherita - Legge 364/1913 - Not. 05.02.13 - Loc. Rendina art. 1 e 3 D.Lgs. 490/99 - Loc. Leonessa art. 1 e 3 D.Lgs. 490/99 - Ponte romano loc. Pietra dell'Olio art.21 D.Lgs. 490/99 - Loc. Serra dei Canonici art. 2 D.Lgs.490/99 RAPOLLA - Grotta Sant’Elia - L. 364/1913 - Not. 20.02.13 - Chiese rupestri: - Crocifisso (epoca imprecisata X) in abbandono;

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- Santa Barbara origine basiliana; - Santa Maria della Stella XI; - Chiesa di Santa Lucia in c.da Toppo - S. Agata XIII - chiesa rupestre Grotta Sant’Elia - L. 364/1913 - Not. 20.02.13 - resti di un acquedotto romano RAPONE - Masseria Tomasulo - D.M. 19.11.92 RIONERO IN VULTURE - Palazzo Giannattasio - D.M. 13.01.94 - Palazzo Fortunato - D.M. 10.01.58 - Palazzi Fortunato-Catena - D.M. 16.06.95 - Ruderi della Badia di Sant’Ippolito - D.M. 25.06.85 - Palazzo Catena - D.M. 17.07.95 - Palazzo Ciasca - D.M. 31.05.95 - Palazzo Chieppa-Quarto - D.M. 31.05.95 - Archi antico Acquedotto romano - L. 364/1913 - Not. 13.07.14 - Ville rustiche e terme (II° a.C.) e resti - basilica cristiana e necropoli (V-VI°) loc. - Torre degli Embrici (art. 1 e 3 D.Lgs. 490/99) - Ruderi Badia di San Ippolito (art. 1 e 3 D.Lgs. 490/99) - Resti edificio termale (epoca imperiale) - loc. Paduli di Monticchio - Necropoli con corredi sepolcrali (epoca imperiale) loc. Cappella del Priore RIPACANDIDA - Ritrovamenti in località Macchia, risalenti al VII-IV secolo a.C, sarcofagi e una domus, tombe, scheletri, monete, vasi in bronzo lavorato pavimenti, mosaici, armi e armature, ceramiche di terracotta, vasi italo-greci a vernice nera e iscrizioni su lapidi, reperti conservati nel Museo Nazionale Archeologico di Melfi. RUVO DEL MONTE - Castello - D.M. 14.10.85 SAN FELE - Palazzo Faggella - D.M. 19.11.92 - Palazzo Massari - D.M. 31.10.81 - Dimora del Santo Giustino De Jacobis - D.M. 10.10.83 - Chiesa di Santa Maria e ruderi dell’antica badia - D.M. 19.09.98 - Balconi in ferro e portale Casa Cillis - L. 364/1913 - Not. 18.03.31 - Balconi sec. XVIII e portale del 1769 - L. 364/1913 - Not. 09.09.31 - Balconi in ferro e portale Casa Santoro - L. 364/1913 - Not. 18.03.31 - Balconi in ferro Casa Donofrio - L. 364/1913 - Not. 18.03.31 - Balconi in ferro Casa Liccione - L. 364/1913 - Not. 18.03.31 - Balconi in ferro Casa Caputi - L. 364/1913 - Not. 18.03.31 VENOSA - Masseria Saraceno-Quaranta - D.M. 08.02.97 - D.M. 27.08.98 - Ex Monastero di Sant’Agostino - D.M. 11.09.90

- Palazzo La Torre - D.M. 17.04.90 - Castello del Balzo - D.M. 01.03.97 - Masseria Matinella-Veltri - D.M. 27.02.92 - Masseria Santangelo - D.M. 03.04.92 - Masseria Casone - D.M. 08.10.92 - Masseria Trentangeli - D.M. 02.10.92 - Catacombe ebraiche - D.M. 21.10.77 - Loreto art. 4 D.Lgs. 490/99 - Pezza del Ciliegio art. 1 e 3 D.Lgs. 490/99 - Trinità art. 1 e 3 D.Lgs. 490/99 - Catacombe art. 1 e 3 D.Lgs. 490/99 - Tufariello art. 21 D.Lgs. 490/99 ed art. 1 e 3 D.Lgs. 490/99 - insediamento paleolitico di Notarchirico - Ruderi della tomba di Marcello III° a.C. - Insula Horatii: tepidarium, a forma circolare, della presunta casa di Orazio Il Parco Archeologico comprende: - le terme romane, nel frigidarium vi è un mosaico intatto - la domus, con pavimento musivo, impluvium, quattro stanze e sala principale; - il complesso residenziale, con alcune domus e una taverna, utilizzate fino al IV-VI° d.C., - il complesso episcopale si sviluppò, tra il V e VI d.C - i Resti dell’anfiteatro romano, di epoca imperiale giulio-claudia

Piano Paesistico di area vasta del Vulture e dei laghi di Monticchio Il territorio della regione Basilicata è interessato da sette Piani Paesistici di area vasta: Piano paesistico di Gallipoli Cognato – Piccole Dolomiti lucane, Piano paesistico di Maratea – Trecchina – Rivello, Piano paesistico del Sirino, Piano paesistico del Metapontino, Piano paesistico del Pollino, Piano paesistico di Sellata – Volturino – Madonna di Viggiano, Piano paesistico del Vulture e dei laghi di Monticchio Sono piani che si riferiscono esclusivamente a porzioni di territorio e ricalcano la vecchia concezione del piano paesistico, ispirati dalla Legge 431 del 1985 e non ripensati secondo le indicazioni del Codice Urbani. Sono quindi strumenti assolutamente non aggiornati sia dal punto di vista concettuale che cartografico. In particolare, i piani sono indirizzati verso un astratto concetto di tutela e valorizzazione sulla base di indagini analitiche delle componenti naturali, percettive, antropiche di maggiore interesse, che risalgono alla metà degli anni ottanta, assolutamente non coincidenti con l’attuale uso del suolo e con le condizioni generali dei siti. La centrale di Monte Carbone risulta esterna al perimetro del Piano.

Potenziali interferenze tra la centrale eolica e le aree tutelate ai sensi del D.lvo 42/04 Per quanto riguarda il D.lvo 42/04, le uniche interferenze riguardano: 1) l’interessamento della fascia di rispetto dei 150 ml del Vallone delle Caselle (in questo tratto prende il nome di V.ne della Zingara e anticamente conosciuto come V.ne di Madama Laura) da parte di un breve tratto della strada di accesso alla T02 e alla T06; 2) l’attraversamento di tutta la fascia di rispetto del Vallone delle Caselle (300 ml) da parte del cavidotto interrato che parte dalla T05 e raggiunge la cabina di raccolta, ponendosi a margine del limite catastale della strada vicinale detta del Tratturo di Montelungo-Ofanto; il vallone, in corrispondenza del corso d’acqua pubblica, sarà attraversato utilizzando la perforazione teleguidata; la realizzazione del cavidotto interrato non modifica l’aspetto esteriore dei luoghi né altera la morfologia degli stessi; 3) l’attraversamento dell’intera fascia di rispetto del vallone di Catapane, da parte del cavidotto esterno interrato, di collegamento tra la cabina di raccolta e la stazione elettrica di trasformazione; il cavidotto è ubicato a margine della strada vicinale detta del Tratturo di Montelungo, tenendosi comunque ai margini e fuori dal sedime catastale della stessa; 4) due attraversamenti trasversali del sedime catastale del Regio Tratturello Melfi-Cerignola, da parte della strada che raggiunge la T07 e da parte del cavidotto interrato che proviene dalla T10; l’attraversamento del cavidotto avverrà con perforazione teleguidata e quindi non verrà modificato superficialmente il tratturo, che come specificato, sarà oggetto di un’attività di valorizzazione da parte della società T-Power srl, previo accordo con gli enti competenti per la tutela e con l’ente proprietario (Pubblico Demanio – Ufficio Parco Tratturi) 5.5 - LA NORMATIVA NAZIONALE PER LA TUTELA DEL RISCHIO IDROGEOLOGICO - ILPAI La difesa del territorio dalle frane e dalle alluvioni rappresenta una condizione prioritaria per la tutela della vita umana, dei beni ambientali e culturali, delle attività economiche e del patrimonio edilizio. Al fine di contrastare l’incalzante susseguirsi di catastrofi idrogeologiche sul territorio nazionale sono stati emanati una serie di provvedimenti normativi, di cui il primo e più importante riferimento è rappresentato dalla Legge 18 maggio 1989 n. 183, Norme per il riassetto organizzativo e funzionale sulla difesa del suolo.

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Detta legge ha tra i suoi obiettivi: la difesa del suolo, il risanamento delle acque, la fruizione del patrimonio idrico per gli usi di razionale sviluppo economico e sociale nonché la tutela dell’ambiente. La normativa citata individua nel bacino idrografico l’ambito fisico di riferimento per il complesso delle attività di pianificazione, in tal modo superando le problematiche connesse alle delimitazioni territoriali di ordine amministrativo. L’articolo 17 della Legge 183/89 ha stabilito che “i Piani di Bacino Idrografico possono essere redatti ed approvati anche per sottobacini o per stralci relativi a settori funzionali”. Il primo Piano Stralcio funzionale del Piano di Bacino è costituito dal Piano Stralcio per la Difesa dal Rischio Idrogeologico, in quanto la definizione del detto rischio è prioritario nel contesto delle attività conoscitive e di programmazione previste dalla legge in parola. La legge 493/93 alla luce delle difficoltà metodologiche e procedurali, modifica la legge 183/89, consentendo la realizzazione del Piano di Bacino per stralci relativi a settori o “tematismi” ben distinti tra di loro (es. tutela delle acque, difesa dalle alluvioni, difesa dalle frane, attività estrattive, ...). Nel corso degli anni ’90 una serie di atti di indirizzo e coordinamento forniscono ulteriori elementi essenziali per la redazione dei Piani di Bacino, ed in particolare del Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico (PAI). Tali elementi sono contenuti nei seguenti decreti: D.P.C.M. 23/3/90, D.P.R. 7/1/92, D.P.R. 14/4/1994, D.P.R. 18/7/95.

I Piani Stralcio per l’Assetto Idrogeologico, elaborati dalla Autorità di Bacino, producono efficacia giuridica rispetto alla pianificazione di settore, ivi compresa quella urbanistica, ed hanno carattere immediatamente vincolante per le amministrazioni ed Enti Pubblici nonché per i soggetti privati, ai sensi dell’articolo 17 della Legge 183/89. Nel corso dell’anno 2006, in attuazione della Legge 15/12/2004 n.308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale), è stato approvato il D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152, contenente una revisione complessiva della normativa in campo ambientale. In particolare in tema di difesa del suolo e di gestione delle risorse idriche la parte III del decreto introduce: una riorganizzazione delle strutture territoriali preposte alla pianificazione ed alla programmazione di settore basata sui distretti idrografici; le Autorità di Bacino distrettuali quali soggetti di gestione di tali distretti; i Piani di bacino distrettuali quali strumenti di pianificazione e programmazione. La riforma prevista dal D.Lgs. 152/2006 non è stata, fino alla data odierna (settembre 2006), attuata, almeno per quanto riguarda la parte relativa alla difesa del suolo. Restano, pertanto, pienamente in vigore le ripartizioni territoriali, i soggetti, le finalità, le attività e gli strumenti di pianificazione e programmazione in materia di difesa del suolo e di gestione delle risorse idriche previsti dalle normative precedenti al decreto. L’AdB Puglia – il Piano Stralcio di Assetto Idrogeologico (PAI)

A seguito dell’evento calamitoso di Sarno è stato emanato il D.L. 11 giugno 1998 n. 180 (“Misure urgenti per la prevenzione del rischio idrogeologico ed a favore delle zone colpite da disastri franosi nella regione Campania”), convertito e modificato dapprima dalla Legge 267/98 e, in seguito, dalla Legge 226/99. Le norme citate hanno introdotto l’obbligo di adozione ed approvazione, da parte delle Autorità di Bacino nazionali, regionali ed interregionali o delle regioni stesse, dei Piani Stralcio per l’Assetto Idrogeologico (PAI). Da ultimo, il D.L. 12 ottobre 2000 n. 279, convertito nella legge 11 dicembre 2000 n. 365 (“Interventi urgenti per le aree a rischio idrogeologico molto elevato e in materia di protezione civile, nonché a favore di zone colpite da calamità naturali”) ha stabilito che i Piani Stralcio per l’Assetto Idrogeologico dovessero essere predisposti entro il 30 aprile 2001. Detti Piani devono in particolare contenere l’individuazione delle aree a rischio idrogeologico e la perimetrazione delle aree da sottoporre a misure di salvaguardia, nonché le misure medesime. Nello specifico, tale strumento di pianificazione fornisce i criteri per l’individuazione, la perimetrazione e la classificazione delle aree a rischio da frana e da alluvione, tenuto conto, quali elementi essenziali per l’individuazione del livello di pericolosità, della localizzazione e della caratterizzazione di eventi avvenuti nel passato riconoscibili o dei quali si ha, al momento, cognizione.

Il progetto in esame ricade nel territorio di competenza dell’Autorità Interregionale della Puglia che con deliberazione n.25 del 30/11/2005 del Comitato Istituzionale, ha approvato il Piano stralcio per l’Assetto Idrogeologico (P.A.I.), in continuo aggiornamento. Il Piano stralcio per l’Assetto Idrogeologico (P.A.I.) dell’Autorità di Bacino della Puglia, perimetra le aree a rischio idrogeologico e individua le misure di salvaguardia per i bacini regionali e per il bacino interregionale del Fiume Ofanto. In particolare il PAI divide il territorio in aree a pericolosità da frana, aree a pericolosità idraulica e stila, in base ai livelli di pericolosità, una carta del rischio. Per la pericolosità da frana il PAI prevede: PG3: aree a Pericolosità da frana molto elevata PG2: aree a Pericolosità da frana elevata PG1: aree a Pericolosità da frana media e moderata Per la pericolosità idraulica si distinguono: AP: aree ad Alta Probabilità di inondazione MP: aree a Moderata Probabilità di inondazione BP: aree a Bassa Probabilità di inondazione Le aree a rischio sono suddivise in: R4: Aree a Rischio Molto Elevato

R3: Aree a Rischio Elevato R2: Aree a Rischio Medio R1: Aree a Rischio Moderato AREE A PERICOLOSITA’ IDRAULICA Secondo il PAI le strutture fuori terra non sono ammissibili in aree classificate come ad "alta pericolosità idraulica - AP" (art. 7 NTA) e "media pericolosità idraulica - MP" (art. 8 NTA), fatti salvi i casi previsti dal comma K dello stesso art. 8; le stesse strutture sono potenzialmente ammissibili, previa valutazione dei risultati di idonei studi di compatibilità idrologico-idraulica redatti secondo le disposizioni del PAI, nelle aree classificate come "alveo fluviale in modellamento attivo ed aree golenali" (art. 6 NTA), "bassa pericolosità idraulica - BP" (art. 9 NTA) e "fasce di pertinenza fluviale" (art. 10 NTA). I cavidotti e le opere interrate sono potenzialmente ammissibili, previa valutazione dei risultati di idonei studi di compatibilità idrologico-idraulica redatti secondo le disposizioni del PAI, nelle aree classificate come "alveo fluviale in modellamento attivo ed aree golenali" (art. 6 NTA), "alta pericolosità idraulica - AP" (art. 7 NTA), "media pericolosità idraulica MP" (art. 8 NTA), "Bassa pericolosità idraulica - BP" (art. 9 NTA) e "fasce di pertinenza fluviale" (art. 10 NTA). AREE A PERICOLOSITA’ GEOMORFOLOGICA Secondo il PAI, le strutture fuori terra non sono ammissibili in aree classificate come a "pericolosità geomorfologica molto elevata PG3" (art. 13 NTA), e sono potenzialmente ammissibili, previa valutazione dei risultati di idonei studi di compatibilità geologica e geotecnica redatti secondo le disposizioni del PAI, nelle aree classificate "pericolosità geomorfologica elevata PG2" (art. 14 NTA), "pericolosità geomorfologica media e moderata PG1" (art. 15 NTA) I cavidotti e le opere interrate non sono ammissibili in aree classificate come a "pericolosità geomorfologica molto elevata PG3" (art. 13 NTA); sono potenzialmente ammissibili, previa valutazione dei risultati di idonei studi di compatibilità geologica e geotecnica redatti secondo le disposizioni del PAI, nelle aree classificate come "pericolosità geomorfologica elevata PG2" (art. 14 NTA), "pericolosità geomorfologica media e moderata PG1" (art. 15 NTA). Potenziali interferenze tra la centrale eolica e le aree tutelate dal PAI Come evidente dallo stralcio cartografico riportato di seguito gli aerogeneratori di progetto e il sistema della viabilità interna al parco ricadono all’esterno degli ambiti del PAI del tipo PG1, PG2 e PG3. Le uniche interferenze sono relative all’interessamento delle fasce di rispetto fluviali da parte di piccoli tratti stradali esistenti e di alcuni tratti di

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cavidotto (stesse interferenze e stessi accorgimenti di attrraversamento richiamati al paragrafo precedente in merito al d.lvo 42/04). Altre potenziali interferenze sono rispetto a degli impluvi non censiti nell’elenco delle acque pubbliche; tali emergenze idrologiche, non sono interessate dalla presenza di opere fisse (tipo plinti) e semmai sono interessate esclusivamente da viabilità e cavidotti interrati; negli appositi paragrafi del presente studio, sono già stati indicati tutti gli accorgimenti Per non alterare la morfologia e la funzionalità degli impluvi. In particolare per gli attraversamenti dei corsi d’acqua da parte dei cavidotti interrati, si adotterà la tecnologia della perforazione teleguidata, che garantisce contro qualsiasi alterazione morfologica e del regime idraulico del corso d’acqua. 5.6 - PIANO STRUTTURALE DI POTENZA Le innovazioni della pianificazione territoriale di area vasta (già contenute nella LR 23/99) hanno introdotto in Basilicata un modello di copianificazione partecipativo e dialogico tra i diversi livelli di governo del territorio: tra il livello regionale e quello provinciale per la definizione delle strategie di sviluppo e tra il livello provinciale e quello inter-comunale per la attuazione delle azioni di piano. La LR 23/1999 assegna alla Provincia un ruolo di soggetto della copianificazione regionale nella formulazione di proposte relative alle vocazioni prevalenti del suo territorio nell’ottica della qualità culturale e ambientale, della competitività economica, della coesione sociale e della efficienza infrastrutturale. Il Piano Strutturale Provinciale (PSP), in particolare, è l’atto di pianificazione con il quale la Provincia esercita un “ruolo attivo” di coordinamento programmatico e di raccordo tra le politiche territoriali della Regione e la pianificazione urbanistica comunale, determinando indirizzi generali di assetto del territorio provinciale intesi anche ad integrare le condizioni di lavoro e di mobilità dei cittadini nei vari cicli di vita, e ad organizzare sul territorio le attrezzature ed i servizi garantendone accessibilità e fruibilità. ll PSP ha valore di Piano di assetto del territorio con specifica considerazione dei valori paesistici, della protezione della natura, della tutela dell’ambiente, delle acque e delle bellezze naturali e della difesa del suolo, ma prefigura anche un ruolo di strumento strategico di governance multilivello. La definizione del PSP è stabilita dall’art. 13 della Legge Regionale 23/99 : 1.Il Piano Strutturale Provinciale (PSP) è l’atto di pianificazione con il quale la Provincia esercita, ai sensi della L. 142/90, nel governo del territorio un ruolo di coordinamento programmatico e di raccordo tra le politiche territoriali della Regione e la pianificazione urbanistica comunale, determinando indirizzi generali di assetto del territorio

provinciale intesi anche ad integrare le condizioni di lavoro e di mobilità dei cittadini nei vari cicli di vita, e ad organizzare sul territorio le attrezzature ed i servizi garantendone accessibilità e fruibilità. ll PSP per quanto riportato nella stessa legge n. 23/99 ha valore di Piano Urbanistico-Territoriale, con specifica considerazione dei valori paesistici, della protezione della natura, della tutela dell’ambiente, delle acque e delle bellezze naturali e della difesa del suolo, salvo quanto previsto dall’art. 57, 2° comma, del D.Lgs. 112/98; esso impone pertanto vincoli di natura ricognitiva e morfologica. Il presente strumento ha solo valore di indirizzo, essendo il piano ancora in via di adozione e non essendoci delle norme tecniche di attuazione, pertanto la conformità del progetto verrà valutata con gli effettivi strumenti urbanistici e territoriali vigenti. Tuttavia dalla lettura dei principali tematismi illustrati sugli elaborati cartografici del PSP di Potenza, si osserva che: L’impianto ricade all’esterno dell’istituendo Parco Regionale del Vulture e al margine del SIC, ZPS “Monte Vulture” (cfr estratto grafico del Piano strutturale di Potenza- Tav.7 Protezione della natura); L’impianto ricade all’esterno del perimetro del Piano Paesistico “Monte Vulture” ed insiste nell’ambito di Riserve, Parchi e Territori di Protezione (D.Lgs 42/2004 art.142 lett. f) (cfr. estratto grafico del Piano strutturale di Potenza- Tav.16 Quadro Vincolistico); Il progetto ricade, in fine, all’esterno di corridoi di transito (cfr. estratto grafico del Piano strutturale di Potenza - Tav.19 Progetto Rete Ecologica.

La legge urbanistica regionale della Basilicata (Legge n.23/99) prevede quindi due strumenti urbanistici che vanno a sostituire il classico Piano Regolatore Generale ovvero : - Piano strutturale comunale. Non è un piano né vincolistico, né prescrittivo , ma definisce il grado di trasformabilità e uso del territorio. -Regolamento urbanistico. Disciplina gli insediamenti esistenti sul territorio comunale e rappresenta uno strumento per tutelare, riqualificare e completare il territorio della città esistente oltre che regolare gli interventi in area agricola. Nel comune di Melfi è in fase d’attuazione tale strumento; si fa quindi riferimento al piano regolatore generale in vigore che viene comunque ripreso dal regolamento urbanistico. In particolare l’ambito d’applicazione di tali strumenti resta comunque quello urbano, ovvero quella porzione di territorio edificata riconoscibile come unità insediativa urbanisticamente e socialmente organizzata. Dalle tavole di trasposizione e attuazione del PRG attualmente in vigore riportate negli elaborati grafici del regolamento Urbanistico del comune di Melfi, si osservano le perimetrazioni che interessano l’ambito urbano e le relativa zonizzazione ; si deduce che le aree in cui è previsto l’intervento non ricadono in esse, ovvero le aree interessate dall’impianto ricadono in zona agricola, quindi compatibile per quanto prescritto dalla normativa nazionale, che rende autorizzabili gli impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili su tali aree (rif. DLgs 387/2003) senza necessità di attivare le procedure di variante urbanistica.

Sulle interferenze potenziali della centrale eolica rispetto a tali aree si confrontino i relativi paragrafi del presente capitolo.che hanno già trattato le aree indicate. 5.7 - PIANO URBANISTICO DEL COMUNE DI MELFI Si premette che ad oggi la Basilicata è sprovvista tanto di un Piano Territoriale di Coordinamento Regionale quanto di Piani Territoriali di Coordinamento Provinciale; occorre precisare come la LR 23/99 abbia impostato il quadro pianificatorio con riferimento all’area vasta per la quale era pensato un piano strutturale provinciale, che nelle ragioni della legge era concepito così strutturante da poter prevedere alla scala comunale il solo Regolamento urbanistico come strumento obbligatorio e il piano strutturale comunale come facoltativo. In realtà la dimensione territoriale ha tardato a prendere forma e si stanno approvando dei Regolamenti urbanistici, non accompagnati da un Piano strutturale comunale e in assenza di Piano territoriale provinciale.

----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------T.POWER S.p.A. _ CENTRALE EOLICA MONTE CARBONE _ MELFI (PZ) _ A.17.3 _ RELAZIONE PAESAGGISTICA redazione a cura di TENPROJECT srl