INSEGNAMENTO DI SOCIOLOGIA DEL DIRITTO

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Da un punto di vista di un sociologo, è opportuno non distaccarsi dai significati che a partire ... Elementi di sociologia del diritto, Laterza, Roma-Bari 2004, pp.
INSEGNAMENTO DI SOCIOLOGIA DEL DIRITTO LEZIONE I

“IL DIRITTO COME NORMA” PROF.SSA FLORA DI DONATO

Sociologia del diritto

Lezione I

Indice 1 

Che cos’è il diritto? ------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3 



La concezione normativista del diritto ------------------------------------------------------------------------------------- 5 



Illecito e sanzione: il principio di imputazione---------------------------------------------------------------------------- 7 



Che cos’è l’ordinamento giuridico? ----------------------------------------------------------------------------------------- 9 



La norma fondamentale ------------------------------------------------------------------------------------------------------ 12 



La validità delle norme: norme della morale e norme giuridiche ---------------------------------------------------- 14 



L’ultimo Kelsen: “ripensamenti” sulla norma fondamentale--------------------------------------------------------- 17 



Le critiche alla teoria kelseniana: brevi cenni --------------------------------------------------------------------------- 18 



Conclusioni --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 20 

Bibliografia ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 22 

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)

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1 Che cos’è il diritto? Cos’è il diritto? La risposta a questo quesito può essere considerata variabile a seconda di chi sia il destinatario della domanda. Un giurista si limiterebbe a rispondere che il termine diritto viene impiegato con almeno due significati diversi: ƒ

in senso “soggettivo” ha il significato di una « pretesa » : ho il diritto di…

ƒ

in senso “oggettivo” indica l’insieme delle norme giuridiche, che costituiscono l’ordinamento giuridico.

Naturalmente i due significati sono fortemente “interdipendenti”: è possibile esercitare una pretesa solo in virtù di una norma e dunque di un ordinamento che la riconosca e che la tuteli. Dal punto di vista di un antropologo, il diritto è solo una delle possibili tecniche di organizzazione sociale, con la funzione di orientare le azioni individuali e risolvere i conflitti. Da un punto di vista di un sociologo, è opportuno non distaccarsi dai significati che a partire dallo specifico contesto di relazioni sociali, la cd. cultura giuridica (sia quella diffusa presso il pubblico generico sia quella praticata dai gruppi ristretti) viene attribuito all’idea di diritto. Il concetto più comunemente associato all’idea di diritto è, infatti, quello di norma. Non vi è società da quella tradizionale orale a quella letterata - in cui il diritto non è descritto attraverso il riferimento al fatto che una popolazione, un gruppo sociale, regoli il proprio agire secondo modelli d’azione consolidati. Nella società tradizionale, la norma rappresenta “ciò che si fa” e per questo “si deve fare” perché “è sempre stato fatto”. Nel caso di una trasgressione è prevista una reazione sociale di un certo tipo). Nel secondo tipo di società, quella letterata, le fonti possono avere diverse provenienze ma sono pur sempre concentrate sulle norme (dalle regole consuetudinarie tramandate dalla tradizione, dalle leggi e decreti emanati da un’autorità politica, ai principi estrapolati dalle decisioni dei giudici). Nel caso di trasgressione è prevista una sanzione giuridica oltre che sociale1. In entrambi i tipi di società, si tratta evidentemente di regole create dall’uomo, “che le produce, le aggiusta, le adatta, le modifica in vista di determinate esigenze e di determinati obiettivi”2. Si tratta di ciò che si definisce “diritto positivo”, inteso come prodotto dell’opera dell’uomo, che ha la 1

Ferrari, V., Diritto e società. Elementi di sociologia del diritto, Laterza, Roma-Bari 2004, pp. 36-46. Viola, F., Zaccaria, G., Diritto e interpretazione. Lineamenti di teoria ermeneutica del diritto, Laterza, RomaBari 1999, p. 4. 2

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)

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finalità di conferire un assetto più o meno stabile all’organizzazione del proprio agire. Le regole giuridiche sono, infatti, dirette a coordinare azioni individuali inserite all’interno di un agire sociale. Convenzionalmente, definiremo allora il diritto come “un insieme di norme” che verrà inteso più in generale come “ordinamento giuridico”. [Ad esempio, l’ordinamento giuridico italiano o quello tedesco o francese. Il sistema giuridico italiano sarà l’insieme delle norme prodotte dallo Stato italiano, secondo un sistema di fonti riconosciuto, a partire dal testo costituzionale.] Si tratta di un insieme di norme valide in riferimento ad un determinato territorio, ad un determinato tempo e ad un certo gruppo di persone3.

3

Viola, F., Zaccaria, G., Le ragioni del diritto, Il Mulino, Bologna 2003, p. 27.

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2 La concezione normativista del diritto Sono dunque definibili “norme” non solo quelle giuridiche ma anche quelle “sociali”, alla cui violazione non sono preposte sanzioni ma reazioni sociali (come l’espulsione dal gruppo, ad esempio). Naturalmente, il concetto di “norma sociale” è variabile a seconda delle epoche storiche e delle diverse culture così come lo stesso ordinamento giuridico è suscettibile di evoluzioni. Inoltre, il diritto stesso è molto di più che norme o insieme di norme. Esso è anche l’insieme delle interpretazioni date dalla giurisprudenza, nei casi specifici, nonché l’insieme degli studi dottrinali. Tuttavia, per convenzione, quando parliamo di diritto facciamo riferimento ad un insieme di norme che si caratterizza per la “giuridicità”. Il concetto di giuridicità si identifica anche con una visione sanzionatoria del diritto, a partire da una concezione “normativista”, risalente ad Hans Kelsen, il più importante filosofo del diritto del XX sec. Kelsen propone una dottrina “pura” del diritto che si prefigge di “eliminare […] tutto ciò che non appartiene all’oggetto esattamente determinato come diritto”4; una dottrina “depurata da ogni ideologia politica e da ogni elemento scientifico-naturalistico”5. Kelsen parte, infatti, dalla nota distinzione kantiana tra “essere” e “dover essere” per distinguere il mondo del diritto dal mondo della natura ed identifica rispettivamente il diritto con il “dover essere” (Sollen) e la natura con l“essere” (Sein). Il concetto-chiave della sua concezione è rappresentato, infatti, dall’idea di “coattività”, che vale a qualificare la norma giuridica distinguendola dalle altre specie di norme6. “Il diritto è un ordinamento coattivo”, “il diritto è organizzazione della forza”, “ il diritto è tecnica per il controllo del comportamento degli uomini”. Si tratta di affermazioni tipiche della concezione Kelseniana che considera il diritto, più in generale, come “una tecnica di organizzazione sociale”. Il diritto è la tecnica necessaria per raggiungere determinati fini ovvero per raggiungere lo stato sociale desiderato. Questa tecnica si caratterizza per l’uso di mezzi coercitivi che hanno la funzione di indurre i membri del gruppo sociale a fare o a non fare alcunché. Si ritiene, dunque, indispensabile, secondo questa concezione 4 5 6

Kelsen, H., Lineamenti di dottrina pura del diritto, tr. it. di Renato Treves, Einaudi, Torino 2000, p. 47. Ivi, Prefazione, p. 1 Fassò, G., Storia della filosofia del diritto. III Ottocento e Novecento, Laterza, Roma-Bari 2001, p. 275

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del diritto, far pressione sul comportamento umano indirizzandolo nel senso dello stato sociale desiderato. Nella concezione Kelseniana, si possono dunque schematicamente identificare tre elementi di caratterizzazione del diritto. Il primo elemento consente di considerare il diritto come sistema di norme: “il diritto è un ordinamento della condotta umana […] è un sistema di norme, la cui unità si fonda sul fatto che tutte le norme hanno lo stesso fondamento per la loro validità; e il fondamento della validità è una norma fondamentale da cui si deduce la validità di tutte le norme dell’ordinamento”7 . Il secondo elemento di caratterizzazione è la coercitività: “gli ordinamenti giuridici reagiscono a certe circostanze […] con un atto coercitivo […] che deve essere applicato al destinatario anche contro la sua volontà e, se necessario, con ricorso alla forza fisica, cioè coercitivamente”8. Infine, vi è l’elemento della “cogenza”, del Sollen, ossia del dover essere, come connessione logica tra la premessa, intesa come comportamento dovuto, e la conseguenza prevista dalla norma: è il Sollen che distingue “la comunità giuridica da una banda di briganti”9. Pertanto qualora si verificassero comportamenti umani contrari allo stato sociale desiderato si verificheranno determinate “conseguenze”, queste conseguenze sono le cd. sanzioni negative.

7 8 9

Kelsen, H., La dottrina pura del diritto, tr. it., a cura di M.G. Losano, Einaudi, Torino, 1966, p. 42. Ivi, p. 45. Ivi, p. 57.

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3 Illecito e sanzione: il principio di imputazione La “sanzione negativa” è dunque caratterizzante della concezione normativista kelseniana. La norma è considerata “giuridica” da Kelsen quando contiene la minaccia che al verificarsi di una condotta, contraria a quella prescritta, segua un atto coattivo come conseguenza. Essa è dotata di una struttura ipotetica del tipo “se X allora Y”. Ad esempio: “chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene – condizione X – è punito con la reclusione da 6 mesi a tre anni – conseguenza Y”. Il timore della sanzione y si trasforma in “una tecnica sociale” di condizionamento dei comportamenti. È opportuno precisare che non esistono in natura fatti di per sé “illeciti”; esistono solo fatti dichiarati tali dal legislatore attraverso le norme cd. primarie, vale a dire quelle che prevedono la sanzione10. Una “proposizione giuridica” è, infatti, una proposizione che indica che al verificarsi di un certo fatto A il legislatore “imputa”11 una conseguenza B: l’elemento caratterizzante è proprio la sanzione B. Quindi il fatto A non è intrinsecamente illecito ma è tale perché è il legislatore ha previsto una sanzione come conseguenza del suo verificarsi. Si può, infatti, definire “illecito” quel determinato comportamento (umano) che nella proposizione giuridica viene posto come la condizione di una conseguenza specifica, come condizione di un atto coattivo12. La conclusione cui perviene Kelsen è che il diritto non può essere infranto dall’illecito perché è solo per mezzo dell’illecito che esso viene ad esistenza e svolge la sua funzione. L’illecito, dunque, non determina l’interruzione del diritto ma, al contrario, esso conferma l’esistenza del diritto, la doverosità dell’atto coattivo. 10

Nella concezione kelseniana si opera una sorta di inversione: vengono definite “primarie” le norme sulla sanzione e “secondarie” le norme di condotta. L’idea è che le prescrizioni giuridiche si rivolgano direttamente ai giudici e solo indirettamente ai cittadini. Per Herbert Hart, invece, notoriamente le norme primarie sono quelle che impongono obblighi, mentre le norme secondarie attribuiscono poteri. Barberis, M., Filosofia del diritto, Il Mulino, Bologna 1993, p. 159. 11 Si tenga presenta la distinzione tra “principio di imputazione” e “principio di causalità” rispettivamente propri del diritto e delle scienze fisiche: che l’acqua bolla a 100 gradi costituisce un principio di causalità naturale. 12 L’ulteriore requisito della norma giuridica è la cd. giudizialità: una volta cioè che la norma sia trasgredita occorre che qualcuno dotato di autorità intervenga a ripristinare l’ordine violato. È necessario che qualcuno verifichi “se x allora è y”, lo accerti e proceda alla definizione delle conseguenze. Quel soggetto normalmente è un giudice ma esistono anche società in cui l’inflizione di sanzioni è lasciata a chi ha subito un torto.

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A voler sintetizzare diversamente, potremmo dire che il concetto di diritto in Kelsen nasce, paradossalmente, dalla sua violazione: la violazione fa scattare la sanzione negativa, secondo lo schema “se è A deve essere B”. Ad ogni violazione della norma A il giudice applica la sanzione B.

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4 Che cos’è l’ordinamento giuridico? “Il diritto come ordinamento, o l’ordinamento giuridico, è un sistema di norme giuridiche. E la domanda alla quale si tratta qui di rispondere è stata posta dalla dottrina pura del diritto nel modo seguente: su che cosa è fondata l’unità d’una pluralità di norme giuridiche? Perché una determinata norma giuridica appartiene a un determinato ordinamento giuridico?” A partire dal brano sopra riportato, tratto dai Lineamenti di dottrina pura13, è evidente che affrontato il problema delle norme “giuridiche” singolarmente considerate, le domande che si pone Kelsen non sono più “in che cosa consiste la norma giuridica”, “quali sono gli attributi della giuridicità”, “cosa distingue la norma giuridica dalla norma morale, religiosa”; domande tipiche di una concezione “nomostatica”. Le domande che si pone l’autore, in una rappresentazione più ampia della norma o delle norme come “ordinamento”, sono: “Perché una determinata norma giuridica appartiene ad un determinato ordinamento giuridico?” / “In che relazione si trovano le norme giuridiche appartenenti ad un determinato ordinamento giuridico?”. Queste sono le domande-chiave di ciò che Kelsen immagina essere una “costruzione a gradi dell’ordinamento” o Stufenbau. Le norme dello Stufenbau sono studiate nella loro concatenazione; si tratta di norme concatenate l’una all’altra nel sistema. È perciò che si parla di concezione nomodinamica, in contrapposizione a nomostatica (che significa norme non considerate nella loro concatenazione)14. La validità di una norma appartenente ad un dato ordinamento giuridico dipende, dunque, nella concezione kelseniana, dal suo corretto inserimento nel sistema. La costruzione a gradi, immaginata da Kelsen, è, infatti, fondata su un meccanismo di “autoproduzione” giuridica. Si tratta di un sistema autopoietico: vale a dire che il suo principio di validità non proviene dall’esterno ma si rinviene nell’ordinamento stesso. Pur negando un ideale di “certezza” del diritto, Kelsen non ammette che esso possa presentare lacune: qualsiasi caso, qualunque pretesa o rivendicazione, può essere sempre portata davanti ad un giudice e “una decisione è sempre possibile […] in applicazione alla legge”15. 13

Cit. La distinzione tra concezione nomostatica e nomodinamica corrispondono ad una distinzione tra una prima e una seconda fase della Dottrina pura del diritto. 15 Kelsen, H., Lineamenti di dottrina pura del diritto, cit., p. 125. 14

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Laddove non è possibile trovare una soluzione giuridica, allora significa che è lecito il comportamento opposto a quello preteso. Per queste ragioni Kelsen, ritiene che la validità di una norma possa essere data dalla sua riconducibilità ad una “norma fondamentale”. “Costruzione a gradi” vuol dire che ogni norma discende da una norma superiore fino a risalire alla norma fondamentale che sta a chiusura del sistema. La norma fondamentale fonda l’unità, conferisce unità ad un insieme di norme che altrimenti sembrerebbero “sgangherate”. “Una pluralità di norme forma un’unità, un sistema, un ordinamento quando la sua validità può essere ricondotta a un’unica norma come fondamento ultimo di questa validità. Questa norma fondamentale (Grundnorm), come fonte comune, costituisce l’unità nella pluralità di tutte le norme che formano un ordinamento. L’appartenenza di una norma ad un determinato ordinamento dipende solo dal fatto che la sua validità possa essere ricondotta alla norma fondamentale che costituisce questo ordinamento”16. “Come si articola esattamente la costruzione a gradi e che cosa significa che il diritto regola la sua produzione?” Nella visione dinamica e a gradi dell’ordinamento, una norma giuridica superiore regola il procedimento con cui viene prodotta la norma inferiore. La norma inferiore è valida perché è stata prodotta nella “forma” - e dunque a prescindere dai contenuti (morali) - determinata dalla norma superiore; la norma superiore costituisce il fondamento di validità della norma inferiore. “Una norma vale come norma giuridica, – scrive Kelsen – sempre e soltanto perché si è presentata in modo particolarmente stabilito, è stata prodotta secondo una regola del tutto determinata, è stata posta secondo un metodo specifico. Il diritto vale soltanto come diritto positivo, cioè come diritto posto. In questa necessità di esser posto e nell’indipendenza implicita della sua validità di fronte alla morale e ai sistemi normativi della medesima specie, consiste la positività del diritto; in ciò consiste la differenza tra il diritto positivo e il così detto diritto naturale, le cui norme, come quelle della morale, sono dedotte da una norma fondamentale che si considera immediatamente evidente in forza del suo contenuto come emanazione della volontà divina, della natura o della pura ragione. La norma fondamentale di un ordinamento giuridico positivo invece non è altro che la regola fondamentale per la quale sono prodotte le norme dell’ordinamento giuridico, la posizione della fattispecie fondamentale della produzione del diritto”17. 16 17

Kelsen, H., Lineamenti di dottrina pura del diritto, cit., p. 95 Ivi, p. 97

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L’ordinamento giuridico, in conclusione, non è un sistema di norme di egual gerarchia, di norme che sono ad uno stesso livello, ma è un “ordinamento a gradi”, con differenti strati di norme giuridiche. L’“unità” di questo sistema è data dal fatto che la produzione e quindi la validità dell’una norma risale all’altra, la cui produzione è determinata, a sua volta, da un’altra norma. Si tratta di un sistema a gradini che regredisce fino alla norma fondamentale e quindi al fondamento supremo di validità, che costituisce la base dell’unità di questa concatenazione produttiva. “Devono esistere pertanto due norme distinte: una la quale disponga che un organo deve eseguire una sanzione contro un soggetto, ed un'altra la quale disponga che un altro organo deve eseguire una sanzione contro il primo organo, nel caso che la prima sanzione non sia eseguita […]. L'organo della seconda norma può a sua volta essere obbligato da una terza norma ad eseguire la sanzione disposta dalla seconda, e così via”18. Questa costruzione non può però proseguire all’infinito: deve esservi una norma di chiusura che impedisca al sistema normativo di procedere all’infinito e che conferisca validità a tutte le norme costituenti il sistema giuridico e al sistema stesso. Questa norma è la norma fondamentale. Essa vale come “modello di produzione”: dire che una norma del sistema è valida significa dire che essa è conforme alla norma fondamentale.

18

Kelsen, H., La dottrina pura del diritto, saggio introduttivo e traduzione di Mario G. Losano, Einaudi Torino,

1966.

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5 La norma fondamentale Per capire il sistema kelseniano possiamo fare degli esempi concreti di ordinamento giuridico. Se teniamo presenti ordinamenti come quello italiano, a partire dall’assetto creato dalla Costituzione repubblicana del 1948, possiamo provare ad individuarne la “struttura”. Alla base dell’ordinamento possiamo collocare le sentenze dei giudici e la loro esecuzione; salendo verso il vertice ci imbattiamo in decreti e regolamenti; salendo ancora arriviamo all’attività legislativa del Parlamento. Più in alto, vi è il piano della legislazione costituzionale e la stessa Costituzione; e al di sopra di esse vi è la “norma fondamentale”. “La costruzione a gradi (Stufenbau) dell’ordinamento giuridico (e con ciò si pensa innanzitutto all’ordinamento giuridico dello stato singolo) può forse essere rappresentata schematicamente nel modo seguente: al di sotto del presupposto della norma fondamentale […] il più alto grado del diritto positivo è rappresentato dalla costituzione, dalla costituzione nel senso materiale della parola la cui funzione essenziale consiste nel regolare gli organi e il procedimento generale della produzione giuridica, cioè della legislazione”19. Il più alto grado di costruzione normativa è rappresentato, nella maggior parte degli ordinamenti moderni, dalla Costituzione che assolve la funzione di regolare il procedimento legislativo e di individuare gli organi ad esso deputati. La Costituzione, tuttavia, dal punto di vista della concezione kelseniana, non si identifica con la norma fondamentale. Leggiamo ancora i Lineamenti di dottrina pura del diritto: “Se si riferiscono le singole norme di un sistema giuridico a una norma fondamentale, questo avviene in quanto si mostra che la produzione delle norme particolari è avvenuta conformemente alla norma fondamentale. Se si chiede perché un determinato atto coattivo, ad esempio il fatto che un uomo toglie la libertà a un altro rinchiudendolo in carcere, è un atto giuridico e appartiene quindi a un determinato ordinamento giuridico, si deve avere la risposta seguente: questo atto è stato prescritto da una determinata norma individuale, da una sentenza giudiziaria. Se si chiede inoltre perché questa norma individuale sia valida e sia valida come parte d’uno speciale ordinamento, si deve avere la risposta: essa è stata posta conformemente al codice penale. E se ci si chiede quale sia il fondamento di validità del codice penale si giunge a toccare la costituzione dello stato, secondo le cui disposizioni è stato compilato il codice penale da parte di un organo competente e a mezzo di un

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procedimento prescritto dalla costituzione stessa. Se ci si chiede però quale sia il fondamento di validità della costituzione, su cui poggiano tutte le classi e gli atti giuridici compiuti sulla base della legge, si giunge forse a una costituzione più antica e così infine a quella storicamente originaria […]20”. Il brano sopra riportato descrive il fondamento di validità di ciascuna norma: dalla sentenza del giudice che rinvia al codice penale e dal codice penale che rinvia alla costituzione che, a sua volta, rinvia ad una costituzione più antica. Esso tuttavia ancora non ci dice in cosa consiste la norma fondamentale di un ordinamento. Leggiamo un ultimo passaggio: “La dottrina pura del diritto si vale di questa norma fondamentale come di un fondamento ipotetico. Se si parte dal presupposto che tale norma sia valida, è valido anche l’ordinamento giuridico che si fonda su di essa. La norma fondamentale attribuisce all’atto del primo legislatore e di qui a tutti gli atti dell’ordinamento giuridico che poggiano su di questo, il significato del dover essere, quello specifico significato per il quale nella proposizione giuridica la condizione è legata alla consapevolezza del diritto; e la proposizione giuridica è la forma tipica in cui deve necessariamente presentarsi tutto il materiale del diritto positivo. […] Essa [tuttavia] non vale come norma giuridica positiva, perché non è prodotta nel corso del procedimento del diritto; essa non è posta, ma è presupposta come condizione di ogni posizione del diritto, di ogni procedimento giuridico positivo”21. La norma fondamentale non è dunque una norma di diritto positivo: essa costituisce un “fondamento ipotetico”, un “presupposto di validità” dell’ordinamento giuridico. La norma fondamentale non si identica col codice né con la Costituzione. È un fondamento ipotetico di validità riposto nella coscienza di ogni giurista ma anche di ogni consociato. La norma fondamentale svolge, in sintesi, tre funzioni: i) trasformazione categoriale, ii) unità dell’ordinamento, iii) individuazione delle norme che appartengono all’ordinamento. Se torniamo all’esempio dell’ordinamento italiano, possiamo concludere che la norma fondamentale è la (pre)-supposizione da parte dei consociati (oltre che dei giuristi) che l’assemblea costituente del 1948, nel momento in cui ha promulgato il testo della Costituzione repubblicana, conferendo un determinato assetto al nostro ordinamento, fosse “legittimata” a farlo.

19 20 21

Ivi, p. 105. Ivi, pp. 97-98 Ivi, pp. 98-99

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6 La validità delle norme: norme della morale e norme giuridiche Kelsen, nell’individuare i presupposti di validità di una norma giuridica, distingue tra due specie di ordinamento e dunque tra due gruppi di norme: 1) le norme della “morale” che sono valide in virtù del loro contenuto; 2) le norme “giuridiche”, la cui validità non può dipendere dal loro contenuto. “Secondo la specie della norma fondamentale, cioè secondo la natura del superiore principio di validità, si possono distinguere due diverse specie di ordinamenti (sistemi normativi). Le norme di una delle due specie sono “valide”, cioè il comportamento umano da esse determinato è da considerarsi come dovuto, in forza del loro contenuto, perché il loro contenuto ha una qualità immediatamente evidente che gli attribuisce validità. E le norme ottengono questa qualificazione di contenuto in quanto sono riferibili a una norma fondamentale, sotto il contenuto della quale si può sussumere il contenuto delle norme che costituiscono l’ordinamento, così come il particolare si sussume sotto l’universale. Le norme della morale appartengono a questa specie”22. Il primo tipo di norme, quelle di un ordinamento morale, si qualificano in virtù del loro contenuto in quanto sono riferibili ad una norma fondamentale. Ad esempio, le norme “non devi mentire”, “non devi ingannare”, “devi mantenere la tua promessa” sono tutte dedotte dalla norma fondamentale della veridicità. Oppure, alla norma fondamentale “ devi amare il tuo prossimo” si possono ricondurre le norme “non devi offendere gli altri”, “devi assisterli nel bisogno”23. “Il concetto di dovere giuridico - scrive Kelsen - differisce da quello di dovere morale per il fatto che il dovere giuridico non è il comportamento che la norma richiede, che deve essere osservato. Il dovere giuridico è, invece, il comportamento con l’osservanza del quale si evita l'illecito, cioè l'opposto del comportamento che costituisce una condizione per la sanzione. Soltanto la sanzione deve essere applicata”24. Le norme della morale sono già contenute nella norma fondamentale, proprio come il particolare è contenuto nell’universale: le norme morali possono essere tratte dalla norma fondamentale mediante un procedimento logico, mediante una deduzione dall’universale al 22 23 24

Ivi, pp. 94-95 Ivi, p. 95. Kelsen, H., La teoria generale del diritto e dello Stato, tr. it. di S. Cotta e R. Treves, Comunità, Milano 1959,

p. 617. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)

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particolare. Le norme della morale sono dedotte da una norma fondamentale che si considera immediatamente “evidente”, in virtù del suo contenuto come emanazione della volontà divina, della natura o della ragione (secondo una prospettiva di giusnaturalismo o di giusrazionalismo). Si dice allora che un ordinamento morale ha un carattere statico-materiale, proprio perché le norme che lo caratterizzano non sono il frutto di un procedimento di produzione giuridica ma di un procedimento logico di deduzione. Le norme del secondo tipo, quelle giuridiche (secondo una prospettiva di Giuspositivismo), sono valide non in forza del loro contenuto che è “indifferente” ma sono valide perché prodotte secondo una regola determinata, secondo un metodo specifico. Le norme di un ordinamento giuridico positivo non sono dedotte logicamente, in virtù di un atto di pensiero, ma in virtù di un atto di volontà. E' questa l’essenza del “principio di delegazione”. Il diritto positivo si caratterizza proprio per questa necessità di essere “posto” e per l’indipendenza della sua validità rispetto alla morale; in ciò sta la differenza fra diritto positivo e diritto naturale. “La scienza - afferma Kelsen - non è in grado di pronunziare giudizi di valore, quindi non vi è autorizzata. Ciò si applica ugualmente alla scienza del diritto, anche se è considerata come una scienza dei valori. Al pari di ogni scienza dei valori, essa consiste nella conoscenza dei valori, ma non può produrre questi valori; può comprenderne le norme ma non può crearle”25. Contro il diritto naturale (e la morale, in generale), Kelsen sostiene che la soggettività dei valori morali impedisca l’oggettività del diritto. Il suo tentativo di portare alle estreme conseguenze il rapporto tra diritto e morale, nel senso di impedire che la seconda acceda in qualche modo alla norma, irrigidisce ancora di più il suo approccio formalista rendendo completamente irrilevante – nella sua prospettiva - il contenuto delle norme giuridiche. Da espressioni come “non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te” si può dedurre un contenuto quale “è vietato uccidere” che rileva nella morale ma non nel diritto. In sostanza, la distinzione tra “diritto” e “morale” consente a Kelsen di differenziare gli ordinamenti statici (la morale) dagli ordinamenti dinamici (il diritto), dando luogo alle seguenti distinzioni:

25

Ivi, p. 448.

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Lezione I LE NORME SI DERIVANO SECONDO IL CONTENUTO

ORDINAMENTI STATICI (es. la morale)

CONTENGONO SOLO NORME DI CONDOTTA

LE NORME SI DERIVANO SULLA BASE DI NORME DI COMPETENZA

ORDINAMENTI DINAMICI (il diritto)

CONTENGONO NORME DI CONDOTTA E NORMEDICOMPETENZA

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)

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Lezione I

7 L’ultimo Kelsen: “ripensamenti” sulla norma fondamentale La teoria della norma fondamentale è stata oggetto di notevoli critiche, recando in sé il rischio che, condotta alle sue estreme conseguenze, avrebbe legittimato qualsiasi potere di fatto imposto (cd. principio di effettività). La critica maggiore rivolta a Kelsen concerne la questione della validità della norma e della sua obbligatorietà. Kelsen considera i due termini come espressioni di un binomio inscindibile: se una norma è valida allora essa è anche obbligatoria. Una norma che stabilisce l’espropriazione della proprietà privata senza il pagamento di un indennizzo, nonostante la costituzione prescriva un indennizzo, è perfettamente valida ed obbligatoria, a meno che non intervenga una pronuncia contraria della corte costituzionale. Se la norma appartiene al mondo del dover essere (Sollen) ed è “valida” per essere stata fatta derivare dalla costruzione piramidale giuridica, allora sarà anche “obbligatoria”, indipendentemente dal suo contenuto. L’esperienza dei due conflitti mondiali ma soprattutto la fuga in Svizzera, prima, e negli Stati Uniti, poi, a causa del nazismo, lo costrinsero a rivedere le sue posizioni estreme. Kelsen ricredendosi, infatti, sulla validità della Grundnorm, fu costretto ad ammettere che una norma non “posta” dal legislatore ma solo “presupposta” dagli operatori giuridici dovesse per forza considerarsi meramente fittizia. Nei suoi ultimi anni, rivedendo le sue posizioni, il filosofo del diritto arriva a concepire tutte le norme, sia quelle giuridiche che quelle morali, come “imperativi” che funzionano non secondo le modalità “statiche” della deduzione, ma secondo modalità “dinamiche” della “delegazione”. Esse sono prodotte per un atto di volontà (del legislatore o del giudice).

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8 Le critiche alla teoria kelseniana: brevi cenni La teoria normativista di Kelsen ha ricevuto notevoli critiche durante tutto l’arco del novecento. Ad esempio, il filosofo italiano Giuseppe Capograssi, ha accusato la dottrina kelseniana di essere una teoria “astratta” ovvero lontana dalla realtà e “amorale”, recante in sé il rischio di produrre conseguenze inaccettabili sul piano della morale. Secondo Capograssi, infatti, dietro la neutralità e l’oggettività della teoria kelseniana si nasconde in realtà un’esaltazione della “forza” che trova la sua massima formulazione nella teoria della norma fondamentale. L’obbligo di fare o non fare qualcosa soltanto perché ciò è comandato da una norma che prescrive anche una sanzione in caso di trasgressione, indipendentemente dal contenuto della prescrizione, comporta che il fondamento ultimo della validità della norma risieda nella volontà della forza. La validità si fonda sul principio della forza, ossia su un principio di diritto naturale. Pur non trascurando la critica di Capograssi, in questa sede sembra tuttavia opportuno precisare che per Kelsen, in realtà, il principio dell’ effettività non è un principio di diritto naturale. Il principio dell’effettività è funzionale ad “accertare” l’esistenza o meno dell’ordinamento giuridico ma non a stabilire anche se esso sia giusto o meno. Infine, non può tacersi che la grandezza di Kelsen sta anche nell’aver indicato un metodo per analizzare il diritto. È dalla teorizzazione kelseniana della “norma fondamentale” che derivano le teorie procedurali della democrazia formulate nel Novecento. Lo stesso Norberto Bobbio prende le mosse da Kelsen ed elabora una teoria procedurale della democrazia, quest’ultima intesa come sistema di governo nel quale vigono “regole del gioco” che tutti sono tenuti a rispettare. In definitiva, ciò che appare opportuno sottolineare è che, indipendentemente dalle critiche ricevute, la teoria di Kelsen costituisce una chiave possibile per la interpretazione del diritto, basata sull’idea di un ordinamento “effettivo”, sulla “positività” delle norme ovvero sulla condizione che esse siano posite (poste) secondo requisiti formali e avaloriali. Kelsen ci consegna l’idea di un diritto positivo che resta “puro” ed “incontaminato” dalla morale e da altri valori. I filosofi giusnaturalisti possono criticare la sua teoria e le sue idee, ma,

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come ha scritto Losano, “Kelsen non formulò liste astratte di interpretazioni possibili, ma indicò una tra le possibili soluzioni”26.

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Losano, M.G., Introduzione , La teoria generale del diritto e dello Stato, cit., p. XXXVIII.

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9 Conclusioni In questa prima lezione siamo partiti da una nozione piuttosto comune di diritto che si limita a prospettarci l’idea di un sistema costituito unicamente da norme poste da un’autorità precostituita (sovrano, parlamento, etc.) e valide in un dato momento storico per un determinato gruppo sociale. Si è dunque privilegiato una concezione positiva del diritto (ove per “positiva” si intende il riferimento all’accezione latina come ponere e dunque posita, ovvero di un diritto posto da un legislatore in un determinato ordinamento), con particolare attenzione alla teoria di Kelsen e alla visione sanzionatoria delle norme. Come si cercherà di dimostrare anche nel corso delle prossime lezioni, questa visione del diritto appare, invece, riduttiva, anche grazie al contributo di altre discipline come la sociologia, l’antropologia, che consentono di cogliere altri aspetti ad esso connaturati, quali significati culturali, politici e sociali. Né il diritto può prescindere completamente dalla morale, per quanto la teoria normativista, di cui Hans Kelsen è stato il maggiore esponente, tenti di separare nettamente e definitivamente le due sfere (diritto e morale). Del resto, la parte finale della lezione, pur non rinnegando l’importanza della concezione “positiva” del diritto, ne offre una visione problematizzata, soprattutto con riguardo al rapporto tra diritto e morale, lasciando intravedere una delle maggiori distinzioni nella filosofia del diritto: quella tra il giuspositivismo ed il giusnaturalismo. Questi due approcci di ricerca hanno cercato di dare una risposta ad un interrogativo cruciale: “Che cos’è il diritto?”. Da questo quesito ne discende un altro di non minore importanza: “Perché il diritto?”. Non esiste un’unica ed assoluta risposta a questi due interrogativi e neppure Kelsen che pure resta il maggiore giuspositivista di tutti i tempi è riuscito a fornire risposte certe e definitive. Nella sua ultima lezione a Berkeley, il 17 maggio 1952, egli ammise di non essere riuscito a trovare una risposta alla domanda fondamentale “Che cos’è la giustizia”: “la mia unica scusa è che, a questo riguardo, sono in ottima compagnia: sarebbe stato più che presuntuoso far credere al lettore che io sarei potuto riuscire là, dove erano falliti i pensatori più illustri. Di conseguenza non so, né posso dire, che cosa è la giustizia, quella giustizia assoluta di cui l'umanità va in cerca. Devo accontentarmi di una giustizia relativa e posso soltanto dire che cosa è per me la giustizia. Poiché la scienza è la mia professione, e quindi la cosa più importante Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)

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della mia vita, la giustizia è per me quell'ordinamento sociale sotto la cui protezione può prosperare la ricerca della verità. La “mia” giustizia, dunque, è la giustizia della libertà, la giustizia della democrazia: in breve, la giustizia della tolleranza”27.

27

Cit.

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Bibliografia • Barberis, M., Filosofia del diritto, Il Mulino, Bologna 1993. • Catania, A., Filosofia del diritto. Temi e Problemi, Gentile, Salerno 1999. • Fassò, G., Storia della filosofia del diritto. III Ottocento e Novcento, Laterza, Roma-Bari 2001. • Ferrari, V., Diritto e società. Elementi di sociologia del diritto, Laterza, Roma-Bari 2004. • Kelsen, H., La dottrina pura del diritto, tr. it., a cura di M.G. Losano, Einaudi, Torino 1966. • Kelsen, H., La teoria generale del diritto e dello Stato, tr. it. di S. Cotta e R. Treves, Comunità, Milano 1959. • Kelsen, H., Lineamenti di dottrina pura del diritto, tr.it. di Renato Treves, Einaudi, Torino 2000. • Viola, F., Zaccaria, G., Diritto e interpretazione. Lineamenti di teoria ermeneutica del diritto, Laterza, Roma-Bari 1999. • Viola, F., Zaccaria, G., Le ragioni del diritto, Il Mulino, Bologna 2003.

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