ALPIN DEL DOMM - Gruppo Alpini Milano Centro

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ri dell'immenso patrimonio spirituale degli alpini. Non solo: non tutti san- no che il libro Centomila gavette di ghiaccio di. Bedeschi fu rifiutato, e per ben diciotto ...
ALPIN DEL DOMM NOTIZIARIO DEL GRUPPO MILANO CENTRO SEZIONE ANA MILANO Numero Unico — Settembre 2001 Fotocopiato in proprio da: Associazione Nazionale Alpini – Sezione di Milano – Gruppo Milano Centro – Giulio Bedeschi Redazione: Via Vincenzo Monti 36, 20123 Milano – tel. 02.48010991 – Responsabile Sandro Vincenti – Inviato gratis ai Soci

"Dispersi nel silenzio, prossimi alle stelle" in ricordo di Giulio Bedeschi

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el novembre dello scorso anno il nostro Gruppo, come è noto, ha organizzato una manifestazione per commemorare Giulio Bedeschi nel decennale della Sua scomparsa. Nella prestigiosa cornice della Sala Alessi di Palazzo Marino, stracolma di alpini e di gente comune, gli oratori avevano intrattenuto i presenti, prospettando una analisi letteraria delle opere dello scrittore, ovvero rammentando momenti di vita comune con l’amico scomparso. In quell'occasione, però, si era sentita la mancanza del canto, di quei nostri canti, così tristi, ma così coinvolgenti, che una grossa importanza avevano avuto anche nella vita di Bedeschi, tanto da esserne egli stesso ispiratore, promotore e persino autore. Sorgeva, pertanto, spontanea l'idea di organizzare una nuova manifestazione, impostata questa volta sul canto, che completasse l'omaggio a Giulio Bedeschi. Più se ne parlava e più il progetto prendeva forma, anche dilatandosi, creando, in noi tutti una sorta di esaltazione. Sembrava, infatti, che tutto fosse già stato preparato da altri: si aveva quasi l'impressione di essere guidati da una mano invisibile alla scoperta di un evento che era lì pronto per manifestarsi e che attendeva solo che qualcuno lo mettesse in opera. Non poteva, però, trattarsi di un semplice concerto di cori, ma occorreva fare in modo che la musica creasse un percorso di ricordi, di sensazioni, di emozioni … Pressoché immediata è stata la individuazione dei protagonisti: il Coro ANA di Milano ed "I Crodaioli", atteso il fatto che con entrambi Bedeschi aveva fattivamente collaborato. Massimo Marchesotti ci dava immediatamente la sua disponibilità, alla quale seguiva quella di Bepi De Marzi. Dopo Natale eravamo pronti per “partire” . Innanzi tutto dovevamo individuare dove tenere il Concerto: ancora la sala Alessi? L’Aula Magna dell’Università Cattolica? Un grosso aiuto ci veniva da Marchesotti il quale, approfittando delle proprie conoscenze, ci faceva ottenere addirittura la disponibilità del Teatro Dal Verme, finalmente ristrutturato dopo anni di lavoro. Il prestigio della sala ci faceva raddoppiare gli sforzi, contattando sponsor (Regione Lombardia, Banca Mediolanum, Edi-

La platea del rinnovato teatro Dal Verme

zioni Mursia, Tipografia Tajana), definendo il programma, predisponendo locandine, inviti, brochure, eccetera. Tutto andava per il meglio, eppure un'incognita ci assillava: Milano! Questa metropoli che viene normalmente definita fredda ed agnostica, avrebbe compreso l'iniziativa e risposto al nostro appello? I milanesi erano ancora interessati ed attratti dalle emozioni pure che scaturiscono da sentimenti tanto semplici quanto eterni? Vi era ancora spazio, a Milano, per la Cultura …Alpina? L’ansia raggiungeva il suo apice quando, qualche giorno prima del concerto, veniva effettuato il sopralluogo per le verifiche del caso: la sala era stupenda ma, soprattutto vista dal palco, immensa e, l'impresa di riempire tutti i 1600 posto, appariva decisamente ardua. ***

E

, finalmente, veniva il giorno fatidico: un’ora e mezzo prima dell’inizio eravamo già sul posto e, non senza meraviglia, vedevamo gente che si accalcava davanti

all’ingresso del Teatro per entrare: alla fine, dopo che tutti i posti erano stati riempiti, e numerosi spettatori si erano seduti per terra, il servizio d’ordine - incalzato da precisi ordini dei Vigili del Fuoco - si vedeva costretto a chiudere le porte del Teatro, respingendo almeno trecento persone colpevoli di "… non essere arrivate con largo anticipo…". Milano, dunque, aveva compreso ed ampiamente risposto all'appello, e la nostra ansia era, come per incanto, scomparsa. L'introduzione del Capogruppo, i saluti del Presidente Nazionale e del Vice Presidente del Consiglio della Regione Lombardia On. Piergianni Prosperini e poi Suor Anna Maria Marconi che con semplicità disarmante parlava del dolore e della sofferenza illustrando l'opera della Associazione Casa dell'Accoglienza per la quale, nel corso della serata sarebbe stata lanciata una raccolta di fondi con esito più che proficuo. Terminati questi brevi interventi, veniva ufficialmente intitolato il Gruppo Milano Centro a Giulio Bedeschi, e la signora Luisa scopriva, tra gli applausi, una riproduzione del logo con la nuova intitolazione. Non rimaneva, a questo punto, che godersi lo spettacolo. I due Cori hanno eseguito magistralmente il loro repertorio, inframmezzato da brani delle "Gavette" e dai ricordi di De Marzi. Nella sala non volava una mosca, il pubblico era attento, incantato e rapito da sentimenti profondi che esplodevano, al termine di ogni esecuzione, in entusiastici e fragorosi applausi. La sala è, poi, stata letteralmente travolta dalla commozione quando i due cori, congiuntamente, hanno intonato, insieme al pubblico - rigorosamente in piedi - “Sul ponte di Perati” e “Signore delle Cime”. La serata si è, poi, conclusa nella prestigiosa sede del Gruppo di Cinisello Balsamo ove, nel corso della cena, i Crodaioli di De Marzi hanno tenuto un …"secondo concerto"… *** Unica nota triste di tutta questa incredibile giornata, è stata la

Il Gruppo Milano centro è intestato a Giulio Bedeschi.

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mancanza di un amico illustre e sincero del nostro Gruppo che era stato uno dei protagonisti e degli artefici della prima serata in ricordo di Giulio Bedeschi: l'alpino, il professore, l'amico Giuseppe Cantamessa che, poco meno di un mese prima della serata al Dal Verme era "andato avanti". Noi siamo certi, comunque, che il prof. Cantamessa era con noi anche il 9 di giugno e desideriamo, per questo, ringraziarlo ancora una volta e ricordarlo, riportando un breve racconto (liberamente ispirato ad un brano di uno degli autori del '900 che maggiormente amava, Paolo Monelli) che il figlio Alessandro ha letto al termine della cerimonia funebre. "Il 14 maggio 2001 l'alpino Giuseppe Cantamessa ha affardellato il suo zaino e si è trasferito in tutta fretta in Paradiso. Perché tutti gli alpini che "vanno avanti", vanno in paradiso: dalle montagne a lì non c'è che un passo. Ma affacciatosi curioso al Paradiso delle "penne mozze", invece dello sguardo arcigno del Generale Cantore vede un gruppetto di ragazzi corrergli incontro sorridenti e vocianti. Quando gli si stringono attorno festosi egli riconosce i visi: sono alcuni dei suoi ragazzi dei primi anni di insegnamento nel dopoguerra: quasi coetanei e, qualcuno, anche col cappello alpino in testa. Qualcun altro, assai più giovane e solitario si tiene in disparte: il Professore lo afferra vigorosamente per un braccio e lo trae a se, tenendolo vicino. Poi ordina subito di arieggiare l'ambiente. Non ci sono finestre da aprire, ma l'ordine è perentorio: "c'è troppa afa in questo posto, forse quel sole caldo è troppo vicino...".

Quindi ordina a tutti di prendere posto e comincia a passeggiare silenziosamente avanti e indietro. Si ricorda anche di uno straccio della polvere sempre presente nella sua borsa: "spolverate cattedra, sedia e pulire la lavagna!" dispone asciutto ai suoi capiclasse. Di tanto in tanto giungono altri ragazzi. Chi in gruppi affiatati, chi alla spicciolata e qualcuno, isolato, si avvicina timido ed incerto. Ogni volta sono baci ed abbracci e vigorose pacche sulle spalle. Poi invita ognuno a prendere ordinatamente posto. Ci sono gli alunni dei primi anni di insegnamento alla statale, poi le mitiche maturità dell'Istituto Gonzaga. Il professore sente un fremito d'orgoglio: quante personalità e professionisti di rilievo tra loro! Sono le classi delle gite semiserie al Dente del Gigante ed alla Madonnina del Grappa. Un vocìo squillante e petulante annuncia le più giovani classi miste, con le gaie presenze femminili entusiaste delle visite ai reparti Alpini tra i monti della Pusteria. Per ultimi (ma non meno importanti per lui) i privatisti dei bienni, gli ultimi allievi della sua lunga carriera d'insegnante. Avanzano lenti, questi ultimi, ancora memori della grande fatica sostenuta. Ma il Professore li sprona, li incita e li incoraggia più degli altri. Poco in disparte Luigi, il vecchio amico dell'Università che l'ha preceduto per organizzargli l'aula, anch'egli insegnante e famoso scrittore, tenendo sotto il bra c c i o u n a c o p i a d e l s u o "Velocifero" (col quale era giunto fin lì) osserva la scena con sguardo sornione: ripensa al Beppe Cantamessa come al gigante della montagna che utilizza gli abeti come stuzzicadenti... Quando anche l'ultimo allievo è arrivato ed ha preso posto, improvvisamente il Professore ordina: "Silenzio, via tutto dai banchi!". Ma invece di iniziare un'interrogazione scritta, il Professor Cantamessa si volta si, inginocchia e prega: "Questi sono i miei ragazzi, Signore Iddio. Tu li accogli e li benedici". Posa il tuo zaino Professore Alpino! .

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Nessun resoconto scritto della serata, per quanto dettagliato possa essere, riuscirà mai a descrivere appieno l'intensità e la molteplicità delle sensazioni e dai sentimenti che i due cori sono riusciti a suscitare in ogni singolo spettatore. Ad ogni buon conto, anche per sgombrare il campo dal dubbio che questa cronaca sia viziata da "partigianeria", ci pare opportuno riportare il pensiero ed i commenti di alcuni personaggi che hanno preso parte alla manifestazione. È doveroso, ovviamente, lasciare la prima parola al nostro Presidente Nazionale Beppe Parazzini che ci ha scritto: "Caro Alessandro,

con la seconda iniziativa pubblica il Gruppo Milano Centro ha evidenziato la sua personalità finalizzata a valorizzare e diffondere la cultura alpina in una società che, solo apparentemente, sembra averla accantonata. Al rammarico delle centinaia di persone che, per mancanza di posti, hanno dovuto rinunciare alla manifestazione, hanno fatto da contraltare la gioia e la commozione delle migliaia di persone presenti. Il Gruppo Milano Centro, a cui va pertanto il mio plauso più sincero, saprà regalarci ancora tante emozioni alpine: ne sono certo. Salutissimi alpini. Beppe Parazzini"

*** Graditissima ospite d’onore è stata la moglie di Bedeschi, la signora Luisa, che così ci ha scritto : "Entrando nell'immensa sala del Teatro

Dal Verme ho provato un sentimento misto di commozione e di sgomento;

sala, hanno intonato Sul ponte di Perati.

Peppino Prisco"

*** Non potevano mancare, ovviamente, le parole dei due protagonisti della serata, i maestri dei due cori. Bepi De Marzi ci ha scritto:

"Cominciamo … dalla fine! Quando tutti si stanno preparando ad uscire dal bel- "Mi ha sorpreso il Capogruppo che chielissimo e rinato deva “possiamo cominciare?”. E in prima "Teatro Dal Ver- fila, il Presidente Parazzini, poi me", i due cori (75 l’avvocato Prisco e, appena dietro, elementi) avanzano Bearzot. nel proscenio verso Emozione? Sì, molta emozione. Cantare il pubblico plauden- vicino al Coro dell’ANA! te. Marchesotti e Alto, come un sospiro liberato dalla meDe Marzi invitano moria, l’amico Flaminio Gervasi. tutti a cessare "Aprite le porte” era una sinfonia tra le l'applauso vivacis- sinfonie. “Possiamo cominciare?”. La signora Luisa Bedeschi e il presidente nazionale Beppe Parazzini simo per partecipa- Ma come si può trasformare un concerre all'ultima canzo- to al Dal Verme in un girotondo? Ecco la ne. Così, dopo un attimo di silenzio, can- suora che parla di tumori, di tragedie, quanta gente! Un pienone inaspettato. di lacrime. Ha la voce innamorata e deErano venuti veramente a ricordare mio tiamo tutti l'inno più triste ma forse cisa di chi raccoglie la disperazione dei marito? Signore che emozione! E poi i più solenne di noi alpini: "Sul ponte di poveri del mondo. Forse erano così le canti, la lettura dei brani dei libri ed ap- Perati, bandiera nera". Per l'esattezza, voci dei comandanti che sostenevano gli plausi, tanti, che erompevano dopo l'at- pur essendo stonato e con una pessima alpini nella Ritirata di Russia. voce, io l’ho cantato spesso ad ogni riutenzione ed il silenzio durante le cante, Anche la signora Luisa è in prima fila. I nione degli avvocati alpini. Eppure lì al eseguite con passione e grande bravura Dal Verme una profonda, improvvisa Bedeschi hanno il dono del sorriso che dai due Cori. rassicura. Il fratello Beppe, rimasto a Mio marito mi diceva molto spesso, che commozione mi blocca e devo lottare Verona, è qui seduto tra i tenori seconogni mattina alzandosi, ringraziava il si- con me stesso per non scoppiare a piandi. Gli piace cantare e far cantare. Angnore (per la sua vita), in quanto era vivo gere, per nascondere agli altri quanto che a Giulio piaceva cantare. Muoveva la perché uno davanti a lui era morto sal- sento nel mio animo; ma alla fine non mano come se volesse armonizzare i vandolo. Ed aggiungeva: è per questo che riesco a trattenere le lacrime; poi gli suoni del vento. Sorridendo, sempre dedico tanto tempo, tutto il tempo che abbracci dei tanti amici mi dimostrano sorridendo. che il mio pudore era ingiustificato. posso, a quei ragazzi, perché finché saMando allora un sorriso a Massimo Marranno nei nostri cuori, continueranno ad Grazie dunque a De Marzi e a Marchechesotti, amico e fratello. “Fatti il coesserci, ed è questo, e vi assicuro che sotti ed ai loro coristi; e grazie al dino bianco come lui”, mi dicono i tenori non è retorica, che ho sentito sabato. Gruppo "Milano Centro", a Vincenti a primi sempre un poco maliziosi. Dio mio, Giulio e i suoi compagni erano con me e Lavizzari ed a quanti hanno dato l'anima noi qui a cantare con il Coro dell’ANA di ed il cuore per organizzare questo macon noi tutti. Ringrazio con tutto il cuore, per primi gli gnifico pomeriggio di Alpini milanesi e Milano Centro e unendoli giugno! tutti, ricordo Alessandro Vincenti quale E grazie soprattutto a Giulio Bedeschi, cui loro rappresentante.. Ringrazio vivamente il Coro "I Crodaioli" la serata è stata dedi Bepi De Marzi, quello dell'ANA di Mi- dicata,. Grazie per lano del Maestro Marchesotti, mirabili aver scritto Centomila Gavette di esecutori. Ghiaccio, non solo il Grazie a Mursia, al Comune ed a tutti i più bel libro sulla collaboratori, e un grazie speciale a quel meraviglioso pubblico a cui, come porta- Campagna di Russia, voce di Giulio, dico ancora: non dimenti- ma per me una delle chiamo quei ragazzi, quegli Alpini, quei più belle opere letterarie in assoluto; soldati che sono morti per la Patria. Luisa Bedeschi" grazie anche per aver composto musica e parole di "Alpino *** Due dei Gruppi presenti: Bareggio e Lacchiarella Abbiamo anche raccolto le impressioni di della Julia" sconfiun commilitone e carissimo amico di Giu- nando con successo lio Bedeschi, Peppino Prisco, che nel corso dall'attività di scrittore; grazie per la Milano! “Possiamo cominciare?”, insiste della serata abbiamo visto con gli occhi lu- fraterna amicizia alpina della quale mi il Capogruppo sperdendo lo sguardo

cidi, quando i due cori, all’unisono con la

ha onorato.

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canto "esista" ciazione, così ci ha scritto: davvero o se sia generato da "Gentile Avvocato Vincenti, noi stessi, dal a nome degli operatori, dei volontari, e nostro corpo mio personale, desidero ringraziare dì come una dife- cuore Lei e tutti gli Alpini del Gruppo sa al silenzio. Milano Centro per aver dedicato alla Cantiamo e ba- nostra Associazione il meraviglioso consta. Il canto certo de "I Crodaioli" e del Coro ANA corale: è la più di Milano, svoltosi il 9 giugno scorso ferma negazio- nella splendida cornice dello storico Tene della solitu- atro Dal Verme. dine. Se nel E' ancora vivissima in noi l'emozione freddo e nel- profonda che i Cori ci hanno donato in l'asprezza de- quello che rimarrà un indimenticabile gli elementi la pomeriggio di armonia musicale che ci vita è svuota- ha coinvolti tutti, dando eco ai sentita, i canti degli menti di indelebile memoria e di proUno scorcio del palcoscenico in primo piano “I Crodaioli” alpini sanno ri- fonda umanità che scaturivano dalle pascaldarla d'a- role di Giulio Bedeschi, tratte dal suo (Continua da pagina 5) micizia e d'amore. In questi canti, in cui ineguagliabile libro - testimonianza Cenil tema della morte s'affaccia sovente, tomila gavette di ghiaccio". nell’immensa sala che pare salire alle nugli alpini hanno saputo calare la solenni- E poi, al termine dello spettacolo. ecco vole. Ma il Presidente nazionale capirà le tà del divino nel quotidiano della vita e un'altra espressione di concreta solidamie venete passioni, le mie ansie, le mie meritano, senza alcun dubbio, un posto rietà verso le persone malate e i loro rabbie, le mie delusioni? di assoluto privilegio. Sentirli cantare, familiari ospitati nelle nostre Case: la “Prossimi alle stelle…”. e noi stessi cantarli, dà un senso di si- raccolta di offerte nel grande Sperduti nella felicità. Possiamo comincurezza, di malinconia. Mai c'è in loro lo "salvadanaio" posto nell'atrio del teaciare. spirito guerriero nel senso peggiore, tro. Offerte totalmente devolute alla Grazie, alpini di Milano Centro. c'è invece la solidarietà, l'amore della nostra Associazione, per un totale di *** Massimo Marchesotti, dal canto suo: vita privi di ogni fronzolo. Sono i canti Lire 16.100.000. della preghiera perché il massacro ab- Tutto ciò si è realizzato grazie a Voi, Alpini del Gruppo Milano "Ricordo bene il giorno che visitamCentro, grazie al Vostro mo con Alessandro Vincenti e Gianvivo esempio di condiviluca Marchesi il nuovo Teatro Dal sione. Verme per quello che sarebbe stato Questo contributo ci aiuil concerto dedicato a Giulio Bedeterà a sostenere alcune schi. spese che vogliamo afChe impressione ci fece. Pensammo frontare per migliorare e che mai saremmo riusciti a riempirrendere più confortevoli lo. Troppo grande e forse troppo gli ambienti a disposizioimportante per noi. ne dei nostri ospiti duNon fu così. Qualcuno aiuta gli aurante la loro permanenza daci: soprattutto se sono alpini. La così lontano da casa. sala si riempì. Eccome si riempì. In ultimo, pensando di In prima fila le autorità: il PresifarVi cosa gradita, Vi aldente Parazzini, l'onorevole Prospeleghiamo la lettera che ci rini, Peppino Prisco - non ci chiese è giunta da una nostra cadi cantare, come sempre succede, Suor Anna Maria Marconi e il capogruppo Sandro Vincenti ra amica che ha assistito "sul Ponte di Perati", era già in proal concerto e che conosce gramma e venne cantato da tutto il bia termine. pubblico -. Massimo Marchesotti molto bene la nostra opera. A Voi … I due cori, seduti uno da una parte, uno Coro ANA Milano" commentarla! Nel ringraziarvi ancora d'essere condall'altra, si studiavano. Noi eravamo tesi *** cretamente al nostro fianco, rinnoviamo come corde di violino. Li conosco bene i La serata è stata anche occasione per racl'invito a mettersi in contano con noi a miei coristi. Cantare con i Crodaioli di De cogliere fondi a favore della associazione tutti coloro che desiderino approfondiMarzi è una cosa che ti toglie il fiato. "Casa dell'Accoglienza" che si occupa di accogliere i malati di tumore ed i loro fare la conoscenza dei diversi ambiti di Che gioia, per me, trovare l'amico Bepi a miliari. La generosità del pubblico ci ha possibile volontariato presso la nostra Milano. Quanti concorsi e quanti convegni consentito di consegnare un contributo Associazione. passati insieme, a parlare, a conoscersi. molto importante e la sig.ra Lucia CaSperando in una prossima e graditissiQuante intese tra noi. Adesso arriva il gnacci Vedani, presidente di questa assoma occasione di incontro, Vi salutiamo nostro momento. Nessuno può dire se il 6Alpin Alpin del del Domm Domm

con la più viva cordialità. Luisa Cagnacci Vedani"

*** E poi anche Suor Annamaria Marconi, la "stupenda e dolcissima suor Annamaria" come l'ha definita il maestro Bepi De Marzi, ha voluto dedicarci qualche riga: "Cari amici, così mi permetto di chiamarvi dopo la cordialità dimostratami. Il mio scritto non è quello ufficiale (ci sarà chi lo preparerà) ma solo quello dettato da un cuore commosso e colmo di gratitudine. E questo non solo per i fondi raccolti, ma perché ho capito che i problemi "sommersi" della nostra Casa, sono stati ascoltati con "cuore". Complimenti per la "qualità" e la proposta della serata. La "vicenda" del nostro incontrarci ha i segni della Provvidenza e la spontaneità di chi non sta troppo a ragionare, ma colto il bisogno - si rimbocca le maniche, si dà da fare e ti assicura "su di me puoi contare". Ho sentito attorno a noi tanto affetto e benevolenza. Sono certa che potremo collaborare per ripetere ad ogni fratello che bussa alla nostra porta: se vuoi c'è un posto per dormire, un pane da spezzare e un'esperienza da condividere. Questo è per me il Vangelo che non sta tanto a porre l'attenzione su "disquisizioni teologiche", ma si fa vicinanza semplice, cordiale. Grazie ancora. Per tutti i cari Alpini avrò un ricordo e una preghiera. A presto. Sr. Annamaria Marconi"

*** Da ultimo, riportiamo quello che la stampa ha pubblicato, prima e dopo il concerto. da AVVENIRE - 6 giugno 2001 A dieci anni dalla scomparsa, una manifestazione per riscoprire il medico - scrittore che in vita fu spesso frainteso BEDESCHI: CENTOMILA GAVETTE TOLTE DAL FRIGO DEI CENSORI

Sarà mica stato un po’ “revisionista” anche lui, ed ante litteram, il dottor Giulio Bedeschi: dottor perché medico e non perché scrittore tra i più venduti (e i meno riconosciuti) degli ultimi 50 anni? Il sospetto aleggia: Bedeschi dovette bussare a 17 porte di editori prima che il diciottesimo – Ugo Mursia, che da allora

in poi stampò tutti i suoi titoli – accettasse di pubblicare nel 1963 le Centomila gavette di ghiaccio. Ma non fu solo la stanchezza degli italiani per tutte le memorie di guerra a indurre gli editori a rifiutare un best seller che oggi conta oltre tre milioni di copie vendute, ben 132 edizioni, innumerevoli premi; fu anche la censura ideologica che non volava dare spazio ai reduci dalla tragica campagna di Russia (i “fascisti” colpevoli di avere assalito la gran madre del proletariato…) a dissuadere il mondo degli intellettuali dal dar credito a Bedeschi. Il quale però – ben prima di Ciampi a Cefalonia e di Alessandro Natta con quel suo libro che rivaluta gli internati italiani in Germania – non smise di raccogliere sui suoi taccuini le memorie dei soldati qualunque: su qualsiasi fronte avessero combattuto, e anche se non avevano fatto la resistenza con la R maiuscola. Ne nacquero i dieci volumi del C’ero anch’io: da Nikolajewka: C’ero anch’io del 1972 al terzo tomo di Prigionia: c’ero anch’io, uscito a poche settimane dalla morte dell’autore, e passando attraverso tutti i paesaggi – l’Albania, l’Africa, i Balcani, l’Italia stessa – che i connazionali in grigio verde dovettero frequentare nell’ultima guerra, quasi sempre loro malgrado.

Comune, editore – gliela allestisce sabato 17 presso il Teatro dal Verme, ingresso libero; nessuna commemorazione, bensì la lettura di brani dai suoi libri inframmezzati dalle “cante” del Coro ANA di Milano (diretto da Massimo Marchesotti) e da quelle de “i Crodaioli” di Bepi De Marzi. Il tutto per “condurre il pubblico alla scoperta del significato di speranza e di fiducia nella umanità presente nelle opere di Bedeschi”. “Scoperta”, già. Che Bedeschi infatti non sia stato capito o travisato in vita (eccetto – e non è poco – che dai semplici lettori i quali continuarono a commuoversi portando Il peso dello zaino o assaporando La mia erba è sul Don) lo scrive con la consueta poesia ma senza remore di penna sulla rivista Giovane Montagna lo stesso De Marzi: il quale del medico-scrittore è stato amico, oltreché conterraneo (ambedue sono nati ad Arzignano, nel Vicentino, Bedeschi nel 1915): “Come spesso accade ai generosi, è stato persino frainteso… Frainteso e criticato malevolmente anche da certi settori del reducismo che, soprattutto, non avrebbero voluto che parlassero i semplici soldati…Frainteso perché si è voluto vedere nella sua faticosissima e delicata operazione (la raccolta di testimonianze di militari qualunque) non il gesto di un uomo generoso che tende le ani ai dimenticati, bensì una disincantata operazione militare… Bedeschi non sarà mai un caso letterario, e proprio per la supponenza dei critici e degli scrittori di professione che mal sopportano il successo dell’ultimo arrivato”. “In tutti questi anni sono passato a conclusioni sempre più ampie e sempre più Il tenente Pietro Marchisio reduce del “Conegliano” affratellanti”, riveA dieci anni dalla scomparsa (è morto a lava in una delle ultime interviste Verona nel 1990) l’ufficiale medico del- l’autore, che – nonostante il successo – la divisione alpina “Julia” Bedeschi, so- aveva continuato a fare il reumatologo a pravvissuto alla ritirata sul Don, viene Milano. Quali conclusioni? “Estrarre ora ricordato a Milano in una serata il l’uomo che soffre dal soldato che comcui titolo avrebbe gradito: “Dispersi nel batte. Capire come l’uomo possa salvare silen zio, prossimi alle stelle”. la sua dignità anche in situazioni increL’Associazione Nazionale delle penne dibili. Evitare che una generazione, nere – in collaborazione con Regione, (Continua a pagina 8) Alpin del Domm 7

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quella dei militari italiani nella Seconda Guerra Mondiale, risulti una generazione maledetta o, peggio ancora, inutile”. Eccolo il “revisionismo” mite dell’alpino, medico e scrittore Giulio Bedeschi: uno che tornando dal fronte russo aveva giurato di non toccare mai più la neve e per noi posteri si ritrovò a scongelare Centomila gavette di ghiaccio. * * *

teatro Dal Verme. L’iniziativa è stata promossa dal Gruppo Alpini Milano Centro per ricordare Giulio Bedeschi, “alpino, medico, scrittore”, come lui stesso amava definirsi, nato ad Arzignano (Vicenza) il 31 gennaio 1915 e scomparso a Verona, dove si era da poco trasferito, nel dicembre 1990. Bedeschi è stato ufficiale medico nell’ARMIR (armata italiana in Russia),

da METRO – Venerdì 8 giugno 2001 “Cori alpini per Bedeschi al Dal Verme” UN CONCERTO BENEFICO A INGRESSO GRATUITO, AL DAL VERME, RICORDANDO GIULIO BEDESCHI. Sarà domani alle 17,00, organizzato dal gruppo Alpini di Milano, con i canti del Coro ANA e dei Crodaioli di Bepi De Marzi, un omaggio alla figura di Giulio Bedeschi, l’autore di Centomila gavette di ghiaccio di cui ricorre il decennale della scomparsa. Proprio dal suo celeberrimo libro è tratta la fase messa ad epigrafe dell’avvenimento: “Dispersi nel silenzio, prossimi alle stelle”. Saranno raccolti fondi per l’associazione Casa dell’accoglienza, che assiste i malati di cancro. ***

dal CORRIERE DELLA SERA – venerdì 8 giugno 2001 “Due Cori alpini …” Teatro Dal Verme (Via San Giovanni sul Muro, 2) Alle 17,00, due cori alpini, i “Crodaioli” diretti da Bepi De Marzi e il Coro dell’ANA di Milano, guidato da Massimo Marchesotti, compongono un concerto in memoria di Giulio Bedeschi, con letture dei suoi brani. ***

da IL GIORNO – Venerdì 8 giugno 2001 “E

LE STELLE STAVANO A GUARDARE”

(Marzio Gazzetta) “Dispersi nel silenzio, prossimi alle stelle”. È questo il suggestivo titolo della serata in programma domani (inizio ore 17.00 con ingresso gratuito) allo storico 8Alpin Alpin del del Domm Domm

Scorcio della sala gremita protagonista e testimone della tragica ritirata nel gennaio 1943 tra i ghiacci della pianura russa, in cui furono coinvolti tanti soldati italiani e soprattutto gli alpini della Divisione Julia, da lui magistralmente narrata nel suo capolavoro Centomila gavette di ghiaccio. La serata sarà caratterizzata dal concerto de “I Crodaioli”, gruppo sorto nel 1958 ad Arzignano, diretto da Bepi De Marzi, e dal Coro ANA (Associazione Nazionale Alpini) di Milano nato nel settembre 1949 e, dal 1972, diretto da Massimo Marchesotti. Marchesotti, giovanile e dinamico sessantaseienne milanese, diplomato in pianoforte al Conservatorio di Milano, alterna l’hobby della musica all’impegno professionale della pittura, esponendo con successo le sue opere in itali ed all’estero, specie in Danimarca. E circa l’imminente concerto al Dal Verme il “maestro” Marchesotti ha voluto precisare: “La serata milanese, realizzata grazie alla preziosa collaborazione della Regione Lombardia, della Banca Mediolanum, della Casa Editrice Mursia, nonché delle autorità comunali che hanno offerto la prestigiosa sede del Teatro Dal Verme a titolo gratuito, è stata dedicata a Giulio Bedeschi e non certo casualmente.

Infatti, il Gruppo Milano Centro dell’Associazione Alpini, promotore dell’iniziativa – ha evidenziato con Marchesotti – è intitolato a Giulio Bedeschi, vicentino di nascita, ma milanese d’adozione, il grand’uomo che con le sue opere ha contribuito in modo determinante alla divulgazione dei valori basilari dell’immenso patrimonio spirituale degli alpini. Non solo: non tutti sanno che il libro Centomila gavette di ghiaccio di Bedeschi fu rifiutato, e per ben diciotto anni, da tutti gli editori ai quali era stato proposto; e soltanto nel 1963 l’editore milanese Ugo Mursia lo pubblicò, intelligentemente, in una collana di libri interamente dedicata alla Seconda Guerra Mondiale. Da allora questo intramontabile classico della letteratura di guerra ha raggiunto il traguardo di ben 130 ristampe”. COME SI ARTICOLERÀ LA SERATA? “Saranno letti brani delle opere scritte da Bedeschi, a cui seguirà una serie di canzoni eseguite dai “Crodaioli” e dal Gruppo ANA di Milano, composto da 44 coristi. All’ingresso del teatro Dal Verme saranno esposti tre grandi quadri: due realizzati da Piero Gauli, che ha partecipato alla campagna di Russia, ed uno mio, in cui campeggia un gigantesco cappello alpino rosso in ricordo del martirio della Julia e di tutti i soldati italiani, a fianco di una giallo girasole, il fiore che accolse gli alpini che si trovarono sul fronte russo nell’estate del 1942”. ***

da IL GIORNALE DI VICENZA – 13 giugno 2001 “I Crodaioli ricordano Bedeschi. Tanta commozione a Milano” “Tutto ora tace: a illuminar la neve neppure s’alza l’ombra di una voce…”: ai versi di Carlo Geminiani, ormai diventati un classico poetico sulla ritirata di Russia, e con la musica di Bepi De Marzi, nell’immenso Teatro Dal Verme di Milano, c’è stato un fremito di emozione. L’avvocato Prisco, seduto in prima fila, accanto al presidente nazionale degli

alpini, non ha nascosto la commozione. Il coro di Arzignano mancava dal capoluogo lombardo da qualche anno. L’ultima volta era stato all’Università Cattolica mentre alla prima, nel salone del Circolo della Stampa di Palazzo Serbelloni, era stato introdotto proprio dallo scrittore Giulio Bedeschi che sabato scorso, a dieci anni dalla scomparsa, è stato ricordato con il concerto dei “Crodaioli” nel rinnovato Teatro Dal Verme, nel cuore storico di Milano, trasformato in perfetto auditorium per concerti. Accanto ai “Crodaioli”, il coro dell’ANA di Milano, diretto da Massimo Marchesotti, anch’egli compositore, ma anche pittore, barbuto artista delle immagini provocatorie. Organizzato dal Gruppo Milano Centro, il concerto ha registrato una partecipazione incredibile di pubblico, centinaia di spettatori già in attesa dalle prime ore del pomeriggio. Il tema, concertato da De Marzi e Marchesotti, è stato incentrato su un passaggio del libro “Centomila gavette di ghiaccio”: “Dispersi nel silenzio, prossimi alle stelle”. Così è stato possibile svolgere un itinerario musicale punteggiato dalle toccanti sottolineature letterarie che, prese dai libri di Bedeschi, sono state proposte dalle voci degli stessi coristi: per i “Crodaioli” Maurizio Signorini e Tono De Marzi. Ha suscitato addirittura stupore la nuova, inattesa versione corale di “Joska la rossa”, come pure “L’ultima notte” eseguita in un gregorianeggiante unisono dalle suggestive profondità timbriche. E per ricordare l’infanzia di Bedeschi ad Arzignano, dove è nato nel 1915, ecco una ninna nanna di De Marzi in dialetto vicentino, proposta da quattro sole voci soliste: Claudio Fortuna, Moreno Dani, Tono De Marzi e Paolo Marana. Infine, per sottolineare “la riconciliazione” dello scrittore con la neve, incubo della ritirata del 1943, riconciliazione datata 1946 e che ha segnato l’avvio dell’ufficiale medico Bedeschi all’attività letteraria della grande memoria, ecco il canto che dice “Ora verrà la neve, verrà la tramontana e coprirà le pietre della fontana. Chiudi per me la porta, la porta verso il prato e lascia fuori il tempo: è già passato…” ***

da Lettera al Direttore - CORRIERE DELLA SERA - 13 giugno 2001

RICORDO

DI

GIULIO BEDESCHI – VALORI

ANCORA VIVI

Desidero vivamente ringraziare il Gruppo Alpini di Milano Centro che sabato 9 giugno ha organizzato presso il teatro Dal Verme un pomeriggio in ricordo di

Il retro … coro Giulio Bedeschi. Il Coro dei “Crodaioli” diretto da Bepi De Marzi e il Coro dell’ANA diretto da Massimo Marchesotti hanno eseguito bellissimi canti di montagna e dell’ultima guerra, inframmezzati dalla lettura eseguita in modo magistrale di brani tratti da “Centomila gavette di ghiaccio” e da altri libri di Bedeschi. Pur essendo gremita fino all’ultimo posto, nella sala c’erano un silenzio assoluto ed una palpabile commozione, che accomunava tutti i presenti, fra i quali stavano diversi bambini. Credevo che lo spirito di Patria, il rispetto e la commemorazione dei suoi caduti, l’amore per la montagna inteso come elevazione dello spirito fossero ormai sentimenti sorpassati. Questo pomeriggio mi ha fatto scoprire con grande piacere che questi valori sono ancora vivi in tanti di noi. Candida Giuliani ***

da “Il Coro informazioni” anno 6, numero 7/8, luglio agosto 2001 p. 5 Ricordando Giulio Bedeschi: Alpino, medico, scrittore

Non è stato un sabato qualunque quello del 9 giugno 2001 al rinnovato Teatro Dal Verme di Milano, era un grande ricordo per un grande uomo, che il Gruppo Alpini Milano Centro ha voluto com-

memorare con un meraviglioso concerto corale. Giulio Bedeschi: alpino, medico e scrittore di Arzignano (Vicenza), nato il 31 gennaio 1915 e scomparso nella città di Verona nel 1990. nella nefasta campagna di Russia fu ufficiale medico n e l l ’ A R M I R (Armata Italiana in Russia) dove nel gennaio 1943 si trovò coinvolto nella tragica ritirata dove la lunga fila dei fantasmi in grigioverde si perdeva nella sconfinata pianura russa (dal canto di Bepi De Marzi “L’ultima notte degli alpini”) e tra questi gli alpini della divisione Julia. testimoniando tutto questo per non dimenticare, scrisse questa tragica realtà nel suo grande capolavoro: Centomila gavette di ghiaccio. E quel sabato di giugno nel Teatro Dal Verme, alla presenza di autorità, penne nere e pubblico, si alzava un canto, il canto degli alpini magistralmente interpretato da due grandissimi cori, “I Crodaioli” di Arzignano (Vicenza) diretto dal Maestro Bepi De Marzi e dal coro ANA (Associazione Nazionale Alpini) di Milano diretto dal Maestro Massimo Marchesotti. Ma gli alpini non lasciano nulla al caso, infatti dopo i dovuti ringraziamenti alla regione Lombardia, Banca Mediolanum e Casa Editrice Mursia per la loro collaborazione e alle autorità comunali che a titolo gratuito hanno offerto il Teatro Dal Verme, sono stati raccolti fondi per l’Associazione Casa dell’Accoglienza che ha lo scopo di accogliere i malati oncologici in terapia presso l’Istituto dei Tumori e l’Istituto Besta, ed il parente che li accompagna. E sulle note del canto “Signore delle Cime” le 1500 persone presenti in sala si sono unite all’unisono, all’esecuzione dei due cori mentre il nostro pensiero andava ancora all’alpino, medico, scrittore Giulio Bedeschi e al suggestivo titolo di questa manifestazione “Dispersi nel silenzio, prossimi alle stelle”. (M. Magni)

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per "un'iniziativa che mantiene la cultura dell'alpinità in una società che sembra trascurare i valori e nella quale gli Al teatro Dal Verme il Coro ANA della alpini sono insostituibili. Grazie anche a Sezione di Milano diretto dal maestro Prosperini - ha continuato Parazzini Massimo Marchesotti e "I Crodaioli" di che si adopera per far tornare gli alpini Bepi De Marzi. in Lombardia e a Milano, culla del glorioso 5° Reggimento. E grazie anche a UN CONCERTO DI CORI SULL'ONDA voi, che siete qui questo pomeriggio, DEI RICORDI perché avete capito gli sforzi che la nostra Associazione sta facendo per la organizzato dagli alpini del "Milano Censalvaguardia dei valori". tro", con lettura di brani tratti da Il resto è stato concerto, di altissima "Centomila gavette di ghiaccio" di Giulio levatura e impatto: il pubblico ha apBedeschi al quale è stato dedicato il noplaudito ogni esecuzione dei due cori, me del Gruppo. Una raccolta di fondi per che hanno cantato alternandosi e alterla Casa dell'Accoglienza, i cui volontari nando brani di Bedeschi. Il maestro assistono malati terminali ed i loro famiMarchesotti ha diretto il suo coro e liari. tutto il pubblico nel "Ponte di Perati". Quello di sabato 9 giugno al teatro Dal Altrettanto commovente il ricordo di Verme di Milano non è stato uno spettaBepi De Marzi, quando ha raccontato di colo fra i tanti: è stato tutto speciale. aver cantato a Bedeschi "L'ultima notte Per la peculiarità degli attori, per le sue degli alpini", musicata dallo stesso De motivazioni, per i suoi contenuti. Marzi su parole di Carlo Geminiani sulla Possiamo dire che, più ancora di quanti si tragedia della ritirata di Russia. "Che sono esibiti sul palcoscenico, la protagobella - disse lo scrittore alpino - Perché nista assoluta è stata ...l'alpinità, quenon la cantate a una voce sola? Così post'immenso patrimonio degli trei cantarla anch'io…". alpini fatto di rispetto dei "Stasera faremo così", valori fondamentali, delle ha annunciato De Marzi. proprie tradizioni e radici, E il suo coro ha splendifatto di altruismo e di genedamente cantato, quasi rosità. Il pomeriggio - orgauna preghiera, a una vonizzato dagli alpini del Gruppo ce sola, tranne l'ultima Centro della Sezione di Milanota, un rintocco di no in collaborazione con la campana esploso a quatRegione Lombardia, la presitro voci: colpo basso, denza del Consiglio comunale, caro Bepi, che hai fatto il nostro Centro Studi ANA, venire un nodo in gola. la Banca Mediolanum e la casa Poi De Marzi ha coronaeditrice Mursia - era dedicato un vecchio sogno: to alla memoria di Giulio Becantare con il coro ANA deschi e comprendeva un di Milano, nel "Signore concerto di cori alpini e di delle Cime". Carla De Albertis Spizzico del Comune di Milano e Beppe Parazzini montagna eseguiti da due Era ormai il momento formazioni d'eccezione: il coro della se- Verme, a conclusione di questa splendi- del commiato. La gente ha lasciato il tezione ANA di Milano, del maestro Massi- da serata, gli spettatori hanno risposto atro a malincuore: uscendo, ciascuno ha mo Marchesotti e il coro dei Crodaioli, all'appello con generosità. lasciato un aiuto alla Casa dell'Accodiretto dal maestro Bepi De Marzi. Il vice presidente del Consiglio regiona- glienza, risultato superiore a ogni aLa fama delle due corali ha fatto accor- le della Lombardia Piergianni Prosperini, spettativa. Poi, cantori e ospiti, hanno rere al Dal Verme centinaia di persone, alpino, ha ringraziato il pubblico e ha raggiunto la sede degli alpini di Cinisello anche da fuori provincia. ribadito l'impegno a far sì che in Lom- Balsamo, dove hanno cenato e concluso I 1800 posti del teatro erano al comple- bardia ci sia una caserma a disposizione la serata con i responsabili della Casa to: per motivi di sicurezza, circa trecen- degli alpini di leva e di leva annuale, "in dell'Accoglienza, esibendosi ancora, ma to altre persone sono state costrette a modo da non essere costretti a manda- solo per il piacere di cantare, come si rinunciare allo spettacolo semplicemen- re i nostri ragazzi a fare il servizio mi- usa fra alpini. Mentre la sala cadeva nel te ...perché la sala non poteva contenerle. litare negli alpini in altre regioni". silenzio, i Crodaioli hanno cantato l'Ave Gli onori di casa sono stati fatti dal capo- Il presidente nazionale Beppe Parazzini, Maria a suor Anna Maria che avevano gruppo di Milano Centro Alessandro Vin- che era accompagnato dall'avvocato ormai ...adottato. E benché fosse un centi, che ha ringraziato tutti, collabora- Peppino Prisco e dal presidente della momento di allegria e di gioia, qualcuno tori, coristi e spettatori e ha spiegato il sezione di Milano Tullio Tona, ha elogia- aveva gli occhi lucidi per la commozione. motivo della serata: onorare Giulio Bede- to gli alpini del gruppo Milano Centro (g.g.b.) (Continua da pagina 9)

da L'ALPINO - Settembre 2001

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schi, dedicare il gruppo Milano Centro alla sua memoria (la signora Luisa Bedeschi ha scoperto - fra gli applausi - la targa che annunciava la nuova denominazione del gruppo) un concerto di cori alpini intercalati da letture di brani tratti da Centomila gavette di ghiaccio, il capolavoro di Bedeschi, un capolavoro della letteratura italiana che ha superato i tre milioni di copie in 132 edizioni. E, come ha detto Vincenti, "poiché gli alpini, non fanno nulla che non lasci anche un segno di solidarietà", per aggiungere un segno concreto alla serata hanno lanciato la raccolta di fondi a favore della Associazione Casa dell'Accoglienza di via Saldini 26, a Milano (tel. 02 71092888) i cui volontari assistono i malati terminali di tumore e ospitano i loro familiari. Suor Anna Maria Marconi, ha fornito - se il dolore può essere compreso in una statistica - qualche numero: 1828, dei quali 282 malati, assistiti soltanto l'anno scorso. E ha raccontato casi strazianti, che sono purtroppo cronaca quotidiana in una città troppo spesso distratta e ignara. Al Dal

ALPIN DEL DOMM NOTIZIARIO DEL GRUPPO MILANO CENTRO SEZIONE ANA MILANO Numero Unico — Settembre 2001 Fotocopiato in proprio da: Associazione Nazionale Alpini – Sezione di Milano – Gruppo Milano Centro – Giulio Bedeschi Redazione: Via Vincenzo Monti 36, 20123 Milano – tel. 02.48010991 – Responsabile Sandro Vincenti – Inviato gratis ai Soci

PALAZZO MARINO SALA ALESSI 25 NOVEMBRE 2000

ATTI DEL CONVEGNO PROMOSSO DAL GRUPPO ALPINI MILANO CENTRO

DA

"CENTOMILA GAVETTE DI GHIACCIO" A "IL PESO DELLO ZAINO"

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Il tavolo della “Presidenza”. Da sinistra a destra: Alessandro Vincenti, Leonardo Caprioli, Giovanni Marra, Peppino Prisco, Piergianni Prosperini. Sullo sfondo alcuni componenti del coro “Biele stele”.

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Alessandro Vincenti (capogruppo): Il Gruppo Alpini Milano Centro, di recente costituzione - è nato infatti all’inizio di quest’anno - , ha voluto organizzare un evento particolare per celebrare l'inizio della sua attività. Ci è venuta, quindi, l’idea di organizzare questo convegno anche in considerazione del fatto che cade proprio in questo periodo, il decennale della scomparsa di Giulio Bedeschi, che oltre ad essere lo scrittore notissimo che tutti conoscete, oltre ad essere alpino - artigliere alpino -, per tantissimi anni ha frequentato proprio la Sezione di Milano dell'Associazione Nazionale Alpini. Ci è sembrato naturale, pertanto, che fosse proprio Milano, gli alpini milanesi, ad avere l'obbligo morale di ricordarlo. L'idea ci ha subito entusiasmato, ma anche preoccupato: se l’argomento, infatti, era senz’altro stimolante e interessante era particolarmente sentita in noi la paura di non essere all'altezza del compito. Vi era, anche il timore di non riuscire a stimolare opportunamente il pubblico: quanti avrebbero raccolto il nostro invito? Avevamo dubbi persino sulla sala da utilizzare: la Sede Sezionale ovvero questa splendida Sala Alessi, messaci a disposizione dalla Presidenza del Consiglio Comunale di Milano. Certo la Sala Alessi è prestigiosa ma di una capienza elevatissima e ciò ci preoccupava. Del resto, visto la nostra totale inesperienza, ci mancavano del tutto i parametri di riferimento. La decisione, pertanto, è stata presa più con il cuore che con la ragione: Bedeschi meritava una sede prestigiosa e così lo avremmo commemorato nella Sala Alessi di Palazzo Marino. Alla fine siamo arrivati al gran giorno e, guardandomi in giro, mi rendo conto che le nostre preoccupazioni erano infondate: la sala è piena all'inverosimile e mi si dice che non tutti siano riusciti ad entrare. Questo fatto ci conforta perché prova che i nostri valori non sono affatto, come certuni cercano di far credere, desueti e dimenticati. Il mio compito, come responsabile del Gruppo Alpini Milano Centro, è quello di parlare il meno possibile. Prima, però, di cedere la parola agli oratori ufficiali debbo ringraziare le Autorità civili e militari che hanno voluto essere con noi oggi. Mi scuso se non faccio un elenco nominativo ma rischierei di dimenticare qualcuno. Il primo saluto, oltre ad un caloroso ringraziamento, va certamente alla signora Luisa Bedeschi che ha voluto essere con noi stasera. Questo applauso penso che sia la prova più vera dell'affetto che lega ancora oggi gli alpini, e non solo gli alpini, a Giulio Bedeschi. Ringrazio, poi, la Sezione ANA di Milano che ha voluto far partecipare il Vessillo sezionale a questa nostra manifestazione e gli altri Gruppi della Sezione

che numerosi sono oggi intervenuti con i loro Gagliardetti. Ringrazio, poi, il Presidente del Consiglio Comunale di Milano, Giovanni Marra, che ci ha consentito di usufruire di questa prestigiosissima sede, e con lui i consiglieri Gavazzi e Prosperini che non hanno certo lesinato il loro appoggio ed aiuto fattivo. Un saluto particolare ai reduci di Russia Giovanni Toffoli - artigliere alpino ed infermiere che fu in Russia con Bedeschi - il tenente Marchisio, anch'egli del Conegliano, ed il tenente Ivo Emett che oltre alla Campagna di Russia dovette subire anni di durissima prigionia. Consentitemi, infine, di leggere un telegramma che ci è pervenuto dal Vescovo di Vicenza: “La prego portare alla serata milanese, espressione mia spirituale partecipazione a ricordo di Giulio Bedeschi, comunicando il mio plauso agli organizzatori e compiacendomi con lei degno fratello. Pietro Nonis Vescovo”. Vorrei dare subito la parola al Presidente Marra per un cenno di saluto. Giovanni Marra (Presidente del Consiglio Comunale di Milano): È con grande piacere che il Consiglio comunale di Milano ha accettato di ospitare questo incontro organizzato dal Gruppo Alpini Milano Centro per ricordare Giulio Bedeschi nel decimo anniversario della morte. È per noi un onore ricordare in questa sede un grande scrittore che con le sue parole ha contribuito a rendere ancora più grandi le imprese di un glorioso corpo militare come quello degli Alpini. Nei libri di Bedeschi si sono riconosciuti centinaia di migliaia di lettori o hanno riconosciuto persone a loro care, nelle tragedie, nella sofferenza, nell’eroismo. Nei piccoli e nei grandi gesti di solidarietà raccontati da Giulio Bedeschi si riconosce gran parte degli italiani. L’imperativo che muove gli Alpini ad andare avanti comunque è in altre parole la vera grande risorsa di cui dispone questo nostro grande, anche se a volte un po’ improvvisato paese. Si tratta di una preziosissima risorsa che gli Alpini hanno sempre portato nel loro zaino sia nei tempi tragici della guerra, come quelli raccontati da Bedeschi, sia in occasione di piccole e grandi calamità in tempi di pace. L’azione e i valori che guidano gli Alpini sono però anche un grande sicuro presidio per la nostra identità e unità nazionale. Dove c’è stato bisogno indipendentemente dalla posizione geografica, gli Alpini sono stati e sono sempre per portare, con tempismo ed efficacia, aiuto alle popolazioni delle nostre regioni travolte da disastri naturali e non, ma voglio dire anche non solo nelle nostre regioni.

Ricordo in questi giorni il ventesimo anniversario del terremoto in Irpinia e nel ricordarlo è doveroso ricordare il contributo che fu portato prima agli Alpini e dall’Associazione Nazionale Alpini così come fecero prima in occasione del terremoto in Friuli e più recentemente in Piemonte con le disastrose alluvioni degli ultimi anni. Con il loro impegno gli Alpini dimostrano che le maglie che tengono assieme la nostra amata patria sono molto più resistenti di quanto normalmente si creda. Questa epopea degli Alpini non è ancora stata scritta con quell’efficacia con cui Bedeschi racconta le vicende della campagna di Russia e le vicende successive di Centomila gavette di ghiaccio e il Peso dello zaino, e mi auguro che questa lacuna venga presto colmata. Gli Alpini infatti meritano di essere amati e ricordati sempre, in pace e in guerra, infatti, amando loro si impara ad amare il nostro Paese. Alessandro Vincenti: È noto che il Gruppo è il nucleo più piccolo dell’Associazione Nazionale Alpini. È, quindi, per noi un grande onore la presenza del Presidente Nazionale – Giuseppe Parazzini – al quale chiediamo due parole di saluto, benché ci avesse chiesto di non farlo parlare. Giuseppe Parazzini (Presidente Nazionale ANA): Buona sera a tutti. Questa è un po’ una pugnalata alle spalle, ma per Giulio Bedeschi la si sopporta volentieri. Ringrazio ancora la signora Luisa per aver presenziato a questa bella cerimonia. Volevo solo limitarmi a fare i complimenti al neo costituito Gruppo della Sezione di Milano, Gruppo Milano Centro, al suo capogruppo e a tutti quelli che lo compongono, perché avevamo bisogno di avere qualcuno che prendesse a cuore anche questi aspetti associativi, ricordare le grandi persone che ci hanno indicato tanti valori e tanti ideali da seguire. Sono orgoglioso e ringrazio quindi ancora il Gruppo di Milano Centro per questa iniziativa che dà il là a tutta la sua attività. Grazie a tutti, approfitto dell’occasione per fare inoltre a tutti i presenti gli auguri per le prossime feste. Viva l’Italia e viva gli Alpini. Alessandro Vincenti: Prima di passare alle relazioni ufficiali, una piccola sorpresa. Abbiamo scoperto, quasi per caso, che nella nostra città c'è un gruppo di ragazzi, di liceali, che fanno parte di alcuni complessi corali, ma che si sono uniti per fare un coro a se stante, il Coro "Biele Stele", che canta esclusivamente le nostre canzoni. Prima di dare la parola al prof. Canta(Continua a pagina 14) Alpin del Domm 13

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messa per la relazione introduttiva, pertanto, chiederei al direttore del Coro - Paolo Grava -, di eseguire una nostra canta. Il coro Biele Stele canta "Joska la Rossa" Alessandro Vincenti: Vi confesso che anche per me è stata una piacevolissima sorpresa perché, anche se me ne avevano tanto parlato, non li avevo ancora sentiti e sono veramente bravi. Li sentiremo ancora più tardi. Ma, a proposito di cori, doveva essere presente con noi oggi anche Bepi De Marzi, maestro de “I Crodaioli”, il quale, impossibilitato a presenziare per altri e precedenti impegni, ci ha indirizzato questa lettera: “Subito dopo l’uscita del libro Centomila gavette di ghiaccio, Carlo Geminiani amico della famiglia Bedeschi e in particolar modo di Giuseppe, Beppe, ispirandosi a due precisi momenti del libro, scrissi i versi di Joska la Rossa e L’ultima notte degli Alpini, perché ne facessi dei canti. Li presentammo al Teatro Sociale di Arzignano nel novembre del 1963 e fu proprio Giulio a raccontarne le origini, le ragioni e le emozioni. Poi lungo gli anni assistendo a qualche conferenza vicentina dello scrittore ho trovato i motivi per la musica di Le voci di Nicolajewka e Giulio ha condotto il nostro cantare intorno a questa storia fatta di armonia e urla disperate in un concerto nel salone del Circolo della Stampa di Milano nella seconda metà degli anni Sessanta. Così sempre in quegli anni siamo giunti al festoso incontro in Piazza S. Marco di Venezia, dove 15 cori hanno intonato insieme Il Signore delle cime, Joska la Rossa, L’ultima notte degli Alpini e fu ancora l’amico Giulio Bedeschi a introdurre ogni momento cantato. Vorrei tanto essere lì con voi tutti magari con un gruppo di coristi e ritrovare i suoni della dolce memoria ma stasera canteremo a Gorizia, però a ogni canto sarà la voce morbida di Giulio a intonare i nostri pensieri. Date un bacio per me e per noi alla carissima signora Bedeschi che immagino presente e che ha vissuto con noi quei giorni indimenticabili. Un abbraccio fraterno e riconoscente. Bepi De Marzi, Carlo Geminiani, i Crodaioli.” Diamo quindi inizio alle relazioni ufficiali. Cedo, dunque, la parola, al prof. Giuseppe Cantamessa, alpino, giornalista pubblicista, critico letterario del quotidiano l’Italia che nel 1962 ideò la pagina “Italia libri” e la prima pagina di un quotidiano interamente dedicata alla presentazione di libri. Tra i volumi da lui pubblicati figura L’alpino in pace e in guerra. Prof. Cantamessa: Buonasera. Ritengo opportuno iniziare con una spiegazione ed Alpin 14 Alpin del Domm del Domm

una premessa breve. La spiegazione riguarda proprio il titolo della relazione: “Da Centomila gavette di ghiaccio a Il peso dello zaino”. I due volumi si sviluppano in un ciclo storico che inizia dalla guerra in Albania e finisce dopo l’8 settembre, esattamente il 28 dicembre 1943. Ma la parte più interessante è “Giusto riconoscimento a Giulio Bedeschi”. Quando nel 1963 fu pubblicato Centomila gavette di ghiaccio i critici letterari dei quotidiani e dei settimanali scrissero tutti belle parole: erano anche stati trascinati dall’entusiasmo e dall’accoglienza del pubblico; basti ricordare che l’anno dopo il libro vinceva il Premio Bancarella, tre anni dopo aveva raggiunto la diffusione di un milione di copie; oggi si è già a tre milioni di copie. Era ammissibile che i critici letterari fossero incerti; erano in parte scusabili e c’ero anch’io tra quelli da scusare: era il primo libro. Avevo osservato che c’erano tutte le caratteristiche, tutti gli aspetti perché quel libro entrasse a far parte della storia della letteratura italiana del Novecento. Entrando nella storia della letteratura italiana doveva essere un’opera d’arte e Bedeschi uno scrittore di valore letterario, cioè un artista. Gli artisti possono essere scultori, pittori, musicisti, poeti, narratori che si esprimono in un’opera perfetta. Si poteva avere qualche esitazione perché era la prima opera. Ma quando nel 1966 fu pubblicato Il peso dello zaino si doveva avere, da parte di tutti, il coraggio di riconoscere il valore dell’opera d’arte dello scrittore, e che Bedeschi fosse degno di essere compreso nella storia della letteratura italiana. Ho qui un documento, una pagina che ha trentaquattro anni, quella del 20 aprile 1966. Il libro Il peso dello zaino, pubblicato in prima edizione da Garzanti (passò poi a Mursia), ultimata la stampa il 17 marzo, l’editore Garzanti giustamente mandò a tutti i quotidiani ed a tutti i settimanali fogli di stampa piegati perché potessero leggerlo prima: ed io che desideravo proprio considerare la validità dello scrittore, lo lessi subito e pubblicai l’articolo di apertura della mia pagina quando il libro non era ancora in libreria perché vi arrivò ai primi di maggio. In quell’articolo affermavo chiaramente che Bedeschi doveva far parte della storia della letteratura italiana perché i suoi libri erano opere di valore letterario, cioè opera d’arte. I motivi erano diversi: si passava dalla prosa d’arte all’uso dell’armonia del periodo, all’uso di certe tecniche che Bedeschi aveva spontanee perché era un artista, perché era uno scrittore. Pensate alla difficoltà di certi scrittori quando vogliono usare l’isteron proteron e quando vogliono usare la so-

vrapposizione linguistica oppure la suddivisione del periodo con la bipolarità della narrazione e con la struttura dialogica del linguaggio. Per Bedeschi era tutto naturale, perché era un artista e da allora ho atteso che si potesse esprimere questo riconoscimento a Bedeschi. Due anni fa, finalmente, Luigi De Vendittis pubblicò tre volumi mastodontici, sembrano tre messali, per di più pesantissimi, dal titolo “ Uso e forme della creazione letteraria in Italia”: nel terzo volume, finalmente, metteva Giulio Bedeschi nella letteratura italiana; ma non mi è bastato perché, prima di tutto, citava solo Centomila gavette di ghiaccio ; e invece vedremo che ha maggiore valore letterario “Il peso dello Zaino” perché in questa opera l’autore ha avuto la libertà di creare, cioè lo scrittore ha potuto “scavare” perché ha scritto un romanzo su documenti veri, su testimonianze vere: e poi non dava un giudizio critico, un giudizio estetico completo, come si desidera quando uno scrittore entra a far parte della storia della letteratura italiana. Il mio tentativo, questa sera, è proprio questo, brevissimo perché non abbiamo tempo: vedere, analizzando l’opera di Bedeschi, come è un artista, cioè analizzare l’opera e, in qualche punto, che possono essere una, due, tre righe, mezza pagina, vedere perché è un artista, quale è la differenza tra l’artista e gli altri. L’opera narrativa di Bedeschi si inquadra naturalmente, nella storia della letteratura, in un settore particolare, cioè la letteratura di guerra; e nella letteratura di guerra ci sono due tecniche narrative che vi dico in parole semplici: in una si parla al sentimento e in un’altra si parla alla mente, alla ragione; e i due volumi di Bedeschi sono proprio suddivisi in queste due categorie. Nel primo parla al sentimento e nel secondo parla alla ragione. Ma prima di iniziare ad analizzarli dobbiamo chiederci: chi è l’artista? Come si fa a capire se Bedeschi fu un artista? Per definire l’artista mi piace usare una definizione che disse due mesi fa Monsignor Ravasi, Prefetto dell’Ambrosiana, ricordando Aligi Sassu. Commemorando Aligi Sassu e parlando dell’artista in generale cioè lo scultore, il pittore, il musicista, il poeta, il narratore, disse: “ l’artista è quello che sa scavare (bellissimo questo verbo) al di là delle persone, al di là delle cose per scoprire cosa c’è dietro “. Cioè, praticamente, l’artista è quello che di fronte ad una soggettivazione che abbiamo tutti, riesce in se stesso a giungere all’oggettivazione mediante il momento creativo dell’arte che egli possiede: sia con la parola, sia con la poesia, sia con la musica, sia con la pittura, sia con la scultura: e, nel se(Continua a pagina 15)

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condo volume, proprio Bedeschi ci darà l’esempio di questa differenza che c’è tra noi, che sentiamo la soggettivazione, e l’artista che di fronte alla medesima sensazione ci dà la pagina di poesia in prosa o la pagina di poesia. Iniziamo ad analizzare Centomila gavette di ghiaccio. Immagino che l’abbiate già letto tutti quanti perché non ho la possibilità di dirvi i riassunti dei tempi. Se dovessi esprimere un paragone come si usa quando si analizzano libri e si osserva la creatività dell’artista, la struttura del periodo, a quali autori si ricollega (lasciando il richiamo a I promessi Sposi di Manzoni perché lì c’è tutto), rimanendo nella letteratura del 900 farei un riferimento: Centomila gavette di ghiaccio lo collegherei con il romanzo ciclico di Bacchelli Il mulino del Po, mentre Il peso dello zaino a un libro che fu pubblicato nel medesimo anno in cui fu pubblicato “Centomila gavette di ghiaccio” di Bedeschi, cioè a Il velocifero di Luigi Santucci. Ma c’è una differenza: Bedeschi non divide in parti i suoi libri: se voi li avete letti vi siete accorti che i libri sono divisi in tempi: quattro tempi il primo, quattro tempi il secondo; e non basta. A ogni tempo premette una didascalia che può essere un verso, due versi, tre versi, quattro versi che sono il leitmotiv del tempo stesso, cioè come avviene nelle sinfonie; infatti i tempi sono nient’altro che i tempi o i movimenti di una sinfonia. E allora a me è venuto più spontaneo un paragone diverso, non con la letteratura ma con la musica. Mi sembra che nei due libri di Bedeschi si possa percepire un grande poema sinfonico, o meglio come due sinfonie che si sviluppano una dopo l’altra come se fossero l’opera 67 e l’opera 68 di Beethoven: non rimanete perplessi, le conoscete, sono la Quinta e la Sesta sinfonia detta La Pastorale. Poiché il tempo disponibile è poco, iniziamo subito una analisi per poter giudicare Bedeschi scrittore letterario. Il “tempo primo” di Centomila gavette di ghiaccio è il periodo in cui il Sottotenente medico Serri presta servizio, in Albania, in una divisione di fanteria. Ci sono pagine stupende, quando dirò “pagine” o “ brani di antologia” vuol dire che ci sono nel libro pagine così complete che possono, pur collegate col resto, vivere da sole: si possono pubblicare, appunto, in una antologia. Nel tempo primo ci sono pagine toccanti: non posso fermarmi a lungo perché ho dovuto tagliare anche i brani più belli; vi sono pagine in cui compare sempre l’eroismo e questo spiega la caratteristica. Centomila gavette di ghiaccio parla al sentimento ma non ha bisogno dei traumi emotivi, non ha bisogno degli intimismi psicologici, non ha bisogno di niente perché Bedeschi è un artista e descrive tutti atti eroici; e questo vale non solo per i libri di valore letterario,

vale anche per tutte quelle testimonianze di guerra, per tutti quei libri che sono stati pubblicati: pensate anche a quelli sulla prigionia dei nostri soldati in Russia, quelli dei cappellani militari prigionieri; e qui Bedeschi mi ha dato una soddisfazione grandissima: giungeremo a questo punto. Mi sono ripromesso di non essere polemico questa sera: non lo sarò ma se qualche volta, ad un certo punto, dirò qualcosa è perché sono stati troppo ingiusti. Bedeschi, quindi, non usa traumi emotivi perché parte da fatti che sono eroici. Il fatto eroico porta naturalmente a quello che è l’aspetto più grande, cioè al meraviglioso: ma attenti bene, meraviglioso nel significato del termine latino “monstrum”, cioè prodigio, prodigioso. E qui siamo in una categoria mentale: a questo punto si giunge al magistero del sentimento. Quindi non ha proprio bisogno di usare quei mezzi e tanto meno di quello che un critico letterario di un quotidiano, pur scrivendo belle parole, aveva evocato come moduli deamicisiani. Forse non aveva letto De Amicis, ma certamente non aveva letto i saggi critici di Croce e di Santucci sulla letteratura infantile. Ma iniziamo un’analisi più impegnata. Dopo il tempo primo che narra le vicende con la divisione di fanteria, si giunge al tempo secondo quando c’è l’armistizio e la pace. Possiamo fare una prova. Pensate Voi come vi esprimereste se doveste dire che c’è la pace: provate a pensarci. Io vi dico che cosa ho scritto e poi leggiamo come si esprime un artista. Quando vent’anni fa stavo terminando di scrivere L’Alpino in guerra e in pace (libro che è stato onorato dalla prefazione del Presidente Caprioli) ho creduto di esprimermi in modo originale incominciando il titolo con la congiunzione “ e ”, volendo scrivere in modo diverso dai soliti, e intitolai quella parte “ E venne la pace ”. Adesso sentite come un artista dice che c’è la pace senza usare il termine pace. “ Saporito era nuovamente il pane, dolce il riposo, buona a bere l’acqua, privo di incubi il sonno, bello, bellissimo era vivere ancora ”. Questo è l’artista che “scava”, che vede e che sa dire quello che tutti proviamo ma che solo lui, poi, sa esprimere. A un certo punto, finita la guerra, il Tenente Serri, cioè Bedeschi, venne trasferito nell’ospedale da campo 840 e poi in un ospedale da campo della Julia. Ed è qui che una sera vede le tende nel bosco e si accorge che il bosco è troppo silenzioso e sente che gli Alpini danno la voce al bosco. Non leggo la prima parte dell’episodio perché non abbiamo tempo, ma sentiamo la conclusione. “ Così nasceva il canto”: state attenti alla progressione dell’espressione musicale come a poco a poco cresce; “ mormorato

all’inizio quasi seguito di pensieri accorati e gonfio di contenuto respiro, lamento più che grido perché mai dissociato dal rimpianto per coloro che non cantano più attorno ai fuochi. Un’infinita nostalgia di cose perdute piangeva fra gli Alpini immobili e gravi: pareva allora veramente nel tenebroso silenzio del bosco che innanzi alle rosse lingue guizzanti le parole e le voci venissero a sciogliersi grondando sangue e lacrime”. Avete notato come sa usare i traslati in modo stupendo, meraviglioso? La “nostalgia infinita” che piange, le parole e le voci che grondano “sangue e lacrime”. D’accordo: sono dei traslati; ma solo un artista li sa usare così bene ed è anche per questo che Bedeschi doveva essere valorizzato. Nel terzo tempo poi, (dobbiamo proseguire velocemente) la Julia è tornata in Italia; ma prima della partenza il Tenente medico Serri aveva chiesto all’amico Reitani di raccontargli tutte le vicende della Julia e l’amico, una sera, gliele aveva raccontate. Era la notte di Natale del 1941 e il Capitano Reitani, con un “isteron proteron” (si può definire una trasposizione di tempo e di luogo ma che trova un riferimento a ciò che sta avvenendo in quel momento) narra la vicenda della notte di Natale dell’anno precedente. È Natale e sta nevicando e la neve e il Natale riportano il racconto a quel Natale del 1940 quando mille Alpini passarono la notte portando ciascuno quattro proiettili per i 75/13 su in alto alle batterie che erano senza munizione e che stavano per essere attaccate dai Greci. Vi è poi il trasferimento in Italia con un “brano d’antologia”: l’affondamento della Galilea e la perdita del battaglione Gemona. In Italia, dopo la licenza, partono per la Russia. Trasferiamoci là in Russia nel dicembre 1942. La batteria del Capitano Reitani, con un gruppo di pronto intervento, è incuneata in avanti mentre ai fianchi le altre Divisioni, tranne quelle degli Alpini, si sono ritirate. Gli Alpini dovettero rimanere per proteggere tutti gli altri che si ritiravano, Tedeschi, Ungheresi e Rumeni. Fu un momento cruciale perché non sapevano se fossero riusciti a resistere ai Russi o se fossero sopravvissuti. Erano in quella situazione precaria quando giunse presso di loro Padre Leone, il cappellano del Battaglione sciatori Monte Cervino”. Padre Leone si accostò ai due ufficiali, il Capitano Reitani e il Tenente medico Serri: vide gli Alpini sdraiati nella neve, pensò che difficilmente sarebbero sopravvissuti e allora volle assolverli tutti. Vi leggo solo l’ultima parte. Dice il cappellano: “Ormai credo di poterlo fare, la (Continua a pagina 16) Alpin del Domm 15

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penitenza la stanno già facendo da un pezzo mi pare – E fissando i due ufficiali disse: -- Io vi assolvo, io vi assolvo tutti – levò la mano nuda sulla distesa bianca”. E qui abbiamo un capoverso che è stupendo, è di un realismo proprio doloroso, triste; ma ha fatto bene Bedeschi a rendere giustizia a questi cappellani militari che sono stati prigionieri in Russia. Seguitemi perché è veramente affascinante. “ Era una mano diafana, esangue, di frate, adusata al breviario e al messale, a innalzar l’Ostia, a spargere carità dove toccava; e Dio solo già sapeva che di lì a pochi mesi, nell’orrore della prigionia, Padre Leone, distrutto dalle cancrene dei congelamenti, moribondo in tutto ma non nello spirito si sarebbe trascinato sino al suo ultimo respiro da morente, ad alzare su di essi giacenti quella mano ormai putrida e sfatta fino all’ossa, gocciolante di pus nel benedire”. A questo punto c’è un passaggio nel quale Bedeschi dimostra di possedere una tecnica particolare: quando descrive momenti tristi è capace di passare con una dissolvenza ad una distensione, anzi è capace di giungere a considerare la serenità della morte, tanto che accanto alla tematica della neve, alla tematica del Natale ho descritto in Bedeschi anche la tematica della serenità della morte. “Padre Leone tacque a lungo e assorto. Poi all’improvviso, come cambiando umore esclamò quasi allegro – In gamba ragazzi. Tanto in un modo o in un altro, deve toccare a tutti. “ Quia pulvis es”. Te lo ricordi ancora il latino, dottore? – Giacché sei polvere – mormorò Serri – Sènti, Sènti i signori ufficiali che i parla latin anca a Jvanowka! –“. Notate questa trasposizione del linguaggio, questa sovrapposizione linguistica che Bedeschi usa sovente magistralmente. “ – Era la voce del conducente Pilòn che stava passando accanto con un telo da basto caricato sulle spalle. Continuò: -- El bèlo xe che ‘sto latìn lo so ànca mi, el xe el latìn de me nòno, el lo dixèva sempre, poarèto, quando me nòna ghe scondèva el tabàco! Volé sentirlo? – Cambiò spalla al telo da basto, e recitò: -- Me meto omo, chi pulvisè et in pulvere redeventàri ! – Padre, perdona loro “ – disse ridendo il cappellano aprendo le braccia e levando gli occhi al cielo”. Ma il momento è veramente tragico e la serenità della morte appare poco dopo, quando temono di non poter resistere e Reitani e Serri, ormai amici fraterni, si stringono la mano. Sono due righe e ve le leggo: “-- Addio, Italo – disse il Capitano afferrando nel buio e stringendo con grandissima forza la mano del medico: -- Addio, Ugo – disse il medico. – Siamo stati fratelli. Noi crediamo in Dio, ci ritroveremo tra poco “. Alpin 16 Alpin del Domm del Domm

Invece riescono a superare quel momento e giunge la notte di Natale 1942: è stupenda, è mirabile. Bedeschi qui ha saputo dare una disgiunzione linguistica e, soprattutto, una sovrapposizione del linguaggio che è meravigliosa, perché c’è il cappellano che legge la messa in latino, mentre dentro di sé, dal suo cuore, rivolge una preghiera a Gesù Bambino. C’è uno sdoppiamento, ma la parte originale è che Bedeschi fa parlare il cappellano come se parlasse agli Alpini e invece parla a Gesù Bambino. Ve ne leggo alcune righe: “Il cappellano leggeva in fretta e a bassa voce le parole della Messa di Natale. – Vedi, Bambino Gesù – forse diceva il suo cuore mentre gli occhi scorrevano sulle righe del messale – questi sono gli Alpini che fanno la guerra. Ma non ne hanno colpa. Tu lo sai. Sono stati mandati e devono ubbidire. Preferirebbero lavorare tranquilli nelle loro case, per i loro figli e per le mogli che sono rimaste sole, e per i vecchi … Guardali come sono ridotti, quasi peggio di te quando nascesti: hanno solo un po’ di fradicia paglia per sdraiarsi: Tu almeno avevi, scusa, il bue e l’asinello a riscaldarti col fiato. Loro, no. … Quando mi sono voltato verso di loro per annunciare ‘ Gloria in Excelsis Deo’ ho visto che sono inginocchiati nella neve rivolti al tuo altare: me l’aspettavo, li conosco bene. E stanno a testa china. Ti pregano, se li ascolti sentirai che Ti chiedono soprattutto di farli tornare presto a casa, alle loro montagne; da soli non possono andarci, sono capaci di morire qui, per ubbidire. Tu stesso li hai fatti così –“. Alpini che siete qui in sala, avete capito bene cosa dice il cappellano a Gesù Bambino? Se avete udito bene, avete capito che in questo punto Bedeschi, per mezzo del cappellano, ha espresso l’elogio più sublime che si possa dire agli Alpini. Lo rileggo. Il cappellano dice a Gesù Bambino: “—Tu stesso li hai fatti così: ma se li restituisci alla casa, sentirai che felicità, che bontà d’intenti e d’opere vive nel loro cuore …-- Press’a poco così doveva pregare il cappellano, perché era un alpino anche lui “. Alpini, fate una bella cosa. Vedete se riuscite a trovare un elogio degli Alpini più bello di questo. Ma state attenti: accanto all’elogio c’è l’aggettivo “sublime”. Cercatelo: se lo trovate, fatemelo sapere; vi ringrazierò. Passiamo al tempo quarto che è dedicato alla ritirata. Nella descrizione della ritirata ci sono molte pagine belle (con un isteron proteron ne troveremo anche nell’altro volume): ma la pagina dedicata alla battaglia di Nikolajewka è meravigliosa: secondo me quella di Bedeschi è la migliore, perché accanto a quelli che

sono gli aspetti tristi, dolorosi, cruciali, ha saputo mantenere la serenità. E’ una pagina di poesia, pagina proprio da antologia. Credo di aver recensito 22 o 23 volumi che descrivevano la battaglia di Nikolajewka. Ne ho trovati solo due che mi sono piaciuti, ma questo è quello che più ho apprezzato. L’altro era quello di Monsignor Chiavazza, Scritto sulla Neve, che fu poi anche traslato nel disco Philips Con gli alpini in Russia. Ma la descrizione di Bedeschi è quella che mi è piaciuta maggiormente, perché ha saputo mantenere quello spirito di serenità e di poesia anche nei momenti più tristi, anche nei momenti più dolorosi, anche nei momenti più ostili all’uomo, quando l’uomo non è più capace di essere amico dell’altro uomo. Nel tempo quarto c’è anche il ritorno in Italia. Furono fortunati: viaggiarono nei carrozzoni con gli sportelli e i finestrini. Pochi di voi hanno conosciuto i famosi carri “ quaranta uomini, otto cavalli ”. Questa volta, per i reduci dalla Russia, c’erano i carrozzoni. A un certo punto Bedeschi ci offre una pagina indimenticabile. Una sera, quando era già buio, in un carrozzone venne, chissà da chi, un mormorio incerto, un accenno a labbra chiuse; “altri lo raccolsero, lo passarono di bocca in bocca”. Notate, adesso, la progressione nella intensità musicale dei verbi. “ Il motivo vagolò indeciso”. ( Bellissimo questo verbo “vagolò” ). Solo un artista può comunicarci questa espressione. “ Il motivo vagolò indeciso, sfiorò lento il cuore degli uomini, altre voci lo accrebbero donandogli una consistenza triste, simile a un accorato pianto che fluisce nel buio. Ma gli artiglieri alpini non piangevano, erano immobili, forse ad occhi chiusi. Cantavano. A bassa voce, un sussurro. Veniva a loro il ricordo di cento, di mille, d’infinite cose lasciate disciogliere in una, in quel filo di voce che si faceva strada nel buio come una piccola vena d’acqua tra le pietre e l’erba “. Bedeschi, con le parole, ci ha trasmesso questa delicatissima sensazione musicale. Un altro artista, ma era un musicista, era Smetana, nel poema sinfonico “La mia patria”, nel tempo primo La Moldava, usò un solo flauto tenore per interpretare in modo quasi impercettibile questa sensazione del “filo di voce che si fa strada, nel buio come una piccola vena d’acqua tra le pietre e l’erba”. E la canzone era struggente come tutte le canzoni degli Alpini: parlava di un ponte, parlava di una bandiera, parlava della Julia, parlava degli Alpini. Avete capito: era “Sul ponte di Perati”. Bedeschi fa cantare agli Alpini le prime due strofe; ma io ho l’impressione, e la mia impressione deriva da quanto ha scritto Bedeschi nelle (Continua a pagina 17)

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pagine 77 e 78 (vi dico il numero delle pagine perché non abbiamo il tempo di leggerle), che abbiano cantato anche la quinta strofa. Non li sentiva nessuno: erano là nel loro carrozzone e hanno cantato anche quella quinta strofa che in quei tempi era proibito cantare: c’era la proibizione assoluta perché parlava di tradimento. Mentre non so se abbiano cantato la sesta strofa perché ancora non sapevano quanti e quanti e quanti Alpini sarebbero morti soprattutto nei campi di prigionia. La sesta è quella che comincia “Un coro di fantasmi vien giù dai monti ”, che certi cori cantano per prima dopo che il coro degli Alpini della Taurinense cominciò a recitarla, non a cantarla: solo a recitarla. Siamo così giunti al ritorno degli eroi. Ritorno degli eroi che, naturalmente, Bedeschi rievoca senza mezzi termini: ce lo descrive con un realismo che è veramente desolante, ma vero. Fu proprio così. Quando entrarono in Italia, alla prima sosta gli Alpini scesero dalle carrozze per toccare la terra, per baciarla, ma vennero rimandati sulle carrozze. Anzi, i ferrovieri chiusero gli sportelli e fecero alzare i vetri: e agli Alpini che si lamentavano, ecco la chiusura del ritorno degli eroi “ –Che Alpini o non Alpini !! Ma vi vedete ? – urlò allora il ferroviere; -- Vi accorgete sì o no che fate schifo ? –“. Il titolo del secondo volume Il peso dello zaino è una simbologia perché non è solo lo zaino che portavano: anche quello, ma soprattutto è l’angoscia, quella che sentivano sia il Capitano Reitani, sia, ad un certo punto, il Tenente medico Serri, perché loro erano tornati. Soprattutto il Capitano Reitani non sapeva cosa fare: poi decise di andare a morire là dove erano morti i suoi artiglieri alpini. Infatti, guardate la copertina della prima edizione: gli alpini capiscono subito tutto. È rappresentato un soldato disteso a terra, morto, con le fasce gambiere e gli scarponi: ma gli scarponi sono illuminati dal sole. Quando nel 1921 Paolo Monelli pubblicò presso l’editore Treves Le scarpe al sole (fu fortunato, perché girò solo due anni tra i vari editori; Bedeschi, purtroppo, girò per diciassette anni) iniziò il suo libro con queste parole: “Nel gergo degli alpini mettere le scarpe al sole significa morire in combattimento”. Sarà questa la vicenda che si svilupperà in tutta quanta la storia del volume, che ha più valore letterario perché è un romanzo basato su documenti storici. Bedeschi ha conosciuto Padre Flad, ha sentito da lui la storia di questo religioso che studiava alla Gregoriana di Roma quando era in guerra e che divenne poi professore della medesima Università. Il religioso raccontò a Bedeschi tutta la sua storia: incredibile. Aiutante di Sanità a Stalingrado, quando la città si ar-

rese, sollecitato dai suoi soldati guidò tutto il suo gruppo senza usare le armi. Era stata questa la condizione irrinunciabile: le armi, caricate su una slitta, non dovevano essere usate. Attraversò tutta la Russia e portò i suoi soldati sino alle nuove linee tedesche. Voi certamente pensate che ebbe, almeno, la “Croce di ferro” . No: otto giudizi dei tribunali della Vermacht e delle S.S. e alla fine mandato in campo di concentramento da dove lo liberarono gli americani. E con la conoscenza di questi episodi veri che aveva sentito costruì il romanzo: ed è qui, naturalmente, che appare l’artista. Nel romanzo Bedeschi può spaziare, può creare, può indagare, può scavare anche in tutti quegli altri aspetti Dopo il tempo primo nel quale c’è la narrazione brevissima della ritirata delle nostre divisioni, non solo delle tre alpine, ma anche delle sette divisioni di fanteria, tra le quali la Vicenza che fu mandata in linea con la divisa estiva, passando al tempo secondo, la narrazione si svolge nell’Ospedale di Bologna dove c’è anche Bedeschi, cioè il Tenente Serri, perché aveva avuto un inizio di congelamento ai piedi. Nel medesimo Ospedale c’è anche Scudrera: e a questo formidabile alpino Bedeschi dedica una pagina significativa quando deve chiedere al cappellano di scrivere a casa. Ma tutti i giorni, il Tenente medico serri va a trovare l’alpino Gios che ha i piedi congelati. C’è una spiegazione di queste visite giornaliere. Nel sesto giorno della ritirata, il Tenente Serri avvertì un principio di congelamento ai piedi e cominciò a restare indietro. Gli passò vicino un alpino che gli disse: “Ma va, cammina!” Subito dietro c’era una slitta con l’alpino Gios che lo vide, si strinse per fare un po’ di spazio e lo invitò a salire. Gli tolse gli scarponi, gli levò le calze e gli fece strusciare i piedi sulla neve e incitò la mula ad andare un po’ più veloce in modo che al Tenente Serri potesse riprendere la circolazione del sangue. Quando poi il Tenente Serri si accorse di stare meglio e volle scendere ma non riuscì a mettere gli scarponi, Gios gli regalò i suoi valenchi. Esistono ancora: ho avuto la fortuna di vederli nello studio dell’Avvocato Prisco quei valenchi con i quali Bedeschi tornò in Patria. C’è un altro episodio, nell’Ospedale: è un racconto che può stare accanto a quelli mensili narrati da De Amicis in Cuore. È stupendo, di una delicatezza estrema: l’avrei voluto leggere, ma non abbiamo il tempo. È anche commovente nella parte finale quando la maestrina Clara va all’Ospedale per rivedere il fidanzato: non vogliono dirle dove è l’ufficiale ferito che lei cerca; ma quando, senza farsi notare, entra in una sala di medicazione, vede un tronco con una

testa: non ha più né le braccia né le gambe. È una descrizione delicatissima questa della maestrina Clara. Ormai guarito Scudrera lascia l’ospedale e va in licenza a casa per sposare la Pasquala e in chiesa, Pilon, l’alpino poeta, è inginocchiato proprio dietro a Scudrera e contempla quelle spalle larghe e grosse dell’amico inginocchiato davanti a lui e, con un isteron proteron, rivede quelle spalle quando portavano i proiettili per i 75/13, e poi in quella notte di Natale, quella del 1941 che era stata descritta, con la predica del cappellano. È in chiesa, ma, come capita a tutti, anche Pilon si distrae durante la cerimonia del matrimonio e, ripensando a quel Natale, gli sembra che la chiesa sia cambiata. Ma sono poche righe e ve le leggo: “Vedeva ancora quelle spalle d’alpini inginocchiati nel buio sulla neve verso la baracchetta del comando del Tolmezzo che aveva la porta aperta e si vedeva l’altare con le due candeline”. E poi, nella sua distrazione si trasporta là, nella chiesa dove si trova. “Ora tanti Alpini erano entrati senza rumore e stavano inginocchiati rivolti all’altare, vicino a Scudrera stavano buoni e fermi e sembravano vivi e lui, Pilon, li riconosceva tutti, a uno a uno anche se li vedeva soltanto di spalle e aveva quasi la tentazione di chiamarli per nome ma non si poteva perché quelli erano i morti della Julia che erano entrati e stavano riempiendo tutta la chiesa”. E qui Bedeschi ci offre un esempio di quella differenza che vi ho accennato. Pilon è come noi: sente qualcosa ma non riesce ad esprimersi: e Bedeschi ci espone la differenza tra la persona comune e l’artista. Pilon si confida al tenente Serri e gli dice “Ma io vorrei dire … “cosa vuoi dire?” “Dico solo – Alpino della Julia – e Serri gli risponde – va bene”. Serri, cioè Bedeschi, ha le medesime sensazioni ma è il poeta, è l’artista e il giorno dopo dà un foglio a Pilon con le sei strofe di “Alpino della Julia”. La conoscete la poesia perché l’avete sentita cantare e quindi conoscete la struttura differenziata tra la prima, la terza e quinta strofa, nelle quali c’è l’espressione del dolore e la seconda, la quarta e la sesta che invece esprimono il desiderio che si ripete in queste tre strofe pari coi primi quattro versi e con gli ultimi due che sono uguali. Si ripetono sempre e dicono, insistono a dire “Semo soltanto i fioli vostri, i fioi de le montagne de l’Italia”. Sono versi di una potenza espressiva e di una originalità senza pari. Dopo il mese di licenza si trovano al forte di Osoppo e un giorno il Tenente Serri va verso un muricciolo, vi si siede, osserva sotto la pianura e il fiume Taglia(Continua a pagina 18) Alpin del Domm 17

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mento e sente che è ingiusto che lui sia lì: si ricorda i compagni che sono rimasti nella neve e cerca di dire qualcosa e pensa a quando aveva provato la sensazione di non riuscire più a camminare e vedeva gli alpini che si allontanavano e lui che rimaneva indietro. Ecco allora l’artista che scava e sa esprimere quello che pensa e scrive sei versi. Sono il secondo verso della prima strofa, i primi due versi della quarta e della quinta strofa e il primo verso della sesta strofa della “Preghiera dell’Alpino ignoto”. Quando viene raggiunto dal Capitano Reitani glieli fa leggere e il Capitano condivide anche lui questa angoscia. È una poesia che si struttura in modo diverso dall’altra: vi è una contrapposizione tra le prime cinque strofe e l’ultima. Nelle prime cinque strofe i versi iniziali sono un crescendo di sofferenza: “Per le mie ferite, per il mio silenzio, per il lungo calvario, per gli occhi di mia madre, per le mani di mio figlio”. Poi termina con la preghiera: e qui l’esclamazione è potente e grandiosa: “ Tu, o Signore, tendi la mano!” Quando io leggo questi versi, vedo innanzi la volta della Cappella Sistina, là dove Michelangelo ha dipinto “Dio Padre” che si china e tende la mano all’uomo che, in basso, alza la sua per afferrarla. Ma c’è quella anafora, quel “Tu” ripetuto insistentemente, sempre più angosciante di strofa in strofa che mi sembra un rintocco di campana, ma di quella campana, di Maria Dolens che lassù, al castello di Rovereto, ogni sera alle 20,30 suona per tutti i caduti di tutte le guerre. E giungiamo alla brevissima preghiera di Pilon: è una finezza di Bedeschi. Pilon è un artigliere alpino, un conducente: noi tutti sappiamo come venivano allora chiamati i conducenti. Eppure Pilon, a un certo punto, dopo che c’è stato l’armistizio e tutti cercano di ritornare nelle loro case, vuole andare a un comando con la divisa, il moschetto, lo zaino. Ma è sfinito, non ne può più e si siede su un paracarro con le mani in tasca Sente di dover dire una preghiera, brevissima, cinque parole delle quali due ripetute: ed ecco che a questo punto si alza dal paracarro (notate la finezza di questo artigliere conducente), leva le mani di tasca e guardando il cielo dice: “Guarda giù, guarda giù, Signore”. E ci avviamo verso la fine. Reitani, che è andato in licenza in Sicilia, ritorna indietro con un reparto italiano, dopo l’invasione degli alleati e, dovendo decidere, non sa se stare al Sud o andare al Nord, perché, da qualsiasi parte si metta deve combattere contro gli Italiani e non vuole. Viene a sapere che c’è un reparto di Italiani che combatte ancora in Russia insieme a un battaglione tedesco e pensa di raggiungerli. Nello sfaldamento che avviene dopo l’8 settembre 1943, anche il tenente Serri cerAlpin 18 Alpin del Domm del Domm

ca di tornare a casa. E in questo ritorno c’è l’episodio delle tre pettegole (leggetelo perché è davvero bellissimo). Dedica una riga a ciascuna: leggetelo perché vale la pena di vedere come Bedeschi ha saputo indagare e presentare in modo completo anche i piccoli personaggi ai quali dedica una riga sola, al massimo due righe. Il Capitano Reitani raggiunge il fronte russo e, nell’ultima mattina, il 28 dicembre, incontra Padre Flad. Scambia con lui poche parole dicendogli che è venuto lì per morire dove sono morti i suoi Alpini. Ma Padre Flad gli risponde: “No, questa è un’espressione sentimentale; per una soluzione bisogna avere un aspetto razionale, la vera conclusione viene soltanto da un atto d’amore assoluto”. E abbiamo l’atto d’amore assoluto che conchiude il volume. In quella stessa mattina i Russi attaccano e Pagliula, il suo attendente viene ferito e gli grida di salvarlo. Il Capitano se lo carica sulle spalle ma, a un certo punto, anche lui viene ferito e cade. Rimane a terra svenuto, e quando rinviene non c’è più nulla, non c’è più nessuno: sono già passati tutti. Ma ecco che sente un lamento: “Vodi, Vodi, acqua, acqua”: guarda, e lì a due metri c’è un soldato russo ferito che lo fissa, che ha la bocca aperta e che chiede acqua da bere, ma lui … No, qui ve lo leggo: sono gli ultimi quattro capoversi che sono un capolavoro. Io userei una similitudine, li definirei l’ultima grande pennellata dell’artista perché solo un artista è capace di giungere ad una simile evocazione. Notate lo sdoppiamento del periodo: “– Non posso – pensò Reitani – non ho più forza --; ma ricorda le parole del cappellano e che deve compiere un atto d’amore assoluto. Allora Reitani si ribellò: -- Non sono ancora morto -- Raccolse le ginocchia e le puntò, puntò i gomiti e a denti stretti avanzò . Strisciò ancora e capì che poteva arrivare”. Adesso state attenti alla bellezza di quest’ultima parte: l’artista sdoppia il periodo, prima tra la narrazione ed il protagonista, il Capitano Reitani, poi tra la narrazione e lui stesso. Interviene Bedeschi a chiudere l’episodio. “Strisciò ancora e capì che poteva arrivare, la mano è di legno ma il palmo fa conca e mi serve ugualmente, l’affondò nel bianco e la trasse ricolma, la tenne sospesa nell’aria, l’uomo già spalancava le labbra aspettando la neve, poco poco e ti tocco lo vedi sarei già da te se non fosse per questo dolore”. L’atto d’amore assoluto era compiuto. “Più aumentava il dolore, più percepiva vicina una acquietante presenza; A quel punto un Qualcosa (è scritto con la iniziale maiuscola) “lo attrasse e lo fer-

mò. – Lascia lo zaino soldato Reitani –”. E’ intervenuto lo stesso scrittore. “Allora la mano si fermò, restava protesa nell’aria perché il tempo era finito e il Capitano Reitani ormai si assentava da tutta quella neve”. Era il 28 dicembre 1943. Quarantasette anni dopo, nel 1990, poche ore prima del 28 dicembre, nel tardo pomeriggio del 27 dicembre, anche Giulio Bedeschi si spegneva. È una coincidenza, una pura coincidenza: ma io non ho mai capito perché ci siano delle coincidenze che sembrano intuizioni e che frequentemente, però, avvengono negli artisti. Alessandro Vincenti: Il prof. Cantamessa ci ha parlato della "preghiera dell’alpino ignoto" di Giulio Bedeschi, che ora ci verrà letta, anzi recitata, da un attore professionista dei Filodrammatici Alessandro Conte. Preghiera dell’Alpino Ignoto: O Signore TU per le mie ferite da cui scese sangue alla terra alle pietre al fango alla neve dovunque passai; TU per il mio silenzio e il mio dolore senza volto e il mio respiro che cessò senza lamento nell’invocare Te; TU per il lungo calvario d’ogni fratello alpino che giacque infine riverso in quell’ora e per sempre simile a me nella sua stessa offerta; TU per gli occhi di mia madre -fermi nel buio fermi nel vuotoin cui vedesti tremolare e cadere verso Te dalle ciglia la luccicante preghiera; TU per le mani di mio figlio che mai sentirono le mie e non ebbero più guida se non di ricordo, TU, o Signore, tendi la mano per quanto noi Ti offrimmo, preserva dalla vita e dalla morte ch’io conobbi in sorte e benedici ogni fratello che vive. Benedici l’Italia Alessandro Vincenti: La preghiera la trovate nella brochure che vi è stata distribuita all’ingresso. Vorrei chiamare adesso nuovamente il coro che ci canterà “Nikolajewka”. Questi ragazzi sono stati scoperti dal nostro vice capo Gruppo, Gianluca Marchesi, tenore primo del Coro ANA della Sezio(Continua a pagina 19)

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ne di Milano e dal maestro del coro. Mentre il coro si prepara, vorrei leggervi due righe di Giulio Bedeschi su questa canta. “…è una canzone scritta da un alpino Bepi de Marzi, un giovane che non ha fatto la guerra ed è una canzone che vuole rievocare attraverso la suggestione di un nome ripetuto tante volte dal coro, la situazione vissuta dalla Julia nel ’43 a Nikolajewka, la battaglia di Nikolajewka, una città nella quale si erano insediate due divisioni russe che ci contrastavano il passo in una delle tante sacche che abbiamo dovuto sfondare per uscire dall’accerchiamento. Nikolajewka è tra le più strazianti canzoni alpine, c’è soltanto quel nome sussurrato, gridato, invocato, ripetuto da voci vicine e da voci lontane, come un addio dal fondo dell’orizzonte” Prima ci ha rivolto un cenno di saluto l'attuale Presidente dell'Associazione Nazionale Alpini ed ora, nel segno della continuità, cedo volentieri la parola al dr. Leonardo Caprioli, Nardo per tutti gli Alpini, che per oltre 16 anni ha retto l’Associazione. Leonardo Caprioli: Voglio anzitutto rivolgere un cordialissimo saluto a tutti voi, in modo particolare alla signora Luisa Bedeschi, che è qui con noi, a tutti gli alpini presenti ed in modo speciale ai reduci di Russia: all’infermiere, artigliere infermiere Toffoli, al tenente reduce dalla prigionia Ivo Emett e a tutti gli altri reduci di Russia che sono qui. Un saluto deferente al mio Presidente Nazionale Beppe Parazzini, che mi meraviglio non si sia alzato a cantare con i ragazzi, perché per lui il canto è una cosa irresistibile. Io di solito sono abituato a parlare a braccio però di fronte a un pubblico come questo non era possibile ricordare Giulio Bedeschi facendo magari delle omissioni o commettendo errori, per cui ho preferito scrivere tre paginette che vedrò di leggervi il più rapidamente possibile anche perché c’è Peppino Prisco che mi controlla con l’orologio per vedere se impiego più dei dieci o quindici minuti che gli ho promesso. Io sento Giulio qui con noi stasera, sento che ha avuto un permesso speciale dal General Cantore e che è qui con noi così come lo è sempre stato nei nostri cuori. E allora gli ho scritto una specie di lettera. Quando dieci anni fa mi venne comunicata la notizia che non ti avremmo più avuto con noi, forse al momento non mi resi conto di quanto mi saresti mancato, di quanto grande fosse il vuoto lasciato nel mio cuore, di quale immensità fosse l’insegnamento trasmessomi attraverso le tue parole, i tuoi scritti, i nostri incontri. Forse per questo, da allora, ogni anno in un qualsiasi giorno del mese di agosto, torno

alla chiesetta di San Lucio su quell’altipiano che sovrasta Clusone da cui si domina tutta la vallata, meta, settanta e più anni fa, delle mie giovanili imprese sciistiche, quando si partiva da Bergamo con il primo treno per la Val Seriana e arrivati a Clusone ci si inerpicava lungo il sentiero che portava prima a San Lucio e poi al Pianone, per ripercorrerlo poi nel tardo pomeriggio allorché si tornava per riprendere il treno che ci avrebbe riportato a casa. A San Lucio ricordi, tornavamo tutti gli anni e con noi c’erano altri reduci della campagna di Russia, Tino Simoncini del Vestone, che divenne poi indimenticabile sindaco di Bergamo e Zanoletti che tu

In primo piano Leonardo Caprioli accanto al Presidente del Consiglio Comunale di Milano Giovanni Marra descrivesti così bene nella tua Rivolta di Abele. Staffetta sciatori della 52° dell’Edolo, la mia Compagnia e il mio Battaglione, e altri di cui adesso non ricordo il nome, mentre le nostre mogli parlavano delle loro solite cose, noi ci sedavamo sul muretto della terrazza e senza dirci niente ma guardandoci negli occhi, riandavamo col pensiero a quei giorni, a quell’epopea tragica, assurda od eroica, secondo i punti di vista, o forse entrambe le cose. Un'azione corale dalla quale, di volta in volta, tu hai saputo far emergere un singolo. Giulio, gli alpini da te descritti più che combattenti sono soprattutto uomini, ai quali è capitata la sventura di una guerra che nessuno di loro aveva voluto, ma che tutti hanno combattuto con onore. Colpisce, nelle tue descrizioni, la sfida di questi uomini più con se stessi che contro il

nemico, la sfida contro la rassegnazione, il desiderio di mettere fine una volta per tutte a quei giorni, durante i quali era forse più facile lasciarsi morire che continuare a vivere. Sono, così come tu ne parli, personaggi dai valori risorgimentali per i quali appare superato il dualismo eroe e antieroe, perché sono solo uomini proiettati in un'avventura da cui emergono i valori della solidarietà, della generosità, dell’aiuto reciproco. Vi sono nel racconto di questa avventura una grande sobrietà e alcuni tratti di commovente poesia e ci si rende conto, allora, che per te, Giulio, questo era il tuo mondo, quello dei Pilon e degli Scudrera, dei Toffoli, dei Reitani, dei Perbellini, un mondo nel quale tu avresti voluto rituffarti, per stare ancora con quegli uomini, per rivivere quei momenti di tragedia e di esaltazione, per riprovare e risentire tutto il calore umano e la commozione provati allora, come quando Scudrera al limite della sopportazione e della resistenza fisica, cede all’amico che sta morendo di fame quella crosta di formaggio, tanto gelosamente custodita, che doveva mangiare lui prima di morire. E, allora, Giulio nell'impossibilità e nella difficoltà di accettare il nuovo mondo che non è più il tuo, ecco che tu confronti il tuo mondo di allora con quello in cui devi vivere. Al tuo mondo di valori che non si possono barattare con nient’altro, perché la dignità umana non è mai stata in vendita meno che meno in quegli uomini nei quali tu ti rispecchi, tu contrapponi i tristi momenti del ‘68 con tutte le sue contraddizioni, la famosa ricerca di un qualcosa che possa giustificare quell’affannoso, prepotente rifiuto di ogni disciplina, di ogni sacrificio di qualsiasi impegno e fatica. La tua aperta disapprovazione per la contestazione giovanile del ‘68 potrebbe forse avvallare un giudizio abbastanza scontato su di te, scrittore uomo, non in linea con i tempi, incapace, per alcuni nella coraggiosa coerenza con te stesso e perché dotato di una onestà intellettuale che non si piega alle mode e alle strumentalizzazioni socio-politiche del momento, di cogliere i mutamenti di una società in evoluzione. Del resto l’opinione pubblica ci vede da più parti anche e soprattutto politiche, come scomodi dinosauri mummificati nella nostra epoca e nella nostra storia, comunque fortunatamente, in via di estinzione. Ma ciò non è vero, tu di quei giovani, col volto coperto da un fazzoletto e che urlavano tutta la loro rabbia per una società dalla quale si sentivano traditi, non hai guardato solo l’aspetto esterno, hai cercato di stare loro vicino e in loro hai visto emergere qualità insospettabili e ti sei accorto che, anche se con i jeans ed i capelli lunghi, in loro alberga(Continua a pagina 20) Alpin del Domm 19

vano gli stessi sentimenti che riscaldavano il nostro cuore quando avevamo vent’anni, e fai capire che, secondo il tuo punto di vista, il compito di noi anziani avrebbe dovuto essere quello di mettere a disposizione dei più giovani la nostra esperienza, proiettandola nel mondo attuale. Perché, se ci limiteremo sempre e soltanto a contare il gruzzoletto dei nostri ricordi, fatto di monete che per altri non hanno più corso anche se per noi sono di oro zecchino, faremmo torto non solo a noi stessi, ma soprattutto ai nostri morti, ai nostri ideali, ad una società che esige comunque la nostra presenza. Ricordi Giulio, che nell’estate del 1974 su a San Lucio. ti dissi che sulla spinta di quello che i coscritti mi avevano insegnato, nel ricordo di quegli Uomini che avevo conosciuto in Russia, non me la sentivo di continuare a restare ostinatamente ancorato al passato. rifiutando quanto di nuovo ci veniva proposto e avevo detto agli Alpini della Sezione di Bergamo, di cui all’epoca ero presidente, che era giunto il momento di ricordare i morti aiutando i vivi, perché questa era la componente fondamentale dell’anima alpina. Anima alpina che i più anziani avevano conosciuto in guerra come espressione di amor patrio, ma soprattutto come disponibilità ad aiutare gli altri. Anima alpina che, in tempo di pace, doveva rifiutare l’immobilismo delle commemorazioni rituali che avrebbero isterilito il nostro slancio, relegandoci in un limbo di parole che gli alpini di sempre hanno rifiutato, per operare invece in quei settori della società dove non si richiedono discorsi alati e promesse mai mantenute, ma interventi concreti. Avevo proposto allora agli alpini di Bergamo di costruire un complesso che potesse ospitare coloro che più impietosamente erano stati colpiti dalla sorte, gli handicappati, come quegli alpini che nella neve di Russia, non più in grado di proseguire il cammino, si erano accasciati esausti pietosamente ricoperti dopo pochi istanti da un candido velo di neve. Tu mi rispondesti: Nardo, tu, in questo modo, farai simbolicamente rivivere uno dei tuoi alpini, darai calore e vita a una di quelle centomila gavette di ghiaccio che sono rimaste lassù e forse riuscirai a pagare, però solo parzialmente, quel debito nei confronti della sofferenza, del dolore e della morte che allora abbiamo contratto e che ci accompagnerà per tutta la vita. Giulio perché gli interventi degli alpini a favore di chi soffre in una società come la nostra appaiono come dei miracoli a volte scioccanti? Perché lo fanno? Ci si chiede da più parti. Perché la solidarietà gratuita sgomenta più dell’egoismo? La risposta è nell’aver accolto e trasformato da parte degli alpini di oggi, il messaggio che traspare inequivocabile nei tuoi scritti, di quei ragazzi che nel 1943 marciavano, pressoché scalzi, nella Alpin 20 Alpin del Domm del Domm

neve, messaggio che non conosce frontiere storiche e generazionali, che sfida l’indifferenza e l’egoismo in nome di una comune umanità. Purtroppo non tutti, anzi ben pochi, hanno recepito questo messaggio. Sempre su a San Lucio tu mi dicesti, anni fa, che l’uomo solo attraverso le prove più impegnative, i sacrifici più dolorosi, le rinunce più costose, riesce ad essere veramente se stesso, riesce ad esprimere tutto quello che, potenzialmente, ognuno di noi ha nel cuore, riesce ad apprendere che la vita non può e non deve essere vissuta solo per se stessi ma anche e soprattutto per gli altri. Questo hanno insegnato i loro vecchi agli Scudrera e ai Pilon del tuo Centomila gavette di ghiaccio, questo ha voluto dire il tuo Reitani quando decise di tornare nella neve di Russia, per poter essere ancora idealmente con i suoi artiglieri, per poter tornare a vivere, e tu con lui, in quel mondo appreso durante la campagna di Russia del quale facemmo parte e che nessuno di noi vorrebbe più abbandonare. Non ricordo, o meglio non voglio ricordare, il nostro ultimo incontro proprio perché è stato l’ultimo, anche se io ogni tanto ti sento ancora accanto a me, come quel Minà della Rivolta di Abele e spesso mi dico che il buon Dio, che troppo prematuramente ti ha chiamato accanto a sé, forse lo ha fatto per non farti vivere questi ultimi dieci anni di follia, nei quali abbiamo, impotenti, constatato quanto siano diversi i tuoi uomini di allora dagli uomini di adesso, quanto quei sentimenti, che per i nostri alpini erano altrettanti, credo, siano vanificati nella ricerca soltanto dell’egoistico interesse personale o partitico. Oggi Giulio, pur di arrivare, pur di mantenere quella sedia, si accetta qualsiasi compromesso. Prima si accusa, poi si ritratta, prima si offende e si minaccia, poi ci si pente e si fa il sorrisetto di circostanza, non ci sono più ideali, e uomini che li perseguono senza secondi fini, non ci sono più gli Scudrera e i Pilon, che nella loro semplicità imparata nelle mura domestiche e rinsaldata durante la naia alpina, hanno saputo offrire uno spettacolo di tale grandezza, che tutto il resto del mondo a loro cospetto scompare. Ci stanno pian piano distruggendo Giulio, stanno uccidendo per la seconda volta tutti i tuoi artiglieri della 26, il tuo capitano, i tuoi tenenti e sottotenenti, i tuoi artiglieri, tutto quello in cui noi abbiamo creduto e che i nostri vecchi ci avevano insegnato, ma coloro che oggi credono di annientarci non sanno che quei valori che tu ci hai trasmesso sono talmente levati, talmente belli, talmente indistruttibili che non potranno mai essere strappati dal nostro cuore. Credono che eliminando i nostri Battaglioni e i nostri Gruppi, elimineran-

no anche noi e non riescono a capire che non riusciranno mai a distruggere quello che abbiamo nel cuore perché Tridentina, Julia, Orobica, Taurinense, Cadore, vogliono dire alpini e alpini vogliono dire Italia, la nostra Italia. Ciao Giulio, hanno voluto che fossi io a ricordarti, forse perché sanno che ti ho voluto un sacco di bene e che ti sarò sempre grato per tutto quello che mi hai insegnato. Arrivederci lassù. Alessandro Vincenti: Tutti gli anni, il sabato prima dell’Adunata Nazionale degli Alpini, si celebra la cosiddetta "Messa della Julia". A questa messa partecipava sempre, assieme ad un gruppo di reduci, anche Giulio Bedeschi. Di questo gruppo di reduci, di amici oggi ve ne sono alcuni qui presenti: ed a loro vorrei chiedere di portare alla prossima Messa un ricordo di questa celebrazione. Vorrei, ora, dare la parola all'avvocato Giuseppe Prisco, Peppino, per tutti noi. Peppino Prisco: Saluto tutti, in particolare, dopo avere cancellato alcuni nomi perché, parlando per ultimo ci si trova sempre di fronte a delle sorprese, volevo salutare Toffoli, Marchisio ed Emett, entrambi del terzo artiglieria alpina, volevo salutare il sergente Sergio Cuttò del Battaglione L’Aquila, che ho rivisto dopo qualche anno e mi ha fatto molto piacere. Io ho avuto la fortuna di conoscere Giulio Bedeschi nel maggio del ’42. Lui era stato un mese in licenza, io venivo dal Battaglione L’Aquila Bis. Eravamo a Gorizia, andavamo a mangiare in una strana trattoria, che, se ricordo bene, si chiamava Aurora; e c’erano quelli dell’artiglieria alpina, dominavano, erano in numero maggiore. Giulio era appena arrivato ed era in fondo, io ero degli alpini e, quindi, avrei dovuto avere, rispetto agli artiglieri, il posto d’onore - ma questa è una battuta, così, perché ci sfottiamo sempre amichevolmente - e così ci confidavamo. Mi parlava del suo ritorno a casa, del padre, della madre che vivevano in dignitose ristrettezze come tutti gli italiani per bene dell’epoca, della sorellina che aveva undici anni meno di lui e quindi era considerata la piccola della famiglia. E così ricordo ancora quando il 18 – 19 giugno, sempre del ’42, andammo a piedi a Udine perché c’era la sfilata davanti al Re Imperatore. Ci si metteva sull’attenti e si faceva il saluto militare in due giorni di pioggia spaventosa. Però il Padre Eterno, quel giorno favorevole, per il 21 giugno ci lascio sfilare: sfilava l’Ottavo Alpini, sfilava il Nono Alpini, sfilava il Terzo Artiglieria Alpina. Tutti e tre i reggimenti decorati di medaglia d’oro per quanto avevano fatto in Grecia.

Poi andammo in Russia, era l’estate del ’42 e lì pur essendo della Julia, entrambi, Giulio ed io, le occasioni di vedersi erano relative. I primi mesi furono tranquilli; ricordo che un giovane sottotenente del Val Cismon del 9° alpini si prestò per andare al di là del Don per fare un colpo di mano - oggi si direbbe una follia totale - e andò, si sentirono gli spari e non si seppe più niente. Ricordo di un cugino di mia moglie, moglie che allora non conoscevo, che era il tenente Cellanova, già medico, anche lui della Julia: un cecchino dall’altra parte del Don, aveva ferito un giovane alpino, e lui si era precipitato per prenderlo. Lo aveva portato al riparo, ma l’ultimo colpo fu riservato a lui. Era il segretario del GUF di Pavia, il Gruppo Universitario Fascista, e morì così, non secondo i suoi desideri: avrebbe desiderato vivere! Ma un italiano che avesse avuto le palle e l’amor patrio, allora, doveva comportarsi così e moltissimi si comportarono così. Nel dicembre del ’42 per la Julia furono giorni tremendi, catastrofici. L’Aquila, il Tolmezzo e la 13° Batteria dell’Artiglieria Alpina erano già predestinate ad essere il Nucleo Celere di Intervento aggregati al 24° Corpo Corazzato Panzer tedesco e ci trovammo così all’avventura in una zona che dopo circa cinquant'anni e pagando cento dollari a un autista che conosceva il luogo, insieme a Beppe Parazzini, girai in lungo ed in largo per ritrovare Selenjar per ritrovare il Kalitwa e tutti gli altri luoghi; ma dopo qualche ora venne buio e io non trovai niente. Pazienza, 100 dollari non spostano la vita anche se, forse, la mia vita, se avessi potuto vedere quei luoghi, sarebbe stata per qualche giorno almeno più lieta. C'era un particolare però: nel '42 noi andammo lì oltre la metà di dicembre, mentre quando tornai era il mese di settembre e vi era una natura completamente diversa. Negli ultimi giorni di dicembre, dopo la morte di Burri, che era il medico della 108° Compagnia, dopo la scomparsa di Bedini, che era il medico della 93°, al quadrivio di Seleniar dove ero andato così, non so per quale motivo, chiamato, il 28 o il 29 dicembre, vidi Giulio Bedeschi, ma non ci riconoscemmo: era da giugno che non ci frequentavamo. Chiesi qualcosa, ci salutammo e solo dopo capii: un sorriso mesto, perché non si poteva essere allegri in quei tempi. Poi il 17 gennaio ci fu l’inizio di quella che tutti chiamano Ritirata di Russia, ma per tornare indietro, essendo continuamente accerchiati, fu necessario combattere, combattere duramente, vedere un’infinità di alpini mo-

rire, cadere. Congelamenti a non finire: veramente una tragedia. Un libro che dovrò presentare martedì al Circolo della Stampa, con importanti personalità come Padellaro del Corriere della Sera e l’Ambasciatore Sergio Romano, narra quella che definisce come la più grande epopea dell’esercito italiano a proposito della divisione Acqui. Ma non è certo possibile fare una graduatoria fra le varie epopee. Là sono morti italiani selvaggiamente, più o meno fucilati dai tedeschi. In Russia abbiamo combattuto aspramente e, quando siamo tornati abbiamo dovuto subire l’accusa di invasori: “…eh, ma siete andati là, nella loro terra, nella loro patria”. Macché terra e terra! Era gente nata a migliaia e migliaia di chilometri di distanza, non difendevano la loro terra, obbedivano agli ordini dei loro capi. In guerra non si va per fare le belle sta-

Peppino Prisco ricorda l’Amico Bedeschi tuine, si va per ammazzare, onde non essere ammazzati. Sono frasi che oggi fanno rabbrividire, ma chi ha settantanove anni, come ormai avrò io fra pochi giorni, e come tanti altri qui, sanno bene, per esperienza personale, che questa è l'assoluta verità. Dopo tornammo e non ci vedemmo, almeno io non vidi Marchisio non vidi Emett, non vidi il serpentino simpatico Sergio Cuttò e così insomma eravamo tutti sbandati. Ci fu il 25 luglio, ci fu l’8 settembre, non si capiva più assolutamente nulla. Si dava un’impronta politica alla nostra guerra, si ignoravano i prigionieri, non si osava, da parte del Governo, chiedere informazioni su quanti erano caduti in prigionia, che erano decine di migliaia. E questa angoscia continuò per decenni. Quando timidamente c’è stato anche un ministro, un componente del Consiglio dei Ministri che andando in Russia in

missione ha chiesto scusa perché gli italiani erano andati là a combattere, avemmo la prova della viltà dei nostri politici o meglio della loro "…coglioneria". Però noi ci trovavamo ogni tanto. Io rividi Giulio in casa della signora Delliponti, che vedo lì in terza fila e che saluto con tanto affetto, vedova di un tenente, magari sarà diventato capitano perché poi i gradi avanzano per anzianità. E siccome io sono ancora sottotenente, mi considero ancora giovane. Ci trovavamo e pensavamo: “ma cosa succede, non si può saper niente”. Nel ’54, alla fine di gennaio, rientrarono 12 prigionieri o 16 quanti fossero, fra i quali almeno due della Julia, Franco Magnani e Don Padre Brevi. Allora io organizzai un pranzo al ristorante Abetone, qui vicino, in Foro Bonaparte. Eravamo una trentina, non voglio dire della stessa fede, ma con gli stessi sentimenti: pensavamo a quelli che non c’erano più; speravamo che qualcuno tornasse ancora. Io invitai logicamente anche Giulio e ho persino qui due fotografie, una delle quali darò a Luisa. E Giulio qui sembra cantare allegro, ma era una serata strana: un po’ eravamo allegri e un po’ eravamo tristi, e basta vedere l’espressione dei due che sono in entrambe le fotografie, per rendersene conto. Queste due persone sono Nino Lavizzari e la signora Ester Lavizzari, rispettivamente fratello e vedova del Colonnello che comandava il 9° Alpini, padre del Tedo e nonno del Cesare che vedo qui presenti. Io darò queste fotografie una a te Luisa e una a te Tedo. Così anche quella sera ci sentivamo più uniti, isolati dal mondo, però uniti fra di noi che è quello che fa piacere. In quel periodo Giulio era entrato nel mio Rotary, avevo fatto io il presentatore, e quindi al giovedì ci vedevamo quasi sempre. In una di queste occasioni mi disse che stava perfezionando gli appunti che aveva scritto subito dopo il rientro in Italia. E ad un certo momento mi annunciò che era pronto questo dattiloscritto. Io di balle ne racconto tante, ma questa sera su quello che sto per dirvi ho un’autorevole testimone: la moglie di Giulio. Quando Giulio mi diede da leggere il dattiloscritto, io lo divorai: l’avevo avuto il sabato mattina e la domenica sera a mezzanotte mia moglie mi disse: “ma cosa c’è, hai gli occhi umidi”. “Fatti Alpin del Domm 21

miei” risposi, Ma lo dissi affettuosamente, senza reazione, “ma è perché ho finito il libro di Giulio e adesso gli telefono." "Ma sei matto, è mezzanotte!”. Matto o maleducato, io ho telefonato, Giulio ha risposto come se fossero le dieci del mattino e ha detto: “Per me è una cosa bellissima. C’è qui anche Luisa che ti ringrazia”. E così io ho citato l'Anabasi di Senofonte: ma il libro di Giulio era superiore, secondo me, anche perchè dei Greci mi interessa poco. Poi ci rivedemmo e allora timidamente, e anche qui invoco la testimonianza di Luisa, feci qualche osservazione, dissi “Ma tu metti il Colonnello Lavizzari, però invece quando parli di altri metti Verdotti anziché Rosotto. Cambi i nomi metti Gianfranco Di Nemi anziché Gianfranco Uccelli Di Nemi". E lui mi disse: “Ma sai io i vivi li ho chiamati come ho voluto. Quelli che sono mancati li ho chiamati col loro nome". Ed io lo trovai giustissimo. Seconda osservazione, timida: “Il titolo proprio non mi piace per niente”. Il titolo era “Giacché sei polvere” e questa mia osservazione lo fece un po’ riflettere. Dopo pochi giorni mi disse: “Sai Luisa ha trovato un altro titolo “Centomila gavette di ghiaccio”. Passarono gli anni io ideai la Messa che ormai si celebra ogni anno, la terza domenica di dicembre. Feci precedere la messa il giorno prima da un annuncio sul Corriere ed uno sulla Notte: “La medaglia d’oro Padre Giovanni Brevi domani alle ore 10.00 in San Sebastiano, celebrerà una S. Messa in memoria dei caduti del Battaglione L’Aquila.” Questa volta i suggerimenti, le garbate critiche, me le fece proprio Giulio e allora trasformai la celebrazione in suffragio dei caduti della Julia e, negli anni successivi, per tutti gli italiani, comunque inquadrati, caduti per l’Italia. Ed è ancora oggi la manifestazione patriottica più bella che c’è a Milano e non solo a Milano. Poi Giulio un giorno mi disse: “Senti ma tu conosci tanta gente: perché non troviamo un editore”. E allora cominciai ad andare da un editore all’altro: andai da Andrea Rizzoli che si confermò milanista nella fattispecie - era presidente del Milan -, mi mise nelle mani di Rusca, persona molto intelligente. Mi disse di lasciargli il dattiloscritto e che mi avrebbe fatto sapere. La sera ho telefonato a Giulio dicendogli che avevo buone speranze: del resto avevo anche qualche pratica della Rizzoli. Dopo pochi giorni, però, mi restituirono il dattiloscritto e io dovetti dire a Giulio: “Purtroppo niente”. Poi andai, su consiglio di mio cugino Michele Prisco, da Cimadori della Mondadori ed anche qui solita storia: "Si, gran bel lavoro, ma sa interessa poco..". Andai da Garzanti che mi disse testualmente: “Ma sa, io ho pubblicato due libri di reduci di Russia, ma non sono andato oltre la prima Alpin 22 Alpin del Domm del Domm

edizione”. Da Feltrinelli non andai proprio, perché non avevo alcuna possibilità. Da ultimo andai da Bompiani che fu veramente gentile, affettuoso, comprensivo, però alla fine disse: “Avvocato ma lei sa quanti anni sono passati dal ’42?”. Io, probabilmente, sbagliai la risposta perché l’aritmetica non è mai stata il mio forte e lui disse: “Io ammiro l’entusiasmo di voi che ricordate i caduti, che volete bene alla Patria e tutto, però c’è poco da fare, la gente pensa a divertirsi. Siamo nel ’62, si affaccia il Centro Sinistra, stanno nazionalizzando tutto. C’è il gran Concilio del Vaticano, con tutta l’ammirazione..” “Grazie” risposi, e me ne andai. E invece il libro uscì, perché Giulio si rivolse alla famiglia Mursia - c’è qui la signora che saluto con vecchia amicizia e così uscì il libro. Io ho una copia finita di stampare nel gennaio del ’63 e la dedica di Giulio è del 16 febbraio. Una dedica che non leggo perché assurdamente elogiativa. Gli elogi quando sono eccessivi puzzano di non sincerità, invece fra me e Giulio, come può, per l’ennesima volta testimoniare Luisa, i rapporti erano fraterni. Prima ho sentito, purtroppo sento poco, l’analisi letteraria, la critica: ma Giulio fu anche finalista del Campiello che è il più importante premio letterario italiano e quella era la prova che era un letterato. Non dico che, io poi non dissi niente a tutti questi gentiluomini che mi avevano sorriso, dato illusioni e poi negato quell’appoggio concreto che volevo venisse dato al libro di Giulio. Passarono gli anni ci vedevamo, ultima testimonianza poi non te ne chiedo più, potrei chiederla anche a Tedo Lavizzari, il 26 gennaio, il giorno di Nikolajewka, ci trovavamo in casa mia, mangiavamo qualcosa, chiacchieravamo, una ventina, trenta persone fidate e concludevamo la nostra riunione cantando “Alpino della Julia" e "Sul ponte di Perati” tutti commossi, emozionati. Poi Giulio si trasferì a Verona, è vero che è solo un’ora di treno, un’ora e mezza quel che è, In automobile ci si mette anche meno, ma insomma eravamo meno insieme e poi ci fu quella triste notizia. Sul treno che portava da Milano a Verona un’infinità di cappelli alpini e scherzosamente dicevamo: “Ma qui ci hanno richiamato sotto la naia”. Anche un richiamo non ci sarebbe dispiaciuto per stare un po’ insieme ricordando i nostri caduti. Poi sono tornati i dispersi, son tornate le urne. Ma adesso consentitemi divagazione perché sennò mi commuovo. Noi non abbiamo vinto la guerra, anche se una parte sostanziale del nostro paese si illudeva di averla vinta, quando dal Sud erano arrivati fino al Nord gli Allea-

ti. L’unica vittoria che abbiamo avuto la dobbiamo a un comandante che è presente qui, e parlo di Enzo Bearzot che ci ha fatto vincere i mondiali nell’82. Ora io devo concludere perché prima ero intollerante, quando gli altri parlavano, ma avendoti notato lì con la gentile signora, ho detto: “Ora divago. Abbiamo vinto qualcosa? – Sì i mondiali!" E speriamo di vincerli ancora, ma ci vorrebbero gli Alpini anche nelle squadre di calcio”. Alessandro Vincenti: Devo chiedere ora una cortesia a tutti. Vorrei che ci si alzasse in piedi, chi ha il cappello lo metta. Il coro, ora, canterà quella che per noi alpini è una preghiera: "Sul Ponte di Perati”. Prof. Giuseppe Cantamessa: Vi chiedo solo un attimo d'attenzione: la mia è una proposta. Il Coro ANA della Sezione di Milano aveva un impegno, precedentemente preso, e questa sera si trova in quel di Biella; ma qui ci sono dei coristi ed io rivolgo loro una proposta. E’ il coro più bravo di tutti quelli delle Sezioni dell’Associazione Nazionale Alpini (questo l’ho scritto già trentasette anni fa con un titolo a cinque colonne). Hanno un bravo maestro, Massimo Marchesotti, hanno a disposizione dei musicisti insostituibili sia compositori che arrangiatori. Ebbene sarebbe il dono più bello se nel decimo anniversario della morte di Giulio Bedeschi cantassero “La preghiera dell’Alpino ignoto”. Non mi dicano che non c’è tempo perché l’anniversario dura un anno e voi avete a disposizione un anno, un mese e due giorni e poi dite anche che non ve lo chiedo solo io, ve lo chiede anche la signora Bedeschi. Sono certo che ve lo chiedono anche tutti gli alpini. Il Coro Biele Stele canta "Sul Ponte di Perati". Al termine della manifestazione il Capogruppo consegna agli oratori ed alle personalità intervenute un pergamena con la Preghiera dell'Alpino Ignoto ed il Guidoncino del Gruppo Milano Centro. Il Coro Biele Stele canta “Signore delle Cime”. ***

Alla fine di tutto desideriamo ringraziare, per il sostegno offerto nel realizzare questa pubblicazione: Agenzia Frua Reale Mutua assicurazioni Studio Nicola-Giordano S.r.l. consulenza immobiliare Gruppo avvocati alpini.