Introduzione allo studio delle reti elettriche

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Le reti elettriche sono studiate attraverso le leggi di Kirchhoff. 1.1 Legge di .... proprie dei quadrupoli, di particolare utilità nello studio dei circuiti elettrici.
Marco Panareo

Introduzione allo studio delle reti elettriche

Università degli Studi di Lecce - Facoltà di Ingegneria

II

Indice

1. Reti elettriche lineari 1.1 1.1 1.1 1.2 1.5

Legge di Kirchhoff per le correnti Legge di Kirchhoff per le tensioni Soluzione di una rete elettrica Elementi delle reti lineari Leggi fondamentali delle reti elettriche Principio di sovrapposizione Teoremi di Thevenin e di Norton Teorema di Miller 1.6 Quadrupoli Caratteristiche dei quadrupoli 2. Eccitazioni sinusoidali 2.1 Dominio della frequenza 2.2 Funzione del sistema e funzione di trasferimento 2.3 Risposta di una rete nel dominio del tempo 3. Trasformata di Laplace 3.1 3.2 3.3 3.4 3.5 3.6 3.7

Integrale di Laplace Esempi di trasformate Funzione impulsiva unitaria o delta di Dirac Teoremi sulle trasformate di Laplace Convoluzione Antitrasformata di Laplace Antitrasformazione di funzioni razionali fratte

4. Applicazione della trasformata di Laplace alla determinazione della risposta dei circuiti 4.1 4.2 4.3 4.4 4.5

Dominio della frequenza complessa Teoremi del valore finale e iniziale Significato fisico delle funzioni di trasferimento Stabilità dei sistemi Risposta di regime sinusoidale

5. Rappresentazione di Bode

1 1 1 1 2 4 4 4 4 5 5 7 8 9 10 15 15 16 17 18 21 21 22

27 29 32 34 35 36 39

III

IV

1. Reti elettriche lineari

Per rete elettrica si intende un insieme di elementi elettrici interconnessi, ciascuno dei quali è descritto attraverso la relazione tra la corrente che lo attraversa e la tensione (d.d.p.) ai suoi capi. Il punto di confluenza di almeno tre elementi è detto nodo; l’insieme di elementi compresi tra due nodi contigui è detto ramo. Più rami formanti un percorso chiuso costituiscono una maglia. In fig.1.1, A, B, C e D sono nodi; i rami a, b, c, e d formano una maglia. Le reti elettriche sono studiate attraverso le leggi di Kirchhoff.

fig.1.1

1.1 Legge di Kirchhoff per le correnti. Questa legge stabilisce che la somma (algebrica) delle correnti che confluiscono in un nodo (fig.1.2) è uguale a zero: N

∑i k =1

k

= 0,

dove N è il numero di rami che confluiscono nel nodo considerato.

fig.1.2

1.2 Legge di Kirchhoff per le tensioni. Questa legge stabilisce che la somma (algebrica) delle tensioni lungo una maglia (fig.1.3) è uguale a zero: M

∑v k =1

k

= 0,

dove M è il numero di nodi che comprende la maglia considerata. fig.1.3

1.3 Soluzione di una rete elettrica. Si definisce risposta o soluzione di una rete elettrica l’insieme delle tensioni e delle correnti che costituiscono le soluzioni del sistema di equazioni scritto facendo uso delle leggi di Kirchhoff. In una rete la soluzione di tali equazioni è unica; ciò è provato dal fatto che una rete reale può essere passibile di misura delle sue caratteristiche, tensioni e correnti, ed il risultato di tali misure è unico. Se tuttavia non è unica la soluzione delle equazioni descrittive della rete, allora la descrizione fatta è inadeguata

fig.1.4

1

rispetto alla situazione fisica. Per studiare una rete occorre stabilire dei versi (convenzionali) per le tensioni e per le correnti. L’arbitrarietà della scelta comporta che una soluzione negativa corrisponde ad un verso reale opposto a quello scelto convenzionalmente. Il verso convenzionale di una corrente viene indicato con una freccia. Se si vuole indicare una d.d.p. tra due punti, si adopera una linea con una freccia; il punto indicato dalla freccia è quello (convenzionalmente) a potenziale maggiore (fig.1.4).

1.4 Elementi delle reti lineari. Gli elementi che costituiscono una rete elettrica sono caratterizzati da un parametro; qualora tale parametro risulta indipendente sia dalla tensione ai capi dell’elemento che dalla corrente che lo attraversa, l’elemento viene detto lineare. Un elemento lineare può essere descritto attraverso un’equazione integro-differenziale a coefficienti costanti. Una rete costituita da soli elementi lineari è detta lineare. Gli elementi delle reti elettriche lineari sono: resistenze, induttanze, capacità, generatori. Resistenza. La relazione fra la tensione v e la corrente i in una resistenza R è espressa dall’equazione: v = Ri

in tale relazione R è costante e si misura in ohm (Ω); nel piano i, v, tale equazione rappresenta una retta passante per l’origine.

fig.1.5

Induttanza. La relazione fra la tensione v e la corrente i in una resistenza L è espressa dall’equazione:

v=L

di dt

in tale relazione L è costante e si misura in henry (H).

fig.1.6

Capacità. La relazione fra la tensione v e la corrente i in una resistenza C è espressa dall’equazione:

i=C

dv dt

in tale relazione C è costante e si misura in farad (F)

fig.1.7

Generatore di tensione ideale. Si intende un elemento che presenta ai suoi capi una d.d.p. v indipendente dalla corrente che lo attraversa e quindi dal carico applicato, ossia:

v = Vg fig.1.8

2

il grafico che rappresenta la dipendenza della tensione v dalla resistenza R (curva di carico) è mostrato in fig.1.8. Generatore di tensione reale. L’elemento precedente non rappresenta un modello adeguato del corrispondente elemento fisico (in un generatore di tensione ideale se R = 0 la corrente erogata sarebbe infinita). È possibile rappresentare un generatore di tensione reale adoperando più componenti ideali (fig.1.9), ad esempio facendo uso della propria resistenza interna (in generale un’impedenza). La d.d.p. presente sul carico applicato a questo generatore vale: R , R + Rg

v = Vg

dove R g è la resistenza interna del generatore. Dalla rappresentazione grafica della curva di carico si evince che tale generatore si comporta come ideale quando R >> Rg .

fig.1.9

Generatore di corrente ideale. Si intende un elemento la cui corrente erogata i non dipende dalla tensione ai suoi capi e, quindi, dal carico, ossia:

i = Ig , fig.1.10

la curva di carico è mostrata in fig.1.10. Generatore di corrente reale. Analogamente al caso del generatore di tensione, il generatore di corrente reale si rappresenta facendo uso di più componenti ideali (fig.1.11). La corrente erogata da questo generatore vale: i = Ig

Rg

fig.1.11

Rg + R

dove R g è la resistenza interna del generatore. Dal grafico della curva di carico si evince che tale generatore si comporta come ideale quando R 0,

risulta geometricamente evidente che per ε → 0 l’altezza della regione rettangolare cresce indefinitamente mentre la larghezza diminuisce in modo tale che l’area della regione è sempre uguale a 1, cioè:

fig.3.2



∫ δ ε (t ) dt = 1 . 0

Sia f (t ) un’arbitraria funzione definita per t = 0 e consideriamo l’integrale



∫ δ ε (t ) f (t ) dt . 0

Se ε è sufficientemente piccolo, la variazione di f (t ) sull’intervallo effettivo di integrazione [0, ε ] è trascurabile e f (t ) resta praticamente uguale a f (0) ; pertanto: 17





0

0

∫ δ ε (t ) f (t ) dt ≈ f (0)∫ δ ε (t ) dt = f (0) ;

naturalmente al diminuire di ε l’approssimazione migliora1. Pertanto nel limite ε → 0 possiamo definire una “funzione” δ (t ) attraverso la relazione: ∞

∫ δ (t ) f (t ) dt = f (0) ; 0

δ (t ) prende il nome di delta di Dirac. Tale espressione può essere generalizzata come: ∞

∫ δ (t − t ) f (t )dt = f (t ) . 0

0

0

Da questa relazione segue l’espressione della trasformata di Laplace della delta di Dirac: ∞

L[δ (t )] = ∫ δ (t ) e − st dt = e − s 0 = 1 , 0

e più in generale: ∞

L[δ (t − t 0 )] = ∫ δ (t − t 0 ) e − st dt = e − st0 . 0

3.4 Teoremi sulle trasformate di Laplace. Si riportano di seguito alcuni teoremi che possono agevolare il calcolo delle trasformate di Laplace. 1. La trasformata di Laplace è un operatore lineare; cioè se f1 (t ) e f 2 (t ) sono due funzioni trasformabili e k1 , k2 ∈ , se L[ f1 (t )] = F1 (s ) , L[ f 2 (t )] = F2 (s ) ,

allora L[k1 f 1 (t ) + k 2 f 2 (t )] = k1 F1 (s ) + k 2 F2 (s ) .

1

Se f (t ) è sviluppabile in serie di Taylor, quanto sopra può essere rivisto considerando lo sviluppo intorno a t = 0 , ∞

f (t ) = f (0 ) + ∑ k =1

18

f (k ) (0 ) k e sostituendolo sotto l’integrale. ε k!

2. (proprietà dello spostamento in frequenza e del ritardo). Se L[ f (t )] = F (s ) ,

allora, se k ∈

, si ha:

[

]

L e kt f (t ) = F (s − k ) . Se t0 ∈

:  f (t − t0 ) g (t ) =  0

t ≥ t0 t < t0

,

allora L[g (t )] = e − st 0 F (s ) . 3. La trasformata della derivata di una funzione è uguale a s volte la trasformata della funzione stessa, a meno del valore che assume la funzione all’istante t = 0 + ; cioè se L[ f (t )] = F (s ) ,

allora

( )

L[ f ′(t )] = sF (s ) − f 0 + ; da questo teorema è possibile ricavare, per induzione, l’espressione della trasformata per la derivata n-esima:

[

]

n

( )

L f (n ) (t ) = s n F (s ) − ∑ s k −1 f (n − k ) 0 + , k =1

così, ad esempio: L[ f ′′(t )] = s 2 F (s ) − sf (0 + ) − sf ′(0 + ) , L[ f ′′′(t )] = s 3 F (s ) − s 2 f (0 + ) − sf ′(0 + ) − f ′′(0 + ) . Esempio. Noto che: L [sin ω t ] =

ω , s + ω2 2

attraverso l’applicazione del teorema precedente, poiché cos ω t =

determinare l’espressione di L [ cos ω t ] :

1 d sin ω t , possiamo ω dt 19

s s ω s  1 d sin ω t  s = L [sin ω t ] − sin 0 = = 2 L [ cos ω t ] = L  2 2  ω ω s +ω dt  ω s + ω2 ω 4. La trasformata dell’integrale di una funzione è uguale alla trasformata della funzione stessa divisa per s, cioè se L[ f (t )] = F (s ) ,

allora t  1 L  ∫ f (ξ ) dξ  = F (s ) , 0  s da questo teorema si deduce che: ξ2 t  1 L  ∫ dξ 2 ∫ f (ξ 1 ) dξ 1  = 2 F (s ) , 0  0  s ξ3 ξ2 t  1 L  ∫ dξ 3 ∫ dξ 2 ∫ f (ξ 1 ) dξ 1  = 3 F (s ) , 0 0  0  s

e così via. Esempio. La funzione f (t ) = t può essere riguardata come: t

t

0

0

t = ∫ dξ = ∫ η (ξ ) dξ ,

pertanto, alla luce del precedente teorema, risulta: t  1 1 L[t ] = L  ∫ η (ξ ) dξ  = L[η (t )] = 2 . s 0  s I teoremi 3. e 4. suggeriscono che le operazioni di derivazione e integrazione nel campo reale vengono trasformate in operazioni di moltiplicazione e divisione nel campo complesso. Pertanto attraverso l’algoritmo della trasformata di Laplace è possibile trasformare equazioni integro-differenziali nel campo reale in equazioni algebriche nel campo complesso.

3.5 Convoluzione. Date due funzioni f (t ) e g (t ) , si definisce convoluzione di f (t ) e g (t ) la funzione h(t ) così definita:

20

t

t

0

0

h(t ) = ∫ f (τ ) g (t − τ ) dτ = ∫ f (t − τ ) g (τ ) dτ ,

e si indica anche h(t ) = f (t ) ∗ g (t ) .

Posto allora: L[ f (t )] = F (s ) , L[g (t )] = G (s ) ,

la trasformata della convoluzione h(t ) di f (t ) e g (t ) vale: H (s ) = L[h(t )] = L[ f (t ) ∗ g (t )] = L[ f (t )] ⋅ L[g (t )] = F (s ) ⋅ G (s ) .

Cioè la convoluzione tra due funzioni nel campo reale viene trasformata nel prodotto tra le funzioni nel campo complesso.

3.6 Antitrasformata di Laplace. L’operazione di antitrasformazione consiste nel risalire da una funzione di variabile complessa a quella di variabile reale, la cui trasformata coincide con la funzione di partenza. Posto F (s ) = L[ f (t )] ,

allora, se s = σ + jω , si prova che f (t ) = L [F (s )] = −1

1 2π

σ + jω

e F (s ) ds . j σ ∫ω st

−j

Sebbene sussista tale relazione, come nel caso dell’operazione di trasformazione, salvo casi particolari, raramente si ricorre a tale integrale per eseguire l’antitrasformazione, ma si fa riferimento alle tabelle di trasformazione, ovviamente usate al rovescio. Tipicamente si scompone la funzione da antitrasformare in somme di funzioni la cui antitrasformata è reperibile sulle tabelle, e l’antitrasformazione si ricava quale somma delle antitrasformate trovate, in virtù della linearità dell’operatore L−1 .

Esempio. Si valuti  3s + 7  L−1  2 .  s − 2s − 3  21

Il denominatore della frazione da antitrasformare ha radici s1 = 3 e s2 = −1 , così la frazione può essere fattorizzata come segue: A B 3s + 7 3s + 7 , = = + s − 2s − 3 (s − 3)(s + 1) s − 3 s + 1 2

da cui segue A = 4 e B = −1 , quindi:  3s + 7   1   1  = 4 L−1  − L−1  L−1  2 = 4e 3t − e −t .    − + 3 1 s s − − s s 2 3      

3.7 Antitrasformazione di funzioni razionali fratte. Il procedimento di antitrasformazione mostrato nell’esempio precedente si presta ad essere generalizzato allo scopo di fornire un metodo di antitrasformazione utile ad una importante classe di funzioni in ambito elettronico. Tali funzioni sono le funzioni razionali fratte del tipo: m

G (s ) F (s ) = = H (s )

∑b s

k

∑c s

u

k =0 n

u =0

k

,

u

in cui m < n , ossia quando F (s ) è una frazione algebrica propria. È noto dall’algebra che un polinomio di grado n, del tipo: H (s ) = cn s n + cn −1s n −1 + … + c1s + c0

può essere fattorizzato come H (s ) = cn (s − s1 ) 1 (s − s2 ) 2 r

r

(s − sα )r

α

,

dove s1 , s2 , …, sα , rappresentano le radici, rispettivamente di molteplicità r1 , r2 , …, rα (con r1 + r2 + … + rα = n ) del polinomio H (s ) . Le si prendono il nome di zeri di ordine (o molteplicità) ri della funzione H (s ) e poli di ordine (o molteplicità) ri della funzione F (s ) . Consideriamo inizialmente il caso più semplice in cui F (s ) ammette solo poli semplici, ovvero di molteplicità 1; quindi H (s ) = c n (s − s1 )(s − s 2 )

(s − s n ) ,

allora F (s ) può essere posta nella forma: F (s ) =

22

n K1 K2 Kn K + +…+ =∑ i , s − s1 s − s2 s − sn i =1 s − si

dove K i = [F (s )(s − s i )]s = si ,

per cui l’antitrasformata di F (s ) vale: n

L−1[F (s )] = K1e s1t + K 2e s 2 t + … + K n e s n t = ∑ K i e si t . i =1

Esempio. Si valuti l’antitrasformata della seguente funzione: F (s ) =

2s 2 − 4 . s 3 − 4s 2 + s + 6

Posto H (s ) = s 3 − 4 s 2 + s + 6 ,

si ha che H (s ) ha radici s1 = −1, s2 = 2, s3 = 3,

così F (s ) si può scrivere come: F (s ) =

2s 2 − 4 . (s + 1)(s − 2)(s − 3)

I coefficienti dello sviluppo dell’antitrasformata valgono: 1 −2 =− , (− 3)(− 4) 6 4 4 K 2 = [F (s )(s − 2)]s = 2 = =− , (3)(− 1) 3 14 7 K 3 = [F (s )(s − 3)]s =3 = = , (4)(1) 2 K 1 = [F (s )(s + 1)]s = −1 =

pertanto 1 4 7 L−1[F (s )] = − e − t − e 2t + e3t . 6 3 2

23

Esempio. Si valuti l’antitrasformata della seguente funzione: F (s ) =

3s + 1 . s − s2 + s − 1 3

Posto H (s ) = s 3 − s 2 + s − 1 ,

si ha che H (s ) ha radici s1 = 1, s2 = − j , s3 = + j ,

così F (s ) si può scrivere come: F (s ) =

3s + 1 3s + 1 = . (s − 1)(s + j )(s − j ) (s − 1) s 2 + 1

(

)

I coefficienti dello sviluppo dell’antitrasformata valgono: 4 = 2, 2 − 3 j −1 − 3 j +1 1 K 2 = [F (s )(s + j )]s = − j = = = −1 + j , (− j − 1)(− 2 j ) − 2 + 2 j 2 3 j −1 3 j +1 1 K 3 = [F (s )(s − j )]s = j = = = −1 − j , ( j − 1)(2 j ) − 2 − 2 j 2 K 1 = [F (s )(s − 1)]s =1 =

pertanto 1  1  e jt + e − jt e jt − e − jt   L−1 [F (s )] = 2e t +  − 1 + j e − jt +  − 1 − j e jt = 2e t − 2 + = 2  2  2 2j   = 2e t − 2 cos t + sin t. Gli esempi precedenti mettono in luce due aspetti dell’antitrasformata di una funzione razionale fratta. Se F (s ) ha un polo complesso, allora ha anche il suo coniugato; la presenza di tale coppia di poli determina nella antitrasformata L−1 [F (s )] una soluzione di tipo oscillante; si verifica che se i poli sono: ∗

s k = σ k + jω k , s k = σ k − j ω k allora l’antitrasformata conterrà un termine del tipo

24

eσ k t (α k cosω k t + β k sin ω k t ) , che può esprimersi, introducendo nuove costanti ck e φk , come: ck eσ k t cos(ω k t + φk ) . Inoltre, affinché si abbia che il limite di L−1 [F (s )] per t → ∞ sia finito, occorre che la parte reale σ k del polo sk non sia positiva. Nel caso che F (s ) sia caratterizzata da un polo di molteplicità n, ossia risulti: H (s ) = cn (s − s1 ) , n

si prova che l’antitrasformata di F (s ) vale:  t2 t3 t n −1  +…+ Mn L−1 [F (s )] = e s1t  M 1 + M 2 t + M 3 + M k = ( ) 2 2 3 1 ! ⋅ − n   r −1 n t , = e s1t ∑ M r (r − 1)! r =1

dove: Mr =

1  d (n −r ) n   (n − r ) F (s )(s − s1 )  . (n − r )!  ds  s = s1

[

]

Esempio. Si valuti l’antitrasformata della seguente funzione: F (s ) =

s . (s + 1)5

L’unico polo di F (s ) si ha per s = −1 ed ha molteplicità 5; l’argomento della derivata contenuta nel termine M r vale F (s )(s + 1) = s , 5

così i termini M 1 , M 2 e M 3 sono tutti nulli, dipendendo rispettivamente dalle derivate quarta, terza e seconda di s, mentre: 1 d  = 1,  s (5 − 4)!  ds  s =−1 1 (s ) = −1 ; M5 = (5 − 5)! s =−1

M4 =

25

ne segue che l’antitrasformata di questa funzione vale:  t3 t4   t 3 t 4  e −t t 3 (4 − t ) . L−1 [F (s )] = e −t  −  = e −t  −  = 24  3! 4!   6 24 

Quanto testé visto si applica nel caso di n poli di molteplicità 1 o nel caso di un singolo polo di molteplicità n. Entrambe le relazioni mostrate costituiscono dei casi particolari di un teorema generale che si applica quando si abbiano α poli s1 , s2 , …, sα , con molteplicità, rispettivamente, r1 , r2 , …, rα , maggiori o uguali a 1. Si prova quindi che l’antitrasformata di F (s ) vale: α

L−1 [F (s )] = g1 (t ) e s1t + g 2 (t ) e s2t + … gα (t ) e sα t = ∑ g i (t ) e si t , i =1

dove: 1 t k −1  d (ri −k ) ri   (ri − k ) F (s )(s − si )  . k =1 (ri − k )! (k − 1)!  ds  s = si ri

g i (t ) = ∑

26

[

]

4. Applicazione della trasformata di Laplace alla determinazione della risposta dei circuiti

Introduciamo l’applicazione della trasformata di Laplace facendo uso di un esempio. Consideriamo il circuito di fig.4.1 ed assumiamo, per semplicità, che il condensatore sia scarico al momento della chiusura del tasto T, per t = 0 . La relazione che lega la corrente i (t ) nel circuito alla tensione applicata v(t ) a partire dall’istante di chiusura del tasto è di(t ) 1 v(t ) = Ri(t ) + L + ∫ i (ξ )dξ , dt C0 t

fig.4.1

tale equazione integro-differenziale consente la determinazione dell’espressione di i (t ) una volta che sia nota v(t ) . Se si eseguono le trasformate di Laplace di ambo i membri di tale equazione, si trova:

V (s ) = RI (s ) + sLI (s ) +

1 I (s ) , sC

avendo posto: V (s ) = L[v(t )] , I (s ) = L[i(t )] .

Ne segue che la corrente I (s ) vale: I (s ) =

V (s ) 1 R + sL + sC

. fig.4.2

La relazione che lega V (s ) a I (s ) può essere scritta direttamente riguardando il circuito di fig.4.1 come un circuito in corrente continua, alimentato da un generatore di forza elettromotrice V (s ) e caratterizzato da tre resistenze di valori R, sL , 1 sC , poste in serie tra loro (fig.4.2). Poiché v(t ) è nota, di conseguenza sarà possibile determinare V (s ) e quindi i (t ) antitrasformando l’espressione di I (s ) . Inoltre tutte le grandezze di interesse possono essere ricavate dal circuito descritto in termini di trasformate di Laplace; ad esempio la d.d.p. ai capi dell’induttanza sarà: V L (s ) = V (s )

sL

1 R + sL + sC

.

27

fig.4.3 – Convenzioni di segno e corrispondenza fra i circuiti nel dominio del tempo e i loro equivalenti nel dominio della frequenza complessa

28

La descrizione del circuito attraverso la trasformata di Laplace subisce una lieve complicazione qualora ci siano correnti iniziali nelle induttanze o cariche iniziali sulle armature dei condensatori. Si prova facilmente che se in un induttanza scorre una corrente iniziale i0 , occorrerà aggiungere nel circuito equivalente in serie alla “resistenza” sL un generatore che eroga una forza elettromotrice Li0 , col morsetto positivo nel verso positivo della corrente, e se un condensatore è inizialmente carico ad un tensione v0 , occorrerà considerare in serie alla “resistenza” 1 sC , un generatore che eroga una forza elettromotrice v0 s , col morsetto coincidente con l’armatura negativa del condensatore.

4.1 Dominio della frequenza complessa. In fig.4.3 è mostrata una classificazione degli elementi di una rete elettrica in funzione della variabile complessa s, alla luce di quanto appena visto. Si noti che, nell’ipotesi che siano nulle le condizioni iniziali (condensatori inizialmente scarichi e induttanza inizialmente non percorse da corrente), gli elementi possono essere rappresentati in modo formalmente analogo a quello relativo al metodo simbolico, con la posizione s = jω . La linearità della trasformata di Laplace implica che in tale ambito le leggi di Kirchhoff si possono scrivere:

∑ V (s ) = 0 , ∑ I (s ) = 0 . k

k

h

h

La descrizione di un circuito attraverso la trasformata di Laplace prende il nome di descrizione nel dominio della frequenza complessa s; in tale contesto la risposta di una rete ad un generico segnale, purché trasformabile secondo Laplace, si ricava attraverso la risoluzione di un’equazione algebrica. Non è pertanto necessario risolvere l’equazione integro-differenziale che descrive il circuito nel dominio del tempo. Esempio. (Circuito RC) Consideriamo il circuito di fig.4.4 in cui il condensatore è inizialmente scarico. La risposta v0 ad un’eccitazione vi nel dominio della frequenza complessa è: 1 sC

1 1 1 , V0 (s ) = Vi (s ) = Vi (s ) = Vi (s ) 1 τ s+1 1 + sRC R+ τ sC

fig.4.4

dove τ = RC . La funzione di trasferimento V0 (s ) Vi (s ) della rete è pertanto: F (s ) =

V0 ( s ) 1 = Vi (s ) τ

1 s+

1

.

τ 29

Supponiamo che la rete sia eccitata con un gradino di tensione di ampiezza V (fig.4.5): vi (t ) = Vη (t ) , allora, poiché: Vi (s ) = L[vi (t )] = V

1 , s

la risposta della rete nel dominio di s vale: V0 (s ) = V

11 sτ

1 s+

1

fig.4.5

.

τ

Tale funzione presenta due poli semplici, rispettivamente per s = 0 e s = − 1 τ , così i due coefficienti dello sviluppo dell’antitrasformata sono: K 1 = [V0 (s ) s ]s =0 = V

11 =V , τ 1

τ  V 1 1   K 2 = V0 (s )  s +  = = −V ,  τ  s = − 1 − 1 τ  τ

τ

così la risposta a tale stimolo è (fig.4.6):

(

)

v0 (t ) = K1 + K 2e − t τ = V 1 − e − t τ .

fig.4.6

Il circuito RC è detto integratore in quanto per t > τ opera una derivata della tensione applicata l’ingresso.

4.2 Teoremi del valore finale e iniziale. Questi teoremi consentono di dedurre delle informazioni sull’andamento temporale di una funzione, qualora se ne conosca la sua trasformata. La trasformata della derivata prima di una funzione f (t ) vale: L[ f ′(t )] = sF (s ) − f (0 + ), esplicitiamo il primo membro e determiniamo il limite per s → 0 di ambo i membri: ∞

[

( )]

lim ∫ f ′(t )e − st dt = lim sF (s ) − f 0 + ; s →0

32

0

s →0

siccome risulta ∞



( )

lim ∫ f ′(t ) e dt = ∫ f ′(t ) dt = f (∞ ) − f 0 + , s →0

− st

0

0

allora, sostituendo, si ha:

( )

( )

f (∞ ) − f 0+ = lim sF (s ) − f 0+ , s →0

essendo lim f (0 + ) = f (0+ ) , così s →0

lim sF (s ) = f (∞ ) . s →0

L’equazione precedente rappresenta l’espressione del teorema del valore finale e consente di stabilire il comportamento asintotico di una funzione, nota che sia la sua trasformata. Tale equazione è, tuttavia, applicabile soltanto qualora il limite lim sF (s ) è finito, ovvero se tutti i s →0

poli di sF (s ) hanno parte reale negativa.

Esempio. Si voglia stabilire il limite asintotico della risposta di un circuito RC ad uno stimolo a gradino. Risulta: V0 (s ) = V

11 1 , sτ s+ 1

τ

applicando il teorema del valore finale a questa espressione si ha:    11 1   =V . v0 (∞ ) = lim sV0 (s ) = lim sV s →0 s →0  sτ s+ 1   τ 

( )

Se nell’espressione L[ f ′(t )] = sF (s ) − f 0 + esplicitiamo il primo membro e stabiliamo il limite per s → ∞ di ambo i membri, si trova: ∞

[

( )]

lim ∫ f ′(t ) e − st dt = lim sF (s ) − f 0 + , s →∞

s →∞

0

poiché l’espressione sotto l’integrale comprende il fattore e − st che si annulla quando s → ∞ , si ha:

[

]

0 = lim sF (s ) − f (0+ ) , s →∞

33

( )

siccome f 0+ è una costante, risulta: lim sF (s ) = f (0+ ) ; s →∞

tale relazione rappresenta la formulazione del teorema del valore iniziale.

Esempio. Si voglia stabilire il valore iniziale della risposta di un circuito CR ad una eccitazione a gradino. Risulta:

V0 (s ) = V

1 s+

1

,

τ

così applicando il teorema del valore iniziale, si ha:     1  =V . v0 0+ = lim sV0 (s ) = lim sV s →∞ s → ∞ 1  s+  τ 

( )

4.3 Significato fisico delle funzioni di trasferimento. Consideriamo un sistema caratterizzato da una funzione di trasferimento F (s ) il cui stimolo sia x(t ) , allora, se X (s ) è la trasformata di x(t ) , la trasformata Y (s ) della risposta y (t ) sarà: Y (s ) = F (s ) X ( s ) .

Supponiamo di eccitare il sistema con una delta di Dirac, poiché risulta L[δ (t )] = 1 , allora: Y (s ) = F (s )L[δ (t )] = F (s ) ,

cioè la risposta coincide con F (s ) essendo 1 la trasformata di δ (t ) . Ne segue che: y (t ) = f (t ) = L[F (s )] .

Pertanto l’antitrasformata f (t ) di una funzione di trasferimento F (s ) di un sistema rappresenta la risposta del sistema ad una eccitazione impulsiva δ (t ) .

34

4.4 Stabilità dei sistemi. Un sistema si dice stabile, quando, soggetto ad un segnale perturbatore, al cessare di questo, dopo un certo tempo, ritorna nelle condizioni iniziali. È invece instabile quando diverge definitivamente dalle condizioni iniziali. La verifica della stabilità di un sistema può essere eseguita applicandovi, quale segnale perturbatore, un impulso δ (t ) ed esaminando la sua risposta nel tempo. Se il sistema risulta originariamente a riposo, con uscita nulla, se esso è stabile la risposta a tale eccitazione deve tendere a zero, mentre se è instabile diverge. Naturalmente, in pratica, la risposta di un sistema instabile non assume mai valori infinitamente grandi poiché intervengono delle non linearità dei costituenti il sistema che ne limitano l’ampiezza. Può anche verificarsi che la risposta tenda ad un valore finito oppure oscilla entro limiti prestabiliti; anche questi casi sono considerati delle instabilità. Per quanto appena visto circa il significato fisico della funzione di trasferimento, questa rappresenta la risposta del sistema alla delta di Dirac δ (t ) ; ne segue che la verifica della stabilità di un sistema può essere svolta attraverso lo studio della funzione di trasferimento. Un sistema lineare è descrivibile tramite una funzione di trasferimento che è costituita dal rapporto di due polinomi, ossia una funzione razionale fratta: m

F (s ) =

∑b s

k

∑c s

u

k =0 n

u =0

k

,

u

dove m < n . Tale funzione presenta, in generale, poli reali o complessi coniugati. Nel caso in cui F (s ) sia caratterizzata da un polo reale s k , l’antitrasformata di F (s ) conterrà un addendo del tipo:

M k e sk t , e tale termine tende a zero per t → ∞ se s k è negativo, mentre tende a ∞ se s k è positivo; nel caso si abbiano due poli complessi coniugati σ k ± jω k , l’antitrasformata di F (s ) conterrà un addendo del tipo:

c k e σ k t cos(ω k t + φ k ) , se σ k è negativo, tale termine rappresenta un’oscillazione smorzata che, per t → ∞ tende ad annullarsi; se invece σ k è positivo le oscillazioni descritte da questo termine sono di ampiezza crescente nel tempo e tendono ad ampiezza infinita per t → ∞ . Da quanto esposto risulta che il sistema è stabile se i poli della sua funzione di trasferimento sono negativi, se reali, oppure a parte reale negativa se complessi coniugati. Poiché i poli e gli zeri della funzione di trasferimento corrispondono a punti del piano complesso, F (s ) può essere rappresentata graficamente mediante la distribuzione dei suoi poli e zeri in tale piano. Così affinché il sistema sia stabile, occorre che tutti i poli si trovino nel semipiano di sinistra (parte reale negativa). È sufficiente che ci sia un solo polo nel semipiano di destra (parte reale positiva) perché il sistema risulti instabile.

35

Quindi per analizzare la stabilità di un sistema, non occorre eseguire l’antitrasformata della funzione di trasferimento, ma solo esaminare la posizione dei suoi poli nel piano complesso.

Esempio: Si valuti la stabilità del sistema descritto dalla seguente funzione di trasferimento:

F (s ) =

s−3 . s −s−2 2

Il denominatore della frazione è fattorizzabile come (s − 2 )(s + 1) , per cui ha due radici reali di cui una positiva. In fig.4.11 è mostrata la rappresentazione dei poli (indicati con × ) e dello zero (indicato con O) di F (s ) nel piano complesso. Poiché è presente un polo nel semipiano di destra, il sistema è instabile.

fig.4.11

4.5 Risposta di regime sinusoidale. In un qualsiasi sistema fisico, in seguito all’applicazione di una eccitazione all’ingresso, ha origine un transitorio che ha una durata dipendente dalle caratteristiche intrinseche del sistema. Quindi, per effetto dello stimolo, il sistema passa dallo stato fisico precedente all’applicazione dell’eccitazione, ad un altro stato fisico, e tale passaggio avviene in un certo tempo, indicato come durata del transitorio. Esamineremo ora il comportamento di un sistema fisico in regime permanente, ossia una volta che il transitorio si è esaurito. In particolare esamineremo la risposta del sistema a regime, quando è applicata un’eccitazione di tipo sinusoidale. Consideriamo pertanto un sistema stabile, di funzione di trasferimento F (s ) al quale è applicato uno stimolo sinusoidale: x ( t ) = X cos ω t ,

(

)

poiché X (s ) = L[x(t )] = Xs s 2 + ω 2 , la trasformata di Laplace della risposta sarà:

Y (s ) = F ( s ) X (s ) = F ( s )

Xs . s +ω2 2

Quando si calcola l’antitrasformata di questa funzione, ci saranno dei termini dovuti ai poli di F (s ) e due termini dovuti ai poli della trasformata del segnale d’ingresso, per s = ± jω ; dato che il sistema è, per ipotesi, stabile, tutte le funzioni del tempo derivanti dai poli di F (s ) si annulleranno al tendere del tempo all’infinito. Così la risposta a regime conterrà i soli termini correlati ai poli di X (s ) ; i due coefficienti dello sviluppo dell’antitrasformata sono:

jωX 1 = F ( jω ) X , 2 jω 2 − jω X 1 = F (− jω ) = F (− jω ) X , − 2 jω 2

K 1 = [Y (s )(s − jω )]s = jω = F ( jω ) K 2 = [Y (s )(s + jω )]s = − jω

36

e l’antitrasformata di Y (s ) a regime varrà:

y ( t ) = K1e jω t + K 2 e − jω t =

1 1 F ( jω ) Xe jω t + F ( − jω ) Xe− jω t . 2 2

Il numero complesso F ( jω ) può essere posto in forma esponenziale come: F ( j ω ) = F ( jω ) e jφ ,

dove φ è l’argomento di F ( jω ) , inoltre, poiché la funzione di trasferimento di un sistema fisico è una funzione con coefficienti reali, risulta: F (− jω ) = F ( jω ) e − jφ ,

così, sostituendo nell’espressione di y (t ) si ha:

y ( t ) = X F ( jω )

e jφ e jω t + e − jφ e− jω t = X F ( jω ) cos (ω t + φ ) . 2

Quindi è sufficiente determinare F ( jω ) e φ per conoscere la risposta a regime quando l’eccitazione è di tipo sinusoidale. F ( jω ) rappresenta il rapporto tra le ampiezze, o i valori efficaci, della risposta e dell’eccitazione; φ rappresenta la fase della risposta rispetto all’eccitazione. Per la determinazione di F ( jω ) = F ( jω ) e jφ basta analizzare il sistema sostituendo jω a s dovunque questa variabile si trovi; ciò coincide coi metodi correntemente adoperati per lo studio dei circuiti in corrente alternata.

37

38

5. Rappresentazione di Bode

Consideriamo la funzione di trasferimento di un sistema lineare, caratterizzata da w zeri reali, z1 , z2 , …, z w , rispettivamente di molteplicità t1 , t2 , …, tw , e d poli reali p1 , p2 , …, pd , rispettivamente di molteplicità r1 , r2 , …, rd , supponiamo inoltre che la funzione di trasferimento abbia un ulteriore polo o zero per s = 0 con molteplicità1 l; infine, siano zc1 , zc 2 , …, zcy e pc1 ,

pc 2 , …, pce rispettivamente gli zeri ed i poli reali della funzione di trasferimento, risulta: m

F (s ) =

∑b s s

∑c s

= h

h

h=0

bm an

s

bm an

l

Π (s − p ) Π (s − p )(s − p ) d

e

rf

f

f =1

cg

g =1

=

* cg

Π (s − z ) Π (ω + 2ζ ω s + s ) s Π (s − p ) Π (ω + 2ζ ω s + s ) w

=

y

u

k

k =0 n l

(s − zu ) t Π (s − zcv )(s − zcv* ) Π u =1 v =1 w

k

l

u =1 d

tu

u

rf

f

f =1

y

v =1 e

g =1

2 v

2

v

2 g

v

2

g

g

tu

 1  y 2 s s2      ( ) 1 1 2 ω ζ z s − − + + v v Π u  zu  Π ω v ω v2  bm u =1 v =1  = = rf 2  an e d    1 s s r   Π ω g2 1 + 2ζ g s l Π (− p f ) f 1 − s +  g =1   ω g ω g2  p f =1 f    w

tu

tu

 1 y  s s2     (− zu ) Π ω Π 1 − s z  Π 1 + 2ζ v ω + ω 2  bm Π v =1  u =1  v v  u  u =1 v =1 , = rf e d 2  rf an 2 d  e   (− p f ) Π ω g sl 1 − s 1  1 + 2ζ s + s  Π g Π g =1 f =1   ω g ω g2  p f  Π f =1  g =1  w

tu

y

w

2 v

dove, se

zcv = σ cv + jω cv , sono gli zeri complessi, allora

ω = σ 2 + ω 2 cv cv  v per σ cv  ζ v = − σ cv2 + ω cv2 

v = 1, 2,…, y ,

e se

1

Si osservi che se F (s ) in s = 0 ha un polo, allora l > 0 , mentre se ha uno zero, l < 0 ; altrimenti l = 0 .

39

pcg = σ cg + jω cg sono i poli complessi, allora: ω = σ 2 + ω 2 cg cg  g per σ cg  ζ g = − σ cg2 + ω cg2 

g = 1, 2, …, e .

Poniamo: 1 , zu 1 , Tf = pf

τu =

per

u = 1, 2,…, w ,

per

f = 1, 2,…, d ,

tali quantità hanno le dimensioni di un tempo e prendono il nome di costanti di tempo, definiamo inoltre: y

w

(− zu ) t Π ω v2 Π u =1 v =1 u

K=

bm an

Π (− p ) Π ω d

e

rf

f

f =1

g =1

.

2 g

Si noti che K è reale poiché bm an ∈ R . Facendo uso di tali definizioni la funzione di trasferimento si scrive: 

y

(1 − sτ u ) t Π 1 + 2ζ v s Π ω u =1 v =1 w

u

F (s ) = K



s l Π (1 − sT f d

f =1

v



) Π 1 + 2ζ rf

e

g =1

+



s g

ωg

s2   ω v2  +

s 2  ω g2 

Esprimiamo la funzione di trasferimento F (s ) nel dominio della pulsazione, ovvero sostituiamo formalmente jω a s: y  ω ω2  t   ( ) ωτ ζ − + − 1 j 1 2 j v u Π Π  ω ω2  v =1 u =1 w

u

F ( jω ) = K

v v  . 2   ω ω  1 + 2 jζ g − 2 Π  ω ω g  g =1  g



( jω )l Π (1 − jωT f ) r

e

d

f =1

f

Tale rapporto è in generale un numero complesso e si può rappresentare come: F ( jω ) = F (ω ) e jφ (ω ) ,

dove F (ω ) è il modulo di F ( jω ) e φ (ω ) il suo argomento. Definiamo diagramma di Bode la coppia di grafici delle seguenti funzioni, in coordinate logaritmiche:

40

α (ω ) = 20 log F (ω )  ;  180 φ (ω )  β (ω ) = π 

la funzione α (ω ) si misura in decibel (dB) mentre il fattore 180 π serve a convertire l’unità di misura di φ (ω ) , radianti, in quella di β (ω ) , gradi. Valutiamo separatamente queste due quantità; sostituendo F (ω ) nell’espressione di α (ω ) , si trova2:

y  ω ω2  t   ( ) j j 1 1 2 ωτ ζ − + − v u Π Π  ω ω2  v =1 u =1 w

u

α (ω ) = 20 log F (ω ) = 20 log K



( jω ) Π (1 − jωT f ) d

l

f =1

rf

v

v



 ω ω 2   j 1 2 ζ + − g Π  ω g ω g2  g =1  e

=

ω ω2 = 20 log K + 20∑ tu log 1 − jωτ u + 20∑ log 1 + 2 jζ v − + ω v ω v2 u =1 v =1 y

w

ω ω2 − 20l log ω − 20∑ rf log 1 − jωT f − 20∑ log 1 + 2 jζ g − = ω g ω g2 f =1 g =1 d

e

 ω 2  2 ω2  = 20 log K + 10∑ tu log 1 + ω τ + 10∑ log 1 − 2  + 4ζ v2 2  + ωv   ω v  u =1 v =1  w

(

2 2 u

)

y

 ω 2  2 ω2  − 20l log ω − 10∑ rf log 1 + ω T − 10∑ log 1 − 2  + 4ζ g2 2  ; ωg   ω g  f =1 g =1   d

(

2

2 f

)

e

sostituendo φ (ω ) nell’espressione di β (ω ) , la costante K, se positiva, non introduce alcun termine, altrimenti, siccome − K = K e − jπ , introduce uno sfasamento in ritardo di π radianti, pertanto:

β (ω ) = =

180

π

φ (ω ) =

y  w  180  π  K ω ω2  1 arg 1 arg 1 2 t j j ωτ ζ − + + + + − 2 + (    ∑ u  ∑ u) v π  2  K ω ωv  u v 1 1 = = v  

−l

d e  ω ω 2  − ∑ rf arg (1 + jωT f ) − ∑ arg  1 + 2 jζ g − 2  .  2 f =1 ω ωg   g =1 g 

π

I due diagrammi sono ottenuti tracciando i grafici relativi a ciascun termine elementare di

α (ω ) e di β (ω ) , per poi sommare i singoli diagrammi ottenuti. Le due funzioni α (ω ) e β (ω ) contengono i dodici termini indicati nella tab.5.1, la cui rappresentazione è mostrata nel seguito.

Si noti che l’espressione di α (ω ) contiene il termine log ω ossia richiede la determinazione del logaritmo di una quantità dotata di dimensione. Siccome convenzionalmente le pulsazioni rappresentate nei diagrammi di Bode sono espresse in rad sec , per log ω si intende il calcolo di log (ωγ ) dove γ vale 1sec rad .

2

41

α (ω )

β (ω )  K  90  − 1  K  − l ⋅ 90

20 log K

costante reale

− 20l log ω

poli o zeri nell’origine

(

10 tu log 1 + ω 2τ u2

costante di tempo al numeratore costante di tempo al denominatore

(

)

− 10 r f log 1 + ω 2T f2

180

π

)

 ω 2  2 ω2  10∑ log 1 − 2  + 4ζ v2 2  ωv   ω v  v =1  2  ω 2  e ω2  −10∑ log 1 − 2  + 4ζ g2 2  ωg   ω g  g =1   y

zeri complessi poli complessi



180

180

π −

180

π

π y

tu arg(1 + jωτ u ) r f arg(1 + jωT f 

∑ arg1 + 2 jζ v =1 e



v

g =1

ω ω2   − ω v ω v2 



∑ arg 1 + 2 jζ 

g

ω ω2  −  ω g ω g2 

tab.5.1

Costante reale. L’equazione:

α (ω ) = 20 log K , rappresenta una retta parallela all’asse ω, (fig.5.1), mentre l’equazione: 0

K >0

 −180

K 0 mentre vale −180 se K < 0 . Poli o zeri nell’origine. Consideriamo inizialmente l > 0 ed in particolare l = 1 ; l’equazione:

fig.5.1

α (ω ) = −20 log ω è una retta passante per ω = 1rad sec , con pendenza negativa e pari a − 20 , quindi per ogni incremento di log ω di 1 unità, α (ω ) diminuisce di 20 unità (fig.5.2). Poiché una variazione di 1 unità di log ω corrisponde ad una variazione di ω di un rapporto 10 (ad esempio, passando log ω da 1 a 2, ω passa da 10 rad sec a 100 rad sec ) e siccome una unità di α (ω ) è 1 dB, si dice anche che la retta ha una pendenza di − 20 dB per decade ( − 20 dB dec ) o − 6 dB ott . Qualora l < 0 , la retta rappresentativa dell’equazione precedente avrà una pendenza positiva e, se l = −1 , di 20 dB dec . 42

)

fig.5.2

L’equazione:

β (ω ) = −l ⋅ 90 , è una retta parallela all’asse ω che interseca l’asse delle ordinate per − l ⋅ 90 . Costante di tempo al numeratore. Assumiamo inizialmente tu = 1 , l’equazione:

(

α (ω ) = 10 log 1 + ω 2τ u 2

)

viene rappresentata asintoticamente, distinguendo i casi ωτ u > 1 :

ωτ u > 1 ,

(ω > 1 τ u )

fig.5.3



α (ω ) ≈ 10 log 1 = 0 ;



α (ω ) ≈ 10 log(ω 2τ u2 ) = 20 log(ωτ u ) = ; = 20 log ω + 20 log τ u

cioè, per ω >> 1 τ u si ha una retta con pendenza di 20 dB dec che interseca l’asse delle ascisse per ω = 1 τ u (fig.5.3). In fig.5.4 è rappresentato l’errore che si commette nell’approssimare il termine α (ω ) col metodo di Bode; l’errore massimo in tale approssimazione si ha in corrispondenza della pulsazione di taglio 1 τ u , dove:

4

ε (ω) 3

2

1

0 100

10

3

ω

10

4

fig.5.4

α (1 τ u ) = 10 log 2 ≈ 3 dB . mentre l’approssimazione prevede α (1 τ u ) = 0 . Se tu ≠ 1 , allora la pendenza della retta è 20 tu dB dec . Per la fase, posto inizialmente tu = 1 , si ha

β (ω ) =

180

π

arg (1 + jωτ u )

si distinguono analogamente due casi3:

ωτ u 1 ,

(ω >> 1 τ u )



β (ω ) ≈

180

π

180

π

arctan ( 0 ) = 0 ; lim arctan(ωτ u ) = 90 ;

ω →∞

Si rammenti che l’argomento arg( z ) di un numero complesso z = σ + jω coincide con arctan (σ ω ) solo se σ > 0 , mentre, se σ < 0 , arg( z ) = π 2 − arctan (σ ω ) quando ω > 0 e arg( z ) = − π 2 − arctan (σ ω ) quando ω < 0 .

3

43

si noti che:  1  180 ≈ τ π u  

β

arctan (1) = 45 .

Anche in questo caso il diagramma rappresentativo è una spezzata con asintoti 0 e 90 . Inoltre risulta:  1   ≈ 5 ,  10τ u 

β 

 10   ≈ 85 ,  τu 

β 

così, con un errore di 5 in entrambi i casi, si assume:  1   = 0 , 10 τ u  

β 

 10   = 90 .  τu 

β 

(

Si noti che il segmento che unisce i punti 1 10τ u , 0

(10 τ

u

, 90

) ha pendenza pari a

)

fig.5.5

e

45 dec . Se tu ≠ 1 , allora, a differenza del caso per tu = 1 ,

quando ωτ u >> 1 si ha β (ω ) ≈ tu 90 e inoltre β (1 τ u ) ≈ tu 45 .

Costante di tempo al denominatore. Si opera in maniera analoga a quella descritta nel caso precedente ed in particolare, per r f = 1 i grafici delle funzioni α (ω ) e β (ω ) sono mostrati nelle fig.5.5.

Esempio. (Circuito RC) Si consideri la funzione di trasferimento di un circuito RC (pag.12), risulta: F (s ) =

1 , 1 + sτ

dove τ = RC è la costante di tempo. Tale funzione ha un solo polo semplice per s = −1 τ , ed espressa nel dominio della frequenza vale: F ( jω ) =

1 , 1 + jωτ fig.5.6

44

così i diagrammi di Bode per modulo e fase sono quelli mostrati in fig.5.6. In colore sono mostrati gli andamenti reali delle funzioni F (ω ) e φ (ω ) . Esempio. (Circuito CR) Si consideri la funzione di trasferimento di un circuito CR (pag.12), risulta: F (s ) =

sτ , 1 + sτ

dove τ = RC è la costante di tempo. Questa funzione presenta un fattore costante τ (solitamente τ < 1 ), uno zero semplice per s = 0 ed un polo semplice per s = − 1 τ ; espressa nel dominio della frequenza, F (s ) vale: F ( jω ) =

jωτ , 1 + jωτ

I termini elencati vengono rappresentati separatamente e quindi sommati graficamente; i singoli termini, insieme ai diagrammi di Bode per modulo e fase di F ( jω ) sono mostrati in fig.5.7.

fig.5.7

45

Esempio. (Partitore compensato) Valutiamo la risposta in ampiezza ed in fase del circuito di fig.5.8. Indichiamo con Z 1 e con Z 2 rispettivamente i paralleli delle reattanze di R1 e C1 e di R2 e C 2 , ossia (fig.5.9): 1

Z1 =

=

R1 R1 , = 1 + sR1C1 1 + sτ 1

1 + sC1 R1 R2 R2 1 Z2 = = = , 1 1 + sR2 C 2 1 + sτ 2 + sC 2 R2

fig.5.8

dove si è posto τ 1 = R1C1 e τ 2 = R2 C 2 . La funzione di trasferimento V0 (s ) Vi (s ) è il rapporto di partizione tra Vi (s ) e V0 ( s ) : F (s ) =

V0 ( s ) Z2 , = Vi (s ) Z 1 + Z 2

sostituendo a Z 1 e Z 2 la loro espressione, si ha:

F (s ) =

=

V0 ( s ) = Vi (s )

R2 1 + sτ 2 R1 R2 + 1 + sτ 1 1 + sτ 2

fig.5.9

=

R2 ⋅ (1 + sτ 1 ) = R1 ⋅ (1 + sτ 2 ) + R2 ⋅ (1 + sτ 1 )

R2 ⋅ (1 + sτ 1 ) R 2 1 + sτ 1 1 + sτ 1 = =K , R1 + R2 + s ⋅ (τ 2 R1 + τ 1 R2 ) R1 + R2 1 + sτ 1 + sτ

dove si è posto: R2 , R1 + R2 τ R +τ R τ= 2 1 1 2. R1 + R2 K=

Questa funzione è caratterizzata da un fattore costante K (con K < 1 ), uno zero semplice per s = − 1 τ 1 ed un polo semplice per s = −1 τ ; espressa nel dominio della frequenza, F (s ) vale:

F ( jω ) = K

1 + jωτ 1 , 1 + jωτ

I termini elencati vengono rappresentati separatamente e quindi sommati graficamente; i singoli termini, insieme ai diagrammi di Bode per modulo e fase di F ( jω ) sono mostrati in fig.5.10. 46

fig.5.10

Si noti che qualora τ 1 = τ , il circuito in esame si comporta come un partitore resistivo con funzione di trasferimento V0 (s ) Vi (s ) pari a: F (s ) =

R2 . R1 + R2

Zeri complessi. Analogamente ai casi precedenti l’equazione:  ω 2 α (ω ) = 10 log 1 − 2  ω v

 ω2   + 4ζ v2 2  ωv    2

viene rappresentata asintoticamente, distinguendo i casi ω > ω v :

47

ω > ω v ,



α (ω ) ≈ 10 log

ω4 = 40 log ω − 40 log ω v ; ω v4

cioè, per ω >> ω v si ha una retta con pendenza di 40 dB dec che interseca l’asse delle ascisse per ω = ω v ; in fig.5.11 sono mostrati, oltre al diagramma di Bode, alcuni andamenti reali corrispondenti a diversi valori del parametro ζ . 60

α ( ω) 40

20

ζ =1

0

ζ =0.1 20

ζ =0.01 40 100

10

3

ω

10

4

fig.5.11

In fig.5.12 è rappresentato l’errore che si commette nell’approssimare il termine α (ω ) col metodo di Bode; l’errore massimo si ha in corrispondenza della pulsazione di risonanza ω 0 v pari a:

40

ε (ω) 30

20

ζ = 0.01 10

ω 0 v = ω v 1 − 2ζ , 2 v

ζ = 0.1 ζ=1

0 100

dove risulta:

10

3

fig.5.12

α (ω 0v ) = 10 log[4ζ v2 (1 − ζ v2 )] . mentre l’approssimazione prevede α (ω 0 v ) = 0 . Per la fase si distinguono analogamente due casi4:

4

ω > ω v ,



β (ω ) ≈

180

π

Si veda la nota a pag.43 per il calcolo degli argomenti.

48

arctan 0 = 0 ;

 ω2 ω lim arg1 − 2 + 2 jζ v π ω →∞  ω v ωv

  = 180 ;  

ω

10

4

180

ζ = 0.01

β ( ω)

ζ = 0.1 ζ=1 90

0 100

10

3

10

ω

4

fig.5.13

cioè, per ω > ω v è

rappresentata con la retta β (ω ) = 180 ;in corrispondenza della pulsazione ω v risulta:

β (ω v ) =

 ω2 ω lim arg1 − 2 + 2 jζ v π ω →ω v  ω v ωv

180

  = 90 .  

In fig.5.13 sono mostrati, oltre al diagramma di Bode della fase, alcuni andamenti reali ε (ω ) ζ=1 corrispondenti a diversi valori del parametro ζ ; in fig.5.14 è rappresentato l’errore che si ζ = 0.1 commette nell’approssimare il termine β (ω ) col metodo di Bode. I grafici riportati nelle fig.5.12 e 5.14 ζ = 0.01 mettono in luce che l’approssimazione introdotta col metodo di Bode risulta, in fig.5.14 questo caso, particolarmente insoddisfacente al crescere del parametro ζ , ovvero all’allontanarsi degli zeri della funzione di trasferimento dall’asse reale. 100

50

0

100

10

3

ω

10

4

Poli complessi. Si opera in maniera analoga a quella descritta nel caso precedente; i grafici delle funzioni α (ω ) e β (ω ) sono mostrati nelle fig.5.15. 5.16.

49

40

α(ω)

ζ = 0.01 20

ζ = 0.1

0

ζ=1 20

40

60 100

10

3

ω

fig.5.15

10

0

β ( ω)

90

ζ=1

ζ = 0.1

ζ = 0.01 180 100

10

3

fig.5.16

50

ω

10

4

4