Il Vuoto, la Morale e la Teoria dei Quanti

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spazio vuoto, inteso come totale assenza di materia. Un esempio di tale spazio è quello che si interpone fra gli atomi, costituenti elementari della materia stessa.
 

Il Vuoto, la Morale e la Teoria dei Quanti GIUSEPPE RUOSO

1. INTRODUZIONE Quando parliamo di vuoto, nella vita di tutti i giorni, pensiamo di essere ben a conoscenza del concetto che stiamo esprimendo. In questo siamo stati aiutati dalla tecnologia, che ci ha introdotto ad esempio ai cibi conservati sotto vuoto, al vuoto nei tubi catodici, all’aspirapolvere. Quest’ultima in inglese viene chiamata vacuumcleaner o più semplicemente vacuum, con evidente riferimento al concetto di partenza. Sembra quindi chiaro che cosa significhi vuoto: si prende una regione di spazio ben delimitata, chiusa all’interno di un contenitore. Mediante uno strumento apposito, chiamato in generale pompa, si estrae dal contenitore tutta la materia possibile: quanto rimane è il cosiddetto vuoto, cioè una regione di spazio priva di materia. Questa rappresentazione del concetto potrebbe sembrare molto semplice e a dir poco banale, ma come vedremo non è così. Ci poniamo subito una serie di domande che chiarisca il problema: può esistere lo spazio indipendentemente dalla presenza di corpi? Se tolgo tutta la materia che cosa rimane? Lo spazio svuotato segue ancora le leggi di Natura? Cercheremo di rispondere a questi quesiti, aiutandoci anche con una analisi storica del concetto filosofico e scientifico del

Studi Linguistici e Filologici Online ISSN 1724-5230 Vol. 8.2 (2010), pp. 57-73 Giuseppe Ruoso, Il vuoto, la morale e la teoria dei quanti  

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vuoto, senza entrare troppo nei dettagli in quanto esula dalla trattazione sommaria che ci si è qui proposti.

2. ANALISI STORICA Il concetto di vuoto si interseca con quelli di creazione, nulla, spazio ed altri ancora. Una prima teorizzazione metodologica su questi argomenti fu fatta nella Grecia classica, nella quale si formarono a riguardo correnti di pensiero fra loro discordanti. Gli Atomisti come Leucippo e Democrito ammettevano l’esistenza dello spazio vuoto, inteso come totale assenza di materia. Un esempio di tale spazio è quello che si interpone fra gli atomi, costituenti elementari della materia stessa. Nella scuola Aristotelica si procede alla definizione di spazio vuoto: luogo che non contiene alcun corpo, ma che ne potrebbe contenere. Allo stesso tempo però si dice che tale luogo non esiste e non può esistere, se ne nega la realtà. Questa non esistenza viene provata con una serie di dimostrazioni per assurdo. Per gli aristotelici inoltre il vuoto non esiste nemmeno al di fuori dell’Universo, che sebbene considerato finito e limitato, racchiude tutta la realtà. In questo si differenziano dagli Stoici, che invece ammettono l’esistenza del vuoto al di fuori dell’Universo. Per questi ultimi all’interno dell’Universo invece il vuoto non esiste, e la materia sta immersa in un fluido che riempie tutto chiamato Pneuma. Nell’antica Grecia di fatto quindi il vuoto è un concetto di difficile

 

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accettazione, in effetti questo si riflette anche nella matematica: i greci, ed anche i romani, loro continuatori, non conoscevano lo zero. Per inciso, il concetto di zero ci arriva dalla tradizione indiana, nella cui tradizione il nulla è invece accettato. La scuola aristotelica ha dominato il pensiero occidentale per lungo tempo, e così l’irrealtà del vuoto fu accettata senza ombra di dubbio. Alcune piccole crepe si cominciano a formare durante il XII secolo, e scaturiscono da discussioni in ambito teologico. Ci si pose le seguenti domande: se Dio è onnipotente, perché egli non può anche creare il vuoto? Ma d’altro canto, perché Dio dovrebbe creare una cosa inutile? Tutto questo pose serie minacce al fondamento aristotelico. La scuola si difese rafforzando il suo credo: introducendo il principio dell’Horror Vacui. Mediante tale principio, secondo cui la Natura si comporta in modo da evitare la formazione del vuoto, era possibile spiegare, in modo più o meno plausibile, diversi tipi di fenomeni naturali connessi al vuoto. Ne ricordiamo uno che fu molto noto, illustrato nella fig. 1: la separazione di due blocchi di materiale. Due materiali, con le superfici molto lisce, si mettono in contatto e vengono poi separati: siccome la velocità con cui si riempie lo spazio fra di essi è sicuramente limitata, è possibile che per qualche istante si formi una zona senza materia? Il principio dell’Horror Vacui garantisce che non è possibile.

 

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Figura 1

Ma è proprio nel rinascimento, nel pieno di discussioni filosofiche sulla natura del vuoto, che all’uomo viene in soccorso un nuovo tipo di approccio per lo studio dei problemi: il metodo scientifico. Siamo in piena epoca Galileiana, e proprio da un allievo del Galilei, tale Evangelista Torricelli (1608 – 1647), viene realizzata nel 1644 quell’esperienza considerata come la prima prova scientifica dell’esistenza del vuoto. Seguiamo la fig. 2: si prenda un tubo di vetro Figura 2

chiuso da un lato, lungo almeno un metro, e lo si riempia con del mercurio. Ponendo un dito sulla apertura, si capovolga il tubo e lo si immerga in una bacinella contenente anch’essa mercurio. Se adesso rilasciamo il dito dal fondo del tubo, vedremo che il livello del mercurio scende, lasciando nella parte alta del tubo una regione di spazio che è stata svuotata del suo contenuto. Torricelli ebbe la corretta intuizione nel dire che ciò che si

 

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forma nella parte alta del tubo è il vuoto, inteso come assenza di materia. Non solo, il mercurio scende nel tubo, ma non completamente perché la pressione che l’aria esercita sul mercurio della bacinella è tale da sostenere il mercurio presente nel tubo. In particolare l’altezza del livello del mercurio dentro il tubo è indipendente dalla sezione, dalla forma del tubo stesso e al livello del mare essa è pari a 76 cm, corrispondendo al peso equivalente esercitato dalla colonna d’aria avente la stessa sezione del tubo. Torricelli condusse vari esperimenti per capire in maniera più completa il fenomeno, usando ad esempio tubi inclinati, tubi che terminavano con una sezione più ampia (fig. 3). La risposta definitiva al problema venne data però da Blaise Pascal (1623 – 1662), il quale, venuto a conoscenza dell’esperienza

torricelliana,

volle egli stesso applicare questo

nuovo

chiamato

strumento,

barometro,

per

studiare il vuoto e l’atmosfera. Nel 1648, aiutato dal fratello, Figura 3

utilizzando

due

barometri

posti uno alla base e uno sulla sommità di un monte, dimostra che l’altezza della colonna diminuisce all’aumentare della quota

 

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altimetrica. Inventa l’altimetro e dimostra che l’atmosfera è limitata. Inoltre chiarisce che non c’è alcuna forma di horror vacui a determinare la non fuoriuscita del mercurio dal tubo, evidenziando quindi come si realizzi in questo caso una zona senza materia. Per fare il vuoto, quindi, basta estrarre da un contenitore chiuso tutta la materia da esso contenuta. Seguendo questo principio e sfruttando la sua personale inventiva, il tedesco Otto von Guericke (1602-1686) nel 1650 realizza la prima macchina per fare il vuoto: la pompa da vuoto. Mediante tale dispositivo è possibile realizzare il vuoto all’interno di un recipiente adatto, capace cioè di sostenere la pressione che l’aria esercita su di esso e che lo farebbe implodere. Von Guericke eseguì

diverse

dimostrazioni

pubbliche

delle

proprietà connesse alla presenza del vuoto in un recipiente, la più famosa è senz’altro quella di Magdeburgo del 1654. Davanti a un pubblico di dignitari di corte, von Guericke avvicinò due semisfere e poi fece il vuoto all’interno della sfera che ne risultava: non bastò la forza di otto pariglie di cavalli per separare le due semisfere, fatto che suscitò ammirazione e stupore fra i presenti. Figura  4    

 

È così che piano piano il concetto di spazio

vuoto comincia a essere accettato: si tratta del vuoto fisico, associato  

cioè alla assenza di materia, ma si comincia poi a cercare il significato del vuoto anche in nuovi ambiti, come ad esempio nel linguaggio,

 

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nella musica, nella scultura ed in generale in ogni forma artistica. Arrivando ai nostri giorni, non si può non citare la composizione 4’33” di John Cage, costituita da una totale assenza di suono. In fig. 4 si vede invece come interpretava il vuoto l’artista svizzero Alberto Giacometti, nella scultura Mani che reggono il vuoto. Una menzione a parte merita il concetto di vuoto in matematica, su cui non ci soffermiamo, ma è importante ricordare sia lo zero dell’aritmetica sia l’insieme vuoto in logica. Fra le realizzazioni artistiche, merita menzione una mostra dal titolo Voids, eine retrospektive, tenuta recentemente a Basilea. Tale mostra è costituita da nove sale completamente vuote. È di nuovo un vuoto concettuale, in quanto ad esempio vi è la presenza della luce. Questo ci porta direttamente alla prossima sezione.

3. IL VUOTO IN FISICA Siamo quindi arrivati a definire il vuoto fisico. Come per ogni definizione, ne diamo una procedura operativa. Per ottenere il vuoto fisico è necessario: 1) rimuovere gli oggetti; 2) rimuovere la luce; 3) rimuovere il calore. Di conseguenza, citando le parole del fisico James C. Maxwell: il vuoto è quanto rimane quando si è tolto tutto quello che si poteva togliere.

 

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Siamo ancora in ambito di fisica classica, è la fine dell’ottocento, quando sembra che la scienza sia oramai in grado di dare tutte le risposte. Proprio a questo punto comincia invece a manifestarsi tutta una serie di problemi nuovi, come ad esempio l’effetto fotoelettrico o lo spettro del corpo nero, che la fisica nota sino a quel momento non è in grado di spiegare. Lo studio della Natura riesce a fare un cambio di paradigma, nel corso di pochi decenni la fisica si rinnova e cambia il proprio punto di vista. Uno degli elementi chiave del rinnovamento è la meccanica quantistica. Con essa vengono introdotti nuovi concetti, tra cui il dualismo onda-particella: a tutta la materia si associa una lunghezza d’onda caratteristica, detta lunghezza di De Broglie.

Figura 5

Il comportamento della materia può essere descritto sia usando una descrizione mediante onde, sia mediante particelle finite (fig. 5). A seconda degli ambiti vi sarà un aspetto prevalente, nel mondo microscopico in genere prevale l’aspetto ondulatorio. Una diretta conseguenza di questa descrizione, che avrà ricadute drammatiche sul concetto di vuoto, è il Principio di Indeterminazione di Heisenberg: non è possibile determinare contemporaneamente la posizione e la velocità di una particella con precisione arbitraria. Detto più

 

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semplicemente, se di una particella conosco con alta precisione la sua posizione, ne consegue che la velocità può essere nota solamente con precisione bassa, e viceversa. Questa indeterminazione nell’attribuzione delle proprietà di un sistema fisico si spiega mediante analogia con le onde. Pensando a un’onda sonora, per sapere bene la sua velocità (legata alla frequenza) devo misurare un numero elevato di oscillazioni, ne consegue che la sua localizzazione diventa più difficile (fig. 6).

Figura 6

Il principio vale in generale per tutte le grandezze accoppiate, e si formula quindi anche per l’energia ed il tempo: posso avere fluttuazioni del valore dell’energia via via maggiori se considero tempi sempre più piccoli. Siamo quindi arrivati al concetto di fluttuazioni del vuoto. Il vuoto, è stato detto, è ciò che rimane una volta tolto tutto il possibile. Quant’è l’energia ad esso associata? Se fosse zero questo sarebbe in contraddizione con il principio di Heisenberg, in quanto avrei una grandezza il cui valore è definito con precisione infinita. Siccome questo non è possibile, si deve ammettere l’esistenza di fluttuazioni di energia, quindi della creazione spontanea, per istanti molto brevi, di energia.

 

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Tale energia si manifesta come

coppie

particella-

antiparticella, dette particelle virtuali,

o

come

onde

elettromagnetiche, dette fotoni virtuali (fig. 7). Ne consegue che quello che rimane nel vuoto assoluto è una energia media, non dovuta alla coppie Figura 7

virtuali. Abbiamo quindi una

nuova definizione: il vuoto quantistico, ossia lo stato di minima energia di un sistema. Questo vuoto ha delle proprietà che potranno essere studiate sperimentalmente. Fu nel 1948 che il fisico olandese H.B.G. Casimir discusse l’esistenza di un fenomeno che prese il suo nome.

Figura 8

 

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L’Effetto Casimir studia le fluttuazioni del vuoto elettromagnetico associate ai fotoni virtuali. La presenza di corpi conduttori in una regione di spazio limita il numero e il tipo dei fotoni virtuali che si possono manifestare. A causa di questo, due piatti conduttori paralleli, posti a distanza ravvicinata, sono soggetti ad una forza attrattiva, di Casimir, dovuta alle differenti pressioni di radiazione dei modi elettromagnetici virtuali (fig. 8). Il loro numero è diverso per le superfici che si fronteggiano rispetto alle altre. Tale forza è estremamente piccola: la verifica dell’esistenza di tale fenomeno ha richiesto molto tempo.

4. ESPERIMENTI SUL VUOTO Con l’affermazione, nel corso del XX secolo, della meccanica quantistica, si cercarono anche tutte quelle conseguenze sperimentali che avevano a che fare con il vuoto, essenzialmente legate al principio di indeterminazione. Poiché la meccanica quantistica tratta la descrizione microscopica della natura, le prime scoperte legate ad un vuoto con energia non nulla sono state delle correzioni alla descrizione del comportamento di particelle o sistemi atomici. Noi siamo qui interessati invece a manifestazioni di tipo macroscopico del principio di indeterminazione, in quanto queste possono andare direttamente a modificare il concetto di vuoto che abbiamo estrapolato dalla fisica classica. Abbiamo visto come nel 1948 fu predetto

 

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l’Effetto Casimir. Nei primi anni successivi ci furono diversi tentativi sperimentali per la sua verifica, ma fu ben chiaro da subito che ciò sarebbe stato molto difficile, in quanto si trattava di portare dei corpi estesi a distanze micrometriche (la milionesima parte del metro). La prima chiara verifica sperimentale è di S. K. Lamoreaux, che misurò la forza fra un piatto piano ed una superficie sferica nel 1997. La sfera fu utilizzata per diminuire la difficoltà sperimentale di mantenere delle superfici piane fra loro parallele con una elevata precisione. Solo alcuni anni più tardi fu realizzata la misura, sinora unica, della forza di Casimir nella configurazione originale proposta. Tale misura è stata eseguita dal nostro gruppo a Legnaro, utilizzando dei piatti di silicio con sopra un deposito di cromo della dimensione di circa 1.5 mm quadrati.

Figura 9

Tale esperimento (fig. 9) confermò la teoria, verificando l’entità della forza fra i piatti al variare della distanza di separazione tra 0.5 e 3 micrometri. Grazie a questo successo, il gruppo di Legnaro ha ora

 

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intrapreso una nuova ricerca concernente il vuoto in presenza di superfici che però non stanno più ferme ma si muovono oscillando a frequenza elevatissima. Questa ricerca ha a che fare con un vecchio sogno dell’uomo: estrarre energia dal vuoto (fig. 10).

Figura 10

In questo nuovo esperimento si studia il cosiddetto Effetto Casimir Dinamico, nel quale la presenza di una parete oscillante in interazione con i fotoni virtuali, rende possibile la creazione, mediante un processo dissipativo, di fotoni reali, cioè luce. In realtà non vi è nessuna estrazione di energia dal vuoto, in quanto l’energia spesa per far muovere la parete è estremamente maggiore di quella che si pensa di ricavare sotto forma di luce. Anche in questo caso, però, il fenomeno si capisce solo pensando alla presenza di fotoni virtuali che permeano tutto lo spazio. Nell’esperimento si costruisce un sistema,

 

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basato su una cavità a microonde (fig. 11), per convertire alcuni fotoni da virtuali a reali. Negli esperimenti finora citati si studia la presenza

di

fotoni

virtuali. Il principio di indeterminazione

am-

mette fluttuazioni che generano

Figura 11

tipo

qualunque di

coppia

particella-antiparticella. Si possono quindi pensare altri esperimenti il cui scopo sia di studiare ad esempio la presenza di coppie virtuali elettrone-positrone (la sua antiparticella). Uno di questi fu ideato da E. Zavattini, e la sua realizzazione più recente è in corso congiuntamente nei Laboratori di Legnaro (fig. 12) e all’Università di Ferrara. In questa proposta si utilizza un campo magnetico esterno che agisce sul vuoto, di fatto polarizzando le coppie virtuali e fornendo al vuoto una struttura di tipo cristallina. Utilizzando un fascio laser polarizzato che vi passa attraverso si rivela questa struttura e si ottengono informazioni sulle proprietà del mezzo vuoto.

 

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Figura 12

In un altro esperimento eseguito a Stanford nel 1997 dal gruppo di A. Melissinos, si è cercato di dar luogo ad un altro fenomeno: se l’energia che immagazzino in un volume di spazio è sufficientemente elevata, riesco a far diventare le fluttuazioni da virtuali a reali e quindi a produrre coppie elettrone-positrone. Questo esperimento ha avuto successo, anche se l’energia disponibile risultò appena sufficiente per produrre un numero limitato di coppie reali, senza poter eseguire uno studio accurato del fenomeno.

5. CONCLUSIONI Quanto è stato raccontato sinora è solo una parte di tutta la storia. Ci sono altri ambiti, anche all’interno della stessa fisica, ove si

 

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manifesta il vuoto. In cosmologia si ha a che fare con esso quando si studia la relatività generale e come lo spazio sia intrinsecamente connesso con le leggi generali del moto. Si ha uno spazio modificabile anche in assenza del vuoto quantistico. In fisica delle particelle si parla di Campo di Higgs, una struttura che permea tutto l’universo e che in qualche modo può ricordare il concetto di etere. Sempre in cosmologia si ha a che fare con i sistemi di Universo, o con più universi. In questo caso ci si chiede che cosa ci sia nello spazio fra gli universi, se ci sia spazio. Arriviamo quindi a dire che, tutto sommato, Aristotele non si era poi sbagliato. In Fisica moderna, dopo aver dimostrato l’esistenza, almeno concettuale, di un vuoto assoluto, si è tornati all’idea iniziale che anche il vuoto è qualcosa di diverso dal niente, in quanto ha proprietà fisiche ben identificabili. Lo spazio vuoto inteso come contenitore senza proprietà non è quindi possibile. In conclusione una piccola nota terminologica: abbiamo visto come il vuoto fisico sia concettualmente ben definito, ma in realtà esso è impossibile da realizzare. Esiste una classificazione per dire quanta materia rimane nella regione considerata: si parla di pressione normale, vuoto grezzo, medio, alto e ultra alto. Tutti gli esperimenti di fisica si svolgono in uno di questi vuoti parziali, e i risultati per il vuoto assoluto sono ricavati mediante un processo di estrapolazione. Il primo a usare questo modo di fare ricerca fu Galileo Galilei, padre della moderna Fisica Sperimentale.

 

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Letture consigliate 1. Henning Genz, Die Entdeckung des Nichts, Rowohlt Verlag (1999). 2. John D. Barrow, The book of nothing, Jonathan Cape, London (2000). 3. Johann Rafelski and Berndt Müller, The structured vacuum, Thinking about nothing, Verlag Harri Deutsch, Thun (1985).

 

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