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704, (“Crisopoli”; 2). Se le biblioteche sono l'e- spressione concreta della maturazione culturale di un popolo o di una comunità, delinearne la storia significa.
Biblioteca professionale Vincenzo Trombetta

Storia e cultura delle biblioteche napoletane. Librerie private, istituzioni francesi e borboniche, strutture postunitarie Napoli, Vivarium - Istituto italiano per gli studi filosofici, 2002, p. 704, (“Crisopoli”; 2)

Se le biblioteche sono l’espressione concreta della maturazione culturale di un popolo o di una comunità, delinearne la storia significa rivedere il percorso intellettuale di quello stesso popolo o di quella comunità in una o più epoche; un percorso non disgiunto dalla circolazione delle idee, dai fattori politici e dai personaggi che hanno condizionato e caratterizzato tali istituzioni. In tale ottica, convinto che “la storia delle biblioteche può costituire una chiave di lettura assai penetrante dei contesti culturali”, Vincenzo Trombetta ha via via dedicato numerosi saggi alle vicende delle raccolte librarie partenopee. Già nel precedente volume sulla Storia della Biblioteca universitaria di Napoli dal Viceregno spagnolo all’Unità d’Italia, Napoli, Vivarium Istituto italiano per gli studi filosofici, 1995, p. 298 (il primo di “Crisopoli”, collana di bibliografia e storia delle biblioteche diretta da Giuseppina Zappella) l’autore aveva “sperimentato la ricchezza di implicazioni di un simile approccio, e quindi la molteplicità delle fonti da esaminare criticamente”, sottolineando che i “materiali d’elezione dello storico della cultura – dai carteggi eruditi alle descrizioni di viaggio, dalla letteratura artistica ai periodici – forniscono uti-

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li elementi anche per l’indagine sulle biblioteche; e non può essere tralasciato neppure il continuo riferimento alle condizioni politiche e sociali in cui sorgono, fioriscono o declinano le istituzioni culturali” (p. 5). Questo volume (il secondo della collana) viene a completare la storia di tutte le biblioteche partenopee partendo dal XVII secolo agli anni postunitari. Un campo d’indagine quanto mai vasto non solo per il lungo periodo qui considerato, ma per la molteplicità delle fonti documentarie esaminate. Sono almeno una cinquantina gli archivi e le biblioteche che Trombetta ha attentamente esplorato, non trascurando le guide turistiche del tempo, i carteggi, i diari dei visitatori, le fonti amministrative, come ad esempio le scritture contabili del Banco di S. Spirito relativamente alla gestione dei beni lasciati nel 1675 dal cardinale Francesco Maria Brancaccio per costituire nella città partenopea la prima biblioteca pubblica, detta Brancacciana, poi incorporata nella Nazionale. Bisogna dare atto che questo volume ha richiesto, come ci ricorda l’autore, “anni di laboriosa e appassionata investigazione, rinvenimento e studio di manoscritti, spoglio di riviste storiche e di giornali locali, consultazione della letteratura professionale dell’epoca: accurata perlustrazione di non pochi archivi e biblioteche italiane” (p. 6). Una volta avviata la ricerca, e a fronte di una così ingente messe documentaria, si delineava il serio rischio di perdersi poi nei meandri di tante fonti eterogenee. Il risultato invece è di tutto rispetto, in quanto questo corposo volume ha non solo il pregio

di offrirci “una panoramica quanto più estesa e veritiera possibile della vita delle biblioteche napoletane tra Sette e Ottocento”, ma ha anche il merito di presentare il tutto in un modo armonico e piacevole, e di illustrare oltre alla storia delle grandi istituzioni anche quella di numerose altre realtà bibliotecarie “minori” (come ad esempio le biblioteche militari, accademiche, scolastiche, ospedaliere e le bibliothèques du feu, cioè le raccolte domestiche di nobili e prelati). Il volume di Trombetta prende le mosse dalla “libraria” di S. Angelo a Nido, la cui fondazione, accanto al plesso scolastico cittadino, risalirebbe ai primi decenni del XIII secolo per opera di Federico II. Nel 1675, cioè parecchi secoli dopo, il cardinale Francesco Maria Brancaccio vi fece confluire la libreria personale. La biblioteca prese così il nome di Brancacciana e venne aperta al pubblico nel 1690. Suscitò anche l’interesse di L.A. Muratori, che nel 1723 scrisse essere dotata “di cronache vecchie e polverose” (p. 41). Nel 1738 a S. Angelo a Nido arrivò per lascito testamentario anche la libreria del giureconsulto Domenico Greco, per cui l’istituzione a volte venne denominata “Greco-Brancacciana”. Era corredata di un catalogo, stampato nel 1750, e la sala di lettura era aperta al pubblico. Occorre ricordare che prima dell’avvio della Brancacciana o di S. Angelo a Nido esistevano a Napoli parecchie raccolte librarie sia tra le mura domestiche di medici e giureconsulti sia soprattutto nei chiostri di conventi e monasteri. Queste ultime ebbero notevole incremento nel XVI secolo. Una in

particolare – l’agostiniana di S. Giovanni a Carbonara – spiccò per la rarità e la ricchezza delle sue collezioni, incrementate nella seconda metà del secolo successivo, quando nel 1563 ricevette per via testamentaria la biblioteca del padre generale dell’Ordine, il cardinale Girolamo Seripando, legato al Concilio di Trento. La raccolta del prelato comprendeva tra l’altro anche splendidi manoscritti che, desiderati vivamente da Carlo VI d’Austria, nel 1714 vennero trasferiti a Vienna, ove rimasero per due secoli. Restituiti all’Italia, furono poi collocati nella Nazionale partenopea. Il Settecento è certamente il periodo più fulgido per la storia delle biblioteche napoletane, la cui visita, come ricorda Trombetta, era inserita nel Grand Tour dei viaggiatori stranieri che amavano soggiornare nella città campana per il clima mite, l’eccezionale ricchezza di opere d’arte e le numerose rappresentazioni teatrali. Napoli era una città cosmopolita e anche la produzione tipografico-editoriale (come risulta dagli ultimi scandagli bibliografici, contrariamente a quanto finora creduto) non si limitava a soddisfare un’esigenza locale. L’attiva presenza di librai fece sì che il prodotto tipografico napoletano arrivasse nelle città di tutta Europa, e da queste venissero spediti altri volumi, soprattutto scientifici, per approdare sugli scaffali dei bibliofili partenopei. Il più famoso di costoro fu certamente Fernando Vincenzo Spinelli principe di Tarsia, fondatore tra l’altro dell’Accademia di scienze e lettere. Un salone, due gallerie e altri locali del palazzo principesco furono da lui adattati per la biblioteca, Biblioteche oggi – aprile 2005

Biblioteca professionale inaugurata nel 1747 e aperta al pubblico come lo era quella di S. Angelo a Nido. La biblioteca del principe di Tarsia era un’autentica wunderkammer o kunstgalerie con affreschi ornamentali, porte dorate, ritratti, globi, orologi, statue, apparecchiature scientifiche e artistici scaffali, per cui curiosi ed eruditi non mancavano di visitarla, come non mancavano di visitare per la loro sontuosità la Brancacciana e le biblioteche degli Olivetani, dei Filippini, della Certosa di S. Martino e della Farnesiana a Capodimonte. La scomparsa nel 1753 del principe di Tarsia segnò l’immediato decadimento della sua biblioteca da sogno, descritta in una guida napoletana di un anno dopo: “sì nobile e deliziosa, che l’occhio non ha che di più bello desiderare”. Fabrizio Spinelli, genero del fondatore, previa scrematura dei pezzi più significativi – tutti sontuosamente rilegati – la cedette alla Biblioteca Reale (operazione che gli fruttò 12.000 ducati). Verso la fine del XVI secolo, gli Oratoriani di S. Filippo Neri (detti anche Gerolamini, in quanto provenienti dalla Chiesa di S. Gerolamo della Carità di Roma) aprirono a Napoli una loro domus e la dotarono ben presto di una biblioteca, inaugurata ufficialmente nel 1617. Una cinquantina d’anni dopo (1667-1669) venne pubblicato il catalogo dei manoscritti e nel 1714, alla morte del giureconsulto e bibliofilo Giuseppe Valletta, il grande filosofo e storico G.B. Vico, considerando che in tutta Napoli gli Oratoriani erano certamente i religiosi “più disponibili e ricettivi all’esigenza di un continuo potenziamento del patrimonio librario” (p. 326) suggeBiblioteche oggi – aprile 2005

rì loro l’acquisto di quella biblioteca. Valletta, che l’aveva allestita nel suo palazzo accanto a un museo e a una pinacoteca, oltre a tenere corrispondenza con i più insigni bibliografi e bibliofili, importava anche libri da tutta Europa. Concluse nel 1726 le trattative degli Oratoriani con gli eredi del giureconsulto ed essendo state introitate altre importanti raccolte, si rese necessaria, pochi anni dopo, la costruzione del grande “vaso”, cioè del salone principale della biblioteca: una magnifica struttura non solo per l’ampiezza (25 x 16 metri) e le decorazioni, ma anche per l’arditezza della struttura (15 metri di altezza). Nel contempo venne predisposto anche il catalogo, ultimato nel 1736 in due tomi “in foglio papale” per complessive 1.300 pagine, con l’elenco di 26.500 titoli. A giudizio di Trombetta questi tomi, tuttora conservati con la legatura originale, costituiscono “uno dei più significativi prodotti della cultura catalografica napoletana della prima metà del diciottesimo secolo” (p. 341). Il restaurato governo borbonico mostrò una particolare sensibilità per la vita e l’incremento delle istituzioni bibliotecarie. Carlo III, figlio di Filippo V di Spagna e re delle Due Sicilie dal 1734, non solo trasferì a Napoli due anni dopo l’intera raccolta libraria che aveva a Parma (ove era stato duca), ma provvide all’acquisizione di biblioteche private da parte dello stato. Altre ne istituì non solo a Napoli ma in diverse località del regno, avvalendosi della collaborazione del suo primo ministro Bernardo Tanucci. Il figlio Ferdinando IV avviò una vera e propria opera di

La grande sala della Biblioteca Oratoriana di Napoli, detta dei Gerolamini

riorganizzazione bibliotecaria in conseguenza all’incameramento del patrimonio bibliografico dei soppressi conventi e monasteri, e soprattutto di quello più cospicuo delle case professe dei gesuiti e dei loro collegi. Tuttavia, se le soppressioni religiose determinarono la fine di numerose biblioteche conventuali e monastiche, nello stesso periodo si verificò un incremento delle raccolte ecclesiastiche, in particolare di quella del Seminario arcivescovile partenopeo. Questa biblioteca già nel 1737 era entrata in possesso di una parte dei libri del cardinal Renato Imperiali e nel 1763 ebbe in dono l’intera raccolta di Giuseppe Spinelli, arcivescovo della città. È un’epoca, quella borbonica, di grande fermento che vede sì smembramenti, furti e vendite di manoscritti ma anche assorbimenti o aggregazioni di numerose raccolte librarie e il loro aggiornamento alle nuove esigenze culturali. A beneficiare di queste complesse operazioni fu soprattutto la Biblioteca Reale, inaugurata nel 1804 nel salone del Reale Palazzo degli studi e diven-

tata ben presto, per la magnificenza architettonica e le rarità bibliografiche custodite, una tappa d’obbligo degli eruditi di tutta Europa, come attestano i loro diari e la corrispondenza spedita dalla città partenopea. Proprio in quegli anni il ricco patrimonio bibliografico della Reale, grazie all’assorbimento di diversi fondi gesuitici e della biblioteca di S. Giovanni a Carbonara degli agostiniani, era valutato in circa 80.000 volumi, oltre a 3.000 incunaboli, 4.000 manoscritti e 1.649 papiri. Trombetta accenna anche al profilo professionale degli eruditi che si succedettero nella carica di prefetto della biblioteca: in genere persone molto attive sia in campo scientifico sia nella catalogazione e classificazione del materiale avuto in consegna. Disposte a lasciare impieghi più lucrosi, furono molte le persone che gareggiarono tra loro per diventare bibliotecari della Reale. Per tanti aspetti è ancora attuale la Memoria predisposta dal regio bibliotecario Matteo Egizio (nominato nel 1740) al fine di custodire i libri “con ordine, con proprietà, con sicurezza, con dignità”.

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La sala di lettura della Biblioteca universitaria di Napoli. In basso, la cappella dei Borbone attigua alla Sezione manoscritti nella Biblioteca nazionale di Napoli

Durante il breve regno di Gioacchino Murat (18081815), cognato di Napoleone, si ebbe la riorganizzazione della “Biblioteca Ministeriale della Croce” (così chiamata, in quanto occupava l’area dell’omonima ex chiesa). Questa biblioteca era al servizio dell’amministrazione, e appunto nel 1808, cioè con l’avvio del regno di Murat, venne aperta al pubblico e prese il nome di Palatina. È di poco dopo l’istituzione della Biblioteca della Nazione Napoletana. Ciò avvenne nel 1812, quando il marchese Francesco Taccone donò al sovrano la sua raccolta libraria ricca di circa 15.000 volumi. Ospitata nei locali dell’ex monastero di Monteoliveto, la biblioteca venne chiamata semplicemente “Gioacchina” in onore di Murat che la volle subito aperta al pubblico. Presso questa biblioteca venne avviato nello stesso anno un corso speciale di “Biografia letteraria e di Bibliografia”. Con la restaurazione borbonica si ebbe l’istituzione nel 1820 della “Biblioteca dei Ministeri”, dotata di un inno-

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vativo sistema di classificazione progettato da Giuseppe Sanchez e inoltre vennero pubblicati, nell’arco di sette anni (1826-1832), i cataloghi a stampa della Reale. Ma nei quarant’anni di tale restaurazione molto lasciava a desiderare. Come bene evidenzia Trombetta nel lungo capitolo (p. 446-590) dedicato alla storia delle biblioteche di Napoli e di altre

numerose località del Meridione conseguentemente all’Unità d’Italia, subito dopo i plebisciti (ottobre 1860) apparvero “pubblicazioni inneggianti al nuovo corso politico”, ove erano messe “sotto accusa non tanto le misure adottate per la tutela e la conservazione dei beni librari, peraltro deliberate nella ex capitale del regno delle Due Sicilie con sorprendente precocità, ma la palese inefficienza dei singoli istituti bibliotecari – cattiva gestione, incuria, sperpero di danaro, clientelismi, penuria di cataloghi, carenza di aggiornamenti editoriali – e il più generale clima di soffocante oscurantismo degli anni della terza restaurazione che aveva aggravato quelle ‘piaghe’ della Pubblica Istruzione” (p. 446). Occorre sottolineare come non siano mancati progetti e iniziative da parte della nuova amministrazione per ristrutturare il polo bibliotecario e migliorare la preparazione professionale degli operatori. È significativo che, proprio a Napoli, il trentino

Tommaso Gar, in qualità di bibliotecario dell’Universitaria, abbia avviato nel 1865 quelle Letture di bibliologia che, stampate tre anni dopo da Giuseppe Pomba, risulteranno il primo manuale di biblioteconomia nell’Italia Unita. Proprio in quegli anni – come era avvenuto un secolo prima – si ripeterono le soppressioni religiose e la devoluzione dei fondi librari alle biblioteche pubbliche, in particolare all’ex Reale, ridenominata Nazionale, e all’Universitaria, diretta dallo stesso Gar. Anche le pagine dedicate alla vita delle biblioteche postunitarie ci presentano – alla pari della parte precedente di questo volume – una straordinaria messe di notizie sull’arredamento e la decorazione, sui cataloghi e la loro stratificazione, sulle classificazioni adottate, sui fondi particolari e il loro incremento, sui cimeli e infine sui librai, sui loro cataloghi, sui legatori e sul commercio librario in genere. Di grande interesse inoltre l’appendice documentaria (p. 591-645), riguardante il lungo periodo dal 1796 al 1895, che “include alcuni tra i più significativi materiali citati nel testo comprendenti tanto documenti inediti quanto fonti edite, che si è ritenuto utile, per la loro rilevanza ai fini della trattazione, proporre al lettore nella loro redazione integrale”. Il volume ha il pregio di essere corredato di un’ampia bibliografia e di due indici alfabetici. Il primo riguarda le numerose biblioteche italiane e straniere, pubbliche e private, ricordate a vario titolo nel testo. Il secondo, invece, elencando i circa tremila personaggi e autori via via citati nelle pagine di questo corposo volume, attesta l’importanza di Biblioteche oggi – aprile 2005

Biblioteca professionale questo lavoro per la conoscenza della storia culturale di Napoli e di tutto il Meridione. Arnaldo Ganda Dipartimento beni culturali Sezione beni librari Università degli studi di Parma [email protected]

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