I N D I C E

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L'esperienza di Totem, in cui i tre protagonisti (Baricco, Tarasco e Vacis) riflettono ... di Francia a Roma, Il racconto dell'Iliade, un passaggio dell'opera omerica.
INDICE

I.

INTRODUZIONE

2

II. L’AUTORE: VITA E OPERE

3

III. I ROMANZI

8

III. 1. Castelli di rabbia

8

III. 2. Oceano mare

18

III. 3. Seta

22

III. 4. City

27

III. 5. Senza sangue

33

IV. CONCLUSIONE

40

V. BIBLIOGRAFIA

43

V. 1. BIBLIOGRAFIA DELLE OPERE USATE NEL PRESENTE LAVORO

43

V. 2. ALTRE OPERE DI ALESSANDRO BARICCO

43

V. 3. BIBLIOGRAFIA CRITICA

45

V. 4. ALTRI STUDI SU ALESSANDRO BARICCO

46

V. 4. 1. Studi critici

46

V. 4. 2. Recensioni

46

1

I. INTRODUZIONE Non è certo una novità che nell’ambito dell’editoria italiana odierna, il

libro sia un prodotto commerciale, la cui finalità è essere venduto, appagando il più possibile le aspettative del mercato. Da qui la diffusissima tendenza degli

scrittori di “produrre” libri con una frequenza sbalorditiva. “Sembrano ormai

definitivamente conclusi i tempi delle opere elaborate lentamente, scritte e riscritte per decenni: nella logica industriale odierna, il ferro va battuto finché è

caldo e poi gettato via”1. La narrativa postmoderna accontenta decisamente

meno però, le esigenze della critica letteraria. Nel quadro della nuova narrativa italiana, Alessandro Baricco, con i suoi sei romanzi e tre testi teatrali usciti in

appena quindici anni, n’è un esempio esemplare. Il cinquantottenne torinese, etichettato dalla critica come scrittore-intrattenitore che si compiace nei virtuosismi auto-incantatori2, è oggi uno degli scrittori italiani più venduti, con

una numerosa tribù di fans alle spalle.

Non è facile caratterizzare con una sola designazione la personalità di

Baricco; poiché musicologo, giornalista, copy writer, insegnante, drammaturgo, conduttore televisivo, produttore letterario. Nella presente tesina cerco di prospettare un profilo di Baricco-romanziere, basandomi sulla sinossi dei suoi primi cinque romanzi3. Nel primo capitolo espongo cronologicamente i dati biografici e bibliografici dell’autore, a fine di mostrare la collocazione dei

singoli romanzi nel contesto di altre opere e attività baricchiane; indispensabile,

come avremo modo di vedere, per la comprensione delle sue scelte stilistiche e tematiche.

Lo scopo secondario del mio lavoro è contribuire a colmare la scarsità

notevole dei materiali critici su Baricco a disposizione nella Repubblica Ceca, e in parte anche nella stessa Italia (una difficoltà principale delle ricerche sugli

scrittori contemporanei), tracciando un percorso della bibliografia dell’autore e delle opere critiche in riguardo. _________

G. Leonelli, Politica e cultura. La letteratura tra impegno e sperimentazione, in E. Malato (curatore), Storia della letteratura italiana, vol. IX, Roma, Salerno editrice, 2000, p. 721. 2 Cfr. G. Ferroni, Quindici anni di narrativa, in Storia della letteratura italiana, Il Novecento, Scenari di fine secolo 1, Milano, Garzanti Grandi Opere, 2001, pp. 294-295. 3 Recentemente è uscito un nuovo romanzo di Baricco intitolato Questa storia, che non ho potuto reperire. 1

2

II. L’AUTORE: VITA E OPERE4 Alessandro Baricco è nato a Torino il 25 gennaio 1958. Si è laureato in

filosofia con Gianni Vattimo, con una tesi su Adorno e la scuola di Francoforte: “Scrittura, memoria, interpretazione. Note sulla teoria estetica di T. Adorno”

(1980), e ha conseguito il diploma in pianoforte al Conservatorio. Inizialmente lavora come copy writer in agenzie di pubblicità. In questo periodo pubblica

due saggi musicologici: Il genio in fuga (1988) sull’opera rossiniana e L’anima di Hegel e le mucche del Wisconsin (1992) sui rapporti tra musica e modernità.

Intraprende il percorso giornalistico collaborando con «La Repubblica» come critico musicale e in seguito con «La Stampa» come editorialista culturale. Nel 1993 comincia a curare sulla pagina culturale di quest’ultima una rubrica da lui

ideata e intitolata Barnum, lo spettacolo della settimana.5 L’autore stesso la

caratterizza così:

Barnum come quello del circo. Perché tutto quel che vedevo, introno, mi sembrava un grande spettacolo di clown, domatori e acrobati: e mi piaceva l’idea di provare a raccontarlo, un po’alla volta, così come veniva. […] Tiravo a indovinare, ma insomma il progetto era quello: guardarmi intorno, correndo dietro a tutto quello che mi meravigliava. 6

Nell’ambito della narrativa esordisce nel 1991 con il romanzo Castelli di

rabbia, con cui vince il Premio Campiello e il Prix Médecis étranger, al quale

segue, nel 1993, Oceano mare che si aggiudica il Premio Viareggio. Nello

stesso anno appare per la prima volta anche in TV, e precisamente su Rai Tre,

conducendo la trasmissione intitolata L’amore è un dardo, il cui scopo era presentare la lirica al più vasto pubblico televisivo. Nel 1994, assieme alla

giornalista Giovanna Zucconi, idea e conduce la trasmissione televisiva

Pickwik, del leggere e dello scrivere in cui venivano presentati in un modo attraente i grandi classici della letteratura. Collabora altrettanto alle trasmissioni radiofoniche (molto riuscita è stata ad esempio la sua lettura di Furore di

Steinbeck). Nello stesso anno esce anche il suo monologo teatrale Novecento.

Un monologo che va in scena con la regia di Gabriele Vacis, Eugenio Allegri e, _________

I dati bio-bibliografici sono tratti dal sito ufficiale di Alessandro Baricco, consultabili all’indirizzo www.oceanomare.com. 5 La rubrica prende il suo nome da Phileas Taylor Barnum, il più grande impresario circense della seconda metà dell’Ottocento. 6 A. Baricco, Barnum. Cronache dal Grande Show, Milano, Feltrinelli, 2003, p. 7. 4

3

successivamente, in un nuovo allestimento del 2003, con Arnaldo Foà. Da

questo testo è stato tratto il film di Giuseppe Tornatore La leggenda del pianista sull’oceano (1998).

Sempre nel 1994 Baricco fonda a Torino, assieme a un gruppo di amici,

una scuola di tecniche della narrazione “La Scuola Holden”. La fonte letteraria del nome è evidente e i visitatori del portale web della scuola vi trovano una dichiarazione molto chiara in merito: “Nella speranza che Salinger non lo venga

mai a sapere, la Scuola è intitolata a Holden Caufield, il protagonista di The Catcher in the Rye. Il ragazzino che non ne voleva sapere di scuole, colleges,

insegnanti, materie ed esami. È un impegno: questa scuola gli sarebbe piaciuta”7. Il metodo d’insegnamento è basato, infatti, sull’idea che le lezioni

devono essere per gli studenti delle esperienze emotive forti invece delle semplici trasmissioni di un sapere accademico, che alla Holden sta solamente alla fine del processo didattico:

Il sapere, se non è corollario di una emozione vera, è puramente decorativo. Se un professore di letteratura greca non parla di un brano che legge in classe con vera passione e con intatta meraviglia, il suo sapere è accessorio, non è importante. Non è nocivo, per carità. Ma il cuore dell’esperienza che noi chiamiamo esperienza culturale è sempre esperienza della meraviglia, del rapporto con la bellezza e del rapporto con la sorpresa. […] Il sapere che c’entra con questo? Non è il cuore di quell’esperienza. Il sapere ci aiuta piuttosto a custodire quell’esperienza.8

La scuola oggi offre un corso biennale di Master in tecniche della narrazione.

L’insegnamento delle tecniche narrative si orienta a tanti generi diversi quali

film, opere teatrali, musica, letteratura, spot, arti visive, thriller, fumetto, reportage. Alla Holden non si fanno esami tradizionali. Lo studente deve

mostrare le sue doti tramite vari esercizi praticati costantemente durante l’intero anno scolastico e avere una frequenza delle lezioni almeno dell’80%. Se adempie queste due premesse di base, alla fine del secondo anno gli viene

assegnato il diploma. Sull’esperienza con le modalità d’insegnamento della Holden si baserà in seguito il progetto Totem. Letture, suoni, lezioni (1997).

Nel 1995 raccoglie nel volume intitolato Barnum. Cronache dal Grande

Show i suoi articoli pubblicati nell’omonima rubrica di cui abbiamo già riferito sopra, scegliendo di tralasciarne alcuni. Il resto, invece, è stato riportato senza _________

Cfr. il portale www.scuolaholden.it. A. Baricco, R. Tarasco, G. Vacis, Balene e sogni. Leggere e ascoltare. L’esperienza di Totem, Torino, Einaudi, 2003, p. 9. 7 8

4

modifiche perché, come spiega l’autore nella nota introduttiva “correggere se stessi è una cosa noiosa da pazzi”9. A questo primo volume segue, nel 1998, la

pubblicazione di Barnum 2. Altre cronache dal Grande Show, in cui sono

raccolte le ultime puntate della rubrica iniziale, ideata per il quotidiano torinese, assieme agli altri articoli scritti sempre per «La Stampa» e poi quelli pubblicati su «La Repubblica».

Nel 1996 scrive Davila Roa, un testo teatrale presentato, per la regia di

Luca Ronconi, al teatro Argentina di Roma raccogliendo, oltre a dure stroncature da parte della critica, i fischi del pubblico disingannato. Del testo

mai pubblicato rimane disponibile soltanto il programma di sala del teatro Argentina, datato 9 aprile 1997 e curato da Claudio Longhi. Nell’anno della creazione di Davila Roa Baricco pubblica un romanzo breve intitolato Seta, che

diventa un grande successo editoriale: traduzioni in trentadue lingue e settecentoventimila copie vendute solo in Italia.

Nel 1997, assieme a Gabriele Vacis e Roberto Tarasco, Baricco idea e

realizza progetto Totem. Letture, suoni, lezioni. Si tratta di uno spettacolo dalla

scenografia molto semplice, in cui vengono letti e commentati brani di opere degli autori come McCarthy, Selby jr, Céline, Dickens, Melville, Soriano, Joyce, Gadda o Rilke; alternati con brani musicali che vanno da Beethoven a Franco Battiato. Al progetto partecipano anche Eugenio Allegri, Stefania Rocca e Lella Costa. Lo spettacolo continua nella sua tournée attraverso l’Italia fino

all’agosto 2001 apparendo anche in TV, e precisamente in prima serata su Rai Due nel dicembre del 1998. Ne viene pubblicato un libro nel ’99 e due VHS nel

2000. Soltanto nel 2003 esce il cofanetto Totem. L’ultima tournée, contenente un film girato da Lucia Moisio durante l’ultima tournée dello spettacolo nel

2001 e un esile volume intitolato Balene e sogni. Leggere e ascoltare. L’esperienza di Totem, in cui i tre protagonisti (Baricco, Tarasco e Vacis)

riflettono appunto sul percorso del progetto. È su queste pagine che Baricco ribadisce il ruolo essenziale della Holden nella genesi dello spettacolo:

Totem, per dirla francamente una volta per tutte, nasce da una mia fissazione, figlia dell’esperienza con la scuola Holden. […] avevo l’idea che questa intensità, questa emozione nell’apprendere una cosa, quel modo di imparare – ci piacerebbe imparare così – fosse una cosa che poteva accadere anche al di fuori della scuola. […] Poi Gabriele e Roberto hanno portato dentro una certa loro idea di teatro, e così

_________ 9

A. Baricco, Barnum. Cronache dal Grande Show, op. cit., p. 8.

5

alla fine Totem è diventato un’intuizione comune.10

Nel 1999 Baricco pubblica City, e per lanciarlo sceglie di utilizzare

solamente internet. City diventa così il primo romanzo italiano lanciato

esclusivamente in rete, in un sito creato appositamente per l’occasione11. Nel

2000 poi, avrà luogo la prima chat di Baricco con i lettori.

Nel febbraio del 2002 scrive la sceneggiatura dello spot pubblicitario per

i 125 anni della Barilla, diretto da Wim Wenders. Sempre nel 2002 Baricco raccoglie in un esile volume intitolato Next. Piccolo libro sulla globalizzazione e sul mondo che verrà, i quattro articoli pubblicati sulle pagine de «La Repubblica» nell’autunno del 2001, come reazione agli eventi del “G8” di

Genova, i quali trattano l’argomento della globalizzazione (ovviamente non

rimane inosservato neanche l’abbattimento delle Twin Towers) facendo presente alcuni miti e mezze verità legate ad essa:

Non sto cercando di dimostrare che la globalizzazione non esiste: non lo so, io, se esiste. Quel che sto cercando di far notare è una certa tendenza collettiva [a] definire la globalizzazione ricorrendo a esempi palesemente falsi (i monaci tibetani che navigano in Internet), o veri a metà (la liberalizzazione del mercato finanziario) o veri ma quantitativamente irrilevanti (l’indiano che beve la Coca, quelli che comprano i pannolini in rete). Come mai, su un tema così importante, ci concediamo svarioni di questo tipo? Non può essere solo una questione di ignoranza. C’è una propensione alla proiezione fantastica che deve suonare sospetta.12

La problematica del mondo globalizzato viene toccata da Baricco già in

precedenza, nella sua prefazione al libro di saggi sulle tematiche ambientali

Quel che resta del mondo. Venticinque testimonianze sugli inganni dell’ambientalismo (1999).

Il 28 agosto 2002 esce secondo breve romanzo baricchiano intitolato

Senza sangue. Nel pomeriggio dello stesso giorno Baricco dialoga per tre ore

con i suoi lettori nella chat-line sul sito della Rizzoli. Come nel caso di City,

sceglie di lanciare il suo nuovo romanzo esclusivamente in rete, non concedendo né interviste né anticipazioni sulla trama.

Memore dell’esperienza di Totem Baricco realizza, assieme alla regista

Lorenza Codignola e alla coreografa Raffaella Giordano, City Reading Project: _________

A. Baricco, R. Tarasco, G. Vacis, Balene e sogni. Leggere e ascoltare. L’esperienza di Totem, op. cit., p. 31. 11 Il sito www.abcity.it non è più attivo. 12 A. Baricco, Next. Piccolo libro sulla globalizzazione e sul mondo che verrà, Milano, Feltrinelli, 2002, p. 22.

10

6

uno spettacolo fatto di tre serate e composto da letture di sette brani13 tratti da

City (1999). Lo spettacolo è andato in scena al Teatro Valle, per il Romaeuropa

Festival, per nove sere nel novembre del 2002. La scenografia dello spettacolo è la seguente: cinque attori14 su passerelle sospese raccontano i passaggi del

romanzo accompagnati dalla voce narrante dello stesso Baricco e dalla musica dal vivo degli Air15. Nel 2003 escono un CD, sempre in collaborazione con gli

Air, e un libro16 tratti dalla lettura pubblica. Lo spettacolo subisce alcune

modificazioni e va in giro per l’Italia con una tournée estiva.

Nell’aprile del 2003 Dino Audino Editore pubblica Partita spagnola. Si

tratta di un’opera a metà strada tra testo teatrale e sceneggiatura cinematografica, scritta assieme alla regista Lucia Moisio nel 1987. Moisio,

insegnante alla scuola Holden, ha realizzato due cortometraggi scritti da

Baricco: Vita spericolata e Leva le mani dal mio budino, e il documentario

Totem. L’ultima tournée, di cui abbiamo già riferito.

Il 21 settembre 2003, nel quadro di Romaeuropa Festival, Baricco

amplia il repertorio delle sue letture pubbliche presentando, presso l’Accademia di Francia a Roma, Il racconto dell’Iliade, un passaggio dell’opera omerica

adattato per una lettura in pubblico. In seguito, nel settembre del 2004, Baricco pubblica la sua completa riscrittura in prosa dell’Iliade, intitolata Omero, Iliade;

con cui parte per la tournée del Racconto dell’Iliade, in scena all’Auditorium di

Roma (settembre 2004) e all’Auditorium del Lingotto di Torino (ottobre 2004).

Lo spettacolo è diviso in tre serate. Ogni serata si leggono sette parti. L’autore si alterna con altri dodici lettori accompagnati dalle composizioni musicali di Giovanni Collima.

All’inizio del 2005 Baricco presenta al Palladium le sue “lezioni” su

Fenoglio, Garcia Marquez e Carter. Infine, nel novembre del 2005, esce un altro romanzo di Baricco, intitolato Questa storia, preceduto dal passaggio dello

scrittore dalla Rizzoli alla Fandango Libri, di cui diventa anche socio minore.

Questa storia è al momento l’ultima pubblicazione dello scrittore. _________

I brani di cui si compone lo spettacolo sono i seguenti: Tre storie western: Caccia all’uomo, Bird, La puttana di Closingtown; Il lascito testamentario del prof. Mondrian Kilroy; Ring: Wizwondk, Vram, Radio KKJ. 14 Tatiana Lepore, Moira Grassi, Alessandra Casali, Sara Valbusa, Simone Gandolfo. Lo spettacolo vede la partecipazione di Stefano Benni che legge il testamentario del prof. Kilroy. 15 Il duo parigino, Nicolas Godin e Jean-Benôit Dunckel, appartiene al filone più colto della musica dance francese. 16 A. Baricco, City reading project, Milano, Rizzoli, 2003. 13

7

III. I ROMANZI III. 1. Castelli di rabbia Alessandro Baricco colloca la trama del suo romanzo d’esordio in una

cittadina immaginaria dal nome Quinnipak. La geografia e il tempo sono definiti in Castelli di rabbia soltanto vagamente, evocando l’Inghilterra

ottocentesca. Il romanzo non ha un protagonista principale: esso segue in modo parallelo le vicende reciprocamente interferenti di più personaggi che abitano suddetta cittadina o vi sono legati in qualche modo.

Baricco costruisce l’intreccio di Castelli di rabbia basandolo sul

mescolarsi delle vicende dei singoli personaggi i cui frammenti si frappongono l’uno fra l’altro, infrangendo spesso l’ordine cronologico degli avvenimenti. Per questo motivo, al fine di riassumere la trama del romanzo, abbiamo scelto nel corso della narrazione un punto che ci servirà da “adesso” al quale riferiremo le

categorie del passato e del futuro. Da tale punto di riferimento fungerà la festa

di San Lorenzo.

Il giorno di San Lorenzo si svolge a Quinnipak una particolare parata in

cui due bande partono nello stesso momento dalle due estremità opposte del paese e suonando le melodie diverse camminano una incontro all’altra, a metà

strada s’incrociano, e ognuno dei due gruppi prosegue fino a giungere al punto di partenza dell’altro, mentre spettatori stanno fermi ad ascoltare i suoni che si

avvicinano, mescolano e allontanano.17 L’esibizione è inventata e diretta da Pekisch, un musicista geniale, che prospetta le sue doti musicali nella sua

attività d’inventore, come un modo tutto suo di dire addio al suo giovane amico Pehnt, in occasione della partenza di quest’ultimo per la capitale. Fino al giorno

della festa i due sono stati inseparabili. Pehnt, abbandonato dai genitori all’età di pochi giorni avvolto soltanto in una giacca da uomo, cresciuto dalla vedova Abegg, una signora che ha costruito tutta la sua identità su un miscuglio degli avvenimenti reali e delle sue fantasie, aveva trovato in Pekisch, l’inquilino di _________

Nell’intervista con Cinzia Fiori, Baricco afferma che per scrivere questa scena si è ispirato al lavoro di Charles Ives, il quale componeva musica per banda mobile, e dalla sua figura sono tratti alcuni aspetti di Pekisch. Cfr. Cinzia Fiori, Ballando con i sogni nei Castelli di Baricco, «Corriere della sera», 17/02/2003, in www.oceanomare.com/opere/castellidirabbia, consultato in data 27/10/2005. 17

8

Abegg, il suo amico e mentore. Il giorno di San Lorenzo Pehnt assiste alla

parata della banda per poi lasciare Quinnipak e diventare in seguito un noto assicuratore della capitale.

Tra il pubblico v’è anche la signora Jun Rail accompagnata dal figliastro

Mormy, un giovane uomo attraente, frutto di una delle relazioni extraconiugali

del suo libertino marito. Arrivato a Quinnipak quando era ancora bambino,

Mormy è cresciuto assieme a suo padre e Jun, la quale non ha mai covato per lui i sentimenti materni. Il loro rapporto si è sviluppato in una direzione

opposta, culminando con l’incesto il cui primo atto ha luogo appunto alla festa di San Lorenzo, durante la parata delle bande. Otto mesi dopo, Mormy rimarrà ucciso in una ribellione e la sua morte sarà all’origine della partenza di Jun da

Quinnipak. La donna riprenderà così il viaggio che aveva sospeso trentadue anni prima, quando in un porto dal nome Morivar, aspettando di imbarcarsi su una nave per portare a destinazione un libro il cui contenuto le era ignoto, si era conosciuta con Rail che, a sua volta, l’aveva convinta di sposarlo e di andare a

vivere con lui a Quinnipak promettendole però, di lasciarla intraprendere il suo

viaggio il giorno in cui avrebbe desiderato di farlo. Questa circostanza sarebbe

rimasta ignota a tutti gli abitanti della cittadina18, tranne al vecchio vetraio

Andersson, l’amico di Rail. Nel corso di trentadue anni che hanno preceduto gli avvenimenti della festa e la seguente morte di Mormy, la vita matrimoniale dei due veniva ripetutamente interrotta negli intervalli irregolari dai viaggi del signor Rail, proprietario delle Vetrerie Rail, che partiva per i periodi indefiniti

senza mai svelarne l’obiettivo, mantenendo l’abitudine di annunciare il suo

imminente ritorno mandando alla moglie una scatola di velluto con dentro un gioiello, sempre lo stesso, come segno del suo immutato amore per lei. In uno

di questi viaggi, che ha avuto luogo quando Mormy era solo bambino, Rail

affascinato dal mondo della tecnica e in particolare dai primi treni19, acquista una locomotiva di nome Elisabeth, con l’intenzione di far costruire una linea

ferroviaria lunga duecento chilometri e del tutto retta, con lo scopo di far provare ai suoi passeggeri la sensazione di una velocità mai provata prima. Da

allora fino alla festa di San Lorenzo a cui ci riferiamo, la costruzione della ferrovia è proseguita molto lentamente per via dei problemi economici di Rail, i _________

Grazie all’impostazione dell’intreccio adottata da Baricco rimane oscura per la maggior parte del romanzo anche al lettore. 19 Come del resto suggerisce il nome parlante del protagonista. 18

9

quali culmineranno otto mesi dopo la festa con una ribellione degli operai in cui

sarà ucciso Mormy. Jun partirà poco dopo la sua morte e Rail, a causa dei suoi

debiti, dovrà fare smontare i binari e vendere tutti i suoi beni, Elisabeth inclusa. La locomotiva ritornerà tuttavia al suo abituale posto sul prato sotto la casa di Rail, dopo che un suo amico l’avrà comprata all’asta per regalargliela.

Questo donatore sarà Hector Horeau, un architetto parigino,

conosciutosi con Rail alcuni mesi prima della festa di San Lorenzo quando è arrivato a Quinnipak per parlare con Rail delle possibili forniture di vetro per il

suo progetto di Crystal Palace, risultato tra i due progetti scelti dal concorso per

la costruzione di un nuovo palazzo per la Grande Esposizione Universale, di cui

uno sarebbe diventato il vincitore definitivo. L’incontro successivo tra i due ha

luogo il giorno di San Lorenzo. Jun va alla festa da sola con Mormy mentre Rail rimane a casa ad aspettare Horeau, che arriva per annunciargli che il

progetto non è stato scelto. I due si incontreranno ancora una volta, anni dopo la

morte di Mormy e la partenza di Jun da Quinnipak. Horeau racconterà a Rail del Crystal Palace e della sua immaginaria fine; Rail a sua volta, gli confiderà di

aver visto Jun fare l’amore con Mormy. Dopo quell’incontro i due non si rivedranno più. Horeau tormentato per tutta la vita da una malattia mentale morirà in un manicomio.

Nell’ultimo capitolo esce allo scoperto la narratrice: una giovane donna

che nel 1922 viaggia come una clandestina su un transatlantico diretto in

America, e si inventa un luogo dal nome Quinnipak con i suoi abitanti e le loro storie come un posto in cui rifugiarsi per sfuggire alle asperità della sua vita.

Quinnipak, dunque, è un posto doppiamente immaginario, dove si cerca

di realizzare i sogni ed i progetti utopici con la naturalezza e la fiducia di

riuscirci con cui si compiono gli atti più semplici ed abituali, i comportamenti

non convenzionali suscitano ammirazione invece che disdegno e condanna. Come afferma Claudio Pezzin nella sua monografia su Baricco, Quinnipak “è il

luogo delle origini, dell’infinito, dell’utopia, della non-storia, dell’eccezionalità,

del sogno; e si oppone agli altri luoghi, alla normalità, alla Storia, alla realtà”20. La diversità di Quinnipak rispetto al mondo circostante si nota bene nella scena

in cui l’ingegnere ferroviario Bonetti, proveniente dal mondo pragmatico che si _________ 20

C. Pezzin, Alessandro Baricco, Sommacampagna, Cierre, 2001, p. 27.

10

stende al di là di Quinnipak, non comprende le motivazioni di Rail, che vanno

ben oltre la stretta utilità, perché appunto estranee allo scopo abituale e pragmatico dei treni:

- Signor Rail, i treni servono per portare merci e persone da una città all’altra, questo è il loro senso. Se un treno non ha una città in cui arrivare è un treno che non ha senso. Il signor Rail sospirò. Fece passare un attimo e poi parlò, con una voce piena di comprensiva pazienza. - Caro ingegner Bonetti, l’unico vero senso di un treno è quello di correre sulla superficie della terra con una velocità che nessun’altra persona o cosa è in grado di avere. L’unico vero senso di un treno è che l’uomo ci sale sopra e vede il mondo come non l’ha mai visto prima, e ne vede così tanto, in una volta sola, come non ne ha mai visto in mille viaggi in carrozza. […] L’ingegner Bonetti schioccò un’occhiata furibonda all’incolpevole Bonelli. - Ma tutto questo è assurdo! Se fosse come lei dice, allora tanto varrebbe fare una ferrovia circolare, un grande anello di una decina di chilometri, e poi farci correre un treno che dopo aver bruciato chili di carbone e fatto spendere un sacco di soldi otterrebbe il formidabile risultato di riportare tutti al punto di partenza! Il vecchio Andersson fumava senza fare una piega. Il signor Rail continuò con la calma olimpica. - Questo è un altro discorso, caro ingegnere, non bisogna confondere le cose. Come le ho spiegato nella mia lettera sarebbe mio desiderio costruire una ferrovia di duecento chilometri perfettamente diritta, e le ho anche spiegato perché. La traiettoria di un proiettile è rettilinea e il treno è un proiettile sparato nell’aria. Sa, è molto bella l’immagine di un proiettile in corsa: è la metafora esatta del destino. […] L’ingegner Bonetti se ne stava in piedi con la faccia marmorizzata in un’espressione di totale sbalordimento. […] - Signor Rail! - Sì, ingegnere… - SIGNOR RAIL! - Dica. Ma invece di dire, Bonetti crollò sulla sedia, come un pugile che dopo un paio di ganci sparati a vuoto cadesse, sconfortato, al tappeto.21

L’essenza della diversità di Quinnipak è espressa nella corrispondenza

epistolare tra Pekisch e Pehnt, in particolare nell’ultima lettera di Pehnt, il quale

trasferendosi nella capitale ha adottato lo stile di vita e i valori del mondo borghese:

Vecchio, benedetto, Pekisch, questo non me lo devi fare. Non me lo merito. Io mi chiamo Pehnt, e sono ancora quello che se ne stava sdraiato per terra a sentire la voce nei tubi, come se quella arrivasse davvero, e invece non arrivava. Non è mai arrivata. E io adesso sono qui. Ho una famiglia, ho un lavoro e la sera vado a letto presto. Il martedì vado a sentire i concerti che danno alla Sala Trater e ascolto musiche che a Quinnipak non esistono: Mozart, Beethoven, Chopin. Sono normali eppure sono belle. Ho degli amici con cui gioco a carte, parlo di politica fumando il sigaro e la domenica vado in campagna. Amo mia moglie, che è una donna intelligente e bella. […] Ho un figlio e lo amo anche se tutto fa supporre che da grande farà l’assicuratore. Spero che lo farà bene e che sarà un uomo giusto. […]

_________

A. Baricco, Castelli di rabbia, Milano, Rizzoli, 2003, (I grandi romanzi italiani, 7, allegato al «Corriere della sera»). 21

11

Ognuno ha il mondo che si merita. Io forse ho capito che il mio è questo qua. Ha di strano che è normale. Mai visto niente del genere a Quinnipak. Ma forse proprio per questo, io ci sto bene. A Quinnipak si ha negli occhi l’infinito. Qui, quando proprio guardi lontano, guardi negli occhi di tuo figlio. Ed è diverso. Non so come fartelo capire, ma qui si vive al riparo. E non è una cosa spregevole. È bello. E poi chi l’ha detto che si deve proprio vivere allo scoperto, sempre sporti sul cornicione delle cose, a cercare l’impossibile, a spiare tutte le scappatoie per sgusciare via dalla realtà?22

Quinnipak, dunque, è un’antitesi del mondo circostante e più in

generale, rimanendo nell’ambito del romanzo, dell’aspra quotidianità della

narratrice. Un contrasto indispensabile affinché Quinnipak possa svolgere la funzione del luogo-rifugio che ella gli attribuisce. La cittadina, i suoi abitanti e le loro vicende, benché immaginati con lo scopo d’evasione dalla realtà e quindi

in contrasto con quest’ultima, contengono comunque in sé il riflesso di questa

stessa realtà alla quale la giovane donna vuole sfuggire. Questa contaminazione

è palese non solo nei nomi degli abitanti di Quinnipak, che trovano la loro prefigurazione stravolta nelle persone appartenenti alla vita della narratrice, ma anche nel fatto che le aspirazioni di tutti i personaggi falliscono così, come la

stessa narratrice non è riuscita nel suo tentativo di vivere una vita felice

nonostante le circostanze avverse. Per lei l’autore lascia aperto ancora uno spiraglio: l’America; per i protagonisti invece, il fallimento dei loro sogni è definitivo.

Baricco, dunque, popola il suo romanzo di personaggi alquanto

anormali, tanto per i comportamenti al di là delle convenzioni, quanto per le

loro facoltà che in qualche modo vanno oltre l’abituale, fino a collocare tale personaggio ai margini della società. Essi, “ricercatori dell’infinito, attraverso e nonostante il finito”23, propensi verso i sogni utopici, impegnati nella

realizzazione dei progetti megalomani che portano all’evasione dalla realtà, sono destinati a fallire, spesso in mezzo alla loro corsa verso le mete utopiche: - Ogni tanto penso che tutta questa storia del vetro…, del Crystal Palace e di tutti quei miei progetti… vede, […] se lei vuole una cosa e però ne ha paura non ha che da mettere un vetro in mezzo… tra lei e quella cosa… potrà andarle vicinissimo eppure rimarrà al sicuro… Non c’è altro… io metto pezzi di mondo sotto vetro perché quello è un modo di salvarsi… si rifugiano i desideri, lì dentro… al riparo dalla paura… una tana meravigliosa e trasparente… Lo capisce, lei, tutto questo?24 _________ 22 23

24

Ivi, p. 202. C. Pezzin, Alessandro Baricco, op. cit., p. 27. A. Baricco, Castelli di rabbia, op. cit., p. 154.

12

Questa caratteristica dei personaggi sarà valida anche per i successivi

romanzi di Baricco. In particolar modo, come osserva Pezzin, si potrà notare, sempre all’interno del sistema dei personaggi, la presenza costante del motivo della follia: “come tragico esito della ricerca oltre l’orizzonte del reale,” e del mutismo, ovvero: “dell’uomo incompreso e silenzioso, chiuso in un mutismo quasi autistico, di fronte a una realtà ostile”25. Baricco costruisce i personaggi

allegorici, privi di qualsiasi possibile evoluzione sul piano psicologico, con tratti spesso caricaturali e bizzarri:

Vi è la caricaturalizzazione istintiva dei personaggi, con deformazioni ironiche e paradossali più marionettistiche e umanoidi, che propriamente umane.26 […]

In sintesi, in Baricco, l’essere umano è ridotto a personaggio, a stilizzazione simbolica all’interno dello “spettacolo” della finzione letteraria e dell’arte.27

La fine dei loro sogni, o addirittura della loro vita, assume spesso forma di un

grottesco. Basti pensare alla morte di Pekisch che soccombe al fracasso stonato di quindici orchestre che sente suonare nella sua testa:

Al limite uno avrebbe anche potuto tollerare di vivere con nella testa Fiori aulenti e Quaglie al mattino: uno come Pekisch, quanto meno. Il fatto è che nei venti giorni seguenti si aggiunsero in rapida e alla fine quasi quotidiana successione Torna il tempo, Notte nera, Dolce Mary dove sei?, Conta soldi e canta, Cavoli e lacrime, Inno alla corona e Per tutto l’oro del mondo no, non verrò. Quando all’alba del ventunesimo giorno, si profilò all’orizzonte l’intollerabile melodia di Hop, hop salta cavallino, Pekisch si arrese e si rifiutò d’alzarsi dal letto.28

oppure alla tragica morte della moglie di Hector Horeau: Quel giorno, alle 17 e 22, la signora Monique Bray Horeau si buttò addosso al treno che, sei minuti prima, era partito dalla Gare de Lyon diretto al sud. Il treno non ebbe nemmeno il tempo di frenare. Ciò che rimase della signora Horeau, oltre a non rendere giustizia alla sua, pur poco appariscente, bellezza, diede non pochi problemi all’Agenzia di Pompe Funebri “La Celeste” cui spettò il delicato compito di ricomporre il cadavere. Hector Horeau reagì alla tragedia con grande coerenza. L’indomani, alle 11 e 5 del mattino corse incontro al treno che sei minuti prima era partito dalla Gare de Lyon diretto al sud. Il treno, però, fece in tempo a frenare. Hector Horeau si trovò in piedi, ansimante, di fronte all’impassibile muso di una locomotiva nera. Fermi tutt’e due. E muti. Non avevano d’altronde granché da dirsi.29 _________ 25 26 27 28 29

C. Pezzin, Alessandro Baricco, op.cit., p. 22. Ivi, p. 26. Ivi, p. 31 A. Baricco, Castelli di rabbia, op. cit., p. 222. Ivi, pp. 142-143.

13

Il particolare senso dell’umorismo, talvolta nero, con forti sfumature del

grottesco non è caratteristico solamente di Castelli di rabbia ma di tutta la

narrativa di Baricco (e in gran parte anche della sua saggistica). Il romanzo

d’esordio, a sua volta, si distingue dai successivi due romanzi collocati in

ambito ottocentesco, ovvero Oceano mare e Seta, per l’accentuazione del mondo tecnico e dell’entusiasmo che accompagnava il suo progresso nel primo Ottocento.

Nel romanzo si possono individuare tre principali nuclei di personaggi:

Rail-Jun-Mormy, Pekisch-Pehnt-Abegg, H.Horeau. Le loro vicende parallele collocate in un arco di tempo comune per tutti e tre, si intersecano e influiscono l’una sull’altra. Per presentarle al lettore, Baricco crea un discorso che turba il

flusso lineare e fluido della narrazione in due modi principali: spostando di continuo l’attenzione del discorso da un gruppo di personaggi all’altro, il che avviene sia al livello della stratificazione del testo nei capitoli sia al livello

dell’articolazione interna del capitolo stesso e coincide spesso (ma non esclusivamente) con lo spostamento del punto di vista dalla voce narrante ai

personaggi; oppure infrangendo l’ordine cronologico degli avvenimenti. Queste due tecniche vengono applicate sia unite sia separatamente. Grazie alla voluta scarsità della voce narrante nel fornire, all’inizio del capitolo o di un nuovo passaggio, le informazioni sulla collocazione cronologica; anche un semplice

(soprammenzionato) spostamento di attenzione da un gruppo di personaggi all’altro disorienta il lettore che può solo posteriormente, in base agli indizi che

trova in seguito, ricostruire la collocazione cronologica di alcuni eventi. Baricco crea, dunque, un intreccio basato sugli anacronismi che, grazie al modo di

composizione adottato dall’autore, appare frammentato e scombussolato.

Questo “caos” trova posteriormente la sua giustificazione nell’essere l’atto dell’immaginazione continua della narratrice (una sorta di scrittura automatica) che nel suo corso torna ad approfondire alcuni argomenti, ad aggiungere i

particolari e le caratteristiche alle sue creature. Nello stesso tempo, però, tenendo presente l’opera successiva di Baricco, tale orchestrazione del romanzo (unita all’alternazione dei diversi stili di narrazione) è il frutto della sua

ambizione di usare uno stile a suo modo innovativo. Lo scrittore afferma a proposito di Castelli di rabbia:

14

Avevo in mente un modo di raccontare meno letterario, costruito con un montaggio di derivazione cinematografica. L’idea era che si potesse lavorare con materiali diversi, come la saggistica e la fiction, e che il montaggio li trasformasse in un’unità omogenea. Pensavo anche a un modo di scrivere i dialoghi senza introduzioni. Allora tutte queste cose erano inedite.30

Tale approccio sembra riflettere l’essenza delle sue opinioni sulla modernità e

spettacolarità proposte nel suo saggio musicologico L’anima di Hegel e le mucche del Wisconsin (1992) sull’opera di Mahler e Puccini, il valore della

quale, secondo Baricco, starebbe nell’anticipare la modernità, ovvero nel riuscire ad immaginare il pubblico dell’avvenire ed i suoi gusti. A proposito di Puccini scrive:

C’era, lì, l’intuizione che stava per cadere una stabile linea di demarcazione fra opera d’arte e prodotto di consumo: e che l’opera d’arte, se voleva sopravvivere e far sopravvivere le istanze che incarnava, doveva riciclarsi come merce: anomala, scomoda, ridondante: ma merce. […] Sfumava l’immagine dell’artista come pioniere solitario di alti orizzonti ideali e si imponeva l’idea di opera come cristallizzazione dell’immaginario collettivo.31

Castelli di rabbia si presenta come un insieme costruito di frammenti di

trame; stracarico di eventi e personaggi, di immagini surreali e di situazioni

bizzarre. Per il suo stile è caratteristico un surrealismo baroccheggiante indirizzato al “voler destare meraviglia con la parola, gareggiando con il

reale”32. Sembra però, che questa operazione sfugga spesso al controllo

dell’autore, perdendo nei virtuosismi stilistici il senso stesso della parola e di quello che vuole essere comunicato. Ne escono immagini quasi da allucinazione:

[…] un avvitamento progressivo del ritmo delle percezioni, dalla lenta partenza alla corsa incondizionata dentro alle cose, tutto un protocollo vertiginoso di immagini che si affastellano in disordine pigiandosi negli occhi, ferite incurabili nella memoria, e schegge, strisciate di passaggio, fughe di oggetti, polvere di cose – questo doveva essere piacere, perdìo – “intensificazione della vita nervosa”, l’ha poi chiamata Simmel – sembra un referto medico – e in effetti ha il profilo, e il sapore, della malattia, quell’ipertrofia del vedere e del sentire – ti si tendevano le reti del cervello dolorosamente, fino allo stremo, come ragnatele esauste chiamate dopo secoli di sonno a catturare il volo di immagini impazzite, figure come insetti collassati dal vortice della velocità, e il ragno, che eri tu, ad affannarsi avanti e indietro in bilico tra l’ebbrezza dell’abbuffata e la precisa, esatta, numerica certezza che la ragnatela era a un istante dal cedere per sempre, e arrotolarsi su se stessa, grumo di bava, penzula poltiglia inservibile, nodo mai più districabile, geometrie perse per sempre, squallido bolo di cervello sfatto – il piacere lancinante di divorare

_________ 30 31 32

C. Fiori, Ballando con i sogni nei Castelli di Baricco, op. cit. A. Baricco, L’anima di Hegel e le mucche del Wisconsin, Milano, Garzanti, 1992, p. 80. C. Pezzin, Alessandro Baricco, op.cit., p. 18.

15

immagini a ritmo sovrumano e il dolore di quella gabbia di fili tesa fino allo sfinimento – il piacere e il rumore sordo dello sgretolamento – […]33.

A quanto pare tutto in Castelli di rabbia è finalizzato a esercitare sul

lettore il maggior impatto emozionale possibile. Il romanzo è ricco di metafore, aforismi, frasi solenni e sontuose:

[…] in questo dannatissimo mondo, qualcuno che cerca qualcosa avesse in sorte di trovarla, così, semplicemente, e dicesse l’ho trovata, con un lievissimo sorriso, l’avevo persa e l’ho trovata – sarebbe poi un niente la felicità.34

[…]

Accadono cose che sono come domande. Passa un minuto, oppure anni, e poi la vita risponde.35

Grazie alla sua composizione suspense e sorprese accompagnano lettore durante tutto il percorso della lettura. Come osserva Filippo La Porta: “A volte sembra

di trovarsi di fronte a una commossa parodia-celebrazione del romanzo. Baricco riesce a parlarci di cose «indicibili» come il destino, il senso della vita, le utopie

individuali, i desideri più arcaici, con una retorica narrativa fatta di pathos e di ironia, di disarmante sincerità e di dissimulazione”36.

Nella composizione del suo romanzo Baricco alterna vari registri

linguistici e diversi stili di narrare: dai passaggi gestiti da un narratore onnisciente ai dialoghi senza alcuna introduzione da parte della voce narrante, i resoconti dell’accaduto sono spesso affidati ai discorsi diretti liberi e soliloqui

dei personaggi o addirittura sono presentati al lettore in forma epistolare, uniti

da un montaggio di stampo cinematografico. Baricco, avvalendosi di alcune strategie che rimarranno caratteristiche anche dei suoi romanzi successivi (la

narrazione circolare, la ripetizione, gli accumuli, i procedimenti anaforici, l’inserimento di fogli bianchi e una disposizione del testo che sfrutta il

potenziale espressivo dell’aspetto visuale della pagina), impone al suo testo un ritmo che influisce sull’atto della lettura: “Sicuramente faccio parte di quegli scrittori che cercano di dare alla narrativa una forza musicale. Alla fin fine, quel che consegno al lettore è un’idea di tempo, di pause, di respiri, di velocità”37.

_________

A. Baricco, Castelli di rabbia, op. cit., p. 68. Ivi, p. 45. 35 Ivi, p. 204. 36 F. La Porta, La nuova narrativa italiana. Travestimenti e stili di fine secolo, nuova ed. ampliata, Torino, Bollati Boringhieri editore, 1999, p. 90. 37 C. Fiori, Ballando con i sogni nei castelli di Baricco, op. cit. 33

34

16

Attenendosi

evidentemente

al

concetto

che

avrebbe

espresso

successivamente nel 1993, in un’intervista di Paolo Stefano: “Se devi

raccontare un fatto, non puoi catturarlo avvicinandoti ad esso, ma correndo lontano, verso altre strade. Così, se vuoi raccontare il presente, non puoi farlo se

non parlando d’altro: a me, per esempio, interessano molto le storie ottocentesche e solo attraverso il fantastico, l’immaginario, l’epico cerco di

cogliere l’oggi”38, Baricco crea un romanzo che in generale può essere visto come una grande metafora della modernità, dello scontro tra il mondo ideale e

utopico e quello pragmatico, conformista della moderna società del consumo; scritta in un modo e con uno stile che, appunto, accontenta e corrisponde ai

gusti e bisogni di un largo pubblico dei lettori medi, facilmente riscontrabili nei media moderni. Significativa è da questo punto di vista la sua idea riguardante il

rapporto tra la musica colta (e il lavoro creativo in generale) e la modernità, espressa nel soprammenzionato saggio su Puccini:

La questione è quella di recuperare un rapporto con le lingue vive che oggi pronunciano la modernità e ricreare una sintonia col sentire collettivo. Con una certezza: la modernità è innanzitutto uno spettacolo. Nessuna voce incline a vietarsi il rischio della spettacolarità potrà riuscire a cantarla.39 […] Non è più tanto il pubblico che deve seguire l’artista per le impervie vie di un progresso continuo, ma è l’opera che deve trovare le forme, i materiali e la lingua per pronunciare i desideri e le attese del pubblico.40

Baricco mette in moto una macchina narrativa che vuole “cogliere l’oggi”

attraverso una finzione collocata altrove, con stile e forme costruite sulle esigenze odierne della massa.

_________

Paolo Stefano, La rabbia di Baricco: “Viviamo nel regno dei pitocchi”, «Corriere della sera», 27/06/93, in www.oceanomare.com/opere/oceanomare, consultato in data 27/10/2005. 39 A. Baricco, L’anima di Hegel e le mucche del Wisconsin, op. cit., pp. 72-73. 40 Ivi, p. 80. 38

17

III. 2. Oceano mare Due anni dopo la pubblicazione di Castelli di rabbia esce nel 1993 il

secondo romanzo di Alessandro Baricco, Oceano mare, che in molti aspetti

forma un’unità con il primo. In un luogo immaginario, nella locanda Almayer41

collocata sulla riva del mare e in un’atmosfera ottocentesca, si incontrano sei

personaggi i cui destini si uniscono per poi di nuovo diramarsi in diverse

direzioni. Come nel romanzo precedente ognuno dei protagonisti è a suo modo bizzarro: Plasson, un ritrattista noto e amato che, dopo essersi deciso a smettere di fare ritratti dei ricchi, si mette a dipingere il mare ma le sue tele rimangono bianche, perché lo fa senza colori, usando esclusivamente l’acqua marina; il

professor Ismael Adelante Ismael Bartleboom42, uno scienziato impegnato a scoprire il punto in cui finisce il mare per poter includerlo nella sua enciclopedia dei limiti, è inoltre l’autore di una specie di diario epistolare,

composto dalle lettere indirizzate a una destinataria ignota, scritte in attesa di

conoscerla, per poi consegnargliele solennemente chiedendole di sposarlo; Elisewin, la giovane ragazza quindicenne posseduta da una sensibilità smisurata

e impadronibile, arriva al mare per sottoporsi al cosiddetto bagno d’onda che dovrebbe far sparire la sua “malattia” e invece sarà il sesso a farlo. Elisewin è

accompagnata da padre Pluche, il suo mentore che scrive un libro di preghiere molto insolite e, mentre parla, spesso non riesce a trattenere i propri pensieri nei

limiti dell’opportuno. La bella Ann Deverià, è un’adultera mandata al mare dal

marito per essere isolata dall’amante che comunque riuscirà a raggiungerla. Si

tratta del dottor Savigny, reduce di un orrendo naufragio durante il quale decine _________

Il nome della locanda richiama il romanzo conradiano La follia di Almayer. Nella sua monografia Nella Giannetto osserva che la scelta, da parte di Baricco, dell’elemento a cui attribuire all’interno del suo romanzo il nome conradiano, può avere una motivazione più significativa, ossia non essere un semplice omaggio a un autore ammirato. Giannetto afferma che mentre “del mare di Conrad ritroviamo ben poco nel libro di Baricco”, egli v’è presente attraverso aspetti minori, uno dei quali è appunto il motivo della locanda: “I romanzi di Conrad sono romanzi di costa almeno quanto sono romanzi di mare. E sulle coste, nei porti conradiani c’è sempre una locanda, con dei suoi aspetti caratteristici e una fauna umana molto particolare. […] Sembra che Baricco abbia annotato nella sua memoria l’atmosfera, le stranezze, l’aria non di rado inospitale di questi luoghi e di chi se ne prende cura, l’aspetto spesso misterioso, inquietante, di gestori e clienti, la solitudine e la chiaroveggenza che esprimono […] e sembra che ne abbia tratto, quale frutto di un’originale contaminazione, ricca di nuovi spessori, la sua Locanda Almayer […].” Cfr. N. Giannetto, “Oceano mare” di Baricco: molteplicità, emozioni, confini, tra Calvino e Conrad, Milano, Arcipelago, 2003, pp. 74-77. 42 Il nome parlante doppiamente melvilliano dello “scrivano” di Oceano mare richiama sia Bartleby lo scrivano sia Moby Dick, uno dei più grandi romanzi di mare in assoluto, e il suo protagonista Ismael. 41

18

di persone abbandonate su una zattera in mezzo al mare si erano uccise a

vicenda, in una lotta per sopravvivenza tra ufficiali e marinai, e infine, erano dovute ricorrere all’antropofagia. Anche Savigny aveva ucciso e tra le sue vittime era Thérèse, la donna amata da un timoniere che allora si chiamava

Thomas e dopo, sopravvissuto al naufragio, ha cambiato il proprio nome e vissuto solo per la vendetta. Essa è il motivo della presenza di Thomas alla

locanda Almayer, dove si presenta come Adams e aspetta con pazienza l’arrivo di Savigny, per poi fargli provare lo stesso dolore vissuto da lui (Thomas) sulla zattera, ovvero vedere morire la donna amata.

Il romanzo si divide in tre unità distinte: Libro Primo:Locanda Almayer;

Libro Secondo: Il ventre del mare e Libro Terzo: I canti del ritorno. Il Libro Primo è incentrato sul soggiorno dei personaggi nella locanda Almayer; nel

Libro Secondo: Il ventre del mare viene rappresentata tramite monologhi interni

dei due naufraghi, Thomas e Savigny, la tragica vicenda della zattera. Il Libro

Terzo: I canti del ritorno, riprende il filo della narrazione dov’è stata interrotta dall’immissione anacronistica del tema del naufragio e segue i destini dei personaggi che si diramano in varie direzioni.

La narrazione si apre con l’immagine di Plasson che sta dipingendo sulla

spiaggia e uno dopo l’altro vengono introdotti gli altri personaggi. L’attenzione della voce narrante si divide tra la locanda, il castello del barone di Carewall e il

palazzo dell’ammiraglio Langlaise per completare i retroscena delle vicende di

Elisewin e Adams. Subito nelle prime tre pagine viene esposta quella che sarà la chiave della lettura metaforica del romanzo ovvero, come afferma Claudio Pezzin: “Si ha la visione del ‘mare’, inteso come la perfezione delle origini del

mondo, come Eden (‘quel paradiso’), come spazio di verità, come vuoto/nulla originario, come Essere e Nulla”43. Nell’ottica di questa visione del mare come

l’allegoria dell’esistenza, i quadri bianchi di Plasson, possono essere intesi come metafora dell’inafferrabilità dell’esistenza nel profondo della sua molteplicità, e come rappresentazione del nulla originario.

Un ruolo importante nella struttura del romanzo svolge la locanda

Almayer, posta su una piccola collina in riva al mare. Non si ha una descrizione

minuziosa di essa, bensì di alcuni suoi tratti, sparsa nei vari punti del Libro

primo, che sottolinea il suo aspetto solitario dell’ultimo baluardo di civiltà di _________ 43

C. Pezzin, Alessandro Baricco, op.cit., p. 36.

19

fronte allo sterminato mare, isolato dal mondo antistante: “Questo è un posto che quasi non esiste. E se chiedi della locanda Almayer, la gente ti guarda sorpresa, e non sa”44. La misteriosità della locanda si rispecchia in cinque

bambini angelici che la abitano e la sua importanza sta anzitutto nel ruolo

allegorico che essa svolge. Come osserva Pezzin, la locanda Almayer:

È una sorta di allegoria del limite tra ciò che è visibile e ciò che non lo è, tra esistenza ed essenza (o nulla). Nello stesso tempo, rappresenta la dimensione onirica, del sogno, dell’immaginazione che è atemporale, collocata fuori dell’esistenza, estranea al reale […].45

Per i personaggi è una specie di grembo materno, un rifugio onirico dove

vivono distaccati dalla realtà, ma come Quinnipak in Castelli di Rabbia, anche

la locanda Almayer è destinata a perdere questa sua qualità eterea sotto un’irruzione violenta del reale, divenendo luogo della vendetta e del dramma esistenziale che culmina con l’impiccagione di Adams-Thomas.

Nel capitolo Ventre del mare Thomas ricorda le parole del vecchio

marinaio Darrell, che distingueva gli uomini in tre categorie: “quelli che vivono

davanti al mare, quelli che si spingono dentro il mare, e quelli che dal mare riescono a tornare, vivi”46. Questa distinzione metaforica incarna il modello del

componimento dell’opera, e giustifica la collocazione della scena del naufragio al suo centro, sebbene cronologicamente antecedente alle vicende del primo

capitolo. Il romanzo, basato sulla visione del mare come allegoria dell’esistenza umana, è suddiviso, secondo il soprammenzionato modello, in tre parti

principali: la prima parte è popolata dai personaggi che soggiornano alla locanda e si muovono “davanti al mare”; nella seconda parte Thomas e Savigny

vengono confrontati con gli aspetti profondi, segreti e tragici dell’esistenza

umana, svelabili soltanto tramite l’ottica di un’esperienza limite vissuta “dentro

il mare”; nella terza parte si vede, quali conseguenze riporta chi ha subito tale confronto.

In Oceano mare si conferma ulteriormente lo stile adoperato da Baricco

già in Castelli di rabbia. Le spiegazioni vengono fornite tramite dialoghi privi

d’introduzioni, racchiusi in una narrazione per quadri schierati uno dopo l’altro, _________ 44 45 46

A. Baricco, Oceano mare, Milano, Rizzoli, 2001, (BUR La Scala), p. 163. C. Pezzin, Alessandro Baricco, op.cit., p. 39. A. Baricco, Oceano mare, op. cit., p. 119.

20

applicando la tecnica del collage senza alcuna congiunzione. Il linguaggio

rimane barocco ed enfatico. V’è di nuovo presente l’uso ripetuto degli accumuli e delle iterazioni superflue, delle frasi solenni e aforistiche:

Perché nessuno possa dimenticare di quanto sarebbe bello se, per ogni mare che ci aspetta, ci fosse un fiume, per noi. E qualcuno – un padre, un amore, qualcuno – capace di prenderci per mano e di trovare quel fiume – immaginarlo, inventarlo – e sulla sua corrente posarci, con la leggerezza di una sola parola, addio.47

Altrettanto presente rimane il suo senso dell’umorismo con la predilezione per grottesco. Significativo è l’episodio in cui Bartleboom corre avanti e indietro tra

i paesi di Hollenberg e Bad Hollen, distanti cinquantaquattro chilometri l’uno dall’altro, poiché non riesce a decidersi a quale delle due sorelle gemelle

proporre il matrimonio. Quando finalmente si decide, scopre che la sorella scelta si è fidanzata alcuni giorni prima, mentre lui penzolava indeciso tra i due

paesi. Bartleboom prende questo segnale del destino come indicazione per sposare l’altra gemella, ma quando si presenta da lei, scopre che ella non c’è più

perché è partita per andare a trovare la sorella. A quel punto Bartleboom scoppia in una lunga e intensa risata, e rinuncia all’aspirazione del matrimonio.

Nel secondo romanzo baricchiano, che può essere visto, nel suo

complesso, come un’allegoria dell’aspetto tragico dell’esistenza umana, in cui i

sogni e le utopie personali sono destinati a soccombere alla crudele irruzione della realtà; si riconoscono forti echi dei grandi romanzieri del mare come Melville, Conrad e Mac Orlan48.

_________ 47 48

Ivi, pp. 51-52. A. Scarsella, Alessandro Baricco, Fiesole, Cadmo, 2003, p. 159.

21

III. 3. Seta Il protagonista del terzo romanzo baricchiano si chiama Hervé Joncour e

vive assieme alla moglie Hélène in un paese della Francia meridionale dal nome

Lavilledieu, un significativo centro della produzione della seta, a cui Hervé fornisce la materia prima. Per acquistare i bachi da seta si reca inizialmente in

Africa ma nel 1861 un’infezione distrugge tutti gli allevamenti solitamente usati

e sorge la necessità di trovare una soluzione alternativa. Per questo motivo, a trentadue anni, Hervé Joncour compie un viaggio in Giappone. Vi conosce un potente uomo del posto, Hara Kei, da cui acquista i bachi da seta e rimane

colpito dallo sguardo della sua giovane amante. Tra i due nasce un’attrazione che si trasforma in una specie di relazione clandestina fatta solamente di sguardi

e di gesti. Una volta partito dal Giappone Hervé non riesce a smettere di pensare alla ragazza sconosciuta. I suoi successivi tre viaggi in Giappone hanno

una motivazione sempre più personale, la quale prevale definitivamente nell’ultimo quarto viaggio. A partire dal suo primo soggiorno nipponico, dunque, Hervé comincia ad essere tormentato da un’incessante inquietudine e il

suo amore per la moglie Hélène viene continuamente disturbato dall’irrazionale

desiderio che egli prova per la giapponese irraggiungibile. Questo desiderio viene ulteriormente alimentato da alcuni gesti della ragazza. Alla sua seconda

partenza da Hara Kei, Hervé riceve dalla giovane un foglietto con su pochi ideogrammi, il cui significato scopre solo in Francia, per opera di Madame

Blanche, una prostituta giapponese. Al suo successivo, terzo, ritorno nel villaggio di Hara Kei, Hervé riconsegna significativamente il biglietto alla ragazza. Hara Kei si accorge di quello che sta succedendo tra la sua amante e il

francese. Al suo quarto ritorno, infatti, gli impedisce di incontrarla e sotto la minaccia di morte lo intima di non tornare più. Come Hara Kei, anche Hélène intuisce le ragioni dell’interesse particolare del marito per il Giappone che egli

non riesce a padroneggiare e il quale lo spinge, la quarta volta, a compiere un viaggio insensato e pericoloso in mezzo alla furia della guerra civile

giapponese. Sei mesi dopo il ritorno dal suo quarto ed ultimo viaggio, in cui

non era riuscito nemmeno ad intravedere l’oggetto del suo desiderio, Hervé riceve una lettera scritta in giapponese e dopo qualche esitazione se la fa

leggere da Madame Blanche. Si tratta di una lettera d’addio da parte della 22

giovane ragazza, in cui con l’espressioni erotiche viene descritto un atto sessuale tra i due, con il quale culmina virtualmente la loro relazione. Egli non

ritorna mai più in Giappone. Trascorre il resto della sua vita con sua moglie a

Lavilledieu. Solo alcuni mesi dopo la morte di Hélène scopre che era lei l’autrice di quella lettera scritta con una sensualità ed intuizione inaspettate, con

i quali ella aveva cercato di liberarlo dalla sua ossessione, e ne rimane colpito profondamente.

Seta da una parte completa la trilogia ottocentesca di Baricco, dall’altra

parte si distingue nettamente dai due romanzi precedenti per le sue dimensioni

ridotte e per la sua composizione. È composto da 65 brevi sequenze numerate, divise tra di loro dalle pagine bianche. Gli eventi sono esposti in ordine

cronologico con due eccezioni subito all’inizio dell’opera, in cui la voce

narrante si sofferma su alcuni fatti accaduti in passato per completare il contesto della trama. Questa operazione avviene esplicitamente, senza alcuna violazione

oppure occultamento della logica e della compattezza del romanzo tipica per le

due opere precedenti. A differenza da Castelli di rabbia e Oceano mare

sovraccarichi d’immagini e di storie, in cui il punto di vista si sposta continuamente dai vari personaggi che li affollano, Seta ha un solo protagonista

principale e un intreccio semplice. L’autore abbandona la sperimentazione con

diversi stili di narrazione (per ritornarvi di nuovo nel successivo romanzo City);

non rinuncia, però, alla sua figura retorica prediletta, ovvero l’iterazione. L’itinerario del viaggio del protagonista percorre l’intero romanzo come una specie di ritornello.

Mentre i precedenti due romanzi si svolgono in un ambiente

esplicitamente fittizio ed un’epoca definibile vagamente, in Seta invece, si

verifica un’aspirazione alla verosimiglianza della collocazione storicogeografica maggiore rispetto agli altri romanzi baricchiani. Subito nelle prime righe infatti, il lettore viene a sapere che:

Era il 1861. Flaubert stava scrivendo Salammbô, l’illuminazione elettrica era ancora un’ipotesi e Abramo Lincoln, dall’altra parte dell’Oceano, stava combattendo una guerra di cui non avrebbe mai visto la fine. 49

Intero romanzo poi, è percorso da una costante fornitura dei dati temporali e delle informazioni storiche o pseudostoriche le quali collocano i viaggi del

protagonista sull’antica via della seta, in un periodo immediatamente _________ 49

A. Baricco, Seta, Milano, Rizzoli, 2004, (BUR Scrittori contemporanei), p. 7.

23

antecedente al suo declino dovuto all’apertura del Canale di Suez. Per quel che

riguarda lo sfondo della trama si ha, dunque, una rappresentazione allegorica dell’effetto demitizzante del progresso tecnico-scientifico durante l’ascesa della modernità:

Baldabiou conosceva tutte queste storie. Sopratutto conosceva una leggenda che ripetutamente tornava nei racconti di chi, laggiù, era stato. Diceva che in quell’isola producevano la più bella seta del mondo. […] lo disse a tutti i produttori di seta di Lavilledieu […]. Nessuno di loro aveva mai sentito parlare del Giappone. 50

[…]

All’inizio del nuovo anno – 1866 – il Giappone rese ufficialmente lecita l’esportazione di uova di bachi da seta. Nel decennio seguente la Francia, da sola, sarebbe arrivata ad importare uova giapponesi per dieci milioni di franchi. Dal 1869, con l’apertura del Canale di Suez, arrivare in Giappone, peraltro, avrebbe comportato non più di venti giorni di viaggio. E poco meno di venti giorni, tornare. La seta artificiale sarebbe stata brevettata, nel 1884, da un francese che si chiamava Chardonet. 51

L’immagine del Giappone è in Seta basata in gran parte sui miti e sulle

leggende sull’Oriente diffuse nell’immaginario collettivo. Il paese insulare si

configura come un posto tra reale ed immaginario. Nella percezione del protagonista arretra la dimensione reale del Giappone (un paese in transizione

dolorosa verso estinzione del vecchio ordine) che fa solo da cornice ai suoi viaggi mercantili, e si accentua la sua funzione della dimora del desiderio che lo

attrae come una droga. I viaggi del personaggio possono dunque essere visti

come passaggi tra l’immaginario e la realtà rappresentata dalla vita condotta accanto alla moglie. Lo stesso atto di viaggiare non ha alcun valore per il

protagonista, fungendo solamente dallo strumento che gli permette di accedere

fisicamente a una delle due dimensioni, e sul livello del discorso è rappresentato da una semplice descrizione sommaria del percorso.

Hervé Joncour si configura come un personaggio passivo nei confronti

degli eventi che subisce senza alcun’ambizione di incidere sul loro corso. Li

accetta senza opporsi, adeguandosi semplicemente alle nuove condizioni. Si reca in Giappone rischiando perfino la vita, oltre al fallimento delle filande di

Lavilledieu, perché incapace di resistere al desiderio di rivedere la ragazza, per _________ 50 51

Ivi, pp. 19-21. Ivi, p. 84.

24

poi ubbidire all’ordine di Hara Kei e tornare in Europa senza minima tentazione

di violarlo. L’impossibilità di incontrare la ragazza è, nella sua mente, una condizione invariabile che, per quanto lo turbi, è definitiva: - È uno strano dolore. Piano. - Morire di nostalgia per qualcosa che non vivrai mai. 52

La sua inquietudine si placa dopo che egli viene a conoscere il contenuto della lettera in cui la sua seduttrice soddisfa i suoi desideri, evidenziando la base fugace della tensione erotica che, una volta consumato in modo immaginario il rapporto sessuale, si estingue:

- Quel che era per noi, l’abbiamo fatto, e voi lo sapete. Credetemi: l’abbiamo fatto per sempre. Serbate la vostra vita al riparo da me. E non esitate un attimo, se sarà utile per la vostra felicità, a dimenticare questa donna che ora vi dice, senza rimpianto, addìo.53

Anche a questo punto il protagonista accetta senza opporsi la soluzione

offertagli “dalla vita”, in questo caso per chiudere la parentesi dell’inquietante avventura giapponese. Ritorna con ritrovata serenità a condurre una vita tranquilla accanto alla moglie Hélène:

Alla fine si alzò, si avvicinò al tavolino di legno chiaro, raccolse i sette fogli di carta di riso. Attraversò la stanza, passò senza voltarsi davanti alla piccola porta socchiusa, e se ne andò. 60. Hervé Joncour trascorse gli anni che seguirono scegliendo per sé la vita limpida di un uomo senza più necessità. […] Dicevano che era così anche da giovane, prima del Giappone. Con sua moglie Hélène prese l’abitudine di compiere, ogni anno, un piccolo viaggio. […] Tutto li stupiva: in segreto, anche la loro felicità. […] Se gliel’avessero chiesto, Hervé Joncour avrebbe risposto che sarebbero vissuti così, per sempre. Aveva con sé l’inattaccabile quiete degli uomini che si sentono al loro posto. 54

Lo colpisce quando scopre che era stata la moglie a scrivere la lettera la quale

l’ha liberato dalla sua ossessione ma non ne deduce nulla, il suo atteggiamento passivo nei confronti della vita non cambia. Questo aspetto viene evidenziato dall’iterazione del breve capoverso in cui lo stesso protagonista definisce la propria vita come “l’inspiegabile spettacolo”55, il quale appare per la prima

_________ 52 53 54 55

Ivi, pp. 82-83. Ivi, p. 91. Ivi, pp. 92-93. Ivi, p. 93 e p. 100.

25

volta nel capitolo 60 dove è descritta la riacquistata serenità di Hervé, dovuta

alla lettera la cui paternità attribuiva alla giapponese. Lo stesso capoverso conclude anche l’ultimo capitolo che tratta la vita del protagonista dopo la

scoperta della vera autrice dello scritto. Nel suddetto capitolo Hervè appare come un vinto che trascorre il resto della vita nella sua casa (come Rail in

Castelli di rabbia), ormai stanziale a Lavilledieu, rinunciando a qualsiasi

ambizione o attività che vada oltre le sue abitudini quotidiane. Come afferma

Alessandro Scarsella: “ Hervé è un vinto dalla vita per non aver mai attraversato la linea di confine tra il reale e l’immaginario, perdendo di conseguenza tutte e due le donne della sua vita, quella reale e quella immaginaria”56.

In generale, Baricco crea in Seta una rappresentazione allegorica della

natura fugace del desiderio umano e della passione, che vanno oltre qualsiasi

ragionamento razionale, posta in antitesi con amore; ovvero un’allegoria del

potere dell’immaginazione di sconvolgere il reale. Partendo dalla caratteristica

della seta presente nel romanzo: “Era come tenere tra le dita il nulla”57, il titolo dell’opera può essere visto come una metafora del motivo centrale, cioè del

nulla che accade tra il protagonista e la concubina giapponese. Nello stesso modo la composizione richiama con la sua linearità e trasparenza all’immagine del filo di seta.

_________ 56 57

A. Scarsella, Alessandro Baricco, op. cit., pp. 78-79. A. Baricco, Seta, op. cit., p. 19.

26

III. 4. City Dopo la divagazione rappresentata dalla Seta, Baricco torna con City

allo stile di composizione dei primi due romanzi. Non in tutti gli aspetti però. Già nel monologo teatrale Novecento uscito nel 1994, l’autore affronta

l’argomento del ventesimo secolo ma nella sua produzione romanzesca rimane, con Seta (1996), fedele all’Ottocento. Solo con City (1999), dunque, per la

prima volta abbandona l’ambientazione ottocentesca, e situa un suo romanzo nella contemporaneità, sullo sfondo di una metropoli americana.

City è incentrato sulla vicenda di un ragazzo geniale di nome Gould.

Laureato a undici anni e proiettato verso il Premio Nobel, egli vive lontano dai

genitori incapaci di affrontare adeguatamente la sua genialità, che sta alla base del distacco sentimentale e infine anche fisico tra essi e il figlio. Come riassume Claudio Pezzin:

È anche a causa della particolare personalità di Gould difficilmente schematizzabile tra bizzarria geniale e follia, tra ipersensibilità e isolamento, che la madre ha avuto turbe mentali ed è stata ricoverata in una clinica, come se avesse introiettato dentro di sé l’inquietudine esistenziale del figlio fino al parossismo; ed è sempre per una condizione di angoscia indecifrabile che sembra emanare dal figlio, che anche suo padre preferisce andare a lavorare stando vicino alla moglie malata, piuttosto che stare ad abitare con questa creatura ai limiti dell’inconoscibile, vero e proprio enigma vivente.58

Il ragazzo vive prima al college e poi da solo in una casa di cui è l’unico

abitante. Si inventa i due compagni immaginari: il gigante Diesel e il muto Poomerang che interviene regolarmente in tutte le discussioni “nondicendo”; e

gli incontri immaginari di boxe. Chiuso in bagno, Gould imita le trasmissioni radiofoniche incentrate sul rapporto paterno tra il maestro Mondini e il suo

giovane allievo Larry Gorman, nelle quali proietta il suo bisogno dell’affetto da parte del padre, i cui rapporti con il figlio sono ridotti a una breve telefonata una volta la settimana. Trascorre la maggior parte del tempo all’università

adempiendo al ruolo di un giovane genio immancabilmente diretto verso una

brillante carriera accademica, vivendo una vita aprioristica che erratamente, sotto l’influenza dei suoi professori, considera l’unica possibile. _________ 58

C. Pezzin, Alessandro Baricco, op. cit., p. 89.

27

La narrazione parte dal momento in cui, nell’ottobre del 1987, una casa

editrice indice un referendum radiofonico sulla soppressione del personaggio di

Mami Jane, madre di un supereroe, particolarmente amata dai lettori. Anche

Gould chiama alla radio, dove risponde Shatzy Shell. I due si trattengono in una

lunga conversazione telefonica durante la quale Gould avverte Shatzy dell’imminente arrivo di Diesel e Poomerang, intenti a distruggere la sede della

casa editrice in quanto adoratori di Mami Jane indignati dalla sua disposta

morte; e la invita alla festa del suo tredicesimo compleanno. Shatzy intanto viene licenziata per il suo approccio troppo personale con gli interlocutori. In

seguito si incontra con Gould, assolve il posto della sua badante e si trasferisce

da lui. Così come Gould immagina gli incontri di pugilato, Shatzy a sua volta, immagina una storia western i cui episodi poi racconta accompagnandoli da una

specie di colonna sonora: “La musica la faceva Shatzy, a bocca chiusa, una cosa

tipo grande orchestra, violini e trombe, una cosa ben fatta. Poi ti chiedeva: Tutto chiaro?”59

Il romanzo è costellato dalle figure pseudopaterne e bizzarre dei

professori universitari di Gould. In particolare spiccano i personaggi del Prof. Mondrian Kilroy e del Prof. Taltomar. Kilroy si dedica allo studio degli oggetti

curvi ed è l’autore del Saggio sull’onestà intellettuale, scritto sotto l’influenza

di una fulminante ispirazione giuntagli in una cabina di video porno, in mezzo alla proiezione, e materializzata sul retro di un depliant del suddetto locale

d’intrattenimento. Convinto che solamente la sofferenza conduce oltre la dimensione del reale, e disperato di non avere una vera e propria ragione di soffrire che gli permettesse di lavorare secondo i propri presupposti teorici, il professore finisce per cadere in una depressione che gli provoca gli attacchi di

pianto e in seguito di vomito. Con il Prof. Taltomar, invece, Gould segue una

volta la settimana le partite di calcio sul campo dietro casa sua. I due stanno in

silenzio uno accanto all’altro, non si parlano, solamente commentano varie

situazioni del gioco dal punto di vista dell’arbitro. Taltomar conosce minuziosamente il regolamento e ha sempre pronta una risposta univoca. Gould

nutre nei confronti del vecchio professore un affetto profondo. Claudio Pezzin osserva in proposito del personaggio di Taltomar: _________ 59

A. Baricco, City, Milano, Rizzoli, 2003, (BUR La Scala), p. 166.

28

una sorta di guida morale, quasi socratica, l’unica degna di svolgere la funzione di padre assente; nello stesso tempo, il rapporto tra Gould e l’anziano professore è tutto fondato su un dialogo silenzioso, su un accordo tacito, che viene posto in contrasto con la babele di voci e parole che struttura il reale in una società priva di coscienza, di interiorità.60

I loro regolari incontri e la sicurezza delle risposte di Taltomar rappresentano per Gould un’oasi di certezza che non trova dagli altri professori universitari,

spesso protagonisti di una doppia vita (basta pensare al Prof. Mondrian Kilroy), i quali sembrano proiettare su Gould le loro frustrazioni61.

L’amicizia con Shatzy, che porta sempre con sé le foto di Eva Braun e di

Walt Disney, si svolge sotto l’insegna della progressiva digressione dei pensieri di Gould dalla prefissata pista accademica, che culmina con la sua decisione di

abbandonare la brillante carriera dello scienziato per ritirarsi nell’anonimato e svolgere l’umile lavoro del custode dei bagni di un grande supermercato. Al

quindicenne Gould viene offerto un tirocinio triennale presso la prestigiosa università di Couverney. Il ragazzo, però, non sta scegliendo tra la sua vecchia

università e una più famosa, come credono i suoi professori. Sta decidendo se rimanere nell’ambiente universitario e mantenere lo stile di vita condotto fino a quel momento, rappresentato appunto da Couverney, oppure liberarsene e

cercare di far parte della vita “normale” di cui è stato solo osservatore esterno e passivo. Solo Shatzy, infatti, si rende conto quanto penalizzante sia per Gould la

sua genialità, in nome della quale l’hanno fatto diventare un individuo isolato, enigmatico per chi lo avvicina e quasi incapace di interagire con mondo esterno, in quanto ignaro delle elementari norme sociali:

- potrei sapere com’è che avete tutti deciso di punto in bianco che un ragazzino come quello è un genio, un ragazzino che non ha mai visto nient’altro che le vostre maledette aule e la strada per arrivarci, un genio che si piscia addosso quando dorme, e si spaventa se per strada gli chiedono che ora è, e non vede sua madre da anni e suo padre lo sente il venerdì sera al telefono, e non riuscirà mai ad avvicinarsi a una ragazza nemmeno a pregarlo in arabo, che punteggio dà tutto questo? 62

Significativo è da questo punto di vista l’atteggiamento di Gould e Taltomar di

guardare le partite di calcio senza mai toccare il pallone accidentalmente uscito dal campo: _________ 60 61 62

C. Pezzin, Alessandro Baricco, op. cit., p. 100. A. Scarsella, Alessandro Baricco, op. cit., p. 90. A. Baricco, City, op. cit., pp. 212-213.

29

Gli ho chiesto: Perché non andiamo mai a prenderla, quella maledetta palla? Lui ha sputato per terra un po’ di tabacco e poi ha detto: O guardi o giochi. Non ha detto altro. O guardi o giochi.63

che con il suo presupposto fortemente metaforico, è una rappresentazione allegorica dell’approccio di Gould alla vita. In seguito, la decisione del ragazzo

di abbandonare il mondo accademico è espressa implicitamente dal gesto simbolico del tiro di palla:

.

L’autista del pullman aveva le gambe che gli tremavano, ma scese lo stesso e lasciando la portiera aperta andò verso quel ragazzino idiota. Stava fermo immobile, a guardare un pallone che teneva in mano. Doveva essere veramente idiota. Stava per gridargli qualcosa, quando lo vide finalmente muoversi: lo vide alzare il pallone nell’aria, con la mano sinistra, e poi colpirlo al volo con il piede destro, spedendolo nel cortile della scuola, oltre la recinzione. Ma guarda ’sto idiota, pensò. […] - Sì -, disse piano Gould. Era una risposta a un sacco di domande. L’autista del pullman arrivò a qualche metro dal ragazzino. Le gambe gli tremavano ancora un po’. Era incazzato davvero. - Allora, sei completamente pazzo o cosa?, ehi, tu, cos’è, sei pazzo? Il ragazzino si voltò a guardarlo. - Non più, signore. Disse.64

Gould, infatti, parte ufficialmente per Couverney ma non vi arriva mai. Shatzy

convince suo padre di non cercarlo. Si incontrano e lui le racconta della madre

di Gould e delle ragioni per cui aveva scelto di rimanere con lei piuttosto che

con il figlio. Shatzy in seguito va a trovare Ruth all’ospedale dove diventa molto benvoluta raccontando ai pazienti episodi del suo western, fino ad esservi

assunta come dipendente. Pochi anni dopo rimane vittima di un incidente automobilistico.

Abbiamo già detto che con City Baricco torna allo stile di composizione

dei suoi primi due romanzi. La sorprendente rivelazione d’identità del narratore

nel capitolo conclusivo è ormai diventata una soluzione prediletta dello scrittore torinese. Quando nelle ultime pagine del libro appare l’immagine di Gould che

conta le mance nei bagni pubblici e delle foto di Walt Disney e di Eva Braun

appese sullo sportello del suo armadietto, tutta la storia, percorsa dai numerosi

indizi sparsi dall’autore, riacquista un assetto finale nell’essere frutto d’immaginazione di un guardiano dei gabinetti che si immagina di essere un genio, e si inventa una stratificata rete di storie:

City è un romanzo che rappresenta l’osmosi tra immaginazione e realtà, tra la

_________ 63 64

Ivi, p. 120. Ivi, pp. 224-225.

30

città fantastica e la città reale. […] È incentrato tutto sul contrasto tra una finzione illusoria, che però è in grado di dare ragioni di vita, almeno, e una realtà priva di significato, ridotta ad una entità vuota, annichilita, ridotta a calcolo, superfluo, senza vita, inerte.65

Tutto, dunque, parte da Gould che si immagina un genio, il quale si

moltiplica in altri personaggi che, a loro volta, inventano altre storie; e in questa

dimensione dell’immaginazione cerca di realizzare i suoi desideri opponendola

alla realtà banale e frustrante che non lo appaga. In questo continuo

compenetrarsi di realtà e immaginazione, il lettore stenta a distinguere tra Gould-narratore e Gould-personaggio. Claudio Pezzin afferma in proposito: Il fatto è che, in fin dei conti, è questo che deve emergere: l’inesistenza di un diaframma netto tra invenzione e realtà. Il Gould reale, concreto, è il Gould che immagina se stesso, che si forma narrativamente narrando la propria vicenda, e in questa narrazione finisce per abitare. Non esiste un Gould fuori dalla narrazione, un Gould reale, perché Gould è nelle vicende che egli stesso ha narrato, nelle parole che ha detto, nel percorso vitale che si è creato.66

La composizione richiama quella di Castelli di rabbia. Nei singoli

capitoli si alternano sequenze della vicenda biografica di Gould, con episodi del

western e della storia di pugilato. A ogni personaggio corrisponde una voce che interagisce con le altre nei dialoghi senza introduzioni, oppure si esprime in vari

tipi di monologo. Mentre nei primi due romanzi caleidoscopici di Baricco i frammenti delle varie storie vengono distinti, all’interno del capitolo, in maniera

netta con spazi bianchi fra i capoversi, in City l’autore abolisce questa

distinzione visuale. Il testo appare compatto e i singoli motivi si alternano fra loro in modo fluente. Tuttavia Baricco non rinuncia ad alcuni tipi di grafismo

destrutturate, come l’inserimento della barra verticale tra le frasi, e alla sua sperimentazione dell’aspetto visuale della pagina. Come abbiamo già detto, gli

episodi della vita di Gould si alternano con due motivi costanti, il western e

l’epopea pugilistica di Larry Gorman, che offre a Gould, oltre a una figura paterna, anche una dimensione di fisica gestualità e di un’azione pura che si oppone

a

universitario.

quella

puramente

intellettuale

rappresentata

dall’ambiente

_________ 65 66

C. Pezzin, op. cit., p. 86. Ivi, p. 88.

31

Il romanzo si distingue da quelli precedenti per un’esplicita

caricaturalizzazione di filosofia: “City ironizza la filosofia e le sue

presupponenze,

attraverso

l’accostamento

di

linguaggio

filosofico

terminologicamente corretto ma esasperato nella sua correttezza cavillosa, e in

realtà banale, con un esito di smontamento di ogni vagheggiamento filosofico”67. Inoltre vengono caricaturalizzati gli aspetti più insulsi della società

contemporanea. Subito all’inizio dell’opera si ha una parodizzazione del mondo editoriale con la sua letteratura di largo consumo:

Nell’ottobre del 1987, la CRB – casa editrice da ventidue anni delle avventure del mitico Ballon Mac – decise di indire un referendum tra i suoi lettori per stabilire se fosse il caso di far morire Mami Jane. […] L’idea di farla schiattare era venuta al direttore commerciale della CRB – un signore molto tranquillo che aveva una sola passione: i trenini elettrici. Sosteneva che ormai Ballon Mac era su un binario morto e aveva bisogno di nuove motivazioni. La morte della madre – investita da un treno mentre fuggiva inseguita da uno scambista paranoide – lo avrebbe trasformato in una miscela letale di rabbia e dolore, cioè nel ritratto sputato del suo lettore medio. L’idea era idiota. Ma anche il lettore medio di Ballon Mac era idiota.68

Significativo è da questo punto di vista anche l’episodio del fast-food che evidenzia bene le strategie delle varie aziende di incentivare un consumo insensato, non basato più sul bisogno ma fine a sé stesso.

City si presenta nel suo complesso come una satira filosofica e grottesca

della società contemporanea, il cui materiale costruttivo l’autore ricava dal cinema, dal fumetto, dalla pubblicità, ma anche dalle fonti letterarie come Vonnegut, Pynchon oppure Salinger69. Per quel che riguarda il nome del

protagonista, esso ha molto probabilmente la sua prefigurazione nel geniale

pianista canadese Glenn Gould, al quale Baricco dedica uno dei suoi articoli raccolti in Barnum70.

_________ 67 68 69 70

Ivi, p. 85. A. Baricco, City, op. cit., pp. 9-10. Cfr. A. Scarsella, Alessandro Baricco, op. cit., pp. 98-99. Cfr. A. Baricco, Glenn Gould fra le stelle, in id., Barnum, Milano, Feltrinelli, 2003.

32

III. 5. Senza sangue Nell’agosto del 2002, tre anni dopo City, esce Senza sangue: un

volumetto esile di poco più di 100 pagine, leggibile in un’ora. Diviso in due

grandi capitoli dall’estensione pressappoco uguale denominati semplicemente

Uno e Due, il romanzo è collocato, come tutti i precedenti, su uno sfondo

immaginario che a sua volta assume aspetto di un paese ispanofono. V’è un distacco temporale di una cinquantina d’anni tra gli avvenimenti della prima e

della seconda parte del romanzo che sono situabili, a loro volta, nella metà e nella fine del Novecento.

La prima parte del romanzo si apre con l’immagine di una fattoria

sperduta nella campagna. È sera, si è da poco conclusa una guerra civile e si

sente rumore di una vecchia Mercedes con a bordo quattro uomini che si avvicina per i campi. Manuel Roca, il proprietario della fattoria, avvistando la macchina capisce subito che si tratta di un comando di giustizieri. Chiude la sua

piccola bambina Nina in un buco sotto il pavimento coprendo la botola con alcune ceste di frutta, poi arma il figlio, bambino anche lui, di un fucile e lo

manda a nascondersi nella legnaia. Intanto tre dei quattro uomini della Mercedes raggiungono la casa e aprono subito il fuoco. Per il loro capo, Salinas,

si tratta di una resa dei conti personale in quanto costretto, in precedenza, a dare

un colpo di grazia a proprio fratello trovato agonizzante nell’ospedale di Roca, sparandogli a bruciapelo. Altrettanto gli altri due membri del comando, el Gurre

e Tito, sono reduci dalle esperienze personali dolorose legate alla guerra. Roca cerca di difendersi ma gli assalitori entrano comunque nella casa e uccidono sia

lui sia suo figlio, che esce dal nascondiglio per difendere il padre. Consapevoli

dell’esistenza della bambina, i banditi si mettono a perlustrare la casa per sbarazzarsi della scomoda testimone. Il più giovane di loro, un ragazzo appena ventenne detto Tito, scopre rifugio di Nina ma a vederla s’impietosisce di lei.

Non essendo a conoscenza delle intenzioni dei suoi compagni di bruciare la fattoria, richiude la botola e tace la scoperta della bambina. In seguito uno dei

banditi appicca il fuoco e con Tito inorridito dai fatti appena compiuti e soprattutto dal destino della bambina, i tre si allontanano dal luogo del crimine.

Nina sopravvive miracolosamente all’incendio e per tre giorni rimane tra le

33

macerie della fattoria. Alla fine un uomo sul cavallo la trova e la porta via con sé. Si chiude così la prima parte del romanzo.

Cinquantadue anni dopo il massacro, in una città indefinita, Nina

incontra Tito. Lei, nonostante non sia più giovane, è ancora attraente. Lui è un

settantaduenne che vende biglietti di lotteria. Seduti in un caffè i due confrontano i propri punti di vista sulla tragica vicenda della fattoria, sulla

guerra e anche sui loro percorsi vitali. A seconda degli avvenimenti significativi, la vita movimentata della donna può essere divisa in tre fasi principali vissute con identità diverse: nella prima si chiama Nina e assiste al

massacro della sua famiglia; da adolescente vive con il farmacista Uribe come sua figlia Dulce. Uribe vendica il padre della sua protetta avvelenando Salinas

ma si vede costretto a cederla al conte Torrelavid, per pagare il debito di gioco a carte perso. Sposando il conte, Dulce diventa Donna Sol, muta padrona della fazenda di Belsito e madre di tre figli. Dopo la tragica morte del conte in un

incidente automobilistico i parenti la fanno ricoverare in un manicomio per

impadronirsi dei suoi beni. Lei riesce a fuggire e compiere la sua vendetta su el

Gurre. Tito, che in realtà si chiama Pedro Cantos, è a conoscenza di tutto ciò. La donna gli chiede di seguirla in un albergo per fare l’amore con lei e Pedro consente, convinto di andare incontro alla sua morte. La donna rinuncia invece

alla vendetta e, dopo aver fatto l’amore con Cantos, assume la stessa posizione in cui lui l’aveva vista cinquantadue anni prima, gli appoggia la fronte alla schiena e si addormenta.

Come abbiamo già detto, il romanzo è collocato in un indefinito paese

ispanofono. Nella sua recensione, Angelo Morino si occupa dettagliatamente

dell’onomastica e della toponomastica del romanzo ma conclude confermando la natura illusoria di esse:

Se, così ripercorsa in dettaglio, la geografia di Senza sangue si limita ad alludere a un generico paese latino, europeo o americano che sia, maggiori chiarimenti non vengono forniti neppure dai nomi dei personaggi. Manuel Roca e Salinas, El Gurre e Tito, Nina e Donna Sol, Ricardo Uribe e il conte di Torrelavid: tutti additano la loro provenienza ispanica, ma evitano qualsiasi delimitazione più precisa. E del resto, da un paragrafo all’altro, non emergono neppure immagini di cose o di esemplari del mondo naturale che tradiscano l’appartenenza a una certa zona ristretta.71 _________

A. Morino, Senza sangue, «L’Indice», 10, 2002, in www.oceanomare.com/opere/senzasangue, consultato in data 06/03/2006. 71

34

Per evitare le interpretazioni sbagliate della toponimia dell’opera, lo stesso autore avverte in una nota sul frontespizio che: “I fatti e i personaggi raccontati

in questa storia sono immaginari e non fanno riferimento ad alcuna realtà particolare. La scelta frequente di nomi ispanici è un fatto puramente musicale e non deve suggerire una collocazione temporale o geografica della vicenda”72.

Senza sangue, a differenza di altri romanzi baricchiani, ha una trama

semplice. Non è stracarico del solito mosaico di personaggi, di situazioni e di

storie intersecate, dove l’ordine cronologico viene spesso violato, bensì ha un

andamento molto lineare e i personaggi sono pochi. Si svolge in due soli giorni

appartenenti ai due periodi diversi della vita della protagonista. Al lettore quindi, viene proposto soltanto un ritaglio di una storia molto più grande e complessa che si intuisce in retroscena ma che viene solamente accennata.

La prima parte che tratta la strage nella fattoria ha l’andamento spedito,

con frasi brevi e dialoghi serrati. Il punto di vista si sposta continuamente da un

personaggio all’altro. L’accento è posto sull’azione e sulla violenza. L’atmosfera dell’orrore che percorre l’intero capitolo è sottolineata dalle urla costanti dei protagonisti, rafforzata sul piano grafico dall’uso del maiuscolo e dalla reiterazione:

Allora Roca ricominciò a gridare. - IO NON C’ENTRO NIENTE. - Tu non c’entri niente? - NON C’ENTRO NIENTE CON L’OSPEDALE. - COSA DIAVOLO DICI? […] Roca urlava, disteso nel suo sangue, la bocca orrendamente spalancata. […] Ma Tito non la smetteva, si mise a urlare sempre più forte, COSA DIAVOLO HAI FATTO?, scuotendo el Gurre come un fantoccio, COSA DIAVOLO HAI FATTO?, lo aveva sollevato da terra e non smetteva di sbatterlo per aria COSA DIAVOLO HAI FATTO? Finché Salinas si mise a urlare anche lui, FALLA FINITA, RAGAZZO, sembravano tre matti, abbandonati su un palcoscenico spento, ADESSO SMETTILA!73

A questo punto vogliamo ricordare le opinioni espresse da Baricco nel suo

articolo dedicato al film Natural born killers di Oliver Stone, raccolto in

Barnum, che sembrano aver trovato la loro attuazione appunto nel capitolo

d’apertura di Senza sangue:

_________ 72 73

A. Baricco, Senza sangue, Milano, Rizzoli, 2004, (BUR Scrittori contemporanei), p. 4. Ivi, pp. 31, 37, 43.

35

Da un po’ di tempo gli americani hanno deciso che i film non iniziano: si spegne la luce e loro ti esplodono addosso: come se fossero iniziati mezz’ora prima. […] Poche parole, molta azione. E tensione alle stelle. Una specie di spot del film piazzato all’inizio del film: tutto quello che stai per vedere è già lì, riassunto e compresso. Lo spot con cui inizia Natural born killers, l’ultimo film di Oliver Stone, dura più o meno otto minuti. […] Sono otto minuti pazzeschi. Non tanto per quel che si vede: per come lo si vede. […] Io, quegli otto minuti, sono tornato a vedermeli: diecimila lire, più di mille lire al minuto, ma valeva le pena. Volevo capire: perché lì è riassunto un modo di fare cinema che non è un bel modo o un brutto modo: è un modo diverso, in qualche modo rivoluzionario. E senza sapere bene cosa, mi sembrava chiaro che c’era qualcosa da imparare.74

Come di consueto Baricco cura molto l’aspetto grafico della pagina,

gremita di spazi bianchi, di a capo frequenti e di frasi sospese in mezzo alla

riga; imponendo al testo una musicalità di fondo così caratteristica della sua

scrittura. La seconda parte tratta l’incontro tra Nina e Tito, che a differenza della prima da stampo cinematografico di un western alla italiana, sembra piuttosto un testo di teatro da camera per due, dove tutto si risolve nelle parole,

nei ricordi e nei pensieri. In essa v’è un uso abbondante dei puntini di sospensione che suggeriscono l’improvviso silenzio di uno degli interlocutori.

In alcuni punti il ritmo della narrazione rallenta ed i momenti di

riflessione dei personaggi prendono il sopravvento sull’azione. Questi momenti

sono presenti in entrambi i capitoli mantenendo l’equilibrio tra le due parti del

romanzo. Il più significativo da questo punto di vista è il lacerante monologo retrospettivo di Salinas in cui evoca la scena dell’uccisione di suo fratello che,

come osserva Alessandro Scarsella, è “contraddistinto dalle medesime spezzature che caratterizzavano il racconto di un naufrago di Oceano mare, e

finalizzate a determinare e scandire l’orrore perdurante e l’impotenza ad arrivare al punto dell’esperienza narrata”75. Scarsella evidenzia ancora altri due

momenti di somiglianza con Oceano mare, e precisamente l’avversione inconciliabile tra Salinas e Roca che ricorda quella tra Adams e Savigny, entrambe nate dall’omicidio e risolte nella vendetta; e il mutismo che sia in Donna Sol sia in Adams è quello che affligge i sopravvissuti ad un massacro.

Il concetto dell’esattezza come un mezzo salvifico, raffigurato dalla

posizione semifetale che Nina assume prima nel suo nascondiglio sotto pavimento e poi nel letto affianco a Pedro Cantos, svolge un ruolo essenziale _________ 74

75

A. Baricco, Barnum, op. cit., pp. 132-133. A. Scarsella, Alessandro Baricco, op. cit., p. 104.

36

nell’ambito del romanzo: “Le piaceva quell’ordine. Se sei una conchiglia, è

importante l’ordine. Se sei guscio e animale, tutto deve essere perfetto. L’esattezza ti salverà.”76 Non si tratta di un concetto nuovo di questo romanzo,

bensì percorre l’intera opera baricchiana. Scarsella scrive in proposito:

Si tratta di un motivo dell’immaginario femminile, presente anche in Marianne Moore e adottato con prontezza da Baricco. A ben vedere l’esattezza è tra le definizioni dell’ultima estetica del bello possibile nella postmodernità e in conformità alle Lezioni americane di Italo Calvino, quella che si conferma anche in questo caso come un criterio al quale Baricco è rimasto sempre fedele, inserendo immancabilmente il termine in ogni sua opera, almeno una volta.77

Anche il nome dell’albergo scelto da Nina come il luogo della vendetta,

Hotel California, richiama l’omonima canzone degli Eagles, confermando “la

strategia di contaminazione in Baricco di fonti differenziate e di distinti gradi di valore della parola”78. La prima parte del romanzo tradisce l’influenza di

Cormac McCarthy o Truman Capote79.

Senza sangue conferma, che nell’ambito dell’opera baricchiana, i

dirottamenti dagli scenari e dai registri abituali della scrittura s’incarnano nella forma di romanzo breve. Tuttavia Senza sangue presenta degli elementi tipici della narrativa di Baricco:

[…] del suo miscelare nella scrittura registri diversi e moduli differenti, espressioni del parlato e immagini coniate con ricercatezza (il «profilo svuotato della pianura», la «quiete incurabile»), con chiuse di scene in smorzando (come in Seta) ricorrendo al conio banal-gnomico (come «l’esattezza ti salverà» o «conta la nuvola, il tempo verrà» depositate su una bambina di dieci anni).80

I punti deboli del romanzo sono in prevalenza gli stessi delle altre sue opere narrative, riscontrabili dove la scrittura mira troppo all’effetto e alla presa emotiva sul pubblico: divagazioni improprie come l’escursione nella biografia della barista inserita nella scena del caffè, troppe deviazioni dalla norma

tipografica (i già menzionati puntini di sospensione, il maiuscolo), frasi aforistiche e filosofeggianti: _________

A. Baricco, Senza sangue, op. cit., p. 19. A. Scarsella, Alessandro Baricco, op. cit., p. 109. 78 Ivi, p. 108. 79 Cfr. ivi, p. 103. 80 E. Paccagnini, «Senza sangue», la sostenibile leggerezza di Baricco, «Corriere della sera», 07/09/2002, in www.oceanomare.com/opere/senzasangue, consultato in data 06/03/2006. 76

77

37

Per quanto uno si sforzi di vivere una sola vita, gli altri ce ne vedranno dentro altre mille81, e questa è la ragione per cui non si riesce a evitare di farsi del male. […] Però non accadde nulla, perché alla vita manca sempre qualcosa per essere perfetta.82

ovvero, come riassume nella sua recensione Michele Serra: alcune allusioni non molto necessarie ai massimi sistemi e al “senso della vita”, messe in bocca a personaggi che forse non ne avvertono l’urgenza.83

Poiché le prefigurazioni delle vicende di Senza sangue possono essere

trovate ovunque abbia fatto strage una guerra civile, le possibili fonti d’ispirazione dell’opera vanno cercate sul piano più generico. Come afferma Alberto Papuzzi:

Il soggetto è la guerra, rappresentata attraverso la vicenda di un piccolo gruppo di persone, capaci però di diventare simboli dei vari aspetti con cui al giorno d’oggi le guerre ci assediano di nuovo, dall’ex Jugoslavia all’Afghanistan, dalla Cecenia al Medio Oriente, fino ai conflitti tribali africani: ritroviamo, personificati, l’asprezza, il dolore, la ferocia, l’empietà di cui ogni guerra è carica, e soprattutto la vendetta come sentimento che le guerre lasciano in eredità per generazioni.84

Il più significativo da questo punto di vista è un reportage dello stesso Baricco intitolato Il tribunale dell’utopia, pubblicato nella raccolta Barnum 2, sui processi per i crimini di guerra compiuti nell’ex Jugoslavia, in cui è possibile

avvertire i motivi principali sui quali, successivamente85, si sarebbe basato

Senza sangue:

C’è un’aria da sala operatoria: pulizia asettica ed esattezza ovunque. C’è anche il sangue: ma nelle parole. Disinfettato nelle parole. […] Un lavoro pazzesco: a freddo, mesi e mesi dopo i fatti, con le armi spuntate della legge, riavvicinano i lembi di un dolore atroce e di una crudeltà insensata: e invece che saldarli con il semplice rito della vendetta, suturano, con la logica della Giustizia. […] le accuse parlano di crimini di guerra, genocidio, gravi violazioni alle convenzioni di Ginevra, crimini contro l’umanità. Tradotto: tutto ciò che perfino nello schifo di una guerra è orrore intollerabile. 86 _________

Un pensiero che richiama il concetto pirandelliano di Uno, nessuno e centomila (1926). A. Baricco, Senza sangue, op. cit., pp. 82, 75. 83 Michele Serra, Baricco, esercizi di stile, «La Repubblica.it», 10/09/2002, in www.oceanomare.com/opere/senzasangue, consultato in data 06/03/2006. 84 A. Papuzzi, Baricco va alla guerra, «La Stampa», 28/08/2002, in www.oceanomare.com/opere/senzasangue, consultato in data 06/03/2006. 85 Barnum 2 esce nel 1998, quattro anni prima di Senza sangue (2002). 86 A. Baricco, Barnum 2. Altre cronache dal Grande Show, Milano, Feltrinelli, 1998, p. 89. Il grassetto è nostro. 81

82

38

Il romanzo di Baricco, infatti, solleva nei suoi lettori le domande sulla legittimità di uccidere in nome degli ideali o della vendetta, sul valore di una

singola vita umana in mezzo ad un conflitto bellico, sull’esistenza di un possibile risarcimento della morte di una persona cara e, in primo luogo, sulla possibilità di sentire conclusa una guerra per chi n’è stato segnato.

Per capire i motivi che l’hanno spinto ad affrontare tale argomento

bisogna prendere in considerazione, come avvisa Alessandro Scarsella nella sua

monografia87, il personale coinvolgimento di Baricco nelle manifestazioni pacifiste durante la seconda guerra del Golfo e il suo saggio sulla

globalizzazione Next. Resta comunque evidente che Senza sangue rappresenta

nell’ambito dei romanzi dello scrittore torinese una svolta verso una scrittura più impegnata.

_________ 87

Cfr. A. Scarsella, Alessandro Baricco, op. cit., p. 110.

39

IV. CONCLUSIONE Lo stile di Alessandro Baricco, come si è avuto modo di vedere, è

caratteristico per un continuo cambio di registri espressivi e stilistici, per l’alternazione delle diverse tecniche di narrazione la cui ispirazione va dal

cinema al fumetto, dal melodramma ai sempre presenti richiami alle fonti letterarie:

La congerie abbondante, frammentata e tuttavia mai congestionata dei materiali, la prosa altamente sofisticata ma quasi confidenziale, la raffinata ironia che gioca spesso con il recupero di stilemi e moduli della narrativa più tradizionale, danno la misura della straordinaria padronanza dei mezzi retorici e affabulatorî di cui Baricco dispone […].88

I suoi romanzi sembrano essere un grande caleidoscopio di storie, di

personaggi e di eventi collocati nelle geografie immaginarie che, a loro volta, evocano atmosfere diverse, situabili rispettivamente in paesi ottocenteschi dell’Europa settentrionale e dell’Oriente (Castelli di rabbia, Oceano mare, Seta), in una metropoli americana odierna (City) e in un paese ispanofono della

seconda metà di Novecento (Senza sangue). Lo scorrere lineare della narrazione viene spesso turbato dai salti anacronistici, dalle digressioni dal tema principale

e dai colpi di scena con effetti di suspense e sorpresa. L’abilità di catturare e tener desta l’attenzione del lettore, frutto di profonda conoscenza e padronanza dei meccanismi narrativi, è nelle opere di Baricco tale da attirare su di lui le accuse di furbizia da parte dei critici. Come osserva Filippo La Porta:

la macchina narrativa approntata da Baricco scorre con fluidità impassibile e sospetta, con una perfezione rotonda, virtuosistica. Forse le sue molte, troppe storie funzionano di più quando sembrano liberarsi dal controllo eccessivamente dispotico del loro esibizionistico autore e così prendere il volo.89

Il testo baricchiano è riconoscibile per il suo aspetto visivo, per

musicalità di fondo e per un ritmo di lettura che pone. Questa caratteristica è dovuta all’uso di spazi bianchi, a capo frequenti, interfogliazione di intere

pagine vuote e frequenti deviazioni dalla norma tipografica sul piano visuale; assieme a iterazioni, anafore, accumuli, simmetrie sintattiche e lessicali al livello della composizione: _________

E. Ragni e Toni Iermano, Scrittori dell’ultimo Novecento, in E. Malato (curatore), Storia della letteratura italiana, vol. IX, Il Novecento, Roma, Salerno editrice, 2000, p. 1137. 89 F. La Porta, La nuova narrativa italiana. Travestimenti e stili di fine secolo, op. cit., pp. 90-91. 88

40

… solo di rado, e in un modo che taluni, in quei momenti, nel vederla, si udivano dire, a bassa voce - Ne morirà […] Ogni tanto, senza ragione, le piaceva mettersi a correre, lungo i corridoi, incontro a chissà cosa, su quei tremendi tappeti bianchi, smetteva di essere l’ombra che era e correva, ma solo di rado, e in un modo che taluni, in quei momenti, nel vederla, si udivano dire, a bassa voce… […]

Piangeva, il barone di Carewall. Le sue lacrime. Padre Pluche, immobile. Il dottor Atterdel, senza parole. E nient’altro.90

Un altro tratto caratteristico dell’opera di Alessandro Baricco è la sua

forte intertestualità. Focalizzando l’attenzione ai cinque romanzi baricchiani, è

possibile notare vari indizi e somiglianze che li collegano tra loro. L’esempio più palese di tale collegamento appare in Seta, nella scena di partenza di

Baldabiou da Lavilledieu, che richiama apertamente il motivo principale di

Castelli di rabbia:

Quando vide il treno, fermo al binario, posò la valigia per terra. - Una volta ho conosciuto uno che si era fatto costruire una ferrovia tutta per lui. Disse. - E il bello è che se l’era fatta fare tutta diritta, centinaia di chilometri senza una curva. C’era anche un perché, ma non me lo ricordo.91

Inoltre è possibile notare, ad esempio, che la nave sulla quale viaggia Elisewin

in Castelli di rabbia e quella su cui Hervé Joncour, il protagonista di Seta,

compie il suo primo viaggio per acquistare i bachi, hanno lo stesso nome: Adel.

Bartleboom (Oceano mare) e la vedova Abegg (Castelli di rabbia) esprimono entrambi una parte della loro identità attraverso la corrispondenza epistolare. Elisewin (Oceano mare) va incontro alla sua “guarigione” risalendo il fiume, e

nello stesso modo la locomotiva Elisabeth giunge a Quinnipak (Castelli di

rabbia). Nei testi dello scrittore torinese riaffiorano in modo costante motivi

come mutismo, follia, esattezza e salvezza. Le opere di Baricco presentano

inoltre numerosi “omaggi” ai suoi scrittori prediletti. Basta confrontare l’elenco _________

A. Baricco, Oceano mare, op. cit., pp. 12-16, 49. Tra gli strumenti usati da Baricco a fine d’imporre al testo i soprammenzionati effetti ritmici v’è anche lo stile nominale. 91 A. Baricco, Seta, op. cit., p. 94. 90

41

dei modelli letterari riscontrati durante l’analisi dei suoi romanzi, con quello degli autori letti nell’ambito di Totem. Non sorprende, infatti, che uno dei libri

più amati dall’autore di Oceano mare sia Moby Dick di Melville. Questa contaminazione “colta” si mescola in Baricco con un’altrettanto evidente influenza del cinema e dei mass media.

La risposta al perché delle varie scelte tematiche e stilistiche compiute

da Baricco-romanziere è spesso riscontrabile nei concetti espressi da quest’ultimo nei suoi interventi saggistici, che abbracciano una vasta gamma di tematiche, dalla musicologia agli interventi sulla globalizzazione.

Alessandro Baricco è, dunque, un personaggio la cui operosità

comprende vari settori dell’universo culturale. Il compito della presente tesina non è stato valutare le sue facoltà di conduttore televisivo o di pedagogo, bensì

quella dell’autore di opere narrative. Da questo punto di vista, Baricco appare come abilissimo affabulatore dalla profonda conoscenza e padronanza delle tecniche narrative che, però, scivola spesso in un eccesso di virtuosismo e di

inventività; ovvero in un manierismo che, stando alle parole di Filippo La Porta92, fa di lui (e di alcuni altri scrittori come Scarpa o Busi) un esempio

paradigmatico di postmodernismo.

_________ 92

Cfr. F. La Porta, La nuova narrativa italiana. Travestimenti e stili di fine secolo, op. cit., p. 24.

42

V. BIBLIOGRAFIA V. 1. BIBLIOGRAFIA DELLE OPERE USATE NEL PRESENTE LAVORO A. Baricco, R. Tarasco, G. Vacis, Balene e sogni. Leggere e ascoltare. L’esperienza di Totem, Torino, Einaudi, 2003.

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A. Baricco, L’anima di Hegel e le mucche del Wisconsin, Milano, Garzanti, 1992.

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A. Baricco, Senza sangue, Milano, Rizzoli, 2004, (BUR Scrittori contemporanei).

A. Baricco, Seta, Milano, Rizzoli, 2004, (BUR Scrittori contemporanei). V. 2. ALTRE OPERE DI ALESSANDRO BARICCO A. Baricco, Davila Roa, programma di sala a cura di C. Longhi, Roma, Teatro Argentina, 1997.

A. Baricco, Il genio in fuga. Due saggi sul teatro musicale di Gioachino Rossini, Genova, Il Melangolo, 1988; Torino, Einaudi, 1997.

A. Baricco, Novecento. Un monologo, Milano, Feltrinelli, 1994.

A. Baricco, Omero, Iliade, Milano, Feltrinelli, 2004.

A. Baricco, Partita spagnola, con L. Moisio, Roma, Dino Audino Editore, 2003.

A. Baricco, Totem. Letture, suoni, lezioni, a cura di F. Grassadonia e L. Paolucci, Roma, Fandango Libri, 1999.

A. Baricco, Totem. Letture, suoni, lezioni (2 videocassette), a cura di Teatro

43

Settimo – Scuola Holden, Milano, Rizzoli, 2000.

A. Baricco, Le scatole di Totem I/II (2 CD), Torino, Holden Libri – Roma, Fandango, 2002.

A. Baricco, Totem. L’ultima tournée – Balene e sogni. Leggere e ascoltare l’esperienza di Totem (videocassetta e libro), Torino, Einaudi, 2002.

A. Baricco, Questa storia, Roma, Fandango Libri, 2005.

Edizioni commentate

A. Baricco, Novecento. Un monologo, a cura di Paola Lagossi, Torino, Loescher, 1999.

Edizioni speciali

A. Baricco, Novecento. Un monologo, Torino, Angolo Manzoni, 2000.

Scritti sparsi

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altro, in Marco Vacchetti, Nova-Nove. Opere 1996. Catalogo della Mostra,

Torino, [s.n.t.], 1996.

A. Baricco, Dracula, in Il romanzo. IV: Temi, luoghi, eroi, a cura di Franco Moretti, Torino, Einaudi, 2003, pp. 797-809.

A. Baricco, Esisterebbe Paperopoli senza Paperone? No. Il suo Deposito

troneggia simbolicamente in mezzo alla città, presentazione a Zio Paperone, di Walt Disney, Milano, Rizzoli, 2000.

A. Baricco, Il che è bello e istruttivo, prefazione a G. Guareschi, Lo zibaldino, Rizzoli, 1997.

A. Baricco, Introduzione a J. Fante, Chiedi alla polvere, Torino, Einaudi, 2004. A. Baricco, Nota introduttiva a J. Conrad, Cuore di tenebra, Milano, Feltrinelli, 2000.

A. Baricco, Prefazione a Quel che resta del mondo. Venticinque testimonianze sugli inganni dell’ambientalismo, a cura di D. Demichelis, A. Ferrari, R. Masto, L. Scalettari, Milano, Baldini&Castoldi, 1999.

A. Baricco, Punteggiatura, a cura di Alessandro Baricco, Francesca Serafini, Filippo Tarocco, Milano, Rizzoli, 2001.

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45

V. 4. ALTRI STUDI SU ALESSANDRO BARICCO93 V. 4. 1. Studi critici

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_________ 93

La presente bibliografia non ha alcuna pretesa di completezza.

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Alessandro Baricco dispone anche di un sito internet ufficiale: www.oceanomare.com

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