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Alain Danielou e l'Induismo. "L'uomo deve sacrificarsi alla famiglia, deve sacrificare la famiglia alla casta, la casta al paese, il suo paese al mondo, e il mondo a ...
Alain Danielou e l'Induismo

 

"L'uomo   deve   sacrificarsi   alla  famiglia,   deve   sacrificare   la  famiglia   alla  casta,   la  casta  al   paese,   il   suo   paese   al   mondo,   e   il  mondo  a  se   stesso"  (Proverbio sanscrito)  Alain   Danièlou   (1907­1994)   nasce   a   Parigi   da   madre   cattolica   e   da   padre  anticlericale. Trascorre gran parte dell'infanzia in campagna con dei precettori,  una biblioteca ed un pianoforte. Impara subito ad amare la musica, più tardi si  dedicherà alla pittura e alla danza. Alain Danièlou studia in Francia e negli Stati  Uniti dove vende i suoi quadri e suona il pianoforte. Viaggia in Africa del nord,  Medio Oriente, Cina, Giappone ed Indonesia. Nel 1949 è nominato professore  incaricato   di   ricerche   presso   l'università   di   Benares,   nel   1954   prende   la  direzione a Madras del Centro ricerche della biblioteca di Aydar (una delle più  ricche   dell'India).   Nel   1956   è   membro   dell'istituto   francese   d'indologia   di  Pondichery,   prosegue   i   suoi   viaggi   e   le   ricerche   dall'Indocina   all'Iran   dove  registra per la prima volta i più antichi monumenti della musica tradizionale.   Diviene nel 1959 addetto alla Scuola francese d'Estremo Oriente a Parigi e nel  1960   consigliere   del   Consiglio   Internazionale   della   Musica   (UNESCO).   Portando la sua attenzione in ogni cosa Alain Danièlou è in grado di svolgere  bene 32 mestieri, conosce il Sanscrito, parla correntemente l'hindi, con la sua  intelligenza poliedrica si applica sia agli studi che alle attività manuali. Proprio  per   questo   Danièlou   non   è   classificabile   in   nessun   ruolo   specifico.   Schivo, misterioso e segreto Alain Danièlou pubblica le sue opere per il puro  piacere della conoscenza, i suoi libri sono per pochi. A quelli che si rivolgono a  lui come maestro il nostro Autore risponde che non è e non sarà mai un maestro, 

quello che colpisce di più in lui è, infatti, una voglia costante di scoprire cose  nuove, un non sentirsi mai arrivato, il non salire in cattedra e, grazie alla libertà  del  suo  spirito,  il  poter  dire  il contrario  di  quello  che  aveva  sostenuto poco  prima se una nuova conoscenza o ragione lo sfiora. Dopo un viaggio in Oriente  con   il   suo   amico   fotografo   Remon,   nel   1932   Alain   Danièlou   si   stabilisce   a  Benares. Dal terrazzo della sua casa vede i pellegrini che si bagnano nel Gange.  Per   anni   legge   solo   sanscrito   e,   nella   sua   mente,   fa   tabula   rasa   di   ogni  apprendimento occidentale per poter entrare profondamente e totalmente nella  cultura   induista.   Essendo   straniero   in   India   appartiene   alla   casta   dei  Lekka  (barbari) quindi non può recitare i Veda né entrare nella casa dei Bramani, il suo  maestro gli insegna i Mantra e viene soprannominato Shiva Sharami (il protetto  di Shiva). Alain Danièlou vive tutto questo con estrema naturalezza e lascia che  il destino compia per lui ciò che la vita ha stabilito. Alain Danièlou si dedica  alla musica, ne è affascinato, perché la musica è intuitiva e comunica con le  strutture sottili del mondo, basata su rapporti numerici che producono in noi  emozioni e visioni, la musica è una chiave della conoscenza e del sapere. In  particolare Alain Danièlou si dedica alla musica classica per conservarla per le  generazioni future e non far naufragare la memoria, dona all'UNESCO la prima  antologia   di   musica   classica   indiana.   Danièlou   sostiene   che   l'induismo   può  sconvolgere   l'Occidente   e   portare   un   nuovo   Rinascimento.   Contrario   al  colonialismo, all'imperialismo, al comunismo ed alle religioni monoteiste Alain  Danièlou riesce a mettere in evidenza tutti i limiti dell'Occidente nemico della  natura e della creazione ed ostile verso la sessualità. Secondo il culto di Shiva il  piacere e la sessualità sono indispensabili all'esistenza umana: realizzarsi nei  giochi   erotici   è   partecipare   all'ordine   naturale   e   raggiungere   quindi   la  liberazione.   Il   piacere   è   tensione   creatrice   del   Cosmo   e   del   suo   Creatore,  condizione   della   vita.   Lo   sviluppo   stesso   dell'Umanità   è   un   insieme   di   atti  positivi: l'Amore rappresenta l'unione di due esseri in un'unione dei contrasti nel  non essere. (Shiva e Shakti). Lo Shivaismo da cui derivano il culto di Bacco e  quello di Dioniso è la religione originaria: è una religione naturistica e non  morale che crea i punti di contatto fra i diversi stati dell'essere, corrisponde ai  bisogni dell'uomo di oggi come a quello di ieri. Nell'universo tutto fa parte del  Divino, non esiste sacro e profano, alto e basso, ecc. Il Cristianesimo, dopo San  Paolo, snatura completamente il messaggio di Cristo, la chiesa diventa uno stato  imperialista, e la religione cristiana una prigione dogmatica dove non si trova  Dio. Quando il Gange si ritira e le acque si allontanano dalla sua casa, Alain  Danièlou coglie ciò come un segno, lascia Benares e torna in Occidente. Egli  non   vuole   assistere   all'   "evoluzione"   dell'India.   Tornato   in   Europa   fonda   a  Berlino   e   Venezia   l'Istituto   Interculturale   di   Studi   Musicali   Comparati.   In   Occidente   trova   malessere,   vuoto   e   rumore:   siamo   infatti   nell'era   del 

Kaliyuga  (crepuscolo dell'umanità) quindi aumentano il disordine, le guerre, i  conflitti.   Il   Kaliyuga   è   l'era   del   culto   degli   idoli   dove   imperano   volgarità   e  violenza. L'umanità mostra la sua parte più corrotta, egoista e senza morale, si  dice che il Kaliyuga si concluderà con un cataclisma perché tutto si ribella.   Quel   che   si   può   fare   è   andare   controcorrente,   collaborare   con   la   creazione,  creando un Karma per riavvicinarsi a Dio. Riconoscere i propri limiti e cercare  l'armonia del mondo rifiutando ogni dogmatismo. Ci piace riportare qualcosa  del pensiero induista che tanto ha impegnato il nostro autore e che coinvolge  I   quattro   sensi   della   vita  "   L'uomo   deve   sacrificarsi   alla   famiglia,   deve   sacrificare la famiglia alla casta, la casta al paese, il suo paese al mondo, e il   mondo a se stesso."  (Proverbio sanscrito) L'indù vive nell'eternità. La cultura  induista percepisce in ogni cosa, in ogni destino, la presenza immediata delle  forze divine e considera perciò la storia come l'evento delle relazioni fra gli dei,  gli   esseri   permanenti,   e   il   mondo   effimero   dei   viventi.   Secondo   la   teoria  cosmologica indù la materia non è che un'apparenza. L'universo è formato da  relazioni energetiche. Se andiamo al fondo di qualsivoglia cosa ritroviamo il  rapporto   di   una   forza   centripeta   che   condensa,   di   una   forza   centrifuga   che  disperde   e   del   loro   equilibrio   che   dà   nascita   al   movimento   circolare   che  determina   il   movimento   degli   astri   come   quello   degli   atomi.   Non vi è nulla che sia in sé grande o piccolo, un istante non ha in sé meno  durata di alcuni millenni. La dimensione spaziale o temporale non esiste se non  in rapporto a degli esseri viventi le cui percezioni determinano una dimensione  dello   spazio  e   i   cui   ritmi   vitali   forniscono  una   misura   del   tempo,   che   sono  dunque interamente relativi. I quattro sensi della vita sono: Dharma il dovere, la  virtù, la realizzazione di sè sul piano morale; Artha l'acquisizione del successo e  della ricchezza, la realizzazione di sé sul piano materiale;  Kama  il piacere, la  realizzazione   di   sé   sul   piano   sensuale   e  Moksha,   la   liberazione   finale,   la  realizzazione   di   sé   sul   piano   spirituale.   Corrispondono   ai   4   periodi   di  evoluzione   della   vita   umana:   Dharma/Infanzia,   Kama/Giovinezza,  Artha/Maturità, Moksha/Vecchiaia. Anche l'evoluzione dell'umanità è divisa in  4   età   che   cominciano   con   l'età   della   verità   (Satya­yuga)   o   età   dell'oro   e  finiscono nel Kali­Yuga età dei disordini e dei conflitti (attualmente siamo nel  Kali­Yuga). Quando si trova in uno stato di equilibrio ogni società è ripartita in  4 gruppi principali, da questa ripartizione sono nate le caste: classe intellettuale,  classe   guerriera,   classe   agricola   e   mercantile,   classe   operaia. Secondo   la   tradizione   indù   vi   sarebbero   state   4   creazioni   successive,   che  corrispondono   alle   4   razze   umane.   Le   diverse   razze   si   situano   dunque   a  differenti livelli di evoluzione corrispondenti alle età della vita. Razza bianca (la  più antica) casta dei preti; razza rossa casta dei guerrieri, nobili e re; razza gialla 

degli agricoltori e commercianti, razza nera degli operai.   Ogni gruppo ha i  vantaggi,   diritti   e   doveri   inerenti   alla   sua   natura,   al   suo   stato   sociale.   Ogni  essere che ha ricevuto il dono della vita ha il dovere di trasmetterla. Quindi per  gli indù la sola ragione che fonda la sacralizzazione del matrimonio sta nel fatto  che esso deve avere come unico scopo la perpetuazione di una specie, di una  razza.   L'incrocio   delle   razze   è   nefasto.   La   divisione   della   specie   umana   in  differenti gruppi razziali e sociali, che hanno attitudini differenti, ideali di vita,  modi di espressione religiosa, artistica, intellettuale distinti, è un fatto etnico che  non possiamo modificare. Uno dei principali problemi del mondo sta quindi nel  prendere atto della realtà delle razze, di aiutarle nel loro sviluppo, di permettere  loro  di   coesistere   e   di   cooperare,   avendo   cura   di   evitare   il   loro  incrocio,   di  assegnare   a   ciascuno   i   privilegi   necessari   per   la   felicità,   l'equilibrio   e   il  progresso intellettuale e spirituale senza fornire questi stessi vantaggi ad altri ai  quali sarebbero nocivi. I bisogni degli uomini differiscono come quelli degli  uccelli, dei bovini e dei leoni. Al di fuori del sistema delle caste, che assicura  l'equilibrio tra le funzioni di ogni società, non è mai esistito e non può esistere  alcun sistema che non si risolva nella supremazia tirannica di una delle caste, di  una delle categorie sociali. Sono 4 anche i sistemi di governo tirannico: dittatura  del clero, dittatura aristocratica, dittatura borghese e dittatura del proletariato. In  nessuna di queste forme di governo c'è realmente una legge al di sopra degli  interessi,   delle   idee   e   delle   credenze   del   gruppo   al   potere.   Tutte   vivono   di  propaganda, lavaggi del cervello, oppressione, prigioni, roghi. Nelle dittature  borghesi (capitalismo) per esempio le prigioni sono piene di persone della casta  operaia condannate per piccoli furtarelli o altri "crimini" insignificanti, mentre i  grandi borghesi per delle "appropriazioni" più o meno legali (essendo la legge  fatta da loro e per loro) sono trattati con considerazione per quanto una solo  delle loro malversazioni possa superare quelle di migliaia di prigionieri operai  messe insieme. L'istituzione delle caste, spesso presentata come una forma di  tirannia, è il solo modo per permettere a determinate razze e a talune forme  molto antiche di cultura e di religione di sopravvivere e prosperare in un mondo  da   esse   differente.   La   triste   storia   della   scomparsa   di   numerose   razze  (polinesiani,   aborigeni   dell'Australia,   indiani   d'America,   ecc.)   con   facoltà   di  adattamento meno sviluppate di quelle dei loro conquistatori avrebbe potuto  essere facilmente evitata se un sistema intelligente di caste avesse protetto i loro  costumi,   modo   di   vita,   sistema   sociale,   religione   e   quant'altro,   invece   di  pretendere di volerli assimilare a una civiltà che esige un livello di sviluppo  differente dal loro. Solamente inserendo l'Uomo nell'insieme della Creazione  possiamo realizzare il senso della sua vita. Noi percepiamo il mondo attraverso  la durata, lo spazio, la dimensione, la coscienza, l'immaginazione, la deduzione,  l'intuizione, la sensazione e la percezione sensoriale. La forma di espressione 

comune alle differenti nozioni che possiamo avere della natura del mondo o  dell'apparenza è di ordine matematico. Il linguaggio matematico sembra infatti  essere la forma di espressione la cui natura più si avvicina a quella attraverso la  quale   il   pensiero   dell'Essere   Cosmico   si   esprime   nella   Creazione.   Quando nel sostrato della Coscienza Universale, immobile e neutra, appare un  vortice, una tendenza che si polarizza, si manifesta un'intenzione, una tensione  orientata: la prima nozione che si forma nella coscienza latente che si sveglia è  quella della paura. Ritroveremo sempre la paura come motivo di base di ogni  azione, credenza, religione, di ogni presa di coscienza non solamente sul piano  dell'umano,   ove   possiamo   agevolmente   osservarla,   ma   sul   piano   dell'intera  creazione animata, vivente o inerte, cosciente o incosciente. E' da questa paura  fondamentale che nasce la Coscienza Cosmica, il desiderio di pensare, di creare,  di produrre altro da se stessa, di durare e non solamente di essere in uno stato  neutro eternamente senza forma. Il pensiero, quando appare nella Coscienza  Cosmica, dà vita all'Universo o, più esattamente, l'Universo non è distinto da  questo pensiero. E' dalla vibrazione generata da una prima tensione nel sostrato  cosmico   che   nasce   il   desiderio   di   creare,   fonte   del   pensiero   cosmico   che   è  l'Universo e che percepiamo come realtà apparente del mondo. Qui interviene il  ruolo   dei   microcosmi,   degli   esseri   viventi,   che   sono   degli   anti­universi   in  miniatura, dei piccoli cosmi pensanti e coscienti, ma rovesciati, le cui percezioni  forniscono   all'Universo   una   dimensione,   un'apparenza   di   realtà,   danno   al  pensiero cosmico l'illusione di una realtà materiale. Situato alla cima della scala  degli esseri viventi nel settore dell'Universo che egli percepisce, l'uomo svolge  quindi un ruolo essenziale nel gioco del pensiero creatore, che cessa allora di  essere un sogno poiché viene percepito dall'esterno. Concepito in questo modo  l'uomo trova la sua ragion d'essere. I limiti stessi delle percezioni umane danno  all'Universo la forma che i suoi sensi trasmettono alla sua coscienza. Il sogno  divino assume una forma indipendente, determinata dai limiti delle percezioni  del testimone, e la Coscienza Cosmica può infine, attraverso di lui, attraverso  l'illusione di centri di esistenza indipendenti, vedere il suo sogno fuori di se  stessa.   L'Universo   esiste   nell'uomo   per   l'Essere   Cosmico,   come   esiste  nell'Essere Cosmico per l'uomo. E' attraverso e grazie a questo dualismo che la  Coscienza Universale si manifesta. La realtà di un Universo particolare risiede  dunque   solamente   nei   limiti   delle   percezioni   che   ne   hanno   le   coscienze  individuali   separate   apparentemente,   ma   soltanto   apparentemente,   dalla  Coscienza Universale. Il ruolo degli dei, degli spiriti, delle diverse specie di  uomini o di animali, è quello di recettori che, attraverso i differenti limiti delle  loro percezioni, forniscono diverse sfaccettature al sogno cosmico la cui realtà  diviene una e multipla. Essi sono la controparte necessaria dell'Essere Cosmico  onnisciente,   dunque   cosciente   dell'irrealtà   del   suo   sogno   nel   gioco   della 

creazione   che   ha   bisogno   di   plasmare   delle   coscienze   limitate   per   darsi  l'illusione della propria realtà. Gli esseri, come l'Universo al quale forniscono la  realtà, non esistono quindi che nella misura stessa della loro imperfezione. Non  potrebbe   esistere   alcun   essere   che   contemporaneamente   esista   e   sia   senza  paraocchi. Un angelo, un Dio, se "esiste", non può essere onnisciente. Quali che  siano la durata e l'ampiezza delle coscienze microcosmiche, quale che sia il  destino finale dell'essere umano, immortale o perituro _ ed è inevitabilmente, su  piani   diversi,   entrambe   le   cose   ­,   il   suo   ruolo   in   quanto   testimone   è   la  spiegazione   della   sua   natura,   la   giustificazione   della   sua   esistenza.   L'insieme   delle   leggi   secondo   le   quali   il   mondo   è   creato,   precede  inevitabilmente la sua nascita. Il  Dharma che  è la legge naturale del pensiero  creatore è la natura morale che regge e regola la natura profonda delle cose e la  loro evoluzione; è l'oggetto di ogni conoscenza e di ogni scienza. La metafisica,  la   psicologia,   la   sociologia,   sono   quindi   scienze   esatte   come   la   fisica   o   la  matematica, poiché, come esse, sono ricondotte ad una ricerca delle leggi che  esistono   in   se   stesse   al   di   là   di   ogni   soggettivismo.   L'errore   delle   società  moderne sembra proprio essere ignorare il ruolo dell'umanità nel suo insieme,  formata, come la foresta, apparentemente da esseri individuali ma il cui ruolo  nella creazione è collettivo, e di non rispettare la gerarchia delle specie e d'altro  canto   rigettare   le   mutazioni,   gli   esseri   eccezionali   che   sono   i   punti   di  riferimento dell'evoluzione.  ­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­ (Parigi, 4 ottobre 1907­Losanna, 27 gennaio 1994) E' scomparso il 27 gennaio  1994   in   una   clinica   di   Lonay,   vicino   Losanna   (Svizzera),   il   più   grande  personaggio   del   secolo   XX°,   un   genio   multiforme   degno   (forse)   di   venire  immediatamente dopo Goethe, Michelangelo e Leonardo. Secondo le sue ultime  volontà, il suo corpo è stato cremato "senza riti né cerimonie e la sua morte è  stata per tutti la sua ultima, grande lezione: malgrado le terribili umiliazioni che  la   malattia   gli   aveva  imposto  per  lunghi   mesi   era   voluto  restare  cosciente   e  lucido fino all'ultimo soffio di vita, e nella più grande serenità. Nato a Parigi il 4  ottobre del 1907. Alain Daniélou aveva studiato in Francia e negli Stati Uniti,  occupandosi di danza con Legat, di canto con Panzera, di composizione con  Max   d'Olonne.   Partecipò   al   raid   automobilistico   Parigi­Calcutta   (un'impresa  memorabile,   nel   1934).   Si   legò   a   Cocteau,   Diaghilev,   Max   Jacob,   Maurice  Sachs.   Poi   approfondì   il   suo   interesse   per   la   musica   viaggiando   in   Africa  settentrionale, in Medio Oriente, in Cina, Giappone, Indonesia mettendo radici  per moltissimi anni in India (legandosi con un profondo senso di amicizia al  poeta   Rabindranath   Tagore),   a   Santiniketan   e   a   Benares,   dove   continuò   a 

studiare   e   imparò   il   sanscrito   e   l'hindi,   oltre   alla   filosofia,   nelle   scuole  tradizionali. In questo grande mondo a parte con radici che lo collegano al resto  della  nostra  cultura  occidentale,  Daniélou penetrò dappertutto,  informandosi,  studiando,   chiedendo,   interpretando,   traducendo,   scrivendo.   Diventò   perfino  consigliere del partito ortodosso, il Jana Sangh. Nel 1949 ricevette un incarico  presso   l'università   di   Benares.   Nel   '54,   a   Madras,   diresse   il   Centro   delle  Ricerche   e   della   biblioteca   di   Aydar.   Nel   '56   divenne   membro   dell'Istituto  Francese di Indologia a Pondichéry. Dopo il '59 entrò a far parte della Scuola  Francese dell'Estremo Oriente di Parigi e più tardi era membro del Consiglio  Internazionale della Musica dell'Unesco. Diresse l'Istituto di Studi Comparativi  della   Musica   a   Berlino   (dal   1963   al   1977)  e   a   Venezia   (dal   1')69  al   1982),  l'Antologia Unesco della Musica dell'Oriente e l'Antologia Unesco delle Fonti  Musicali. Tutte queste attività non gli impedirono di continuare a viaggiare in  tutto il mondo e di scrivere decine e decine di libri che ne hanno imposto la  figura di studioso a livello internazionale. Un semplice elenco delle sue opere  prenderebbe   troppo   spazio.   Limitiamoci   a   ricordare   l'eccezionale   "Shiva   e  Dioniso". La "Storia dell'lndia" (1')70), "Le Chemin du Labyrinthe" (che è la  sua   autobiografia),   "Le   Polithéisme   Hindou".   e   le   traduzioni   in   francese   di  ''Manimekhalai   ou   le   scandale   de   la   vertu"   e   del   "Kama­Sutra". "Son apport en cette fin de siècle", comme a dit son ami le plus proche Jacques  Cloarec, "en panne complète d'idéologies sinon d'idées tout simplement, est le  point fort de son influence ce qui fait que je l'aurai rapproché plus de penseurs  comme Marx que de Goethe". "Il suo contributo al finire di questo secolo", ha  detto   Jacques   Cloarec,   l'amico   che   gli   era   più   vicino,   "del   tutto   privo   di  ideologie se non addirittura di idee, è il punto forte della sua influenza a tal  punto che l'ho avvicinato più al pensiero di un Marx che a quello di un Goethe". Alain Daniélou è stato e resterà per lungo tempo la fonte più autorevole, in tutto  il   mondo   occidentale,   alla   quale   rivolgersi   per   avere   una   conoscenza   seria,  informata, non folkloristica, della spiritualità e della religiosità hindu alla quale,  del resto, si era convertito assumendo il nome di "Protetto di Shiva" ("Shiva  Sharan'').   Al   momento   di   regalarmi   una   copia   autografata   del   suo   "Kama­ Sutra", mi chiese se volevo essere io ad occuparmi della traduzione in italiano.  Diedi un'occhiata al volume: più di 600 pagine con centinaia di parole astruse  (Ujjvala   Nilamani,   Chhanda   Vedânga,   Mudhadûtî...)   e   di   concetti   non  facilmenle   digeribili.   Non   me   la   sentivo   proprio   di   assumermi   una   simile  responsabilità, anche se mi aveva garantito ogni assistenza ed anche se la sua  fiducia   in   me   arrivava   al   punto   di   avermi   ribattezzato   "le   Pape   des  Homosexuels"! Così, e con molto dispiacere, declinai l'offerta di  quello che  considero   uno   dei   sette   maestri   più   decisivi   nella   mia   formazione. Il fratello di Alain era stato il cardinale di Parigi Jean Daniélou, che dal pulpito 

tuonava contro il desiderio di certi preti di sposarsi e che lui stesso, nel 1974,  morì proprio mentre aveva un rapporto sessuale con una donna e lo scandalo  scosse   la   Chiesa   francese   fin   nelle   sue   fondamenta!   Chiesi   ad   Alain,   che  considerava il cristianesimo responsabile di buona parte di mali che affliggono  la nostra cultura e la nostra civiltà, cosa pensasse di quel suo fratello principe  della Chiesa e morto in maniera così ipocrita. Sorrise, e con il suo fare bonario  e sornione mentre si accendeva l'ennesima sigaretta (sì, il maestro di morale del  XX° secolo fumava!), gorgogliò: "Mon frère était fou. Era matto. Come si può  essere cristiani e, contemporaneamente, sani di mente? Era proprio matto..." Non bisogna dimenticare, infine, l'influenza che ebbe addirittura sulla sua stessa  amatissima India. Non per niente James Kirkup, su "The Indipendent" del 4  febbraio 1993, sottolineava che fu Daniélou a fermare la furia distruttrice di  Gandhi che si era messa a sfasciare tutte le millenarie statue erotiche conservate  nei templi (ma in realtà si trattava di Tagore), a dimostrare (prove alla mano)  che l'omosessualità non era un "infamante prodotto d'importazione occidentale"  ma   aveva   le   sue   radici   nel   più   profondo   dell'anima   indiana.   E   fu   sempre  Daniélou a scatenare un vero e proprio scandalo allorquando dichiarò che gli  Inglesi avevano perso l'impero nel momento in cui le mogli avevano deciso di  "interferire nei costumi sessuali che i nativi intrattenevano con gli Occidentali  prima che le loro donne facessero il passaggio in India". Anche "Le Monde" (1  febbraio 1994, articolo di André Velter), ha ricordato come la sua "azione, che  portava avanti in condizioni talvotla difficili, ebbe un'influenza considerevole:  non soltanto permise la riscoperta della musica artistica asiatica in Occidente  ma assicurò anche, per un effetto di rimbalzo, la presa in considerazione e la  preservazione   di   queste   musiche   tradizionali   sul   loro   stesso   territorio". Nel 1980 si era ritirato definitivamente in Italia dove, non lontano da Roma,  possedeva   da   tempo   una   meravigliosa   abitazione   immersa   nel   verde   della  campagna laziale che si era dilettato ad affrescare perché Daniélou (me ne stavo  quasi   per   dimenticare)   era   anche   un   bravo   pittore.   Non   mi   sembra   inutile  ricordare che se una delle nostre tre più importanti pubblicazioni (dopo "Ompo"  e ''Rome Gay "News"), si chiama "Sabazio", ciò è conseguenza di uno dei suoi  libri più straordinari e di più profondo impatto: "Shiva e Dioniso". Ed il suo  ultimo scritto è apparso proprio sul numero 12 di "Sabazio, con un intervento  dal   titolo   "Eros   in   India"   nel   quale   affrontava   ampiamente   il   tema  dell'omosessualità in questo grande paese asiatico. ALAIN DANIELOU, SHIVA ET DIONYSO UN   INCONTRO   CON   ALAIN   DANIELOU   A   PROPOSITO   DEL   SUO 

LIBRO: SHIVA ET DIONYSO l’intervista che pubblichiamo usci sulla rivista  francese   “REBIS   ­   revolution   sexuelle   et   tradizion”   nell’autunno   del   1980. Nel corso di quest’anno Alain Danielou è stato pesantemente, volgarmente e  meschinamente oltraggiato dal quotidiano cattolico “AVVENIRE”, ricordiamo  che   il   quotidiano   è   l’organo   di   stampa   della   C.E.I.   cioè   della   Conferenza  Episcopale Italiana. Come al solito i monoteisti sono incapaci di rispondere e  contraddire le affermazioni di chi non si piega alla miseria ed alla meschinità  del   Dio  unico.   I   monoteisti,   nella   loro  versione   cattolica,   non  hanno   esitato  affermare che le sue tesi si possono considerare fonte di ispirazione per alcuni  fatti   di   cronaca   nera;   non  esiste   neanche   la   necessità   di   rispondere  a   simile  affermazioni. Conosciamo e ricordiamo benissimo la capacità degli inquisitori  monoteisti di inventare accuse per il solo piacere di riscaldare il loro cuore alla  vista di qualche rogo. Il nostro è un piccolo contributo alla conoscenza di Alain  Danielou. Nato a Parigi nel 1907 , ALAIN DANIELOU e’ senza dubbio il francese che  più' ha vissuto in famigliarità' con l'India e che la conosce meglio , per averci  abitato per lungo tempo. Dopo gli studi in FRANCIA e negli STATI UNITI ,  egli si consacra prima alla musicologia, viaggia in AFRICA del NORD, nel  vicino   MEDIO   ORIENTE,   in   CINA,   GIAPPONE   e   INDONESIA   ,   poi   si  stabilisce in INDIA, subito a SANTINIKEN, poi a BENARES , dove per più' di  vent’anni   egli   studia   il   SANSCRITO,   la   musica   e   la   filovia   delle   scuole  d’insegnamento tradizionale. Conosce il sanscrito e parla correntemente l’hindi.  Egli ha riunito una collezione unica di manoscritti sanscriti sulla musica. Nel  1949   e’   nominato   professore   incaricato   di   ricerche   presso   l'università'   di  BENARES.   Nel   1954   prende   la   direzione   a   MADRAS   del   CENTRO  RICERCHE DELLA BIBLIOTECA di AYDAR, una delle più' ricche dell'India. Nel   1956   e’   membro   dell'istituto   FRANCESE   D’INDIOLOGIA   DE  PONDICHERY, prosegue i suoi viaggi e le ricerche dall'Indocina all'Iran , dove  registra per la prima volta i più' antichi monumenti della musica tradizionale . Diviene nel 1959 , addetto alla scuola FRANCESE D’ESTREMO ORIENTE a  PARIGI   e,   nel   1960,   consigliere   del   CONSIGLIO   INTERNAZIONALE  DELLA   MUSICA(UNESCO).   Dirige   per   parecchi   anni   l’ISTITUTO   degli  STUDI CORPORATIVI della MUSICA a BERLINO e a VENEZIA, così' come  le   antologie   UNESCO  della   musica   dell’ORIENTE   e  delle   origini   musicali. Come e’ noto ha scritto : YOGA , METODO E REINTREGATION ( L’ARCHE  1952   e1973   ;   POLYTHEISME   HINDOU   (Bouchet­chastel   ,   1960   E   1975)   ;  L’EROTISME   DIVINISE   (Bouchet­chastel,   1963)   ;   LA   SCULPTURE  EROTIQUE HINDOUE (Bouchet­chastel, 1973) ;LES QUATRE SENS DE LA  VITE   (Bouchet­chatel   ,   1976   )   ;   LE   TEMPLE   HINDOU   (Bouchet­chestel,  1977 ) : ­GEORGES GODINET: Alain Danielou, perché' aver intitolato il vostro 

ultimo   libro:   “SHIVA   E   DIONYSOS”?   Cosa   avete   cercato   di   dimostrare  mettendo sullo stesso piano il shivaismo e il dionisismo? ­ALAIN DANIELOU:  Questo   titolo   e’   l’espressione   di   una   realtà'   storica.   Io   sono,   di   formazione  interamente   indù'.   Ho   conosciuto  e   vissuto   l’induismo  e   ,   in   particolare   ,   il  shivaismo durante una gran parte della mia vita e , quando sono tornato in  Occidente,   sono   stato   molto   sorpreso   dagli   evidenti   parallelismi.   Ciò'   m’ha  indotto a chiedermi da dove veniva cio’che questo significava. Sembrava che,  praticamente, non ci fossero delle differenze in ciò' che avevano potuto essere le  origini dei culti dionysiaci e in ciò' che e’ sopravvissuto del shivaismo indiano. ­C.G.: In questa occasione, avete aspramente denunciato ciò' che voi chiamate  “l’illusione MONOTEISTA”. Per quale ragione? ­A.D. : Si tratta semplicemente  d’una concezione che non corrisponde alla realtà' del mondo. Ci sono delle  persone che sono giunte persino a presentare il monoteismo come la più' grande  invenzione dello spirito umano. In fondo il MONOTEISMO e’ una specie di  costruzione logica, semplicistica, che evita di provare e comprendere la natura  del   mondo   e   tutto   ciò'   che   esiste   come   fenomeno   tanto   naturale   come  soprannaturale.   E’   una   semplificazione   aberrante   che   ha   avuto   un   effetto  pericoloso e nefasto nella evoluzione dell'umanità'. ­G.G. : Questa azione molto  nefasta   appariva   particolarmente   nel   dominio   della   sessualità'... ­A.D.   :  L’idea   inverosimile   d’un   Signore   con   barba   che   avrebbe   creato  l’universo   e   che   si   interesserebbe   a   fare   degli   editti,   delle   restrizioni   sul  comportamento umano nei suoi bisogni più' essenziali, non mi pare una cosa  molto seria . Tutto ciò' che e’ restrizione al piacere di vivere, agli istinti che ci  hanno dato gli dei , emanati per delle ragioni sociali , convenzionali o come  mezzo di dominio e tirannia , non ha niente a che vedere con una ricerca del  divino ne’ delle comprensione del mondo . Noi sappiamo molto bene che tutte  le   tirannie   sono   fondamentalmente   anti­erotiche   .   Non   possono   essere   anti­ alimentari   perché'   i   tiranni   non   avrebbero   allora   più'   schiavi   .   Non   si   può'  impedire alle persone di respirare , di mangiare, ma si può' loro impedire di  avere una vita sessuale, di possedere il piacere . Perché' escludere l’amore , che  e’ probabilmente l’espressione più' vicina agli aspetti superiori dell’esistenza , e  ugualmente ciò' che c’e’ di più' fondamentale dal momento che , come dicono  gli Indu’ , l’uomo non e’ che il portante (portatore) DEL SUO SESSO . In  fondo tutto e’ organizzato nel mondo , attorno a questa funzione essenziale .  Probabilmente e’ questa l’immagine più' vicina al creatore.  ­ G.G. : Voi avete  parlato del vostro libro, sempre a proposito del monoteismo, di “TIRANNIA  PATRIARCALE” , dove il proprio sarebbe la persecuzione della sessualità'. Ma  lo   shivaismo   non   ha   una   connotazione   patriarcale   o   perlomeno,   fortemente  maschile?

­A.D.   :  No   ,   perché'   ,   fondamentalmente   ,   dallo   shivaismo   voi   non   potete  escludere il tantrismo . Il  culto  della  Dea  e’ parallelo al culto del principio  maschile . Ad ogni modo la sessualità' , essendo l’unione dei principi, non può'  avere   delle   preferenze   per   l’uno   o   per   l’altro   .  ­G.G.   :   Tuttavia,   questo  contraddice un pò ciò che voi scrivete nella “Scultura erotica indù “ , dove voi  affermate che è necessario che uno dei due principi vinca l’altro . Ora nello  shivaismo , sembra che questo sia il principio fallico che supera il culto della  “yoni”. ­ A.D. : Questa è una questione di livello. Tutto dipende dalla parte da  cui si affronta un problema unico . Non ci possono essere delle opposizioni .  Tutta una parte dell’India non si interessa che alla dea e tutta un’altra da il  predominio al principio maschile . Ma il culto di KALI è diffuso quanto il culto  di   SHIVA   .   Entrambi   fanno   parte   della   stessa   forma   di   pensiero.  ­G.G.   :  Desidererei , giustamente , che voi precisiate le differenze fondamentali che  separano shivaismo e tantrismo. ­A.D. : Non ce ne sono dal punto di vista del  pensiero fondamentale , non c’è una filosofia shivaita differente dal tantrismo ,  come non esiste uno shivaismo indipendente dallo yoga. Questo forma un tutto .  Ciascuno secondo le sue tendenze , la sua natura, ricerca una strada differente  da quella degli altri. Ma tutte le Vie conducono alla stessa meta. Per realizzare il  proprio destino nella creazione , ognuno deve cercare di comprendere la propria  natura e sforzarsi di realizzarla. ­G.G. : Come spiegare dei testi tratti da “SHIVA  PURANA” come questo: “ Nel Kaly­Yuga , la venerazione del fallo è ciò che  esiste di più efficace nel mondo” ­ Forse con la strada della MANO SINISTRA  del   Tantrismo   si   gira   verso   il   polo   femminile   del   mondo? ­A.D. :  Attenzione! Ciò che si chiama fallo in India è uguale all’emblema di  Shiva , il “lingam” è tutto di per sè stesso chiuso nella “yoni”. Non si venera  l’uno indipendentemente dall’altro. Questo dice: esistono sempre le due vie.  Può essere , in un certo senso, il principio maschile è più orientato verso un  certo ascetismoe il culto del principio femminile ( e qui bisogna fare attenzione:  si   tratta   del   culto   del   principio   femminile   attraverso   elementi   maschili)   è  piuttosto   orientato   nel   tantrismo   ,   verso   alcune   forme   di   realizzazione  materiale   ,   più   pratiche.Non   bisogna   dimenticare   che,   malgrado   tutto   ,   il  principio   femminile   è   il   contrario   del   principio   maschile   .   E’   L’ESATTO  OPPOSTO.   E   ciò   è   la   riunione   dei   due   opposti   che   produce   la   scintilla   . ­ G.G. : Il Tantrismo non è più tardivo dello shivaismo ? ­A. D. : No , io non  credo.   L’uno   e   l’altro   escono   da   esperienze   animiste   .   Luno   scandaglia  l’esperienza del soprannaturale attraverso le forme del mondo , attraverso la  materia , le piante, gli animali, gli esseri umani, e li rappresenta sotto un certo  aspetto   .   Seguendo   la   sua   natura,   ciascun   individuo   ,   tende   a   rappresentare  l’invisibile sotto un certo aspetto piuttosto che sotto un’altro. Si ritrova questo  contrasto   dappertutto   .   D’altronde   le   divinità   femminili   diventano   in   alcune 

civiltà   maschili,   le   divinità   maschili   diventano   femminili:   questi   scambi  rappresentano   tuttavia   sempre   delle   differenti   tendenze.   Per   esempio,  nell’induismo   classico,   quando   il   principio   femminile   è   mascolinizzato   e  diviene Visnu’ , non vuol dire che l’attitudine generale dei visnuisti non sia  assai vicino al shaktismo. ­G.G.­ Arriviamo a parlare del principio femminile.  Qual’è  il  posto della  donna  nell’India?  E’cambiato secondo  i  periodi  storici  oppure c’è una costanza? ­A.D. : C’è per forza una costanza. E’ un pò come se  mi domandaste se il ruolo di tigre e il ruolo di capriolo sono cambiati nel corso  della storia. C’è uno che mangia l’altro. Questo è l’ordine della natura . Le  differenze di natura tra un essere femminile e uno maschile sono profonde, salvo  verso il punto ideale dove sono androgini. Il ruolo della donna o dell’uomo  attraverso il rapporto l’uno a l’altro, è in fondo una questione di convenzioni  sociali.   Ci   sono  in  India   alcune   società   che   sono  matriarcali   e   ciò  funziona  molto bene ; ce ne sono altre che sono patriarcali e questo funziona altrettanto  bene. Che la proprietà o i diritti civili favoriscano la donna o l’uomo, non ha un  granché   a   vedere   con   il   ruolo   magico,   in   qualche   modo,   del   loro  ricongiungimento.  ­G.G. : Quali sono state le conseguenze sul piano sociale,  dell’influenza   mussulmana?   In   quale   parte   dell’India   questa   influenza   si   è  principalmente  manifestata?  ­ A.  D.  :  Evidentemente  l’Islam  ignora  il  ruolo  della   donna.   E’   ad   un   tratto   la   degradazione   del   principio   femminile. Che   l’erotismo   giochi   un   ruolo   nell’Islam,   è   inevitabile   in   una   società  qualunque   essa   sia   .   Ma,   sperimentalmente,   in   ogni   caso   nell’India,   sotto  l’influenza mussulmana, la donna ha perso tutti i suoi privilegi. Essa è diventata  un oggetto. E’ una comodità che serve a fare dei figli, dei bambini. L’Islam è  evidentemente una delle società tra le più antifemministe che ci siano. L’unione  dei sessi nel mondo islamico non ha il carattere magico e sacro che questa ha  presso gli Indù ­G. G. ­ Come spiegare ad uno spirito europeo moderno in che  cosa l’atto d’amore può essere utilizzato come mezzo per ritornare al principio,  di   entrare   in   contatto   diretto   con   Dio?   ­   A.   D.   ­  C’è   un   detto   prettamente  occidentale che dice : “Non c’è Santo senza passato e non c’è peccatore senza  futuro”. Ciò vuol dire che delle persone che non hanno l’esperienza di ciò che è  l’amore   sotto   le   sue   forme   più   carnali,   nelle   sue   esperienze   maggiormente  estatiche, non sono del tutto preparate a trasporre ciò su di un piano differente .  Non c’è niente di più pericoloso , lo si sa sufficientemente dalla storia , della  gente che non ha esperienze erotiche . Queste sono persone malefiche. Si sa  molto bene che Napoleone aveva un sesso infantile e che Lenin era impotente.  Noi abbiamo nell’occasione dell’atto procreativo ­ vuol dire nell’occasione di  ciò che è maggiormente vicino all’atto creatore ­ un'esperienza di gioia , di  voluttà,   di   felicità,   che   supera   di   molto   la   ragione   (essendo   l’amore   un  godimento irrazionale) . Sembra giusto comparare questa esperienza allo stato 

divino che è pura gioia, pura voluttà . Infatti, l’esperienza dello stato mistico  evoca l’immagine dell’erotismo. ­G. G. ­ Come si colloca qui l’ermafrodita l”  Ardhanarishvara ? ­ A. D. :  E’  una questione di livello nella gerarchia della  creazione. Tutte le religioni hanno una leggenda di un ermafrodito primordiale.  Eva è stata formata da una costola di Adamo, dunque Adamo era nello stesso  tempo maschio e femmina : era androgino. E l’esperienza più profonda non è la  realizzazione “in se stessa” di elementi maschili e femminili. Poiché tutti gli  esseri viventi provengono, all’origine, da un essere androgino, resta sempre: non  esiste alcun uomo o donna che non abbia un elemento dell’altro sesso. Niente  non esiste dove i due aspetti non siano rappresentati: l’uno non può esistere che  dall’altro attraverso l’altro. In alcun momento , non possono essere totalmente  separati perché questo sarebbe la fine dell’esistenza. E c’è, sicuramente, in certe  esperienze magiche mistiche, la ricerca di un ritorno allo stato androgino. Lo  sciamano,   in   tutte   le   religioni   dove   si   pratichi   lo   sciamanismo,   è  fondamentalmente   androgino,   ciò   si   esprime   talora   sotto   forme   più   o   meno  omosessuali:   lo   sciamano   si   veste   da   donna,   prende   un   marito   e   ,   in   quel  momento, acquisisce dei poteri magici. Si può realizzare l’unione dei contrari in  tutti i modi . ­ G. G. : A proposito di pratiche omosessuali, non avete esitato a  scrivere che la delinquenza giovanile non esiste là dove l’amore pederastico è la  regola. L’unione dei ...simili permetterebbe di raggiungere lo stesso stato che  l’unione dei contrari? ­ A. D. : Ci sono ugualmente delle sette, dei gruppi, che  considerano che l’omosessualità è una forma più alta , nella misura dove i due  elementi sono,in qualche modo, molto più intricati , “aggrovigliati”. La polarità  esiste   sempre   ad   un   certo   livello.   La   questione   è   di   sapere   se   si   sviluppa  l’aspetto contrario o se si accentua l’aspetto predominante . E’ una cosa molto  curiosa vedere che la concezione virile che si fanno gli Occidentali ignora il  periodo in cui il ragazzo è femminile e la ragazza è mascolina. C’è un periodo  omosessuale in tutti gli esseri ed è estremamente pericoloso ignorarlo per ciò  che concerne la formazione del carattere. Si può arrivare a dire che le persone  violentemente  anti­omosessuali  sono malate.  ­  G.  G.  :  Ma  non  è  necessario  educare la virilità in un ragazzo e la femminilità in una ragazza al fine che la  loro unione sia maggiormente arrichita? ­ A. D. : Nulla lo prova. Io credo che  ciò sia completamente falso. E’ una idea assurda, il fatto che dei bambini, in un  certo periodo, avrebbero delle tendenze nei riguardi del loro stesso sesso, non  lede assolutamente il loro sviluppo ulteriore. ­ G. G. : Voi stesso avete evocato ,  in “Shiva e Dionysos”, l’iniziazione omosessuale maschile. ­ A. D. : Essa esiste  in   molte   popolazioni.   Esisteva   preso   i   greci,   in   molti   popoli   africani,   in  Indonesia.   La   questione   è   di   comprendere   la   natura   delle   cose.   Ciò   che  caraterizza   gli   Occidentali,   è   che   vogliono   riformare   prima   di   comprendre.  Questa   volontà   riformatrice   è   il   più   grosso   ostacolo   che   impedisce   agli 

Occidentali di realizzare un equilibrio sociale umano.  ­ G. G. : Quale posto  occupa il KAMASHATRA, la scienza erotica, nell’India tradizionale ? Quali  sono   i   suoi   principali   testi?   ­   A.   D.   :  Ce   ne   sono   molti.   Al   di   fuori   del  Kamashatra e dei suoi componenti, c’è un gran numero di trattati. Il loro studio  fa parte della formazione dei bambini nelle scuole tradizionali indiane. Fra i  testi che devono studiare gli allievi , a partire dai 6 o 7 anni, c’è il Kamashatra o  dei   libri   analoghi.   Queste   sono   delle   opere   puramente   tecniche.   I   bambini  conoscono così l’alfabeto delle loro esperienze future. Sono cose che le persone  sensate dovrebbero studiare normalmente. Ciò fa parte della scienza. ­ G. G. :  Quale ruolo gioca la nudità in India? ­ A. D. : La nudità è il segno del distacco.  Questi sono i santi, i monaci, le persone che rinunciano al mondo, che vanno  nudi. Ho avuto a casa mia , a Benares, un giovane monaco del sud dell’India.  Mi ha chiesto di abitare nei pressi di casa mia, vicino al Gange. Egli è rimasto là  , con il suo libro di preghiere, a fare il suo PUJAH durante un mese o due. Un  giorno, è venuto a vedermi e mi ha detto :”Sono troppo attaccato ai beni di  questo mondo.” M’ha regalato il suo libro di preghiere, ha lasciato cadere i  vestiti,   ed   è   partito   tutto   nudo.  ­   G.   G.   :   Nel   corso   dei   vostri   soggiorni   e  peregrinazioni in India,avete osservato alcune sopravvivenze della prostituzione  sacra? ­ A. D. : Praticamente no. Questa è stata rigorosamente interdetta. Non ci  sono delle prostitute nei templi. Ma malgrado tutto , ancora oggi, le prostitute  rimangono una casta. Le più grandi danzatrici dell’India appartengono a questa  casta.   Tuttavia   ,   la   prostituzione   non   ha   il   carattere   grossolano   che   ha   in  Occidente. Molte delle prostitute che ho conosciuto a Benares (spesso grandi  cantanti e grandi artiste) sono delle donne che si lasciano corteggiare per lungo  tempo   prima   che   si   possano   ottenere   i   loro   favori   .   Si   va   a   casa   loro,   si   è  ricevuti, ci si interessa alla loro musica, alle loro danze. Se loro trovano l’uomo  simpatico   ,   possono   darsi   a   lui.   Infatti,   tutte   le   donne   che   hanno   avuto   dei  rapporti sessuali con più di un uomo, fanno parte della casta delle prostitute .  Quella donna non è più atta a perpetuare la casta di origine . In Occidente , ce  ne sarebbero parecchie! Questa cosa è molto importante dal punto di vista della  razza   poiché   in   India   si   da   grande   importanza   al   dovere   di   ciascuno   di  mantenere la purezza della propria specie. ­ G. G. : La rivoluzione sessuale che  ha  scosso  per qualche  anno  gli  Stati  Uniti   e  l’Europa   dell’Ovest,  vi  sembra  coincida con un ritorno di Dionisio? ­ A. D. : Ci sono tanti tipi di segnali , dove  la rivoluzione sessuale non è che un aspetto. C’è pure un distacco dei valori  materiali   estremamente   accentuato.   Se   tra   i   giovani,   questa   tendenza   fosse  meglio indirizzata , sarebbe molto vicina alla concezione Indù. Ugualmente c’è  la ricerca di certe forme di danza che si avvicinano alle danze estatiche. Un  impulso esiste, che poi sfoci in qualche cosa, è da vedere.

Tantra e sessualità (Alain Daniélou) Un brano dell'indologo shivaita Alain Daniélou sul significato della sessualità  nell'approccio   tantrico­shivaita.   É   nella   bellezza   dei   corpi   e   nell’intensità  dell’amore che si e più vicini alla felicità e allo stato divino. La prima volta che  sono   stato   in   India   avevo   ventiquattro   anni,   era   nel   1932,   e   non   avevo   mai  pensato   all’India,   non   m’interessava   per   niente.   Ma   durante   un   viaggio   in  Afganistan sono passato per l’india e l’ho trovata stupenda, tanto che ci sono  ritornato. Vi ho trovato una, civiltà dove c’era veramente la libertà di vivere, di  pensare e di essere come desideravo da sempre, e una bellezza straordinaria  degli esseri umani. In India trovavo la conferma che il rapporto tra l’amore  fisico e la vita spirituale è una realtà fondamentale. Nell’induismo il successo  del viaggio della vita umana consiste in quattro cose da realizzare il meglio  possibile:   la   virtù,   la   ricchezza,   l’amore   e   la   vita   spirituale.   La   virtù   e   il  successo materiale legano al mondo, mentre l’amore e la vita spirituale fanno  uscire fuori dai legami del mondo e sono l’immagine l’uno dell’altra. Nel senso  che la beatitudine divina è in un rapporto di consonanza con l’estasi che si  sperimenta nell’atto d’unione. Il sesso che più avvicina al divino non è quello  matrimoniale, ma l’amore libero non vincolato ai doveri sociali di casta e alla  riproduzione. L’amore è dove ognuno, ognuna, prova la beatitudine più grande.  Il  matrimonio,  al  contrario,  è  più vicino  alla   società  e  agli  obblighi  sociali.  Negare il sesso e il desiderio sessuale significa restarne schiavi. Ma allorché  uno realizza, come nello shivaismo, che il sesso maschile eretto è l’immagine  più   appropriata   dell’atto   creatore   del   Dio,   allora   si   può   iniziare   a   capire  qualcosa   delle   forze   naturali   che   lo   legano,   e   incominciare   a   liberarsene…  Nell’induismo   il   fallo   di   Shiva   e   presentato   nell’organo   femminile.   E,   se   si  osserva bene, si trova invertito per rapporto alla vulva. Non la penetra, ma, al  contrario,   stretto   dall’organo   femminile   alla   sua   base,   se   ne   svincola   per  drizzarsi libero verso lo zenit. Il Tutto si dualizza, un solo Principio diventa due  Principi e ciascuno è tale per l’altro. La polarità dell’archetipo primordiale, così  potentemente ripreso nello shivaismo, corrisponde al gioco stesso del cosmo,  all’antagonismo   crudele   e   fecondo   del   maschile   e   del   femminile.   L’energia  seminale versata nella vulva fa nascere la vita, l’armonia delle forme. E ciò  pertiene alla Natura e si collega al culto della Madre, teso a utilizzare l’erotismo  per perfezionare l’essere umano, sviluppandone le capacità immediate e i poteri  magici   e   mentali   presenti   in   lui.   Ma   allorché,   come   accade   nelle   gerarchie  shivaite monastiche più alte, ci si rivolge al principio maschile, questa stessa  energia   seminale,   allorché   si   libera   dall’aspetto   inferiore   della   procreazione  materiale,   diventa   la   sostanza   dell’intelletto…   Nel   gioco   delle   forze 

dell’universo non c’è, inoltre, un padrone, personale o impersonale, al centro o  in ogni sua parte. E niente ha un valore predominante o assoluto. Shiva è senza  vita (sbava) e il mondo non può esistere senza l’energia della dea. Questa, che è  la Potenza del Tempo, è cieca senza l’orientamento del principio creatore che  conduce al distacco, alla liberazione dalle catene dell’esistenza condizionata e  della trasmigrazione. Ogni essere è androgino, nel senso che sul piano creato  non esiste alcun elemento che non partecipi dei due principi, che non sia cioè  una mescolanza di mascolinità e di femminilità. Tutte le cellule del nostro corpo  sono formate da elementi positivi e negativi, che ci costituiscono come per una  differenza di potenziale, un campo vibrante di potenzialità a diversi livelli. La  bisessualità a predominanza maschile corrisponde all’equilibrio dell’intelletto e  riflette   l’ordinamento   della   luce   che   si   manifesta   come   bellezza.   Pertanto   è  l’adolescente maschile che rappresenta la perfezione dell’uomo a immagine di  quella degli dei. Gli dèi, si legge nei testi tradizionali, sono degli adolescenti di  sedici anni. Sedici anni è, nell’uomo, l’età dell’equilibrio delle facoltà fisiche e  mentali, l’età dell’amore, del disinteresse e della vera saggezza. Nelle società  dominate dai vecchi è anche un’età pericolosa se privata dei suoi diritti e delle  sue   responsabilità  Quanto all’unione   di  lingam  (il  ’segno’ di  Shiva,   il  sesso  maschile)   con  yoni  (la   ‘Shakti’,   il   sesso   femminile),   questa   rappresenta   la  voluttà, il punto limite del piacere, ed è specchio della beatitudine divina. Le  donne   di   conoscenza   venerano   in   se   stesse   gli   stessi   simboli   dell’uomo.   Le  forme degli organi sessuali che differenziano il maschio dalla femmina sono  senz’altro simboli. Ma lo sono per la loro stessa natura. In altra parole, non si  tratta di un caso, perché nell’Universo niente è illogico, niente accade a caso.  Assumendo come immagine della causalità divina il fallo eretto e la vulva non  attribuiamo a una forma anatomica accidentale un senso simbolico. È proprio  tale forma a rivelarci un aspetto fondamentale della natura del mondo e della  Persona   Cosmica.   L’unione   dei   sessi   è   l’espressione   vivente   della   natura  vibrante e beata nell’Essere, sia se la consideriamo sul piano fisico, mentale,  intellettuale, sottile o trascendente. Riflettendo sull’unione sessuale, questa ci  rivela il segreto della natura divina finalmente e da sempre giunta a se stessa.  Tutte le forme di tale unione, tutte le posizioni in cui si può praticare, tutte le  varianti hanno un senso profondo e magico, che di fatto corrisponde alle diverse  potenzialità del creato. Il divino è manifesto in ogni atto di procreazione, in ogni  creazione, in ogni forma di piacere e nell’intensità di ogni forma di voluttà.  L’ascetismo e l’emasculazione sia dell’uomo sia della donna non portano, al  contrario,   né   al   divino   né   alla   saggezza,   ma   alla   crudeltà   e   all’ipocrisia.  L’importante è comprendere le ragioni profonde del vivente, del mondo e del  divino, che si manifestano nel piacere dei corpi vivi, e non nell’astrazione di  qualche   spiritualità   separata   dal   mondo   così   com’è   e   dal   vivente.   Morale   e 

sessualità Il sesso è un’esperienza che, nolenti o volenti, ci ’segna’ comunque e  ci aiuta a capire valori superiori. La liberazione non è possibile per coloro che  non hanno pienamente realizzato, nei modi e nei tempi più opportuni, la loro  felicità umana, i piaceri dei sensi Questa realizzazione di sé sul piano sensoriale  non può esistere nella miseria e nel disordine, e quindi occorre realizzare se  Stessi anche sul piano sociale agendo in conformità al proprio dharma, ovvero  nell’esercizio di quella virtù e di quei talenti per i quali ognuno, ognuna, si  conforma  a sua propria  natura e realizzazione  di  sé sul  piano individuale. I  quattro scopi della vita  (Dharma ­ virtù, Artha ­ ricchezza, Kama ­ piacere,   Moksha   ­   liberazione),   benché   interdipendenti   sono   raggruppati   in   due  categorie: da una parte quelli che ci attaccano al mondo delle apparenze e delle  forme, e che sono la virtù e il successo materiale; e dall’altra quelli che ce ne  distolgono   e   che   sono   la   voluttà   e   la   liberazione.   La   virtù   concerne   la  realizzazione   di   sé   sul   piano   individuale,   mentre   il   successo   materiale   e   la  prosperità concernono la realizzazione di sé sul piano sociale, e l’erotismo la  realizzazione di sé sul piano sensoriale, tramite il quale si rende possibile la  liberazione. L’ebbrezza amorosa, questo apice di euforia in cui dimentichiamo  tutto,  la  ragione,   la  saggezza,   la   prudenza,  le  leggi  sociali,   i  nostri   interessi  umani, è l’immagine dell’ebbrezza mistica che conduce alla totale rinuncia e ala  realizzazione sul piano spirituale. In India si dice che allorché un essere umano  inizia a sfuggire all’ignoranza e tende a una comprensione più profonda della  natura del mondo e dei segreti dell’universo, in quel momento le forze della  natura gli sono contro. E anche la società, temendo per la sua durata e per la sua  coesione,   gli   si   pone   contro.   Qui   lo   shivaismo   rappresenta   un   movimento  controcorrente, uno sforzo per un modo di vivere più libero e più felice, in un  reale più largo. In tale ambito il Sesso non viene considerato né un dovere né un  semplice divertimento. E questo lo si può comprendere quando, nel corso della  nostra   breve   esistenza,   si   fa   l’amore   considerando   la   natura   ultramondana   e  spirituale di tale divina esperienza. Ma astrarre l’estasi dal corpo vivente è una  forma   di   autoinganno.   Proprio   separando   il   corpo   dallo   spirito   numerosi  cristiani   hanno   perso   il   senso   del   divino   nel   mondo.   Persuasi   da   una  semplicistica metafisica estroversa, credono che Dio sia una persona separata  dal mondo e dal Fuoco per il quale si creano, si distruggono o s’illuminano i  mondi. Chi invece cerca di comprendere che non siamo separati dalle radici del  reale e percepisce l’immensa e segreta presenza del divino, lo trova in ogni  alito, in ogni fremito amoroso e in ogni atto della vita. INCONTRO CON ALAIN DANIELOU SU "SHIVA ET DIONYSO"  L'intervista che pubblichiamo usci sulla rivista francese "REBIS ­ revolution  sexuelle   et   tradizion"   nell'autunno   del   1980.   Nel   corso   di   quest'anno   Alain 

Danielou è stato pesantemente, volgarmente e meschinamente oltraggiato dal  quotidiano cattolico "AVVENIRE", ricordiamo che il quotidiano è l'organo di  stampa della C.E.I. cioè della Conferenza Episcopale Italiana. Come al solito i  monoteisti sono incapaci di rispondere e contraddire le affermazioni di chi non  si piega alla miseria ed alla meschinità del Dio unico. I monoteisti, nella loro  versione   cattolica,   non   hanno   esitato   affermare   che   le   sue   tesi   si   possono  considerare   fonte   di   ispirazione   per   alcuni   fatti   di   cronaca   nera;   non   esiste  neanche   la   necessità   di   rispondere   a   simile   affermazioni.   Conosciamo   e  ricordiamo benissimo la capacità degli inquisitori monoteisti di inventare  accuse per il solo piacere di riscaldare il loro cuore alla vista di qualche rogo. Il  nostro  è   un  piccolo  contributo  alla   conoscenza   di   Alain  Danielou.   (...)Alain  Danielou, perché aver intitolato il vostro ultimo libro: "SHIVA E DIONYSOS"?  Cosa avete cercato di dimostrare mettendo sullo stesso piano lo shivaismo e il  dionisismo?   Questo   titolo   e'   l'espressione   di   una   realtà'   storica.   Io   sono   di  formazione   interamente   indù'.   Ho   conosciuto   e   vissuto   l'induismo   e,   in  particolare, lo shivaismo durante una gran parte della mia vita e, quando sono  tornato in Occidente, sono stato molto sorpreso dagli evidenti parallelismi. Ciò  m'ha indotto a chiedermi da dove veniva ciò' che questo significava. Sembrava  che, praticamente, non ci fossero delle differenze in ciò' che avevano potuto  essere   le   origini   dei   culti   dionysiaci   e   in   ciò'   che   e'   sopravvissuto   dello  shivaismo indiano.In questa occasione, avete aspramente denunciato ciò' che voi  chiamate   "l'illusione   MONOTEISTA".   Per   quale   ragione?   Si   tratta  semplicemente d'una concezione che non corrisponde alla realtà' del mondo.  Ci sono delle persone che sono giunte persino a presentare il monoteismo come  la più' grande invenzione dello spirito umano. In fondo il MONOTEISMO e'  una   specie   di   costruzione   logica,   semplicistica,   che   evita   di   provare   e  comprendere la natura del mondo e tutto ciò' che esiste come fenomeno tanto  naturale come soprannaturale. E' una semplificazione aberrante che ha avuto un  effetto pericoloso e nefasto nella evoluzione dell'umanità'. Questa azione molto  nefasta   appariva   particolarmente   nel   dominio   della   sessualità'...L'idea  inverosimile   d'un   Signore   con   barba   che   avrebbe   creato   l'universo   e   che   si  interesserebbe a fare degli editti, delle restrizioni sul comportamento umano nei  suoi bisogni più' essenziali, non mi pare una cosa molto seria. Tutto ciò' che e'  restrizione al piacere di vivere, agli istinti che ci hanno dato gli dei, emanati per  delle ragioni sociali, convenzionali o come mezzo di dominio e tirannia, non ha  niente   a   che   vedere   con   una   ricerca   del   divino   ne'   delle   comprensione   del  mondo. Noi sappiamo molto bene che tutte le tirannie sono fondamentalmente  anti­erotiche. Non possono essere anti­alimentari perché' i tiranni non avrebbero  allora più' schiavi. Non si può' impedire alle persone di respirare, di mangiare,  ma si può' loro impedire di avere una vita sessuale, di possedere il piacere. 

Perché'  escludere  l'amore,  che  e'  probabilmente   l'espressione   più'  vicina   agli  aspetti superiori dell'esistenza, e ugualmente ciò' che c'è' di più' fondamentale  dal   momento   che,   come   dicono   gli   Indù',   l'uomo   non   e'   che   il   portante  (portatore) DEL SUO SESSO. In fondo tutto e' organizzato nel mondo attorno a  questa funzione essenziale. Probabilmente e' questa l'immagine più' vicina al  creatore. Voi avete parlato del vostro libro, sempre a proposito del monoteismo,  di   "TIRANNIA   PATRIARCALE"   ,   dove   il   proprio   sarebbe   la   persecuzione  della   sessualità'.   Ma   lo   shivaismo   non   ha   una   connotazione   patriarcale   o  perlomeno,   fortemente   maschile?No,   perché',   fondamentalmente,   dallo  shivaismo voi non potete escludere il tantrismo. Il culto della Dea e' parallelo al  culto del principio maschile. Ad ogni modo la sessualità', essendo l'unione dei  principi, non può' avere delle preferenze per l'uno o per l'altro. Tuttavia, questo  contraddice un po' ciò che voi scrivete nella "Scultura erotica indù", dove voi  affermate  che  è  necessario  che  uno  dei   due   principi   vinca   l'altro.  Ora   nello  shivaismo, sembra che questo sia il principio fallico che supera il culto della  "yoni".Questa è una questione di livello. Tutto dipende dalla parte da cui si  affronta un problema unico. Non ci possono essere delle opposizioni. Tutta una  parte dell'India non si interessa che alla dea e tutta un'altra dà il predominio al  principio maschile. Ma il culto di KALI è diffuso quanto il culto di SHIVA.  Entrambi fanno parte della stessa forma di pensiero. Desidererei, giustamente,  che   voi   precisiate   le   differenze   fondamentali   che   separano   shivaismo   e  tantrismo. Non ce ne sono dal punto di vista del pensiero fondamentale, non c'è  una filosofia shivaita differente dal tantrismo, come non esiste uno shivaismo  indipendente   dallo   yoga.   Questo   forma   un   tutto.   Ciascuno   secondo   le   sue  tendenze, la sua natura, ricerca una strada differente da quella degli altri. Ma  tutte le Vie conducono alla stessa meta. Per realizzare il proprio destino nella  creazione, ognuno deve cercare di comprendere la propria natura e sforzarsi di  realizzarla. Come spiegare dei testi tratti da "SHIVA PURANA" come questo:  "Nel Kaly­Yuga, la venerazione del fallo è ciò che esiste di più efficace nel  mondo" ­ Forse con la strada della MANO SINISTRA del Tantrismo si gira  verso il polo femminile del mondo?Attenzione! Ciò che si chiama fallo in India  è uguale all'emblema di Shiva, il "lingam" è tutto di per sé stesso chiuso nella  "yoni". Non si venera l'uno indipendentemente dall'altro. Questo dice: esistono  sempre le due vie. Può essere, in un certo senso, il principio maschile è più  orientato  verso  un   certo  ascetismo   e   il   culto  del   principio   femminile   (e   qui  bisogna fare attenzione: si tratta del culto del principio femminile attraverso  elementi maschili) è piuttosto orientato nel tantrismo, verso alcune forme di  realizzazione materiale, più pratiche. Non bisogna dimenticare che, malgrado  tutto, il principio femminile è il contrario del principio maschile. E' L'ESATTO  OPPOSTO.   E   ciò   è   la   riunione   dei   due   opposti   che   produce   la   scintilla.   Il 

Tantrismo non è più tardivo dello shivaismo? No, io non credo. L'uno e l'altro  escono da esperienze animiste. L'uno scandaglia l'esperienza del soprannaturale  attraverso le forme del mondo, attraverso la materia, le piante, gli animali, gli  esseri umani, e li rappresenta sotto un certo aspetto. Seguendo la sua natura,  ciascun   individuo,   tende   a   rappresentare   l'invisibile   sotto   un   certo   aspetto  piuttosto che sotto un'altro. Si ritrova questo contrasto dappertutto. D'altronde le  divinità   femminili   diventano   in   alcune   civiltà   maschili,   le   divinità   maschili  diventano   femminili:   questi   scambi   rappresentano   tuttavia   sempre   delle  differenti   tendenze.   Per   esempio,   nell'induismo   classico,   quando   il   principio  femminile   è   mascolinizzato   e   diviene   Visnu',   non   vuol   dire   che   l'attitudine  generale dei visnuisti non sia assai vicina al shaktismo.Arriviamo a parlare del  principio femminile. Qual è il posto della donna nell'India? E' cambiato secondo  i periodi storici.                                                          Psiconautica  costanza? C'è per forza una costanza. E' un po' come se mi domandaste se il  ruolo di tigre e il ruolo di capriolo sono cambiati nel corso della storia. C'è uno  che mangia l'altro. Questo è l'ordine della natura. Le differenze di natura tra un  essere femminile e uno maschile sono profonde, salvo verso il punto ideale dove  sono androgini. Il ruolo della donna o dell'uomo attraverso il rapporto tra l'una e  l'altro, è in fondo una questione di convenzioni sociali. Ci sono in India alcune  società che sono matriarcali e ciò funziona molto bene; ce ne sono altre che  sono patriarcali e questo funziona altrettanto bene. Che la proprietà o i diritti  civili favoriscano la donna o l'uomo, non ha un granché a vedere con il ruolo  magico,   in   qualche   modo,   del   loro   ricongiungimento.   Quali   sono   state   le  conseguenze   sul   piano   sociale,   dell'influenza   mussulmana?   In   quale   parte  dell'India   questa   influenza   si   è   principalmente   manifestata?   Evidentemente  l'Islam ignora il ruolo della  donna. E' ad un tratto la degradazione del principio  femminile. Che l'erotismo giochi un ruolo nell'Islam, è inevitabile in una società  qualunque   essa   sia.   Ma,   sperimentalmente,   in   ogni   caso   nell'India,   sotto  l'influenza mussulmana, la donna ha perso tutti i suoi privilegi. Essa è diventata  un oggetto. E' una comodità che serve a fare dei figli, dei bambini. L'Islam è  evidentemente una delle società tra le più antifemministe che ci siano. L'unione  dei sessi nel mondo islamico non ha il carattere magico e sacro che questa ha  presso gli Indù. Come spiegare ad uno spirito europeo moderno in che cosa  l'atto d'amore può essere utilizzato come mezzo per ritornare al principio, di  entrare in contatto diretto con Dio? C'è un detto prettamente occidentale che  dice: "Non c'è Santo senza passato e non c'è peccatore senza futuro". Ciò vuol  dire che delle persone che non hanno l'esperienza di ciò che è l'amore sotto le  sue forme più carnali, nelle sue esperienze maggiormente estatiche, non sono 

del tutto preparate a trasporre ciò su di un piano differente. Non c'è niente di più  pericoloso,   lo   si   sa   sufficientemente   dalla   storia,   della   gente   che   non   ha  esperienze   erotiche.   Queste   sono   persone   malefiche.   Si   sa   molto   bene   che  Napoleone aveva un sesso infantile e che Lenin era impotente. Noi abbiamo  nell'occasione   dell'atto   procreativo   ­   vuol   dire   nell'occasione   di   ciò   che   è  maggiormente   vicino   all'atto   creatore   ­   un'esperienza   di   gioia,   di   voluttà,   di  felicità,   che   supera   di   molto   la   ragione   (essendo   l'amore   un   godimento  irrazionale). Sembra giusto comparare questa esperienza allo stato divino che è  pura   gioia,   pura   voluttà.   Infatti,   l'esperienza   dello   stato   mistico   evoca  l'immagine dell'erotismo. Come si colloca qui l'ermafrodita Ardhanarishvara? E'  una questione di livello nella gerarchia della creazione. Tutte le religioni hanno  una leggenda di un ermafrodito primordiale. Eva è stata formata da una costola  di   Adamo,   dunque   Adamo   era   nello   stesso   tempo   maschio   e   femmina:   era  androgino. E l'esperienza più profonda non è la realizzazione "in se stessa" di  elementi   maschili   e   femminili.   Poiché   tutti   gli   esseri   viventi   provengono,  all'origine, da un essere androgino, resta sempre: non esiste alcun uomo o donna  che non abbia un elemento dell'altro sesso. Niente non esiste dove i due aspetti  non siano rappresentati: l'uno non può esistere che dall'altro attraverso l'altro.  In   alcun   momento,   non   possono   essere   totalmente   separati   perché   questo  sarebbe la fine dell'esistenza. E c'è, sicuramente, in certe esperienze magiche  mistiche, la ricerca di un ritorno allo stato androgino. Lo sciamano, in tutte le  religioni dove si pratichi lo sciamanismo, è fondamentalmente androgino, ciò si  esprime talora sotto forme più o meno omosessuali: lo sciamano si veste da  donna, prende un marito e, in quel momento, acquisisce dei poteri magici. Si  può   realizzare   l'unione   dei   contrari   in   tutti   i   modi.   A   proposito   di   pratiche  omosessuali, non avete esitato a scrivere che la delinquenza giovanile non esiste  là dove l'amore pederastico è la regola. L'unione dei simili permetterebbe di  raggiungere lo stesso stato che l'unione dei contrari? Ci sono ugualmente delle  sette, dei gruppi, che considerano che l'omosessualità è una forma più alta, nella  misura   dove   i   due   elementi   sono,   in   qualche   modo,   molto   più   intricati,  "aggrovigliati". La polarità esiste sempre ad un certo livello. La questione è di  sapere se si sviluppa l'aspetto contrario o se si accentua l'aspetto predominante.  E'   una   cosa   molto   curiosa   vedere   che   la   concezione   virile   che   si   fanno   gli  Occidentali   ignora   il   periodo   in   cui   il   ragazzo   è   femminile   e   la   ragazza   è  mascolina. C'è un periodo omosessuale in tutti gli esseri ed è estremamente  pericoloso ignorarlo per ciò che concerne la formazione del carattere. Si può  arrivare a dire che le persone violentemente anti­omosessuali sono malate. Ma  non è necessario educare la virilità in un ragazzo e la femminilità in una ragazza  al fine che la loro unione sia maggiormente arricchita? Nulla lo prova. Io credo  che ciò sia completamente falso. E' una idea assurda, il fatto che dei bambini, in 

un certo periodo, avrebbero delle tendenze nei riguardi del loro stesso sesso,  non lede assolutamente il loro sviluppo ulteriore. Voi stesso avete evocato, in  "Shiva e Dionysos", l'iniziazione omosessuale maschile. Essa esiste in molte  popolazioni. Esisteva preso i greci, in molti popoli africani, in Indonesia. La  questione   è   di   comprendere   la   natura   delle   cose.   Ciò   che   caratterizza   gli  Occidentali, è che vogliono riformare prima di comprendere. Questa volontà  riformatrice è il più grosso ostacolo che impedisce agli Occidentali di realizzare  un equilibrio sociale umano. Quale posto occupa il KAMASHATRA, la scienza  erotica, nell'India tradizionale? Quali sono i suoi principali testi? Ce ne sono  molti. Al di fuori del Kamashatra e dei suoi componenti, c'è un gran numero di  trattati.   Il   loro   studio   fa   parte   della   formazione   dei   bambini   nelle   scuole  tradizionali indiane. Fra i testi che devono studiare gli allievi, a partire dai 6 o 7  anni, c'è il Kamashatra o dei libri analoghi. Queste sono delle opere puramente  tecniche. I bambini conoscono così l'alfabeto delle loro esperienze future. Sono  cose che le persone sensate dovrebbero studiare normalmente. Ciò fa parte della  scienza. Quale ruolo gioca la nudità in India?La nudità è il segno del distacco.  Questi sono i santi, i monaci, le persone che rinunciano al mondo, che vanno  nudi. Ho avuto a casa mia, a Benares, un giovane monaco del sud dell'India. Mi  ha chiesto di abitare nei pressi di casa mia, vicino al Gange. Egli è rimasto là,  con il suo libro di preghiere, a fare il suo  PUJAH durante un mese o due. Un giorno, è venuto a vedermi e mi ha detto:  "Sono troppo attaccato ai beni di questo mondo". M'ha regalato il suo libro di  preghiere, ha lasciato cadere i vestiti, ed è partito tutto nudo. Nel corso dei  vostri soggiorni e peregrinazioni in India, avete osservato alcune sopravvivenze  della   prostituzione   sacra?   Praticamente   no.   Questa   è   stata   rigorosamente  interdetta. Non ci sono delle prostitute nei templi. Ma malgrado tutto, ancora  oggi,   le     prostitute   rimangono  una   casta.   Le   più  grandi   danzatrici   dell'India  appartengono   a   questa   casta.   Tuttavia,   la   prostituzione   non   ha   il   carattere  grossolano   che   ha   in   Occidente.   Molte   delle   prostitute   che   ho   conosciuto   a  Benares   (spesso   grandi   cantanti   e   grandi   artiste)   sono   delle   donne   che   si  lasciano corteggiare per lungo tempo prima che si possano ottenere i loro favori.  Si va a casa loro, si è ricevuti, ci si interessa alla loro musica, alle loro danze. Se  loro trovano l'uomo   simpatico, possono darsi a lui. Infatti, tutte le donne che  hanno avuto dei rapporti sessuali con più di un uomo, fanno parte della casta  delle prostitute. Quella donna non è più atta a perpetuare la casta di origine. In  Occidente, ce ne                                                      Psiconautica  sarebbero parecchie! Questa cosa è molto importante dal punto di vista della  razza   poiché   in   India   si   da   grande   importanza   al   dovere   di   ciascuno   di 

mantenere la purezza della propria specie. La rivoluzione sessuale che ha scosso  per qualche anno gli Stati Uniti e l'Europa dell'Ovest, vi sembra coincida con un  ritorno di Dionisio? Ci sono tanti tipi di segnali, dove la rivoluzione sessuale  non è che un aspetto. C'è pure un distacco dei valori materiali estremamente  accentuato. Se tra i giovani questa tendenza fosse meglio indirizzata sarebbe  molto vicina alla concezione Indù. Ugualmente c'è la ricerca di certe forme di  danza che si avvicinano alle danze estatiche. Un impulso esiste, che poi sfoci  in qualche cosa, è da vedere.