itinerari del femminismo filosofico: il dibattito spagnolo ed oltre

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letture, proposte durante un assai vivace corso di Filosofia Contemporanea. ..... d' atto originaria del nostro itinerario filosofico coincide col riconoscimento di una.
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INTRODUZIONE

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“Il fatto che alle donne venga per lo più sottratto lo status sia di soggetti conoscenti che di oggetti di conoscenza è chiaro ancor oggi solo a poche donne” NICLA VASSALLO e PIERANNA GARAVASO, Filosofia delle donne

Le pensatrici spagnole Questo lavoro intende tracciare alcune linee fondamentali del pensiero femminista e lo fa concentrandosi in particolar modo su fonti spagnole. Come è ovvio, la maggior parte dei testi sono testi di donne (anche se non esclusivamente). Come è meno ovvio, la maggior parte dei testi sono spagnoli (anche se non esclusivamente). Il punto è che la scelta del tema e del focus geo-politico sono andate di pari passo e vorrei spiegare il perché. Grazie ad un’esperienza notoriamente quanto concretamente positiva, quale fu un periodo di studi all’estero, ebbi l’opportunità di abbozzare questa idea. Mi trovavo difatti in Spagna, a Cadice, quando - tra gli stimolanti apporti che la realtà universitaria (e non) mi diedero ininterrottamente per 8 mesi - vi fu quello di alcune letture, proposte durante un assai vivace corso di Filosofia Contemporanea. In quell’occasione lessi, analizzai ed esposi due testi di filosofe spagnole, i miei primi due testi femministi 1 . Questo accadeva ormai quasi tre anni orsono. Da allora l’interesse si mantenne acceso attraverso la lettura di altre pensatrici, in primo luogo il classico dell’italiana tanto criticata nei saggi delle spagnole, Luisa Muraro, di cui precedentemente non conoscevo nemmeno il nome.

1

Si trattava più precisamente di CRISTINA MOLINA PETIT, Debates sobre el género, e CELIA AMORÒS,

Presentaciòn (que intenta ser un esbozo del “status questionis”), entrambi in CELIA AMORÒS (ed.), Feminismo y filosofìa, Ed. Sìntesis, Madrid 2000.

3 Per merito delle spagnole infatti, non solo intravidi la profondità di ciò che “femminismo” significasse, ma venni a conoscenza dell’ampiezza del dibattito che in realtà investiva il mio stesso Paese. In Italia è presente un femminismo filosofico, cui quelle pensatrici si opponevano (mentre altre spagnole, scoprii in seguito, vi si rifanno), di cui avevo a lungo ignorato l’esistenza, e che tuttavia si dimostrò eccezionalmente ricco ed evoluto. Con l’aumentare delle letture, cresceva il desiderio di conoscere più a fondo il tema e si chiariva la vastità dello sguardo femminista: anzi, degli sguardi femministi. Il fatto di non avere mai studiato il pensiero delle donne in maniera né vaga né tantomeno sistematica durante il mio percorso italiano ed averlo invece incontrato per caso in Spagna, è il motivo (autobiografico, quindi misto di arbitrarietà e necessità) della mia ‘naturale’ inclinazione verso l’approfondimento della realtà iberica piuttosto che nostrana. Per di più, non solo il femminismo in generale è “el gran desconocido” 2 , ma la Spagna non ha pressoché voce nell’ambito degli studi in Italia: malgrado la prossimità geografica, lo scarsissimo dialogo intellettuale ci fa apparire lontanissimi. Allo scopo di assecondare la mia “riconoscente” vocazione e con la speranza di colmare in minima parte quel vuoto (di cui sopra), ho deciso di dedicare la mia tesi alla discussione dei nodi concettuali ai miei occhi più rilevanti che il femminismo abbia messo in luce e di appoggiarmi prevalentemente agli scritti delle spagnole. In ogni caso, benché al centro dell’attenzione vi siano le pensatrici spagnole, lo studio si è diramato verso pensatrici di altre lingue e culture (perché il femminismo è per sua natura internazionale), comprendendo inoltre campi extrafilosofici (perché il femminismo li tocca tutti e perché la stessa filosofia – come ben si sa – ha per confine una membrana alquanto permeabile). Concludendo, un’ultima ragione per cui “il caso spagnolo” si è rivelato attraente oggetto di studio è la seguente: non solo v’incontriamo personalità filosofiche originali, ma soprattutto uno sviluppo pressoché egualitario di entrambe le correnti, ormai “storiche”: il femminismo dell’uguaglianza ed il pensiero della differenza, con centro ideale rispettivamente a Madrid e a Barcellona. Le autrici che a questi due folti gruppi si rifanno, esemplificano con le loro opere un dibattito che di norma è inter-nazionale piuttosto che intra-nazionale.

2

Vd. NURIA VARELA, Feminismo para principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005, retrocopertina.

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Un’idea-guida di “filosofia” In questo studio ho tentato di applicare il metodo filosofico nel modo in cui mi pare più consono che si utilizzi, ovvero come strumento di analisi critica del reale, capace di riportare alla luce ciò che resta opaco al senso comune, e quindi delegittimare paradigmi di normalità assodata. Nella visione della filosofia qui sottesa il “pensiero” è ragionevolezza piuttosto che razionalità, flessibilmente disposta a mettersi in discussione in un perenne dialogo-scontro col senso comune (da esso si parte ed esso si vuole “riformare”). Le visioni generali si sedimentano infatti su convinzioni la cui verità (corrispondenza fra il senso e la cosa) può essere opinabile o comunque non assicurata in eterno: ogni “nuovo” discorso – filosofico – che mira a superare queste imperfezioni, aspira a sua volta ad essere condivisocondivisibile (diventerà presumibilmente senso comune, e più tardi oggetto della medesima corrosione). Se tutti i discorsi filosofici tendono ad essere astratti, questo vorrebbe rivolgersi quanto più possibile alla concretezza, intendendo con essa un circolo virtuoso fra datità e simbolicità (dimensioni alle quali in quanto esseri umani non possiamo sfuggire e che si accordano di volta in volta in varie figure, secondo nuovi compromessi). Ho inteso servirmi della prospettiva filosofica per affrontare un ambito di studi ed eventi che già viene esplorato a partire da molte altre discipline, senza che ciò implichi una competizione fra di esse, quanto piuttosto una proficua collaborazione. L’approccio multidisciplinare è un ideale ermeneutico di riferimento: abbandonata la settaria e presuntuosa idea di una “filosofia pura”, esente dai contatti col resto dei saperi, che si contorce solipsisticamente su se stessa, si sposa qui un’immagine più spuria di essa. È come servirsi di una piattaforma di riflessione a partire dalla quale il nostro sguardo si estende potenzialmente su ogni ambito dell’agire e pensare umano. Da un lato il contatto con i vari settori specifici, le cui conquiste e principi vaglia ed elabora, arricchisce osmoticamente il discorso filosofico; dall’altro, è vero che dall’interazione traggono vantaggio anche le altre discipline: il confronto costituisce indispensabile alimento reciproco. La filosofia continua tuttavia ad essere un punto di vista privilegiato, specifico per le sue categorie, fiducioso nell’efficacia dei suoi strumenti logici e storici, che ci aiutano a formulare e riformulare visioni d’insieme, discorsi universali (per quanto questi prodotti siano ogni volta inevitabilmente parziali e rivisitabili).

5 Lo slancio filosofico esprime infatti uno sforzo “totalizzante” che ci muove in direzione di un abbraccio del mondo desideroso di essere tanto ampio quanto vigoroso: vogliamo trattenere in esso il maggior numero possibile di elementi della realtà esistente, per il resto tanto sfuggenti ed eterogenei, e far sì che i loro rapporti/nessi siano consistenti. Si tratta - sostanzialmente - di dare forma alla pluralità diveniente delle nostre idee ed esperienze, in un continuo processo di ricostruzione di nuove combinazioni orientato non semplicemente alla bellezza “esteriore” di queste ultime quanto innanzitutto all’innegabile ed infaticabile ricerca di senso. Il meccanismo di autocontrollo atto a moderare questo slancio - che spesso rischia di portarci troppo oltre il punto di partenza - è uno sano scetticismo, conseguenza di un serio “esame di coscienza” sui difetti e le paradossalità della ragione stessa (il dubbio e la sua carica decostruttiva che animano il pensiero possono, al limite, autodigerire e disattivare il pensiero stesso), e pragmatico adeguamento all’impossibilità di una relazione paritaria fra la nostra ragione ed il reale tutto, che essa vorrebbe tanto generosamente quanto immodestamente contenere.

Il femminismo filosofico Per ciò che concerne il tema dell’indagine, è opportuno segnalare che non si tratta tanto di “filosofia femminista” quanto piuttosto di “femminismo filosofico” 3 . L’accento su “filosofia” potrebbe chissà ingannare: il sistema non si è raggiunto, né preme da alcun lato l’intento sistematico; la tendenza principale resta quella critico-decostruttiva. Il pensiero femminista è l’articolazione teorica di un movimento sociale capace di provocare cambiamenti antropologici di vasta portata; esso è “filosofico” perché si può tematizzare filosoficamente, ovvero ha implicazioni filosofiche e, nella sua struttura di pensiero, è filosofico. Un’altra puntualizzazione utile è quella riguardo la dialettica - aperta - tra il fatto che il femminismo filosofico non sia semplicemente “filosofia con tocco femminile” ed il fatto che non esistano donne “incontaminate”. Benché ci siano dei referenti teorici comuni ad uomini e donne (dal momento che condividono uno stesso mondo sociale, culturale, intellettuale e accademico), sosteniamo che il femminismo filosofico non si possa dedurre dai principi che ispirano una filosofia perché ha sue esigenze specifiche, che qui proveremo ad enunciare.

3

Cfr. CELIA AMORÓS, Presentación (que intenta ser un esbozo del “status questionis”) in CELIA AMORÓS (ed.),

Feminismo y filosofìa, Ed. Sìntesis, Madrid 2000.

6 Pur essendo un campo ingente, difficile e variegato, possiede una sua logica interna e per questo si lascia cartografare.

Iter Qualsiasi organismo sociale impone il genere, ovvero determina ció che è essenziale affinché “femminile” e “maschile” siano riconosciuti come tali. La duplicità fisica dei corpi, infatti, non si arresta a descrivere la necessità biologica della riproduzione, ma impone, attraverso il genere che meccanicamente vi associamo, parametri essenziali all'equazione personale dell'individu@ 4 : il sesso-genere informa di sé l'intero orizzonte esistenziale, a partire dalla sfera erotica. “Femminile” e “maschile” sono dunque prodotti della cultura, che, prendendo spunto dalla duplicità corporea degli esseri umani, ne “deduce” innumerevoli conseguenze fino a fare di questo dato minimo un principio ordinatore dal rilievo eccezionale. Ciò che incuriosisce e disturba maggiormente le femministe è il fatto che l’intramato delle descrizioni-prescrizioni di genere sia costantemente imbevuto di disuguaglianza: non è previsto che il potere ed il valore si distribuiscano equamente fra i rappresentanti delle due parti. Essi si concentrano invece, regolarmente, nelle mani degli uomini: le società che si reggono su questo divario sono dette “patriarcali”. Si tratta di un monopolio visibile tanto nei saperi, quanto nelle risorse economiche; si tratta, in buona sostanza, dell’aver o meno - “voce in capitolo”. Due sono le “posture ontologiche” più pericolose contro le quali un femminismo filosofico deve mettersi in guardia: l’essenzialismo e il nominalismo estremo. “Donna” (lo stesso vale per “uomo”) non è un’essenza né un mero nome. Nel primo caso, periremmo sotto la “greve cappa di modelli” (siano essi femministi o antifemministi, considerando tuttavia “il rifiuto duplice” dei secondi): i fluttuamenti tipici dell’individualità si sacrificherebbero in vista della sussunzione entro il monolitico “genere” – uno dei due - cui apparteniamo. Sia i cambiamenti delle singole, sia quelli del collettivo delle donne, sarebbero invisibilizzati, a favore degli stereotipi.

4

Si è scelto di utilizzare questo carattere - solitamente usato per gli indirizzi di posta elettronica - perché

sintetizza efficacemente le desinenze “a” (femminile) e “o” (maschile).

7 Nel secondo caso, invece, sarebbe come essere ciechi di fronte alla potenza del sistema sesso-genere (gli antifemministi per i quali “è già tutto a posto così”, o “non c’è niente di rilevante che vada detto/fatto”), oppure – nel caso delle femministe - perdere di vista l’obiettivo: impegnarsi a mostrare la decostruibilità del sesso-genere è encomiabile, ma rinunciare del tutto a quelle categorie risulta assai azzardato nonchè tendenzialmente controproducente. Si abbraccia perciò la prospettiva di un nominalismo moderato: non ci sono “due nature”, eterne ed immutabili, di cui siamo casi esemplari-esemplificazioni, per il solo fatto di essere nate/i femmine/maschi; tuttavia, dal momento che il mondo crede che ci siano, ciò sortisce degli effetti considerevoli (quasi che ci fossero davvero). Tutte le proiezioni e fantasie “subite” a partire dall’interpretazine del dato sessuale vanno esaminate con cura. Allo scopo di intendere meglio come si sia costruito il sistema sesso-genere, si fa una rassegna delle principali modalità di funzionamento del patriarcato – la società dispari, sbilanciata a favore del sesso maschile - dopo aver preso in esame tre fra le moltelplici ipotesi di una sua “origine”, ed esserci soffermate su quella ritenuta più plausibile. Studiando il funzionamento del patriarcato constatiamo come una certa distribuzione degli spazi, materiali e simbolici, sia decisiva al mantenimento del controllo sulle donne, e che questo controllo si esercita in prima istanza sui loro corpi, a partire dalla sessualità riproduttiva; la prima ad essere “zittita” è la madre. Su di lei si getta tutto il peso della materialità: la genitrice per eccellenza finisce per essere teorizzata come il mezzo attraverso il quale (l’incerto) genitore, il Padre, si riproduce. L’esclusione dai luoghi di sapere-potere fa sì che il punto di vista di una metà del genere umano

non

emerga

sostanzialmente

mai,

ed

in

più

il

perverso

meccanismo

dell’inferiorizzazione fa sì che le donne siano nemiche di se stesse. Sulla base di questi progressi di consapevolezza, si possono intendere molti degli atti e delle parole delle femministe. Estrapoliamo alcuni “nuclei di senso” da: il rapporto di amore-odio con l’Illuminismo ed i conflitti con le norme (ovvero il dialogo-scontro con l’ideale dell’uguaglianza); le polemiche sul privato e la famiglia (cioè sul profilo dei luoghi originari della disparità che sfavorisce il sesso femminile); le riflessioni sulla maternità (punto delicatissimo da esaminare in vista di una metamorfosi dell’identità femminile); le proposte di modelli etici e politici alternativi (da condividere, finalmente, e non dicotomici). L’ultimo capitolo della tesi si fa infine testimone delle simpatie per un nuovo paradigma di soggettività. È vero infatti che la ricerca di una nuova definizione di “donna” innesca una serie di reazioni a catena per cui la stessa definizione di “genere umano”

8 viene inesorabilmente coinvolta: sia perché alle donne sono state “precluse” opportunità e qualità di per sé non specifiche del genere maschile (alcune caratteristiche “neutrali” ci spettano allo stesso modo); sia perché le loro pretese specifiche, i loro punti di vista, hanno da ampliare lo stesso concetto di umanità per far sì che la rappresentatività di questa astrazione si approssimi con maggior precisione alla totalità degli esseri umani (e smetta di contemplare soltanto una parte di essi, privilegiandola). Questo lavoro vorrebbe sottolineare l’attualità del dibattito, per donne e uomini, fornendo alcuni strumenti concettuali indispensabili ad entrarvi; si delineano, in breve, i contorni delle aree più significative di quello specifico e variegato panorama filosofico, che solo affacciandoci da una “finestra femminista” potremmo osservare, tra sdegno e meraviglia.

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CAPITOLO 1 IL GENERE La presa d’atto originaria del nostro itinerario filosofico coincide col riconoscimento di una realtà sessuata, ove il genere struttura identità, rapporti, significati, valori e attività. Frutto maturo della riflessione femminista, la nozione di “gender” fu introdotta ufficialmente nel dibattito scientifico nel 1975 5 . Si tratta di un’idea chiave, sorta dalla cristallizzazione, sistemazione e approfondimento delle prime intuizioni del pensiero femminista, idea che ha da allora fatto mostra delle sue notevoli potenzialità euristiche. Grazie a questo grimaldello concettuale si sono efficacemente scardinate vecchie certezze e dischiuse nuove vie per una migliore comprensione di molteplici aspetti della realtà umana.

Donne e uomini Il genere è un modo di classificare: l’inerzia dell’ “actitud natural” riconosce spontaneamente la presenza di due tipi umani 6 , le donne e gli uomini. Rientra nel genere tutta la serie di caratteristiche, aspettative, comportamenti, stereotipi, che definisce quello che in ogni cultura si intende per “femminile” e “maschile”. Si tratta di quell’insieme di tratti comportamentali e caratteriali, gusti, tendenze psicologiche, erotiche, ruoli, doti intellettuali e morali, che ritrae le donne e gli uomini, distinguendo più o meno nettamente che cosa la società consideri a priori proprio-specifico dei soggetti di sesso femminile o maschile. Il genere è insomma ció che differenzia le donne dagli uomini e viceversa. Se per il senso comune definisce solo le donne, è perché solo esse ne hanno incentivato l’uso e si sono mostrate interessate ad un consolidamento del suo statuto teorico. Si tratta in realtà di un termine binario che non coincide con “condizione femminile” ed indica invece la perenne reciprocità in cui i due sessi si trovano, la dialettica costante fra donne

5

Cfr. La storia di un concetto e di un dibattito in Genere. La costruzione sociale del femminile e del maschile,

a cura di Simonetta Piccone Stella e Chiara Saraceno, ed. Il Mulino, Bologna 1996. Gayle Rubin, antropologa, fu la prima a parlare di “sex/gender system” in The Traffic in Women: Notes on the 'Political Economy' of Sex. 6

Cfr.

CRISTINA

MOLINA

PETIT,

Debates

sobre

el

género,

in

CELIA

AMORÓS

(ed.):

Feminismo y Filosofía, Ed. Síntesis, Madrid 2000. Grazie agli studi di linguistica scopriamo che il genere non c’è in tutte le lingue ed il numero è variabile (la media è 4, sono possibili fino a 20).

10 e uomini 7 . Si nega così la possibilità che i modi concreti in cui si danno esperienze e collocazioni sociali di donne (“condizione femminile”) si possano analizzare separatamente dalla “condizione maschile”. Le due “condizioni” si creano a partire dai legami, contrasti, influenze tra i due sessi. Dovremmo più precisamente parlare, al plurale, dei generi (sono sempre almeno due).

Il genere “nascosto” Non esiste qualcosa come un essere neutro, che non sia sessuato né “generato” (gendered) e la stessa realtà nella quale i soggetti si muovono è distante dalla neutralità. Il genere esiste, e la sua presenza non costituisce affatto un elemento trascurabile. Tra gli assunti imprescindibili di qualsiasi analisi femminista vi è quello secondo il quale il genere e la sessualità svolgono un ruolo decisivo in ogni area della vita: si sfida l’opinione convenzionale, tanto comune quanto infondata, secondo la quale andrebbero catalogate come questioni private o naturali senza conseguenze nel mondo della politica, dell’economia, del diritto, etc.: “to assert the importance of gender is to assert the gendered and sexed nature of the subject, including the subject of law” 8 . Sottolineare la potenza di questa categoria, il genere, è imprescindibile affinché si smascherino i finti universalismi, a cominciare da un “dettaglio” come la formazione del plurale che vorrebbe comprendere “in modo neutro” entrambi i generi, e lo fa sussumendo il femminile al maschile. Nell’insegnamento non c’è sessuazione (o meglio il maschile è assunto come universale) 9 e

7

Una delle prime a sottolineare che maschi e femmine sono entrambi attori quando si parla di condizione della

donna fu Natalie Zemon Davis (1976). Il rapporto uomo-donna non è costante. 8

Vd. SUSANNE BAER, Citizenship in Europe and the Construction of Gender by Law in the European Charter of

Fundamental Rights in Gender and Human Rights edited by Karen Knopp, Oxford University Press 2004, p.99. Gli studi di genere applicati al diritto costituzionale lo dimostrano. Chi si preoccupa di studiare la legge assume sia un approccio costruttivista, sostenendo che essa costruisce il fenomeno sociale che vuole regolare, sia un approccio decostruttivo, dal momento che indaga le logiche politiche, storiche e filosofiche più profonde che strutturano i testi legali. Andando alla ricerca di quello che è il cittadino costruito legalmente si scopre infatti che vi stanno dietro concetti filosofici e politici. Si notano sessismi espliciti (discriminazione diretta, quando si parla di uomini e donne o anche di soggetti eterosessuali) ed impliciti (discriminazione indiretta, attraverso regole apparentemente neutrali); concetti e metafore apparentemente “innocenti” (come “onore maschile” e “virtù femminile” ad esempio). Non è insignificante nemmeno l’architettura dei diritti (cosa viene prima e cosa dopo). 9

Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El fraude de la igualdad, segunda edición revisada, Librerìa de

Mujeres, Ciudad Autónoma de Buenos Aires, 2002, p.55.

11 tutto ció appare estremamente ovvio e quindi invisibile. Non si tratta solo di desinenze: l’insieme delle donne e degli uomini è pacificamente e unanimemente descritto da “gli uomini”, o anche “l’Uomo”. Tuttavia il maschile non puó essere universale: questo banale “solapamiento” 10 non è affatto così inoffensivo come a prima vista potrebbe sembrare. L’aura di ovvietà che lo avvolge è tanto spessa quanto la nube di perplessità che genera agli occhi delle femministe. Allo stesso modo alcuni concetti che si consideravano onnicomprensivi, imparziali, come “soggetto”, “lavoratore”, “cittadino”, “pubblico”, “privato”, sono in realtà nozioni generalizzate in maschile perché al femminile indicano realtà totalmente altre (basti pensare a “hombre pùblico”–un politico, qualcuno che ricopre un ruolo prestigioso in società, una persona rispettabile- e a “mujer pùblica”-una prostituta) 11 . La presenza “ingombrante” di questa asimmetria è sottaciuta sotto le false spoglie di un universalismo (declinato al maschile). Il femminismo filosofico, coltivando l’eredità della cosiddetta “hermeneutica de la sospecha”, insinua dubbi a catena.

Sesso-genere, Natura-Cultura Ció che è femminile e ció che è maschile, cosa debbano essere e fare le donne e cosa gli uomini: tutto ció viene arbitrariamente “deciso”, o - se si preferisce - si dà, nella molteplicità dei tempi e dei luoghi in cui vivono (hanno vissuto e vivranno) gli individui concreti. Non c’è un solo modo di essere donna né di essere uomo: prendiamo atto di numerosi modelli di femminilità e di mascolinità nel corso della storia e nei svariati angoli del pianeta. Allo stesso tempo ció che in una cultura è considerato proprio, condiviso, tipico e normale per gli individui di uno stesso sesso è prescritto come “opportuno”: pensiamo alla disapprovazione veicolata da espressioni come “non fare la femminuccia” o “sembri un maschiaccio”. La regola sottaciuta è che i maschi abbiano da essere “uomini” e le femmine, “donne”. Parlando di genere in questi termini sorge automaticamente l’esigenza di un’altra categoria da contrapporvi: quella di “sesso”. La diade sesso-genere che così si delinea pone a manifesto la variabilità del secondo termine: se il nascere maschio o femmina costituisce un caso tanto fortuito quanto 10

Vd. CELIA AMORÓS, Presentación (que intenta ser un esbozo del “status questionis”) in CELIA AMORÓS (ed.),

Feminismo y filosofìa, Ed. Sìntesis, Madrid 2000. 11

Vd.

CRISTINA

MOLINA

PETIT,

Debates

Feminismo y Filosofía, Ed. Síntesis, Madrid 2000.

sobre

el

género,

in

CELIA

AMORÓS

(ed.):

12 naturale e necessario, le modalità in cui si diventa uomini o donne ed il senso di questi termini dipendono dal contesto storico e geografico in cui le creature che concretamente li impersonano, vivono. Se il corpo sessuato è Natura, il genere è Cultura. Perció “sesso” non è altro che è la categoria biologica determinata dai cromosomi e resa visibile da un corpo con caratteristiche genitali da maschio-femmina: solo questo è ció che esiste in modo invariabile, universale e naturale. Tutto il resto ricade nel genere.

La sproporzione Un secondo passaggio essenziale del discorso femminista è la constatazione di uno squilibrio fra i generi stessi: non solo la categoria di “genere” è altamente produttiva quando si desideri vedere più a fondo la realtà (poiché è asse portante della sua struttura), ma l’uso di tale parametro ci induce a urtare contro una sconcertante regolarità. Spogliato del suo travestimento neutrale, troviamo che nel mondo, piuttosto rigidamente spartito fra donne e uomini, la distribuzione non è ispirata ad equità. Anche dietro apparenti imparzialità si cela la discriminazione di uno dei due generi: quello femminile. Questo assetto della realtà è così antico e diffuso da sembrare normale: “el feminismo es un impertinente (…). Porque el feminismo cuestiona el orden establecido. Y el orden establecido está muy bien establecido para quienes lo establecieron, es decir, para quienes se benefician de él” 12 . Il femminismo è il movimento sociale (ed in seguito soggetto politico, nonché posizione filosofica e branca di studi) che ha preso coscienza della disparità e ha puntato il dito su di essa, contestando la legittimità della supremazia che gli uomini avevano assegnato a se stessi nell’ineguale disposizione delle cose. Inteso in questi termini, “genere” è anche un’arma politica oltre che una categoria analitica feconda in molte ricerche. Si tratta di una verità storica e antropologica: in tutte le società esiste una rigorosa separazione fra i generi ed inoltre il ruolo delle donne è costantemente subalterno. La divisione del lavoro, i compiti quotidiani, l’accesso alla sfera intellettuale e simbolica, si sono organizzati nel tempo lungo una profonda asimmetria, a discrimine e a svantaggio del genere femminile. Ai posti di potere e prestigio accedono prevalentemente od esclusivamente gli uomini. Le donne si trovano confinate ed ostacolate a fare uso delle risorse (a partire da quelle materiali) che normalmente spettano agli uomini; sono condannate alla povertà di mezzi. 12

Vd. NURIA VARELA, ¿què es el femminismo? La metàfora de las gafas violetas, in NURIA VARELA, Feminismo

para principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005, p. 13.

13 I limiti –umani- della nostra condizione esistenziale, che chiunque sopporta e si impegna a superare, raddoppiano se ci tocca la “malaugurata sorte” di rientrare nella classificazione “donna”. Insomma il “mondo delle donne” è più ristretto, il loro raggio d’azione più limitato, ed in più denigrato, eternamente “inferiore” nei riguardi dell’altro (più ampio e “superiore”). Se gli uomini possono accedere senza difficoltà allo spazio del genere subordinato, non è vero viceversa 13 . Quando sosteniamo che alle donne è abitualmente assegnata la parte “peggiore” sottintendiamo due aspetti: è la più “piccola”, nonchè la meno stimata socialmente. La questione della disuguaglianza è duplice: nella ripartizione, la fetta rosa della torta non è soltanto quella più esigua ma “universalmente” svilita come “meno buona” di quella azzurra. D’altro canto ció che oggi puó apparire insensato ed ingiusto è stato largamente giustificato nel corso del tempo sulla base di molteplici “ragioni”, ed anzi considerato prescrittivo per il buon funzionamento della società. Se è vero che tutte le società esercitano distinti tipi di oppressione su varie basi, è altrettanto certo che il pensiero filosofico è un’arma che puó aiutare a rafforzarla o a debilitarla 14 , erodendo i pregiudizi su cui si basa. Noi desideriamo avvalerci principalmente del suo potere critico. Essere capaci di dissociare (per lo meno a livello intellettuale) la coppia sesso-genere e vedere distintamente come il secondo termine sia dotato di una qualche mobilità, è cruciale per dischiudere nuove possibilità d’azione e di pensiero. Si apre uno spiraglio di cambiamento, si attribuiscono responsabilità 15 . Si pone in discussione la relazione che pareva ovvia tra l’essere femmina (per costituzione biologica) e l’essere donna: è possibile discernere. Se il nostro sesso (femminile) fosse condizione necessaria e sufficiente per essere donna, dovremmo adeguarci rassegnatamente allo stato finora previsto per gli individui di questo 13

Cfr. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El cuerpo indispensable. Significados del cuerpo de mujer, horas y

HORAS la editorial, segunda edición, Madrid 2001, p. 40. Per ció che concerne la divisione degli spazi, le donne sono recluse nello spazio definito come privato mentre gli uomini cercano di dominare in entrambi gli spazi benché operino solitamente in quello pubblico. 14

Vd. ALICIA H. PULEO, Perfiles filosoficos de la maternidad, in ÀNGELES DE LA CONCHA y RAQUEL OSBORNE

(coords.), Las mujeres y los niňos primero. Discursos de la maternidad, Icaria Mujeres y culturas, Barcelona 2004. 15

Cfr. NURIA VARELA, Feminismo para principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005, p.184. Utilizzare la

categoria di “genere” implica una rivoluzione politica: il problema della dominazione delle donne viene traslato al territorio della volontà e responsabilità umana: se i salari sono distinti non è un problema naturale o biologico, bensì politico.

14 genere (dato che nascere maschio o femmina non è oggetto di scelta). Poiché, invece, la donna è un essere sociale che si costruisce, è la Cultura a determinare l’oppressione. La scelta dell’espressione “genere” risponde infatti all’esigenza di attribuire il massimo peso a quanto vi è di socialmente costruito (e non biologicamente dato) nella disuguaglianza fra donne e uomini. Si restituisce vigore alla classica dichiarazione di Simone de Beauvoir “donne non si nasce, si diventa” 16 e si assegna così un valore particolare al lavoro delle scienze sociali e di chi indaga sia il divenire storico che i meccanismi della disparità nel presente. La denuncia dell’ingiustizia nell’assetto delle cose scorre parallela all’indicazione di una “via di fuga”: dal momento che la definizione del femminile è una costruzione culturale 17 , per ció stesso non “essenziale” ed “eterna”, ma in certo qual modo “artificiale”, “relativa” e “dinamica”, il genere puó essere decostruito, rimaneggiato e “riscritto”.

Decostruzione di “sex”, approfondimento di “gender” La diade sesso-genere puó essere ulteriormente indagata poichè è meno antinomica di quanto si creda. Nemmeno il corpo si puó considerare un’evidenza semplice ed indiscutibile: questo “dato” piuttosto che fisso, è instabile: la sua indeformabilità è fasulla. Cristina Molina Petit approfondisce quest’analisi illustrandoci come il nostro atteggiamento “naturale” si inganni abbondantemente nel dare per scontato che il corpo sessuato sia un mezzo passivo, inerte ed anteriore ad ogni significazione 18 . Anche Linda Nicholson 19 ci invita a notare che una “visione attaccapanni dell’identità”, ovvero una visione in cui il corpo è il piedistallo inamovibile su cui si gettano i diversi manufatti culturali (personalità e comportamento) è insostenibile. Una volta ammesso che la medesima concezione del corpo è una variabile, piuttosto che una costante, arriviamo alla conclusione che la nozione di “genere” vada perciò estesa: non solo non rispecchia differenze naturali e fisse, ma è quella conoscenza che stabilisce i significati per le differenze corporee, le quali a loro volta sono “selezionate” e codificate culturalmente.

16 17 18

SIMONE DE BEUVOIR, Il secondo sesso, Il Saggiatore, Milano 2002. (così come quella del maschile, ma è la parte subordinata quella che ha tutto l’interesse di ridefinirsi) Vd.

CRISTINA

MOLINA

PETIT,

Debates

sobre

el

género,

in

CELIA

AMORÓS

(ed.):

Feminismo y Filosofía, Ed. Síntesis, Madrid 2000. 19

Vd. LINDA NICHOLSON, Per una interpretazione di “genere” in Genere. La costruzione sociale del femminile

e del maschile, a cura di Simonetta Piccone Stella e Chiara Saraceno, ed. Il Mulino, Bologna 1996.

15

Corpo/anima, corpo < anima Da un lato potremmo pensare alle origini filosofico-religiose di “corpo” che lo collocano in opposizione ad un principio immateriale, in un dualismo che di norma attribuisce un senso peggiorativo al termine in questione. Se già dai tempi di Platone ereditiamo la gerarchica dicotomia tra il sensibile e il soprasensibile, è inevitabile ricordarsi di Cartesio che distingue in maniera forte tra res cogitans e res extensa (meccanica e senza intelligenza) e del cristianesimo, influenzato dalla mistica e dal neoplatonismo, che ridefinisce questa passività assegnandole una connotazione morale negativa-peccaminosa. Come si può definire quali sono davvero i limiti fra il corpo sessuato e la coscienza-anima? Non solo esprimiamo fenomeni della nostra soggettività in termini di un’esperienza corporea di movimento fisico, ma i fenomeni psichici sono legati a quelli fisici (anche le malattie che colpiscono gli organi hanno una componente psichica). Dov’è il limite del corporeo? Nella pelle? Nel cervello? È un errore considerare i margini corporei come isolati da tutti gli altri: le frontiere si stabiliscono culturalmente.

Il corpo umano come simbolo del corpo sociale Non è da trascurarsi l’origine antropologica-culturale della categoria di “corpo”. I corpi degli individui diventano simboli del corpo sociale: si stabiliscono alcuni contorni e dato che sono aperti (vagina, bocca, narici…) si naturalizzano alcuni tabù, vedendo in questi orifizi il rischio di minacce esterne, potenziali pericoli che vengono dal di fuori e possono entrare nel corpo sociale. Alcuni saggi di Marìa-Milagros Rivera pongono in luce come fu soprattutto il corpo delle donne a veicolare questi significati simbolici. La storica svolge la sua analisi sulle culture islamica, cristiana ed ebraica che “convivevano” in Spagna fra il X e il XIII secolo. Il corpo femminile è immagine del corpo sociale, ovvero un corpo violabile la cui protezione è legata al mantenimento dell’identità politico-culturale della società cui appartiene. Il gruppo di uomini sotto il controllo dei quali si trovano normalmente le donne si preoccuperà di evitare che vi sia qualsiasi contatto tra di esse e gli uomini di un’altra cultura. I rapporti sessuali fra donne e uomini di culture diverse sono pesantemente sanzionati 20 .

20

Cfr. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El cuerpo indispensable. Significados del cuerpo de mujer, horas y

HORAS la editorial, segunda edición, Madrid 2001, pp.24-26.

16

Maschio o femmina? La stessa certezza che possediamo sulla duplicità dei corpi si sfalda: pensiamo al fatto che in passato vigeva una visione meno rigida della separazione (il che dimostra il suo essere relativa e storica, quindi soggetta ad alterazione), ed inoltre che si potrebbe, a rigore, essere classificati come maschi secondo la morfologia genitale esterna e femmine secondo la mescola ormonale secreta 21 . Maschio e femmina sono due poli ideali. Thomas Laqueur, 22 studiando la letteratura medica dai Greci al XVIII secolo, ci insegna ad esempio come da una visione “ad un solo sesso” si passa nel ‘700 ad una visione “bisessuale”. Prima, il corpo femminile era solo una versione inferiore del corpo maschile: erano differenze di grado e non tipologiche (ad esempio gli organi femminili erano considerati organi maschili meno sviluppati). La distinzione comparirà dopo anche a livello linguistico: un organo centrale come la vagina non possedeva un nome specifico. La dicotomia e polarizzazione sessuale è uno degli sforzi più intensi e persistenti che la società si incarica di esercitare, sotto ogni forma e in ogni momento, sia consapevolmente che non, “quasi che avvertisse, oscuramente, la fragilità della diversificazione e che ne temesse fortemente l'ambiguità” 23 .

L’orientamento sessuale L’esistenza di gay, lesbiche e travestiti, ci porta a ridiscutere perfino una fra le caratteristiche più “naturali” dei corpi sessuati: l’eterosessualità. Il sesso non è di per sé condizione sufficiente nemmeno a condizionare in modo preciso (binario) l’orientamento sessuale funzionale alla riproduzione (che pure non puó prescindere da esso); l’eterossessualità è un mito 24 . In generale nessuna delle pratiche e delle tendenze sessuali rientra serenamente nell’ambito del “naturale”. Nelle società si premiano e promuovono determinate attività per mezzo di un sistema coercitivo sia morale (il sesso buono), che legale (alcuni comportamenti innocui vengono presentati come minacciosi per la salute pubblica, la famiglia e la civiltà) per via del quale non si puó scegliere liberamente, a meno che non si voglia essere eroici o ci si rassegni all’emarginazione. La gerarchia attuale (secondo Gayle Rubin, 1985), dal tipo di sessualità più apprezzato, 21

Vd. ROBERTO SABATINI, L’identità sessuale, in L'astuzia del desiderio, Ed. Editoroma, Roma 1994, pp. 8, 24.

22

THOMAS LAQUEUR, L'identità sessuale dai greci a Freud, Laterza, Roma 1992.

23

Vd. ROBERTO SABATINI, L’identità sessuale, in L'astuzia del desiderio, Ed. Editoroma, Roma 1994, p.4.

24

Cfr. OSCAR GUASCH, El mito de la heterosexualidad in La crisis de la heterosexualidad, Ed. Laertes,

Barcelona 2000.

17 normale, sano e santo (!) a quello meno stimato, considerato perfino anormale e peccaminoso prevede cinque livelli: 1.

sessualità coniugale riproduttiva monogama

2.

coppie eterosessuali non sposate

3.

eterosessuali promiscui

4.

gay e lesbiche

5.

lavoratori/trici del sesso

Nuove prospettive di analisi La potenza ermeneutica pressoché inesauribile della categoria di “genere” si manifesta in due direzioni: potremmo individuare una sorta di pars construens e di pars destruens. La nozione si utilizza costruttivamente

dal momento che si delineano nuovi temi

di

interesse, ovvero si promuove lo sviluppo di veri e propri rami di studio, raffinando ed approfondendo l’analisi di alcune tematiche, come la storia degli oppressi, e le distinzioni fra sessualità, identità sessuale, identità generica, identità di ruolo sessuale, identità di ruolo di genere (che si fanno più sottili). Nasce la possibilità di un diverso sguardo generale con valore “retroattivo”. Difatti il genere non è una semplice addizione di dati, è una nuova prospettiva applicabile ai dati nel loro complesso. La novità della prospettiva epistemologica è data dal fatto che ci si abitua a vedere la realtà sociale come doppia, sessuata: ci rende consapevoli che in ogni azione sono continuamente sottese concezioni del maschile e del femminile. È un parametro decisivo nell’analisi economica e sociale, “complementare” e non “in competizione con” variabili quali classe, occupazione, proprietà ecc. Ci dà maggiori possibilità interpretative: “ogni storico, qualunque sia il suo campo specifico, dovrebbe prendere in considerazione le implicazioni del sesso non meno di quelle delle classi sociali” 25 . Analizzare la struttura della realtà storica e sociale a partire dall’individuazione di un fattore quale l’appartenenza al genere femminile o maschile ci mostra numerose dinamiche altrimenti difficilmente indagabili. Prestando una maggiore attenzione al genere, si porrà in rilievo tutto un tessuto di pratiche e di logiche con una loro coerenza interna: l’apparente frammentarietà di aspetti di per sé variegati, prima non nominati né riconosciuti come rilevanti, trova sintesi. Grazie all’uso di questa categoria scopriamo inoltre la parzialità di certi resoconti che pretendevano di essere universali (c’è sempre un “subtexto génerico implìcito”). 25

Vd. La storia di un concetto e di un dibattito in Genere. La costruzione sociale del femminile e del maschile,

a cura di Simonetta Piccone Stella e Chiara Saraceno, Il Mulino, Bologna 1996.

18 Il lato più innovativo del concetto è quello che si esprime quando lo si usa “decostruttivamente”:

esso

ci

aiuta

a

mettere

in

discussione

le

costruzioni

precedentemente considerate normali, ovvero a sfidare l’atteggiamento naturale, che viene posto in crisi: il sesso non determina un’identità generica che a sua volta ordinerebbe certi ruoli generici. Non si tratta (solo) di colmare un’assenza, ma di riesaminare criticamente l’insieme (lo sguardo si estende ed arricchisce). In questo secondo aspetto notiamo la carica trasformatrice del concetto.

19

CAPITOLO 2 REALISMO E NOMINALISMO: I NEMICI TEORICI (E PRATICI) DEL FEMMINISMO Le varie posizioni rispetto al tema del “genere” si possono classificare come “realiste” e “nominaliste”; in entrambi i casi i propositi che le animano possono essere sia femministi che antifemministi 26 . L’annoso problema degli universali si può declinare al caso della riflessione femminista e tradurre perció nella domanda: qual è il fondamento –riferimento, Bedeutung- dei concetti “maschile” e “femminile”? 27

Realismo antifemminista Per i realisti antifemministi “femminile” e “maschile” sono essenze, hanno un fondamento in re. Una prospettiva filosofica di questo tipo sorreggerebbe la posizione “reazionaria” di chi pensa che la differenza fra uomini e donne si stia “pericolosamente” affievolendo, e l’emancipazione femminile rappresenti un processo contro Natura che porterà solo a paradossi e disgrazie per le stesse donne. Per scoprire la trappola mentale tesa dietro tale pregiudizio dovremmo discutere se effettivamente si dia il caso di una Natura femminile (per poterla salvaguardare), e comunque se - nell’intento di proteggere la purezza di un’essenza - non si celi la sgradevole eventualità (quando non la cosciente volontà) di riconfermare un ordine simbolico, logico, economico, politico, sociale che ha a lungo danneggiato e asfissiato le donne: il patriarcato. Addobbandolo dell’ideologia della complementarietà, i realisti giustificano - praticamente - il Sistema, dove duplicità e gerarchia si intrecciano quasi indissolubilmente.

26

Vd CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp. 73-85. 27

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.52.

20

Obiezioni al realismo Dichiariamo con una buona dose di sicurezza che “femminile” e “maschile” non sono “naturali”, bensì notevolmente “artificiali.” Solo una perfetta insensibilità alle variazioni storiche e sociali che hanno coinvolto questi contenuti potrebbe scusare una posizione contraria. Gli stessi uomini hanno scoperto e praticato attività per secoli delegate e imposte alle donne, (la cura dei figli, della casa, del cibo, per esempio), e se ne sono appropriati senza per questo veder intaccata alcuna essenza 28 . Allo stesso modo le donne reali non esemplificano più l’essenza femminile, nei termini in cui era previsto che lo facessero. La variabilità in sé dimostra l’elevato grado di malleabilità (quando non vaporosità) delle presunte due nature. Esistono le prove empiriche del fatto che il “genere” muta; il senso (Sinn) di “femminile” e “maschile” è soggetto ad alterazione. Non esiste una corrispondenza necessaria né alcuna consequenzialità logica che leghi gli individui coi loro corpi sessuati (al di là della maggiore o minore “integrità/scomponibilità” dei corpi sessuati stessi) al “genere” che viene ad essi attribuito. Le differenze donne-uomini non possono, per via di tutte queste ragioni, considerarsi sempiterne e si suffraga invece la tesi per cui l’attribuzione di caratteristiche generiche essenziali al fatto di appartenere ad un sesso è preponderantemente abusiva. Uno dei pericoli da schivare è proprio il pigro e ottuso ragionare di chi, accentuando al contrario la staticità di vari aspetti di “femminile” e “maschile”, giunga a conclusioni di tipo essenzialista. Un esempio fra tutti potrebbe essere il seguente: “le donne si sono sempre (?) prese cura in maniera esclusiva della prole; ergo, fa parte della loro più intima natura occuparsene”. Ancora peggiore la prospettiva di chi deduce dalla portata pressoché universale del dato oggettivo per cui le donne si trovano in posizione subalterna rispetto agli uomini, l’ineluttabilità del fatto stesso. Sia la distribuzione iniqua che la dominazione sono condannabili e modificabili. L’indebito passaggio dall’essere al dover essere è additata come operazione ideologica da Amelia Valcárcel 29 , ed è in ogni caso contestabile anche secondo il punto di vista di un antropologo come Marvin Harris, perfettamente consapevole dello scarto intercorrente fra la transculturalità di quelle che egli ritiene siano state le pre-condizioni sufficienti a giustificare “il complesso di supremazia maschile” e la necessità che quest’ultimo si 28

Vd. ROBERTO SABATINI, L’identità sessuale, in L'astuzia del desiderio, Ed. Editoroma, Roma 1994, p.21.

29

Vd. AMELIA VALCÁRCEL, Sexo y filosofìa. Sobre “mujer” y “poder”, Anthropos Biblioteca A, Barcelona 1994,

p.130.

21 sviluppi. Quand’anche ci siano criteri comuni di distinzione uomo-donna, essi non vanno letti come effetto della presenza di costanti in Natura. Queste costruzioni non rappresentano in nessun caso l’espressione diretta del fatto biologico. È vero che nelle varie culture esiste una distinzione m/f e la maggior parte di esse attribuisce questa distinzione ad un certo tipo di differenza corporea 30 , ma porre in diretta corrispondenza corpo e costruzioni culturali, per cui ció che è transculturale risulterebbe fondato-legittimato dalla biologia (quindi naturale e vero) implica un salto illegittimo. Partire dal corpo per giustificare generalizzazioni sulle donne (e sugli uomini) è “fondamentalismo biologico”. Il passo falso sta nell’affermare che il possesso di un certo corpo fa sì che certi individui siano etichettati come “donne” ed altri come “uomini” e che questa classificazione connetta alcune caratteristiche comuni con alcuni effetti comuni. Possedere un corpo sessuato femminile non è abbastanza per giustificare l’immediato assorbimento entro i confini del recinto “donna”, così come questi ultimi erano stati tracciati.

Dialogo Natura-Cultura In ogni caso, anche se riconoscessimo che qualcosa dell’essere donna, uomo o ermafrodita dipende dai geni, sapremmo che nascere maschio o femmina non è di per sé un destino. Il dato biologico riceve il suo significato grande o piccolo a partire dalla Cultura che lo accoglie. Essa gli dà forma, indirizzandolo verso certi esiti e vestendolo di simboli, qualità e difetti. Etologia e sociobiologia non vanno quindi ignorate, ma non si concede credito a chi dice “non siamo altro che..”: conoscere la Natura, infatti, non significa adeguarci ad essa. In ogni caso l’ago pende verso la Cultura: non nel senso di togliere ogni valore al dato, quanto piuttosto nel senso di una “premurosa” diffidenza verso l’accettazione passiva di quest’ultimo e dell’incessante ed ottimistica fiducia riposta nel potere della prima di modificarlo. La stessa idea attuale di scienza ci induce a rapportarci alla biologia in modo più flessibile: il DNA è una componente “naturale” ma non per questo immutabile 31 del nostro essere. Il patrimonio genetico (anche quando non si interferisca direttamente su di esso) è in dinamico rapporto con l’ambiente. Non c’è alcuna fatalità senza scampo. 30

Tuttavia c’è variabilità nel modo di leggere il corpo, come dimostra il caso dei berdache, dove l’identità è legata alle forze dello spirito ed un soggetto con genitali maschili puó essere considerato metà femmina e metà maschio. 31 Vd. MIRIAM M. JOHNSON, Madri forti, mogli deboli, Il Mulino, Bologna 1995, p.140.

22 Anche se si volesse fondare in Natura la distinzione donne/uomini, esiste la Ragion Pratica per andare oltre essa 32 . La pensatrice Amelia Valcàrcel ci illustra in che modo un approccio rigido alla dicotomia Natura-Cultura sia limitante e ci conduca inesorabilmente a punti morti. Se l’oppressione fosse naturale si tratterebbe di una lotta contro Natura; se fosse dovuta soltanto a regole interessate

che

generano

disuguaglianza,

alla

base

vi

è

stata

un’uguaglianza

giusnaturalistica ed in tempi remoti una qualche “confabulación” la intaccó (questo implicherebbe l’ipotesi di una protostoria - il prepatriarcato). L’uguaglianza è in Natura e non viene riconosciuta dalla Norma o è la Norma a creare quest’uguaglianza? Cos’è Natura e cosa Convenzione? 33 La Cultura è un canale di alterazione ed il nostro successo come specie dipende in parte dal fatto che “maltrattiamo” la nostra Natura 34 .

Realismo femminista Per le realiste femministe “lo femenino” si riferisce ad un’entità forte e non semplicemente ad un insieme di individui di sesso femminile. Benché queste vagheggino una complementarietà senza gerarchia e/o il separatismo, l’unica l’antifemminismo

tradizionale

è

che

danno

valore

positivo

vera differenza con all’essenza

finora

“subordinata”. Spesso si insiste sulla maggiore vicinanza alla natura, l’amore per i figli, il pacifismo, le capacità relazionali. Esaltare il lato positivo di certe doti femminili, tuttavia, significa ribadire e cristallizzare le qualità femminili da sempre attribuite alle donne. Siamo certe che tutte le donne in quanto tali dispongano dello stesso bagaglio di capacità e qualità 35 ? E quand’anche certi caratteri siano ricorrenti, cosa ci assicura che siano tratti e valori autenticamente “nostri” e non imposti ed accettati? Tralasciando di rispondere a questi interrogativi finiremo per scrivere un catalogo di virtù che competono all’essere donna piuttosto che convertire le donne, differenziate ed 32

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.76. 33

Vd. AMELIA VALCÁRCEL, Sexo y filosofìa. Sobre “mujer” y “poder”, Anthropos Biblioteca A, Barcelona 1994,

p.70. 34

Vd. AMELIA VALCÁRCEL, Sexo y filosofìa. Sobre “mujer” y “poder”, Anthropos Biblioteca A, Barcelona 1994,

pp.61 e 94. 35

Vd. La storia di un concetto e di un dibattito in Genere. La costruzione sociale del femminile e del maschile,

a cura di Simonetta Piccone Stella e Chiara Saraceno, ed. Il Mulino, 1996 Bologna.

23 uniche, in individue 36 . Bisognerebbe invece restare autocritiche, facendo attenzione a non configurare una nuova femminilità normativa. Questo folto gruppo di femministe si discosta dalla terminologia di cui facevamo menzione finora, a favore del concetto di “differenza” (“la differenza femminile”, che ovviamente implica come controparte “la differenza maschile”). Le cosiddette “pensatrici della differenza”, tutt’altro che imbarazzate o tormentate dalla difficoltà di tracciare la sdrucciolevole linea di confine fra Natura e Cultura, si schierano energicamente a favore di un superamento dell’opposizione binaria (sesso-genere), motivate dal desiderio di spostare la questione su un altro piano, quello ontologico. Valgono molte delle stesse critiche fatte all’altro essenzialismo. Il concetto di “differenza” è di per sè stesso ambiguo. Dove sta la “differenza”? È anatomica e fisiologica o anche sociale e mentale? Da dove deriva? Dagli ormoni o dalla dominazione patriarcale? Se Adriana Cavarero ritiene che nella differenza sessuale la componente biologica e quella culturale, (morfologia corporea e immaginario, sex e gender) siano fuse, inscindibili 37 , Luisa Muraro rigetta la scissione richiamandosi ad uno dei capisaldi del suo pensiero: la madre ci dà corpo e linguaggio ed

il significato non puó perció essere scisso dalla

materialità, che la creatura riceve in dono simultaneamente. Irigaray dice soltanto che è naturale (implica diversi modi di sentire, parlare, pensare). Va accettata e da lì occorre partire 38 ; anzi, di più, va preservata 39 . Wanda Tommasi ci invita a notare che “differenza” e “gender” non possono coincidere perché la prima si esperisce dall’interno, è un partire da sé, ha a che fare con la propria esperienza di sé e del mondo: la differenza è il senso che si dà al proprio esser donna 40 . Le pretese metafisico-ontologiche si fanno più esplicite quando la studiosa sostiene che “la 36

Vd. LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos encubiertos y esencialismos heredados : desde

un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p.113. 37

Vd. ADRIANA CAVARERO, Il pensiero femminista. Un approccio teoretico, in FRANCO RESTAINO e ADRIANA

CAVARERO, Le filosofie femministe, Paraviascriptorium, Torino 1999, p.111-112. 38

Vd. LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos encubiertos y esencialismos heredados : desde

un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, pp.91-92. Questa concezione si ritrova nell’opera di Luce Irigaray del 1992, J’aime a toi (Amo a te: verso una felicità nella storia, trad. di Pinuccia Coalizzano, Bollati Boringhieri, Torino 1993). 39

Vd. LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos encubiertos y esencialismos heredados : desde

un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, pp.70-71. Un altro testo centrale della pensatrice francese sul quale ci si sofferma è Éthique de la différence sexuelle del 1984 (Etica della differenza sessuale, trad. di Luisa Muraro e Antonella Leoni, Feltrinelli, Milano 1985). 40

Vd. WANDA TOMMASI, I filosofi e le donne. La differenza sessuale nella storia della filosofia, Tre Lune

Edizioni, Mantova 2001, pp.28-29.

24 differenza femminile” non si esaurisce nella dimensione fisiologica né in quella sociale: c’è “un di più” 41 . Quali sono i criteri per determinare quale sia l’identità femminile? Da dove raccogliere questa essenza che ci fa distinte? Se si pretende che l’identità femminile per il suo carattere quasi-ontologico sfugga alle regole generali di formazione delle identità, si dovrà ammettere che deriva in un modo o nell’altro dalla biologia: sarà arduo, poi, sfuggire all’accusa di essenzialismo 42 . Per varie ragioni si considera questo approccio errato e pernicioso, piuttosto che utile. Come nell’antifemminismo tradizionale, si assumono determinate caratteristiche come proprie del “femminile”, sottolineando talvolta la radice biologica, altre quella socioculturale di un modo specificamente “femminile” di sperimentare il mondo, e si ricade nell’essenzialismo. Talvolta le stesse pensatrici della differenza propongono che gli uomini si femminilizzino. In questo caso il voler proporre l’universalizzazione della differenza valorizzata come buona fa sì che da una posizione realista si scivoli paradossalmente nel nominalismo: se “il femminile” ed “il maschile” sono assumibili da chiunque al di là del sesso, non esiste un’essenza delle donne in quanto tali né una natura maschile propria degli uomini. Dire una volta per tutte cosa significhi “donna” o “uomo” significa bloccare un processo in divenire, di cui le singole ed i singoli dovrebbero farsi protagoniste/i. Nel processo di costruzione di sé non si puó sacrificare l’individuo al genere ed il genere allo stereotipo. L’idea di un’essenza “femminile” (o “maschile”) spegne gli slanci individuali ed induce al separatismo: le donne non sono tutte identiche fra di loro ed è auspicabile che ci si impegni piuttosto nella costruzione di un mondo più unitario (al quale chiunque cooperi).

Nominalismo antifemminista Agli antipodi, i nominalisti antifemministi rigettano come insignificante la questione del genere. “Femminile” e “maschile” sono puri nomi: esistono solo individui ed i caratteri comuni che derivano dall’appartenenza ad un determinato sesso non hanno rilevanza ontologica, né sociale, né culturale. È perciò indifferente chi svolge incarichi di responsabilità, posizioni di prestigio ecc. Questa posizione filosofica è del tutto congeniale e conforme al luogo comune - “politically

41

Vd. WANDA TOMMASI, I filosofi e le donne. La differenza sessuale nella storia della filosofia, Tre Lune

Edizioni, Mantova 2001, p.11. 42

Vd. LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos encubiertos y esencialismos heredados : desde

un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, pp. 106107.

25 correct” - secondo il quale nascere uomo o donna è un caso del tutto irrilevante, incapace di alterare in qualche modo quella che di norma costituisce la gamma di possibilità di realizzazione esistenziale di ciascun@, perché siamo tutte/i “persone”. Da cosa dipende quest’abbaglio? Una candida ignoranza? Cinismo? Nel migliore dei casi si pecca di immaginazione. La proposizione che nega il legame intercorrente tra la sessualità femminile ed un limite oggettivo alle possibilità esistenziali è vera - infatti - se la assumiamo come ideale. Questo nesso (femminile-subordinazione) è storico e non logico. Un mondo dove le conseguenze del sesso fossero le medesime per entrambi, sarebbe un mondo di uguaglianza e libertà, perché entrambi i sessi potrebbero ridefinire culturalmente ed eticamente le conseguenze del sesso nel modo che stimassero più adeguato ai propri progetti come esseri umani. Già le donne del Manifesto di Rivolta Demau riconoscevano questa necessità: “quando le conseguenze di una diversità, dualità di sessi, saranno valutate ed equamente sopportate da entrambi gli interessati, allora basandosi su se stessa, così liberata, la donna potrà scoprire in sé e per sé una vera, giusta trascendenza” 43 . Ció cui si vorrebbe arrivare è appunto una società dove a nessun@ sia precluso - in ragione del sesso - l’accesso a molteplici ed eguali opportunità di realizzazione (se è avvenuto e tutt’oggi avviene, non succede perché è inevitabile che accada). Il punto d’arrivo è un mondo dove la sessualità non conti, o meglio conti allo stesso modo per tutte/i: se la sessualità ha peso, che ne abbia uno equivalente per le donne e per gli uomini. Tuttavia le cose non vanno ancora in questo modo e studiare le implicazioni del “genere” continua ad essere utile.

Obiezioni al nominalismo Il generico “le donne” non è innocente-innocuo: a seconda degli interessi compare o scompare. Vediamo fra i titoli “le donne entrano nei pompieri” quando concretamente si tratta di due persone ma raramente “le donne sono maltrattate” mentre si tratta di un numero assai più ingente di individue 44 . Una prospettiva di genere mostra d’altro lato quanto il finto universalismo sia radicato e radicale: intacca le stesse costituzioni, gli stessi

43

Vd. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Seller, Torino 1987, pp.

27 e seguenti. 44

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.225.

26 “diritti umani” 45 . La differenza sessuale non conta solo a livello di identità personale, ma è proprio un apriori relazionale 46 che genera “effetti collaterali” su ogni fronte. “Nei termini della formazione della personalità, l'identità di genere è una delle prime, potenti, pervasive, costanti pressioni che si esercitano sul nascituro: egli è, prima di tutto, anche prima di ricevere un nome e di essere ombelicalmente separato dalla madre, o maschio o femmina, e poi tutto il resto” 47 In primo luogo e prima ancora di aver sviluppato un sia pur rudimentale linguaggio, la persona fa esperienza del genere sessuale. La differenza sessuale non è come le altre differenze: si dà fra due che non hanno identità senza questa differenza; essa ci identifica e fa differire allo stesso tempo 48 . Anche John Tosh, a proposito degli uomini, sottolinea che la mascolinità è qualcosa di più di una costruzione sociale: è un’identità soggettiva, la più profondamente vissuta 49 . Secondo Miriam M. Johnson 50 le emozioni che uomini e donne provano nei propri riguardi e reciprocamente sono profonde: è questa l’evidenza empirica del fatto che sono in gioco questioni intime, problemi emotivi “quasi viscerali”. C’è un interesse a stabilire “la vera identità”: la consueta domanda “è maschio o femmina?” non è mossa da una curiosità superficiale 51 , dato che è a partire da tale diversificazione biologica primaria (dal momento stesso in cui si stabilisce se il nascituro è una bimba od un bimbo) che si dipana il processo di formazione del genere. Il dato fisiologico si converte immediatamente in un abbozzo di destino (uno fra i due pre-

45

Cfr. The Gender of Constitutional Jurisprudence, edited by B. Baines and R. Rubio-Marin, Cambridge

University Press, 2005 e SUSANNE BAER, Citizenship in Europe and the Construction of Gender by Law in The European Charter of Fundamental Rights in Gender and Human Rights edited by Karen Knopp, Oxford University Press 2004. 46

Vd. ROBERTO SABATINI, L’identità sessuale, in L'astuzia del desiderio, Ed. Editoroma, Roma 1994, p.22 : “il

conoscere la vera identità di genere dell'altro, chiama in causa la propria e fa scattare reazioni e posizioni prioritarie che precedono la nostra coscienza e volontà: il nostro comportamento è fortemente e ancestralmente influenzato dall'identità di genere del nostro interlocutore, un vero a priori relazionale”. 47

Vd. ROBERTO SABATINI, L’identità sessuale, in L'astuzia del desiderio, Ed. Editoroma, Roma 1994, pp 5-6.

48

Vd. LUISA MURARO, Màs allà de la igualdad, in LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos

encubiertos y esencialismos heredados : desde un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p.125. 49

Vd. JOHN TOSH, Come dovrebbero affrontare la mascolinità gli storici? in Genere. La costruzione sociale del

femminile e del maschile, a cura di Simonetta Piccone Stella e Chiara Saraceno, ed. Il Mulino, 1996 Bologna 50

Vd. MIRIAM M. JOHNSON, Madri forti, mogli deboli, Il Mulino, Bologna 1995, pp.113 e 125.

51

Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, La diferencia sexual en la historia, Universitat de València 2005,

p.14.

27 esistenti 52 ); a partire dalla configurazione corporea si proiettano sulla creatura una serie piuttosto precisa di aspettative. È forse il primo bivio del nostro cammino esistenziale, dove tuttavia subiamo passivamente la scelta. Sono gli altri ad avviarci verso una delle due strade e a pretendere che la rispettiamo in tutte le sue tappe: non sono gradite esitazioni durante il percorso, né il girovagare, né il saltare “dall’altra parte”. Le femministe sono coloro che trasformano questo medesimo sentiero, a tratti troppo arduo da praticare, minato nei luoghi inesplorati, colmo di vicoli ciechi nelle aree più battute: spianano le zone più selvagge, disinnescano trappole, aprono nuovi varchi.

Mascolinità e dominio Tuttavia non basta capire che il genere ha una sua influenza sulla vita di tutti gli esseri umani: bisogna contemporaneamente riconoscere il sistema di dominazione che vi si accompagna. Rimettere in discussione i ruoli di genere implica una rivoluzione per donne e uomini

53

ed uno dei meriti di questa rivoluzione è quello di non essere violenta: “La

pratica del movimento delle donne non ha proposto un conflitto distruttivo, di distruggere i maschi. Ha tentato un conflitto relazionale, cioè di modificare la relazione” 54 . Se gli uomini perderanno privilegi di potere, le donne – ridiscutendo se stesse - dovranno rinunciare ad altre comodità, come quelle derivanti dal fatto che la società “pretendeva poco” da loro 55 : si spiega in questo modo la resistenza di molti uomini, e la pigrizia di alcune donne. É vero infatti che anche gli uomini “subiscono” il genere e possono (dovrebbero?) ridiscuterlo a loro volta; non per questo però si tratta di un percorso simmetrico 56 , dato che la società gli ha storicamente assegnato un ruolo dominante. In un bilancio complessivo sono sempre stati “il sesso vincente”, per via del fatto che si è dato loro un

52

Perché sono due quelli generalmente accettati.

53

Cfr. NURIA VARELA, La masculinidad. ¿Y los hombres què? , in NURIA VARELA, Feminismo para principiantes,

Ediciones B, Barcelona 2005, pp. 317-333. 54

Vd.

CLARA

JOURDAN,

Quel

che

di

nuovo

c'è

nel

conflitto

in

Kosovo

in

http://freeweb.supereva.com/balena.freeweb/clara01.html 55

Vd. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Seller, Torino 1987,

p.160. Con la subordinazione c’è l’irresponsabilità. Il vantaggio era che la società tollerasse facilmente la mediocrità delle prestazioni femminili. La società non pretende che le donne diano il meglio di sé; ovviamente tutto cambia se una avanza pretese (le misure si fanno più rigorose). 56

Cfr. NURIA VARELA, La masculinidad. ¿Y los hombres què? in NURIA VARELA, Feminismo para principiantes,

Ediciones B, Barcelona 2005, pp.317-320.

28 ampio spettro di opportunità di realizzazione (non sono stati mai visti come esseri in funzione dell’altro, o meglio, altra) e segno positivo a tutte le loro attività 57 . Negli uomini il senso di appartenenza al gruppo si basa sul non-essere-x (x = donna); quest’ultimo è visceralmente legato al senso di identità dei singoli 58 . Le raffinate pagine che Celia Amorós dedica al tema confermano l’idea di un connubio antichissimo fra mascolinità e dominio sulle donne. Le femministe che svolgono un’indagine di tipo psicanalitico sostengono che il dominio maschile è tutt’altro che superficiale perché è radicato nel nostro modo di capire cosa significhi essere donna o essere uomo: esisterebbe perció un nesso profondo fra il senso di questi termini e la gerarchia fra di essi. Il rapporto di dominio non sarebbe quindi un tratto “accidentale” della loro definizione reciproca, ma “essenziale” 59 . È indubitabile in ogni caso che uno dei più delicati passaggi sia proprio quello di concepire le due identità di genere de-gerarchizzate. L’esercizio del potere sulle donne come componente dell’identità maschile è confermata dagli studi dello storico John Tosh 60 . Egli sostiene infatti che esista una “mascolinità egemonica” in grado di creare distinzioni socialmente paralizzanti, mantenute intenzionalmente nonché legittimate a livello culturale; distinzioni operanti anche fra diverse categorie di uomini (le altre mascolinità sono subordinate, colpevoli di svilire il patriarcato). In particolare tale mascolinità si sente minacciata dagli scapoli, dai gay e dalla “Donna Nuova” (a conferma del fatto che si fonda più sul potere patriarcale che sull’ordine di una particolare classe). Questo modello si centra sull’eterosessualità esclusiva, la doppia morale, il lavoro retribuito (come diritto maschile per nascita) e denota tutte quelle espressioni di mascolinità la cui funzione è rafforzare il potere sulla donna nella società in generale. L’idea del dislivello “naturale” è così radicata che tendiamo in certa misura a reiterarla anche quando definiamo il matrimonio “ideale” : il buon matrimonio è quello in cui “il marito è superiore alla moglie per età, altezza, forza, giudizio, capacità di guadagno e 57

Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El cuerpo indispensable. Significados del cuerpo de mujer, horas y

HORAS la editorial, segunda edición, Madrid 2001, p.39. Si cita Margaret Mead: “qualsiasi cosa facciano gli uomini appare dotato di maggior valore”. 58

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.120, 128 etc. 59

Questa prospettiva psicoanalitica, che secondo l’autrice ha il pregio di tenere in considerazione l’inconscio e

il non razionale, riuscendo a spiegare la relativa intrattabilità di certi atteggiamenti senza tuttavia pretendere che abbiano radici biologiche (immodificabili), possiede in realtà il grosso rischio di inibire ogni desiderio di “riforma”. Se il dominio e il privilegio maschili sono tanto pervasivi quanto sedimentati, gli aspetti inaccettabili del sistema sesso-genere sembrano di conseguenza inamovibili. 60

Vd. JOHN TOSH, Come dovrebbero affrontare la mascolinità gli storici in Genere. La costruzione sociale del

femminile e del maschile, a cura di Simonetta Piccone Stella e Chiara Saraceno, Il Mulino, Bologna 1996.

29 status pubblico. Se il marito non è tutto questo, allora diciamo che la sua mascolinità è minacciata e che la sua compagna non è “femminile”. La superiorità della moglie, praticamente sotto qualsiasi aspetto, è contraria all’implicita regola che i rapporti eterosessuali adulti debbano essere dominati dall’uomo” 61 . Dovremmo concepire donna e uomo come due generi “alla pari”; non ci sono un sesso debole ed uno forte. Come diceva Teresa Claramunt: “en el orden moral, la fuerza se mide por el desarollo intelectual, no por la fuerza de los puňos. Siendo asì, ¿por què se ha de continuar llàmandonos sexo débil?” 62 . Non ci si vuole più riconoscere nel modello della debolezza, per quanto questa possa continuare ad essere vera a livello muscolare. La femminilità non deve associarsi ad essa, così come sarebbe opportuno reinventare un modello di mascolinità che non preveda la centralità del possesso ed uso della forza. Dall’analisi che fa Nuria Varela notiamo come questo modello arcaico di virilità sia dannoso per gli stessi uomini, dato che si concretizza in condotte a rischio 63 .

Nominalismo femminista estremo Esiste a mio avviso anche un nominalismo femminista estremo 64 : è quello di chi vuole scomporre il sesso ed il genere fino a perdere la base materiale stessa della distinzione. Se il genere ed il sesso fossero del tutto “smontabili” diventerebbero categorie inutilizzabili e ció andrebbe contro le esigenze delle donne. Una pratica puramente negativa non permette di fare leva su alcun punto fermo per l’azione politica e la trasformazione collettiva. 65

61

Vd. MIRIAM M. JOHNSON, Madri forti, mogli deboli, Il Mulino, Bologna 1995, p.56.

62

Vd. NURIA VARELA, Feminismo en Espaňa. De la clandestinidad al gobierno paritario, in NURIA VARELA,

Feminismo para principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005, p.139. “La forza nell’ordine morale si misura sulla base dello sviluppo intellettuale e non della forza dei pugni. Se le cose stanno così, perché si deve continuare a chiamarci “sesso debole”? 63

Vd. NURIA VARELA, La masculinidad. ¿Y los hombres què?, in NURIA VARELA, Feminismo para principiantes,

Ediciones B, Barcelona 2005, pp. 317 e seguenti. 64

Cfr. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.73-85. Pur seguendo la struttura più generale del discorso, si sono notevolmente estese le argomentazioni ed aggiunta questa ulteriore distinzione (non presente in Celia Amoròs). 65

Cfr. La storia di un concetto e di un dibattito in Genere. La costruzione sociale del femminile e del

maschile, a cura di Simonetta Piccone Stella e Chiara Saraceno, ed. Il Mulino, Bologna 1996.

30

Una soluzione: il nominalismo femminista moderato Un nominalismo moderato 66 è per questo la piattaforma filosofica ideale a legittimare il cambiamento delle donne che non desiderano più identificarsi in ció che finora ha significato “donna”. Celia Amorós scrive: “vemos a Guillermina,a Roscelina, a Eloìsa y a Aberlarda, pero no la feminidad. No ostante, afirmamos a la vez

que esiste un sistema de dominación

masculino-patriarcal, o androcéntrico si se prefiere, que eticamente debemos luchar contra èl porque es injusto y que carece de soporte ontológico esencial” 67 . È come dire “yo no creo en las brujas, pero haberlas, haylas”. Possiamo aspirare ad una società di individui come ideale etico ma non possiamo descriverla così. I generici si riferiscono a qualcosa che ha un’efficacia pratica, reale e simbolica, quindi un qualche tipo di entità: essere nominaliste moderate significa farsi carico di questo tipo peculiare di entità. Resta il problema di rendere conto del correlato extralinguistico di questi termini (non è un’essenza né un mero nome). 68

66

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.82. 67

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.113. 68

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.49-50. Per capire la formazione del gruppo di genere-sesso AMORÓS si appoggia alla teoria sartriana dei “conjuntos practicos” (in quel caso si tentava di esplicare lo statuto delle classi sociali).Il punto di partenza sono gli individui: i collettivi hanno un’esistenza derivata.

31

CAPITOLO 3 IL PATRIARCATO Il genere descrive

- come abbiamo visto -

una qualche realtà effettiva, benchè non

essenziale; resta da spiegare il perché l’oscillazione di questa variabile sia così ridotta rispetto a notevoli invarianti rinvenute. In particolare, cosa fa sì che nel rapporto fra i generi si conservi un fermo dislivello? L’oppressione del gruppo donne non ha una data storica di inizio: si perde nelle origini dell’umanità 69 . Un’altra categoria chiave del dibattito femminista è quella di “patriarcato”. Molte pagine sono state scritte a proposito di esso, le sue radici e le sue modalità di funzionamento. Nel patriarcato rientra il sistema sesso-genere con tutte le costruzioni ideologiche e culturali che, a partire dall’appartenenza ad un sesso determinato, ridefiniscono la differenza sessuale aggiudicandole connotazioni sociali precise, e per di più gerarchiche. Il suo modo principe di operare è attraverso l’assegnazione degli spazi (“di competenza” dell’uno o dell’altro genere): “el patriarcato (…) es poder de adjudicar espacios” 70 .

Ipotesi In quanto universale, si ipotizza che questo fenomeno psicosociopolitico, che si basa sull’esercizio del potere (dove il maschio ed il maschile sono dominanti, la femmina ed il femminile sono dominati) abbia radici endogene 71 . Una delle risposte più immediate di fronte all’enigma delle differenziazioni e della gerarchia fra i generi è quella della differenza fisica. La prima diversità fra uomini e donne è quella esteriore, più o meno ingenuamente considerata “naturale”. È ammissibile che la conformazione corporea (genitali, altezza, muscolatura, peluria) sia la chiave di cotanta sproporzione?

69

Vd. SACRAMENTO MARTI, La maternidad. Punto clave para una perspectiva feminista, in El viejo Topo, n°

51, Barcelona diciembre 1980. 70

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.98. Sta citando Molinta Petit. Ecco perché ridistribuire gli spazi diventa centrale. 71

Vd. VICTORIA SAU, Para una teoria del modo de producción patriarcal in El viejo topo, n° 47, Agosto 1980.

32

La forza fisica, la guerra e la socializzazione Discutendo di società industriali dovremmo di certo ammettere che le differenze sociali non sono giustificabili a partire da differenze fisiche. Un maggiore o minore potere muscolare non è determinante per ruoli nel governo, nell’economia etc., così come il ciclo mestruale non interferisce sulle capacità decisionali (una delle ragioni date per l’esclusione dai posti di comando) più di quanto non lo facciano le varie disfunzioni di cui soffrono gli uomini attempati normalmente a capo delle alte strutture del potere (di solito pressione alta, malattie ai denti e alle gengive, miopia, calvizie, mal di schiena, che producono uno stress psicologico con la stessa frequenza delle mestruazioni). Al contrario, una donna in pre-menopausa gode di uno stato biologico migliore di quello del tipico “uomo di stato anziano” e per le età più avanzate è vero che le donne tendono ad avere migliore salute e a vivere più a lungo. È pur vero che le società precedenti, in particolare quelle preistoriche, si strutturavano in modo molto diverso. Si parlerebbe dunque di una distribuzione iniqua “ereditata” dal passato. L’ipotesi di Marvin Harris 72 è incentrata sulla guerra ed il particolare tipo di socializzazione (dei maschi) che essa ha promosso. Se ciclo, gravidanza e allattamento possono risultare svantaggiosi, lo saranno non certo per dirigere banche, essere a capo di istituzioni religiose, fare scoperte scientifiche, comporre musica, reggere Stati, scrivere libri, ma indubbiamente in situazioni che richiedono un’elevata mobilità o uno sforzo continuo sotto pressione. D’altro lato i maschi nascono tendenzialmente più veloci e forti, e quindi risultano in linea di massima i migliori per combattere. Queste differenze fisiche potevano essere sufficienti a “giustificare” il fatto che fossero i maschi ad andare in guerra, ai tempi in cui la guerra era ancora un corpo a corpo, ma non hanno motivo di giustificare altro. Non solo la guerra si svolge da secoli secondo più raffinate ed evolute modalità ed alcune donne fanno ormai parte dei corpi militari, ma il fatto che l’attività bellica fosse prerogativa maschile non legittima affatto il resto delle distribuzioni. Tuttavia il contributo dato dall’antropologo resta pregevole dal momento che sottolinea l’aspetto “culturale” della questione: la necessità della guerra puó aver portato ad educare in un certo modo i maschi creando così una personalità aggressiva che si è “esercitata” non solo sul nemico, verso l’esterno, ma anche verso l’interno, con la sottomissione delle donne. La dominazione non avrebbe quindi basi materiali: non è inscritta in Natura, ma scaturisce 72

Vd. MARVIN HARRIS, Personalità e sesso, in MARVIN HARRIS, Antropologia culturale, Zanichelli, 1990.

33 da un certo tipo di personalità, consolidatasi a seguito della socializzazione “strategica” di quella parte della società (i maschi) fisicamente predisposta a sopportare meglio i disagi della belligeranza. La supremazia fisica non ha al giorno d’oggi nessuna ragione per legittimare l’assetto del potere, cosiccome d’altronde non legittimava il predominio in passato: poteva spiegare il fatto che fossero di prefenza i maschi, e non le femmine, ad andare in guerra, ma non l’esclusione di queste ultime dalle risorse materiali, intellettuali, religiose, etc. Per sostenere il contrario dovremmo assumere un punto di vista schiettamente androcentrico ed attribuire alla guerra un valore prioritario, estremo, fondante.

Il rapporto sessuale, un modello di violenza Un'altra ipotesi ancor più insoddisfacente sostiene che la discriminazione del genere femminile trae origine dal rapporto sessuale preso come modello 73 . La sessualità normale è violenza: l’uomo “possiede” la donna e ne consegue l’oggettificazione della stessa. Il piacere maschile consisterebbe nel godimento della violenza. In quest’ottica le riflessioni sullo stupro, le molestie sessuali e la pornografia sono centrali 74 . Se il primo luogo di oppressione e dominio è il rapporto sessuale (ció che fonda e legittima le altre oppressioni), allora si vedrà il resto come sistema simbolico sovrastrutturale che legittima il dominio sessuale stesso trasformandolo in dominio sociale e politico. L’ inefficacia di questa ipotesi è ravvisabile già a partire dal fatto che, pur essendosi evolute le forme di sessualità, i rapporti di dominio restano – indipendentemente - su altri livelli. In ogni caso se assumiamo l’ottica di Marvin Harris ed associamo il complesso di supremazia maschile al tipo di personalità nella quale sono stati educati i maschi come conseguenza pressoché diretta della “necessità” della guerra (come su descritto), potremmo dubitare che il medesimo “complesso di superiorità” sia in sé “necessario”. Intendo dire che il godimento della violenza (a sua volta opinabile) potrebbe in ogni caso leggersi come conseguenza di un certo modello culturale che ha educato i maschi ad essere dominatori. Va inoltre considerato che i significati simbolici sono imposti all’atto sessuale di per sé neutro.

73

Cfr. ANNA ELISABETTA GALEOTTI Teorie politiche femministe in S. Maffettone, S. Veca, manuale di filosofia

politica. 74

Cfr. ANNA ELISABETTA GALEOTTI, Teorie politiche femministe, in AA.VV., Manuale di filosofia politica, a

cura di S. Maffettone e S. Veca, Donzelli Editore, Roma 1996. Alcune studiose che si dedicano a tali temi sono Catherine McKinnon e Andrea Dworkin.

34 La violenza “inflitta” nel rapporto sessuale, insomma,

non sarebbe un aspetto

“essenziale” dell’identità maschile né (ancor meno) l’unica maniera di descrivere l’atto stesso. Non c’è un dominio “naturale” (sessuale) che poi si trasfigura in dominio ad libitum. La spiegazione cui stiamo dando la caccia non risiede tanto nella presenza (più o meno accertata) di costanti disparità in Natura, nei corpi stessi o nel rapporto sessuale fra di essi, quanto piuttosto nella ragnatela di interessi fra i cui fili si impiglia la costruzione del genere.

La riproduzione: disparità e perversioni L’ipotesi più organica sull’origine e sviluppo del patriarcato ruota attorno alla delicata questione della riproduzione, momento in cui donne e uomini si ritrovano ad entrare necessariamente in rapporto, nell’incurabile asimmetria del loro apporto alla specie 75 . Come possono uomini e donne ritrovarsi uguali di fronte alla riproduzione se resta differente il ruolo dei loro corpi? Esiste una disparità anche se usiamo le “tecniche di riproduzione artificiale” (TRA): se una donna non accoglie il risultato del laboratorio, la procreazione non ha luogo. Permane la necessità di ricorrere ad un corpo sessuato femminile 76 . Mentre si puó prescindere dal corpo di un uomo, non si puó fare a meno di quello della donna. Ancora oggi facciamo i conti con “l’immodificabile specificità del potere biologico delle donne”, “il grembo insostituibile” 77 . Il punto è che la prima “produzione” è quella di esseri umani 78 e la prima divisione sociale del lavoro, la riproduzione (Marx e Engels diedero tuttavia per scontato l’essere vivo, partendo dal mondo della produzione). La donna è l’autrice materiale di tutti gli uomini nonché la causa prima della loro origine. Difatti la filogenesi ci dice che il femminile occupa il primo posto in Natura (la natura umana è essenzialmente femminile): il maschio è una variante; fino alla quinta settimana tutti gli embrioni sono morfologicamente femmine (ovvero Adamo nasce da Eva e non viceversa…). Quello maschile è un sesso che non esiste da sé (dipende da un processo 75

Cfr. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche, fantasie

e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998. Persino le rivoluzionarie tecnologie di riproduzione artificiale non sono capaci di azzerare la differenza. 76

Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche, fantasie

e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, p.87. 77

Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche, fantasie

e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, pp.110-111. 78

Vd. VICTORIA SAU, Para una teoria del modo de producción patriarcal in El viejo topo, n° 47, Agosto 1980.

35 delicato), per cui ha meno possibilità di sopravvivere. Si sostiene che l’uomo abbia saputo del suo ruolo nella procreazione dopo la donna e sfruttato questo sapere contro di lei: al posto di un dialogo, il possesso brutale 79 . Attraverso la mitologia greca si vede la lotta fra i sessi e i passaggi del processo che portó allo stabilirsi dell’ordine patriarcale 80 . Victoria Sau ipotizza una fase precedente in cui la società si organizzava intorno alla Madre e cita ad esempio il mito di Demetra: questa madre che vuole indietro sua figlia Persefone ha un potere ed un volere forti

81

.

Da studi sulla mitologia si deduce che gli uomini hanno tentato di annichilire totalmente la concezione della creazione da parte della donna. Inizialmente si credeva che la Grande Dea avesse fatto tutto (e da sola); col tempo la si vede invece affiancarsi ad uno sposo fecondante; in seguito il mondo viene creato nel corpo della dea per merito di un guerriero. L’ultimo passo sarà quello che vedrà il mondo come opera dell’unico potere di una divinità maschile 82 . Nel processo di stabilizzazione del patriarcato le figure femminili sono perseguitate e rappresentate in forme malefiche e terrorizzanti. Sulla scia dell’ipotesi di Engels 83 si congettura che il dominio delle donne da parte degli uomini cominci con l’istituzione della proprietà privata (a partire dal Neolitico). La necessità di controllo della sessualità femminile sarebbe motivata dall’interesse di determinare la “proprietà dei figli”, affinché ereditino solo quelli legittimi 84 . Come è risaputo, infatti, l’incertezza è il carattere proprio della paternità, e finché c’è libertà sessuale femminile gli uomini non avranno modo di sapere chi siano i propri figli. Si ipotizza che, chissà proprio allo scopo di arginare questo dubbio insormontabile 85 , gli uomini si siano inventati “la paternità” (in senso forte): a garantirla, la reclusione della donna come animale domestico in più. In un sol colpo ci si assicura il possesso delle/dei 79

Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,

segunda edición 2004, pp.12-13. 80

Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,

segunda edición 2004, pp.63 e seguenti. 81

Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,

segunda edición 2004, pp.68, 116. 82

Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,

segunda edición 2004, p.50. 83

FRIEDRICH ENGELS, L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato : in rapporto alle indagini di

Lewis H. Morgan, a cura di Fausto Codino, Editori riuniti, Roma 2005. 84

Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, La diferencia sexual en la historia, Universitat de València 2005,

pp.75-76. 85

La completa ignoranza sull’ “autentico” padre è rimasta tale fino alla recentissima scoperta del DNA.

36 bambine/i e delle madri. La privazione di una sessualità libera rappresenta il primo passo di acculturazione della donna; l’appropriazione del suo prodotto naturale, il figlio, il primo passo del dominio su di essa. Il primo diritto fondamentale (a partire dal quale poter avere gli altri) è il possesso delle donne (infatti gli schiavi non potevano sposarsi né mettere su famiglia) e la prima disuguaglianza economica è data dalla differente distribuzione di donne: la prima causa della guerra è proprio il furto di donne (che si sono convertite in oggetti rubabili). Il primo potere che si esercita è quello sui corpi, ed il potere sulle donne ha avuto presumibilmente l’obiettivo di presentare il padre come vero autore della vita umana 86 . Non si tiene conto dell’evidenza che ogni corpo è dono della madre (concreta e personale) 87 e si nega la sua autorità sui corpi stessi. Se in Grecia i corpi sono della polis (non ce li hanno le donne né gli schiavi), col cristianesimo l’origine dei corpi è in Dio. Attualmente rispetto al tema dell’aborto pare che l’autore dei corpi sia lo Stato democratico. In ogni caso, ancora ci si rifiuta di riconoscere che sia la madre, la vera autrice: questa verità non è una variabile in più: è un non-pensato.

Le strategie di controllo sul corpo femminile Il contratto sessuale: un corpo che non ci appartiene Al di là della ricerca delle cause che avrebbero indotto gli uomini alla sopraffazione dell’altra metà del genere umano piuttosto che alla realizzazione di un scambio paritario, è proficuo sezionare il Sistema che questa sopraffazione ha mantenuto. Per poterlo modificare, non interessa tanto il perché, come e quando abbia vinto il patriarcato, piuttosto far luce sulle sue modalità di funzionamento. Introduciamo a questo scopo un altro concetto basilare della teoria femminista, quello di “contratto sessuale” 88 . A differenza del contratto sociale, non è un patto pacifico (nel senso di “accordo libero” fra uomini e donne), poiché è intimamente diseguale: è un patto fra uomini sul corpo delle donne. È essenziale per capire le parentele, il genere e la subordinazione sociale delle donne. Le donne non sono soggetto del patto ma oggetto di transazione (donna data, donna

86

Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, La diferencia sexual en la historia, Universitat de València 2005,

p.83. 87

Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, La diferencia sexual en la historia, Universitat de València 2005,

p.27. 88

CAROLE PATEMAN, Il contratto sessuale, a cura di Cristina Biasimi, Editori riuniti, Roma 1997

37 ricevuta); la servitù è scambiata per la protezione 89 . Il dominio del gruppo delle donne avviene soprattutto attraverso due strategie che si rafforzano a vicenda: una è quella dei patti nei matrimoni, l’altra quella della divisione del lavoro. Si controllano le funzioni sessuali e riproduttive delle donne attraverso gli scambi matrimoniali e ció resta sistematicamente assicurato restringendo l’ambito dei compiti produttivi ai quali hanno accesso; allo stesso tempo la proibizione di compiti imposta alle donne viene sistematicamente rafforzata dal fatto di essere controllate mediante il loro inserimento nella struttura della parentela 90 . Sebbene non siamo più oggetto di scambio (per lo meno in Occidente scegliamo di formare o meno una famiglia) il meccanismo duplice (matrimonio-divisione del lavoro) si mantiene ed in realtà la donna continua ad essere “vissuta” come un possesso, un bene comune o di transazione: a partire dagli insulti fra uomini che chiamano in causa le “rispettive” donne, fino ad arrivare agli impliciti di alcune sentenze giudiziarie 91 . L’insieme delle relazioni sociali tra gli uomini, ovvero i patti interclassisti ed interrazziali 92 che creano fra di essi un’interdipendenza e una solidarietà

tali da

permettergli di tenere sotto controllo le donne 93 (benché ci siano gerarchie interne l’affiliazione orizzontale è più consistente), mettono in atto ció che è stato chiamato “contratto sessuale”; specularmente osserviamo la serie “sparsa” delle donne: non sono un’etnia, ma occupano la stessa posizione in tutte le etnie. Recenti studi di filosofia politica 94 affermano i medesimi concetti: le donne sono controllate dagli uomini come gruppo attraverso i limiti posti alla contraccezione e all’aborto, il lavoro retribuito incompatibile con la gravidanza e l’allattamento, la mancanza di compenso per il lavoro domestico, etc. Una donna con gravidanza imprevista 89

Cfr. CELIA AMORÓS, Presentación (que intenta ser un esbozo del “status questionis”) in CELIA AMORÓS (ed.),

Feminismo y filosofìa, Ed. Sìntesis, Madrid 2000. 90

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.376-77. 91

Cfr. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.121, 122, 129, 255. 92

Cfr. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.99, 112-113, 276. 93

Cfr. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.114. A questo proposito si cita il lavoro di Heidi Hartmann ( Un matrimonio mal avenido: hacia una unión más progresiva entre marxismo y feminismo, in Zona Abierta, nº 24, 1980, pp. 85-113) e l’esempio del salario familiare che risolve un conflitto fra classi prendendo le donne come oggetto transazionale: quelli della classe dominante fanno “padri” quelli della classe dominata, ovvero si riconoscono come uguali nell’essere capofamiglia, controllori delle donne. 94

Vd. ad esempio WILL KYMLICKA, Il femminismo, in Introduzione alla filosofia politica contemporanea,

Feltrinelli, Milano 1996.

38 non riesce a conciliare figlie/i e lavoro e diventa perció dipendente da un uomo con reddito stabile; per questo motivo deve diventare sessualmente attraente (ed è questo il controllo subito dalla donna come singola). Non possiamo non vedere come il contratto sessuale implichi per le donne una perdita importante di controllo su se stesse: sia sulle capacità del proprio corpo che sulle codificazioni simboliche che definiscono ció che il corpo femminile è nella cultura in cui si vive (un controllo che tuttoggi non è completo e che forse è impossibile in società patriarcali) 95 . Essere espropriate dei nostri corpi porta ad una sofferenza in primo luogo fisica 96 .

Corpi “maltrattati” Oltre ad essere stati oggetti di scambio, i nostri corpi sono stati “ignorati”. La medesima architettura del corpo femminile, benché in gran parte determinata geneticamente, è mutata dall’Ottocento ad oggi, per ragioni in larga misura “culturali”. Tanto l’accesso ridotto alle risorse alimentari, quanto le scarse conoscenze intorno alla gravidanza, determinavano uno stato di salute precario per la maggioranza donne. Specialmente il momento del parto rappresentava “un mondo di sofferenza che abbiamo in gran parte scordato” 97 ed il il rachitismo - assai diffuso tra le donne prima della Seconda Guerra Mondiale - era uno dei suoi principali nemici: le pelvi de esso deformate –strette o distorte - rendevano il parto difficile e lamentoso 98 (alcune irlandesi spezzavano le ossa alle bambine per “prevenire” il problema 99 ). Le donne, sfinite dall’anemia, snervate da molte malattie (di cui non esiste l’equivalente maschile), erano – rispetto agli uomini di allora (e alle donne e uomini di oggi) - meno forti contro le infezioni; possedevano meno energia fisica 100 . Ciò che importa, però, è notare che la mentalità vigente spiegava e “giustificava” la malnutrizione (“le donne hanno bisogno di mangiare meno” 101 ), e forse il medesimo “ritardo” nello studio sul corpo della donna può imputarsi in parte al disinteresse generale. 95

Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El cuerpo indispensable. Significados del cuerpo de mujer, horas y

HORAS la editorial, segunda edición, Madrid 2001, pp.19 e 39. 96

Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, La diferencia sexual en la historia, Universitat de València 2005,

pp.65, 77. Il fatto che l’aborto sia penalizzato ad esempio indica che persiste l’incapacità degli uomini di liberarsi del dominio sulle capacità riproduttive delle donne. 97

Vd. EDWARD SHORTER, Storia del corpo femminile, Feltrinelli, Milano 1984, p.44.

98

Vd. EDWARD SHORTER, Storia del corpo femminile, Feltrinelli, Milano 1984, p.42.

99

Vd. EDWARD SHORTER, Storia del corpo femminile, Feltrinelli, Milano 1984, p.38.

100

Vd. EDWARD SHORTER, Storia del corpo femminile, Feltrinelli, Milano 1984, p. 37.

101

Vd. EDWARD SHORTER, Storia del corpo femminile, Feltrinelli, Milano 1984, pp.35-36.

39 L’indifferenza dei mariti nei confronti del benessere fisico delle proprie mogli, riguardava sia le malattie, che la gravidanza, che la stessa morte delle donne. In ogni caso si accentuava – se possibile - rispetto al tema del parto: basti pensare che spesso gli uomini preferivano non pagare una levatrice per avarizia; l’unico interesse era che nascesse un maschio. L’insensibilità maschile era tale che il bestiame veniva considerato un bene più prezioso della propria moglie 102 . Per finire, non possiamo tacere la prepotenza e la sopraffazione fisiche. Sebbene sappiamo che - per lo meno fino all’Ottocento - si “prendeva moglie” per motivi dinastici e non sentimentali, e sia facile presumere che il rapporto affettivo fra i coniugi fosse quasi inesistente, non smette di turbarci ció che emerge dall’analisi dell’anedottica: l’uso della forza per “correggere le mogli” (quella che oggi chiameremmo “violenza domestica”) era pacificamente prevista dal costume. La violenza fisica sulle donne, benchè attualmente stigmatizzata, continua ad essere presente nelle nostre società, nella “cronaca nera di paesi ” 103 . Un altro tipo di controllo, più subdolo, si mantiene attraverso i “modelos corporales” odierni. Trasmessi attraverso i mezzi di comunicazione, la pubblicità, le interviste di lavoro, il cinema, la musica, la pornografia, essi hanno conseguenze drammatiche su quelle donne fragili ed insicure che vi si sottomettono: anoressiche, bulimiche, operate, affamate consumatrici di qualsiasi prodotto prometta avvenenza e gioventù in sette giorni 104 . L’esasperazione del mito della bellezza è infatti uno degli strumenti più attuali di controllo sulle donne; una sorta di reazione contro la libertà sessuale e la riappropriazione del corpo raggiunte dopo secoli.

Matrimonio e patrilinearità Tutti i sistemi di parentela si fondano tra uomini sul corpo delle donne: anzi, prima dell’avvento dello Stato Moderno, essi erano il veicolo principale attraverso il quale si

102

Vd. EDWARD SHORTER, Storia del corpo femminile, Feltrinelli, Milano 1984.

103

Vd. NICLA VASSALLO e PIERANNA GARAVASO, Filosofia delle donne, Editori Laterza, Bari 2007, pp.106-107:

“In Francia un terzo delle donne dichiara di essere stata picchiata e ogni quattro giorni una donna muore per mano del proprio partner, mentre in Spagna sono state assassinate negli ultimi cinque anni quattrocento donne per mano di mariti, conviventi e fidanzati. La situazione italiana non è migliore. In Lombardia tra il 2000 e il 2005 settantaquattro donne sono state uccise dal marito o dal convivente, e, stando ad un’indagine Istat del 2002, nel nostro paese più del 50% delle donne ha subito almeno una molestia a sfondo sessuale, e sono più di mezzo milione le donne vittime di stupro”. Vd. inoltre NURIA VARELA, La violencia, in NURIA VARELA, Feminismo para principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005, pp. 251-271. 104

Vd. NURIA VARELA, El cuerpo de las mujeres. El botìn màs preciado, in NURIA VARELA, Feminismo para

principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005, p. 279

40 esercitava questo controllo (istituzionalizzando la subordinazione e definendo le forme nelle quali le donne avrebbero o meno partecipato alle altre relazioni sociali che ricadessero nel campo semantico del potere) 105 . Non è un dato trascurabile che si trasmetta il nome del padre 106 , né che ci sia una tendenziale “patrilocalità”: la residenza della coppia si trova preferibilmente nel territorio dell’uomo (abbiamo la circolazione delle donne e la separazione dal loro lignaggio d’origine) 107 . Il vincolo della consanguineità (che si dà solo attraverso la donna) viene sostituito da quello del suolo: la patria. Nel costruire la parentela si costruisce il genere, cosicché nelle società dove i padri dominano il sistema della parentela, il genere femminile apparirà sempre subordinato a quello maschile 108 ; il legame forzato di una donna ad un unico uomo che vuole essere chiamato padre è centrale. Marìa-Milagros Rìvera analizza dettagliatamente questi nessi, arrivando a sostenere che le parentele patriarcali ed il controllo degli uomini sul corpo delle loro donne siano analiticamente e socialmente inseparabili (il fondamento è sempre il contratto sessuale) 109 . Anche Victoria Sau sottolinea l’incompatibilità fra la patrilinearità e la libertà femminile. Una delle prime leggi intrinseche ai sistemi di parentela patriarcali (tanto vecchia e passata sotto silenzio da darla per “naturale”) è che uomini e donne debbano vivere insieme permanentemente, cioè condividere lo stesso spazio sociale generale 110 . Il tasso di mascolinità-femminilità numericamente equilibrato non è naturale di per sé. Affinché si stabilizzasse potrebbe esserci stato un patto sociale non disuguale (ma dagli studi storici pare che non sia avvenuto così, ovvero che i casi in cui troviamo percentuali equilibrate di maschi e femmine sono sempre quelli di società patriarcali) 111 . 105

Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El cuerpo indispensable. Significados del cuerpo de mujer, horas y

HORAS la editorial, segunda edición, Madrid 2001, p.18. 106

Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El cuerpo indispensable. Significados del cuerpo de mujer, horas y

HORAS la editorial, segunda edición, Madrid 2001, p.22. 107

Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El cuerpo indispensable. Significados del cuerpo de mujer, horas y

HORAS la editorial, segunda edición, Madrid 2001, p.38. 108

Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El cuerpo indispensable. Significados del cuerpo de mujer, horas y

HORAS la editorial, segunda edición, Madrid 2001, p.39. 109

Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El cuerpo indispensable. Significados del cuerpo de mujer, horas y

HORAS la editorial, segunda edición, Madrid 2001, p.28. 110

Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El cuerpo indispensable. Significados del cuerpo de mujer, horas y

HORAS la editorial, segunda edición, Madrid 2001, p.18. 111

Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El cuerpo indispensable. Significados del cuerpo de mujer, horas y

HORAS la editorial, segunda edición, Madrid 2001, p.37-38.

41 Un altro presupposto è che ci sia un solo modello di sessualità (quello virile): nel patriarcato vige il dogma dell’eterosessualità ed il matrimonio fra un uomo e una donna viene vissuto come naturale (mentre è un’istituzione non necessaria, di origine storica e sociale). In una costruzione simbolica fondamentale quale è la verginità 112 possiamo individuare alcuni degli elementi sui quali abbiamo appena richiamato l’attenzione: il desiderio di controllo sul corpo delle donne da parte degli uomini (un corpo potenzialmente materno, produttore di altri corpi), e l’“eterosessualità obbligatoria”. La verginità è infatti cruciale soltanto per le donne ed è definita dall’accesso sessuale di un uomo (che non sia classificato come parente proibito) al loro corpo, nonché dal desiderio di paternità degli uomini in generale (infatti una anziana non è vergine ma “zitellona”, e non è presa in considerazione la relazione lesbica) 113 . Per mezzo di questa “figura” si codifica il grado di appartenenza del corpo di una donna a uno o più uomini: la fanciulla è del padre, il quale negozia la sua verginità (fino a inserirla al centro di un nuovo gruppo di parentela attraverso il matrimonio); le sposate sono dei rispettivi mariti; le suore sono di Cristo; le prostitute sono di tutti. Gli uomini commerciano con la verginità delle donne, se ne servono per stabilire alleanze o per giustificare guerre fra i popoli (perché - così intesa - la verginità appartiene agli uomini). Il matrimonio era – sostanzialmente - l’ “acquisto” di una donna, ovvero (prendendo ad esempio il contesto dell’Europa contadina di fine Ottocento) 114 di un aiuto per gestire la fattoria, con la speranza di avere da lei figli maschi cui trasmettere il patrimonio. L’uomo è il padrone e solo gli altri uomini sono i suoi pari, i suoi compagni spirituali.

112

Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El cuerpo indispensable. Significados del cuerpo de mujer, horas y

HORAS la editorial, segunda edición, Madrid 2001, pp.40,41. 113

Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El cuerpo indispensable. Significados del cuerpo de mujer, horas y

HORAS la editorial, segunda edición, Madrid 2001, p. 41. 114

Cfr. EDWARD SHORTER, Storia del corpo femminile, Feltrinelli, Milano 1984.

42

CAPITOLO 4 PRIVATO/PUBBLICO Lo spazio bipartito Nel patriarcato c’è un meccanismo di esclusione e subordinazione dal luogo maschile dei saperi-poteri (fallo-logo-cratico) 115 il cui funzionamento è pressoché perfetto. Agisce una logica dicotomica che si stabilizza e dà luogo ad associazioni analogiche che paiono autoevidenti 116 . Il pensiero illuminista, contraddicendo alcuni fra i suoi principi fondamentali, conferma molteplici aspetti della millenaria dicotomia: sebbene delegittimasse certi nomi generici per ricostruire nuove astrazioni (soggetti trascendentali, agenti morali razionali, cittadini ed esseri umani dotati di uguali diritti per natura…) dalle quali solo il non-umano restava escluso, continuó ad emarginare le donne, non includendole nella Ragione Universale e definendole ancora come la Passione, la Natura, anteriori all’ambito sociale-civile propriamente umano. L’esclusione, legata a doppio filo al desiderio di controllo sul corpo femminile, è resa attiva a partire dalla distinzione privato/pubblico: al di là del pubblico non c’è ragione, cittadinanza, uguaglianza, legalità, riconoscimento degli altri. 117 Una delle più potenti dicotomie simboliche e pratiche di cui tutte/i siamo a conoscenza è infatti quella che assegna agli uomini la sfera pubblica (e con essa la razionalità, l’attività politica, l’educazione ai saperi), ed alle donne la sfera privata (insieme al sentimento, all’attività domestica e all’educazione alla cura della casa). In questo spazio, il privato, la donna non puó sviluppare la sua individualità perché si dedica esclusivamente a riprodurre le condizioni di possibilità dell’esercizio della libertà del maschio, che è l’individuo, nell’ambito pubblico. Celia Amorós sostiene che i patti fraterni alla base della società civile si fondano

115

Vd. ADRIANA CAVARERO, Il pensiero femminista. Un approccio teoretico, in FRANCO RESTAINO e ADRIANA

CAVARERO, Le filosofie femministe, Paraviascriptorium, Torino 1999, pp.115-116. 116

Molte affermazioni restano valide a livello transculturale, ma è chiaro che ci si sofferma principalmente su

quelle che sono le società moderne occidentali. 117

Cfr. CELIA AMORÓS, Feminismo filosofico español: modulaciones hispànicas de la polémica feminista

igualdad-diferencia in CELIA AMORÓS, Tiempo de feminismo. Sobre feminismo, proyecto ilustrado y postmodernidad, Ed. Càtedra, Madrid 1997. Tra i pensatori analizzati: Locke, Rousseau, e Stuart Mill.

43 sull’esclusione delle donne 118 , e le donne sono la condizione di possibilità del pubblico; la loro “schiavitù” è alla base della libertà altrui 119 . Lo stesso concetto è espresso con brillante semplicità dalle autrici di Filosofia delle donne: “Se non ci fossero Cristina, Elisabetta e Santippe a casa a pulire, cucinare e andare a prendere i bimbi a scuola, come farebbe René a passare tanto tempo davanti al caminetto e Socrate ad andare in piazza a discutere?” 120 . Il medesimo ideale di cittadinanza, per altri versi così “moderno”, si è formato a partire da questa suddivisione dei “compiti” (emarginante per le donne). Una visione tradizionale della cittadinanza si basa infatti sul nesso tra essa e la difesa della madre patria (rappresentata da allegorie femminili come Marianne per la Francia e Germania per la Germania): “fight and vote” 121 . C’è un legame con la casa quale luogo della famiglia ed il femminile è il “fondamento” di tutto. Se il maschile è legato al compito di creare, dirigere e difendere la nazione/la famiglia/il femminile (essendo il femminile dipendente e da difendere “per natura”), la femminilità è legata alla maternità e richiede la volontà di sacrificare se stesse per la nazione allevando un bambino (tuttavia morire per il parto non diede il diritto di voto, né il fatto di considerare la famiglia un’unità centrale estese i diritti a chi aveva responsabilità). Rientra fra i compiti del femminismo filosofico in quanto filosofia critica quello di ridiscutere i confini del pubblico-politico e far sì che si sottoponga a norma ció che prima era lasciato in ombra, sotto il rassicurante nome di “privato” (ecco che le resistenze che ancora ai giorni nostri si mantengono a questo proposito assumono un profilo più chiaro).

“Strascichi”: donna-privato, anche quando agisce nel pubblico Ci si accorge che le donne possono e desiderano agire oltre il mondo privato, ma nel momento in cui riescono ad accedervi ci si rende anche conto che questo ingresso non è indolore. Infatti, benchè le donne siano state formalmente e sostanzialmente private veramente a lungo 122 - di tutto ciò che era riconosciuto proprio del cittadino (attivo), lo schiudersi delle porte del “pubblico” non ha rappresentato un superamento automatico 118

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.174, 177. 119

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.185-186. 120

Vd. NICLA VASSALLO e PIERANNA GARAVASO, Filosofia delle donne, Editori Laterza, Bari 2007, p.25.

121

Vd. SUSANNE BAER, Citizenship in Europe and the Construction of Gender by Law in the European Charter

of Fundamental Rights in Gender and Human Rights edited by Karen Knopp, Oxford University Press 2004, p.94. 122

Cfr. NURIA VARELA, Feminismo para principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005, pp.363-364. Uno sguardo

alle date riportate (anni in cui si raggiunse il suffragio universale in vari Stati) può essere sufficiente.

44 delle dicotomie che sull’originaria bipartizione escludente (privato/pubblico) si reggevano. Le molestie sessuali sono un caso paradigmatico: le donne sono percepite dagli uomini con le stesse connotazioni simboliche del luogo che gli si attribuisce in famiglia (si addice loro ogni mansione, dal portare il caffè al prestare servizi sessuali) 123 . Inizialmente le donne sono inglobate nel paradigma maschile (attraverso il suffragio universale etc.) “come se” fossero uomini: in realtà esse restano tali nel dato elementare e visibile della differenza sessuale ma, quel che è peggio, nella rappresentazione simbolica che le vede domestiche e impolitiche. I trattamenti di favore perché le donne possano inserirsi nel mondo del lavoro (non a caso detto “extradomestico”) sono ingannevoli: in realtà dobbiamo continuare ad assolvere il tradizionale ruolo femminile. Nella sua essenza la donna rimane riproduttrice della specie e lavoratrice nella sfera domestica 124 . Tutto ció genera nelle società contemporanee una sorta di schizofrenia, dovuta alle aspettative che le donne si comportino da uomini a livello giuridico e da donne a livello pratico e simbolico 125 . Questa situazione anomala deriva probabilmente dal fatto che il cambiamento formale precede il cambiamento di mentalità, più lento a compiersi. È questo a generare uno stridere di aspettative. Se il senso di “donna” resta ancorato ai vecchi significati, ciò implicherà che, mentre gli uomini continuano a non vivere alcun conflitto sostanziale fra la propria vita pubblica e quella privata (essendosi mossi da sempre agevolmente in entrambi i “luoghi”), le donne che oltrepassino la soglia di casa, nuoteranno in una sorta di vuoto di senso, e nell’ambiguità.

La famiglia A partire dalle considerazioni già sviluppate non suonerà strano che la famiglia (quella tradizionale, basata sul matrimonio eterossessuale) si presti ad essere per molti versi il primo bersaglio polemico del femminismo. Nella definizione di Gerda Lerner 126 riportata da Marìa-Milagros Rivera, il Patriarcato è “la manifestazione e istituzionalizzazione del dominio maschile sulle donne e i bambini nella famiglia ed estensione del dominio maschile sulle donne alla società in generale” 123

127

.

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.377. 124

Vd. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Seller, Torino 1987.

125

Vd. ADRIANA CAVARERO, Il pensiero femminista. Un approccio teoretico, in FRANCO RESTAINO e ADRIANA

CAVARERO, Le filosofie femministe, Paraviascriptorium, Torino 1999, pp.126-7. 126

GERDA LERNER, The Creation of Patriarchy, New York, Oxford University Press, 1986.

127

Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El cuerpo indispensable. Significados del cuerpo de mujer, horas y

HORAS la editorial, segunda edición, Madrid 2001, pp.17-18.

45 La stessa Marìa-Milagros Rivera afferma che i patriarchi sono gli uomini che controllano il corpo femminile, soprattutto in famiglia 128 . Il controllo delle donne e dei bambini è essenziale tanto quanto la codificazione per la ragione di sesso-genere dell’uso di spazio materiale e simbolico. Secondo la filosofa Susan Moller Okin

129

la famiglia è un’arena cruciale per le

questioni di giustizia: è il perno delle ineguaglianze in società, per molteplici ragioni. Pensiamo in particolar modo ai lavori domestici non retribuiti (e soprattutto mal distribuiti) che vanno di pari passo con l’iniqua spartizione - fra i genitori - delle cure alle bambine e ai bambini; evidenziamo ancora una volta il momento fondamentale della socializzazione: se i suoi membri sono educati nei ruoli di genere “tradizionali”, è logico che questi ultimi (con le loro disparità e perversioni) continuino a riprodursi. Preso atto che questo assetto della famiglia è “normale”, salterà agli occhi che la base delle altre disuguaglianze sono proprio le disuguaglianze al suo interno.

Il lavoro familiare non retribuito né equamente condiviso Tanto per incominciare il lavoro familiare (cioè la cura dell’infanzia ed i lavori domestici) è soprattutto a carico delle donne (dal doppio al triplo): a questo proposito sono state coniate varie espressioni come “il secondo turno”, “la giornata tripla”, “la moglie in fatica”. Non si puó evitare di pensare che lo sfruttamento nelle pareti domestiche abbia rilevanti conseguenze sulle concrete opportunità professionali delle donne. Se è vero che si sono vinte molte battaglie riguardo l’accesso e la stabilità nel mercato del lavoro ed anche per il riconoscimento di un salario equo, (benché in nessuno Stato la condizione socioeconomica di donne e uomini sia ancora paritaria) 130 , le Corti Costituzionali non si mostrano altrettanto sensibili alla situazione delle famiglie. Si dovrebbero invece indagare: il valore che si dà al lavoro domestico, le aspettative su chi si debba sobbarcare la responsabilità dell’allevamento delle figlie e dei figli, il fatto che le donne a capo della famiglia siano o meno protette, il fatto che i matrimoni diano o meno ai mariti il controllo sulle proprietà delle donne, le regole sugli alimenti, e svelare come tutti questi fattori abbiano un grande impatto sul benessere socioeconomico delle donne (e 128

Vd. MARIA MILAGROS RIVERA GARRETAS, El fraude de la igualdad, segunda edición revisada, Librerìa de

Mujeres, Ciudad Autónoma de Buenos Aires, 2002, p.46. 129

SUSAN MOLLER OKIN, Justice, Gender and the Family, New York, Basic Books, 1989, (trad. it. Le donne e la

giustizia: la famiglia come problema politico, Dedalo, Bari 1999). Cfr. BRENDA MAJOR, Il genere, i diritti e la distribuzione del lavoro familiare in Genere. La costruzione sociale del femminile e del maschile, a cura di Simonetta Piccone Stella e Chiara Saraceno, ed. Il Mulino, Bologna 1996. 130

cfr. Introduction in The gender of constitutional jurisprudence, edited by Beverley Baines and Ruth Rubio-

Marin, Cambridge University Press, 2004, p.20: “poverty has the face of a woman”.

46 quindi costituiscano ostacoli più o meno diretti alla realizzazione dell’uguaglianza). Tuttavia nemmeno un maggior potere economico è in sé stesso sufficiente: anche quando le donne lavorano e percepiscono una retribuzione, lo squilibrio si mantiene. Il modello di spiegazione dominante sostiene che più potere hanno le donne (inteso soprattutto come occupazione, risorse accumulate ed idee del partner sulla condivisioneseparazione delle entrate e dei lavori domestici), più compiti sbrigano i mariti. In realtà studi recenti dimostrano che il lavoro delle donne non è correlato al contributo degli uomini a quello domestico; né c’è proporzionalità tra un numero di ore dedicate al lavoro retribuito e lavoro domestico degli uomini; non incide nemmeno il denaro guadagnato; né le concezioni “astratte” sono strettamente connesse 131 . Ancora una volta vediamo che la “rivoluzione” passa attraverso conquiste di vario ordine: materiali, politiche, intellettuali, psicologiche e sociali. Un aspetto che non si puó sottovalutare è il significato dato al guadagno, il quale sembra sia più decisivo del divario fra i redditi. Il guadagno di lei è infatti diverso: è o no co-responsabile del mantenimento? Si assume o meno il ruolo di capofamiglia (il quale dà il potere di sentirsi in diritto di maggiore assistenza ed è importante per avere la motivazione a cambiare)? Ció non toglie che la giustizia nel mondo del lavoro sia strettamente connessa alla giustizia in famiglia - non sono sfere separate - ed una maggiore retribuzione possa sicuramente aumentare il sentimento d’essere capofamiglia.

Le lavoratrici e le mogli appagate Le maggiori responsabilità che le donne si assumono in ambito familiare contribuiscono a perpetuare norme e valori tradizionali nonché a rendere più ardua la partecipazione al mondo del lavoro retribuito a parità con l’uomo. Eppure l’ineguaglianza è spesso riconosciuta e considerata perfino giusta (sono soddisfatti entrambi): si parla del “paradossale appagamento delle mogli” e della “lavoratrice femminile appagata” (benché lavori a tempo pieno, pagata meno di un uomo con eguale qualifica - ovvero oggettivamente sottopagata - non si lamenta). Queste

apparenti

assurdità

trovano

spiegazione

nella

categoria

chiave

dell’entitlement (concetto fondamentale di quasi tutte le teorie psicologiche di giustizia sociale). Entitlement sta per “avere diritto a”. Ci si sente trattate/i ingiustamente se non si ricevono quegli apprezzamenti positivi che si pensa di avere diritto a ricevere: è 131

Cfr. BRENDA MAJOR, Il genere, i diritti e la distribuzione del lavoro familiare in Genere. La costruzione

sociale del femminile e del maschile, a cura di Simonetta Piccone Stella e Chiara Saraceno, ed. Il Mulino, Bologna 1996.

47 un’aspettativa con forza normativa, si avverte cioè come un imperativo, qualcosa di necessario, una volta che si diano certe precondizioni, le quali possono essere ascritte (appartenere ad una razza o ad un sesso) 132 od acquisite (attraverso un particolare contributo). È un giudizio cognitivo con implicazioni affettive e motivazionali. La consapevolezza della violazione del diritto dà un senso di tristezza, delusione, offesa morale ma anche la motivazione a cambiare 133 . Le donne trovano varie giustificazioni alle distribuzione inique. Le

lavoratrici

casa-prole-dipendenti

sostengono

che

le

disparità

derivano

dall’applicazione di procedimenti giusti (per es. si pensa di essere state ascoltate dai mariti o di avere scelto liberamente di fare più lavoro); oppure considerano il fatto che nelle relazioni comunitarie (amici, familiari etc) si dà per far piacere all’altro al meglio delle proprie capacità, mentre solo nelle relazioni di scambio fra conoscenti, nei rapporti di affari, si dà per avere qualcosa di paragonabile in cambio 134 ; infine ritengono di scambiare col partner risorse appartenenti a diverse categorie: il lavoro domestico è scambiato col reddito e non le faccende domestiche con altre faccende domestiche 135 . Nel caso delle lavoratrici-sottopagate si tende invece a dire che le donne badano meno al denaro ed apprezzano altri aspetti del lavoro (sottolineando le differenze di genere nei bisogni e nei valori); oppure si utilizzano parametri diversi per valutare ció che si merita (le donne avrebbero un minore senso dei loro diritti in termini di retribuzione); o infine si giustifica-legittima l’inferiorità sostenendo per esempio di aver scelto liberamente quella carriera, di essere meno meritevoli etc. Ha ragione Celia Amorós a dire che non basta non essere povere per la stabilità dell’autostima. 136 Vanno ricordati inoltre i vari tipi di confronto che le donne operano (più o meno consciamente) per arrivare a giustificare lo stato delle cose. Ci sono in primo luogo confronti sociali. Le donne si paragonano alle altre donne piuttosto che al proprio uomo (per non sentirsi abbastanza simili ai maschi o per autoprotezione:

132

Io aggiungerei “ad una specie”: in quanto essere uman@, mi sento di “avere diritto a -”.

133

Vd. BRENDA MAJOR, Il genere, i diritti e la distribuzione del lavoro familiare in Genere. La costruzione

sociale del femminile e del maschile, a cura di Simonetta Piccone Stella e Chiara Saraceno, ed. Il Mulino, Bologna 1996. 134

Se in famiglia la regola è il bisogno piuttosto che l’equità o eguaglianza, significa anche che le donne

ritengono di avere meno necessità e di essere capaci di prendersi cura del partner e dei figli? 135

Questo discorso non puó di certo aver senso per le donne che guadagnano (talvolta quanto il partner, se non

di più). 136

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.363.

48 confrontarsi con chi è avvantaggiato è psicologicamente devastante se non si puó mutare la situazione) e magari con la madre o comunque con altre donne sposate (d’altro lato gli uomini pensano di fare troppo, paragonandosi ai propri padri). L’ “economia della gratitudine” - il fatto che l’aiuto da parte del partner sia vissuto come “un dono” - è sintomo del fatto che qualcosa si consideri superfluo. Altro elemento importante è il confronto con le norme (scritte e non). Non solo per il modo di pensare comune i lavori domestici sono lavori da donne, ma anche nelle norme (scritte) è radicata la priorità dei ruoli di madre e casalinga per le donne e di capofamiglia per gli uomini. Sono prevedibili, di conseguenza, il disagio che si prova se ci si allontana da esse, e la disapprovazione cui si va incontro. Ci sono poi i confronti di fattibilità. La considerazione dell’effettiva fattibilità di soluzioni alternative influenza il pensare delle donne. Se tendono a confrontare la propria situazione con l’alternativa (peggiore) di non essere occupate piuttosto che con quella di avere un’occupazione ed insieme una divisione egualitaria del lavoro; se ritengono improbabile ottenere una distribuzione migliore; se non vogliono lottare con le persone amate, magari per evitare la conflittualità coniugale e talvolta per evitare minacce di divorzio (nel qual caso sanno di possedere maggiori problemi per risposarsi -rispetto agli uomini- e conseguenze peggiori a livello economico) e la possibilità di diventare madri sole: è normale che accettino lo status quo e fare il 60 per cento sembra meglio di fare tutto. In ultima analisi esistono gli autoconfronti: per esempio la donna che “da figlia” ha contribuito molto in famiglia non ritiene eccessivo il carico di lavoro domestico “da moglie”.

Socializzazione dei ruoli di genere Come abbiamo detto, la famiglia è il luogo della prima socializzazione dei ruoli di genere nonché la prima “scuola di senso di giustizia” 137 . Come si sa, il ruolo di genere prevede il lavoro familiare e di cura della prole, come assi centrali dell’identità femminile, mentre l’essere capofamiglia lo è per l’identità maschile; di conseguenza donne e uomini sono indotte/i a desiderare determinate cose nelle relazioni intime (e ció è fondamentale per capire cosa si sentano o meno in diritto di darericevere). Nell’interpretazione dei ruoli di genere (più o meno coerente con la tradizionale) passa la “linea di tensione dell’identità”.

137 Vd. WILL KYMLICKA, Il femminismo, in Introduzione alla filosofia politica contemporanea, Feltrinelli, Milano 1996.

49 Disidentificarsi non è semplice per una serie di motivi, non ultimo il su citato problema della coercizione. A questo proposito il femminismo ci obbliga a essere riconoscenti verso coloro le quali hanno pensato, parlato, scritto ed agito “libremente, en contra del poder establecido y a costa, muchas veces, de jugarse la vida y, casi siempre, de perder la «reputación»” 138 .

Oltre “privato vs pubblico” : contaminazioni La “pubblicizazzione” del “privato” Uno

degli

assiomi

del

femminismo

nega

prepotentemente

la

storica

scissione

privato/pubblico: “Il personale è politico” 139 . Ancora oggi la dicotomia privato/pubblico agisce ai danni delle donne: se si riafferma più o meno tacitamente la divisione, si resta ciechi al fatto che la struttura della famiglia intacca fortemente lo sviluppo personale, sociale, politico e professionale delle donne. È decisivo che si riconoscano gli “effetti orizzontali” dei principi antidiscriminatori, cioè il fatto che riguardino non solo i poteri statali ma anche gli individui nelle loro relazioni: il “privato” è infatti strutturato al suo interno in maniera del tutto stridente rispetto ai valori della modernità stessa. Nelle più attuali discussioni di diritto comparato 140 si prende atto del fatto che il tacco duro è sempre la famiglia ed il cosiddetto “privato” è centrale in ogni contemporanea discussione di filosofia politica. Se la giustizia riguarda soltanto i rapporti fra le famiglie e si stende “un velo di ignoranza” - assoluta - su ció che accade all’interno di esse, si applica subdolamente il principio della privacy, depoliticizzando la soggezione delle donne: la famiglia sarà vista come unità con la quale non si puó interferire e non si riconosceranno mai, ad esempio, la diseguale distribuzione del lavoro domestico né la cosiddetta “violenza domestica” 141 . Che peso si dà al benessere delle donne (soprattutto ai loro diritti individuali) quando la famiglia è considerata come un tutto da proteggere? Si dovrebbe riconoscere la famiglia come un’istituzione sociale largamente 138

Vd. NURIA VARELA, ¿què es el feminismo? La metafora de las gafas violetas, in NURIA VARELA, Feminismo

para principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005, pp.13-21. 139

Famosa frase di Kate Millet, autrice di un classico della letteratura femminista: KATE MILLET, La politica del

sesso, Rizzoli, Milano 1971. 140

Cfr. The Gender of Constitutional Jurisprudence, edited by B. Baines and R. Rubio-Marin, Cambridge

University Press, 2005 e The European Charter of Fundamental Rights in Gender and Human Rights edited by Karen Knopp, Oxford University Press 2004. 141

Vd. WILL KYMLICKA, Il femminismo, in Introduzione alla filosofia politica contemporanea, Feltrinelli, Milano

1996.

50 gerarchica, dove si esercitano relazioni di potere tra uomini e donne. Tuttavia si è poco ottimiste rispetto ai tempi necessari affinchè questa idea si diffonda: “there is nothing (corsivo mio) that indicates that this may happen any time soon” 142 .

Famiglia-valore (?) Questo tipo di consapevolezza viene di certo ostacolato dalla diffusa ideologia per cui la famiglia tradizionale è anzi da esaltarsi, un valore in sé; d’altro lato, il fatto di essere spesso oggetto di protezione costituzionale fa sì che il mito della famiglia come ambito intoccabile prosegua. La si vuole investire di significati forti: è il bastione della civiltà, l’unità chiave per la stabilità sociale. Amelia Valcárcel riporta la rappresentazione comune (edulcorata e mistificante) della famiglia: “el buen orden, la jerarquìa natural, el semillero de toda virtud, la sociedad sin conflictos” 143 . In realtà in essa mancano alcune categorie imprescindibili come: “equipolencia”, “decisión conjunta” e “diàlogo”. “Famiglia”, intesa come “il privato”, “il naturale”, è una categoria da ridiscutere anche per altre ragioni: non ultime le nuove aggregazioni sociali esistenti ed i nuovi orizzonti aperti dalle TRA. Nemmeno a questo proposito è marginale l’apporto delle norme, ovvero il modo in cui le costituzioni e le dottrine costituzionali sono modellate e a loro volta modellano le concezioni nazionali della famiglia: il fatto che per “famiglia” si intenda “normalmente” la coppia eterosessuale sposata 144 non è privo di conseguenze.

Le TRA, effetti collaterali dell’ideologia familiare Anche quando ci si scandalizza per le cosiddette “Tecnologie di Riproduzione Artificiale” ció che realmente importa è il fatto che esse legittimino nuovi modelli di famiglia. La confusione che si crea attorno a queste tecnologie e la condanna sono sostanzialmente indirizzate alle famiglie anomale che si formano (le TRA hanno il particolare potere di combinare –scombinare le figure genitoriali) 145 . 142

Vd. RUTH

RUBIO MARìN, Engendering the ConstItution. The Spanish Experience, in The Gender of

Constitutional Jurisprudence, edited by B. Baines and R. Rubio-Marin, Cambridge University Press, 2005, p.266. 143

Vd. AMELIA VALCÁRCEL, Sexo y filosofìa. Sobre “mujer” y “poder”, Anthropos Biblioteca A, Barcelona 1994,

pp.150-151. 144

Cfr. SUSANNE BAER, Citizenship in Europe and the construction of gender by law in the European Charter of

Fundamental Rights, in Gender and human rights edited by Karen Knop, Oxford Press, 2005. Questa recente analisi svolta sulla Convenzione europea sui diritti umani e le libertà fondamentali mostra che la famiglia patriarcale è ancora l’unità fondativa (si escludono sessualità divergenti e altre forme associative del vivere). 145

Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,

fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, pp. 11, 15.

51 Difatti la divaricazione fra pratiche “normali” (legittimate) e clamorose (illecite) parte dalla ragione per cui ci si rivolge ad esse: è lecito farlo se e solo se si utilizzano come “cura della sterilità” in risposta al “diritto di madre” che ha una donna sterile all’interno di una coppia eterosessuale legalmente riconosciuta 146 . Tanto per incominciare, parlare di cura è falso, perché le TRA non curano (è rassicurante dar loro questo valore terapeutico): semplicemente offrono un altro modo di procreare. Lo shock deriva dal fatto che chi desidera procreare non è più soltanto la coppia eterosessuale sposata e queste tecniche si prestano a soddisfare più agevolmente queste tendenze “anomale” (per altro in molti casi assecondabili anche al di là delle tecniche). Alcune categorie si formano proprio a partire da queste ambiguità: la distinzione fra inseminazione artificiale omologa ed eterologa ad esempio non è “scientifica”, ma “mista” (è in gioco un dato bio-sociale della fedeltà biologica della coppia). 147 Quando si dice “no alla nascita di bambini orfani” si sta in realtà dicendo che è orfano chiunque nasca al di fuori della coppia coniugale secondo il modello storico più rigido 148 : il vero obiettivo è rafforzare la norma familiare tradizionale, ovvero la coppia etero-stabile. Le sanzioni colpiscono infatti chi voglia concepire con le TRA senza rispecchiare quel modello 149 . Tuttavia non si puó pensare di escludere dalla potestà genitoriale un/a omosessuale che sia diventat@ genitore (senza ricorrere a tecniche “artificiali”) né una donna che sia diventata madre dopo un rapporto occasionale, né le divorziate, né le madri “sole” (queste ultime esistono già e non hanno prodotto alcun disastro sociale) . È un problema di accettazione culturale di altri modelli parentali. Esiste un pregiudizio naturalistico: l’ordine biologico-naturale è da salvaguardare; c’è una gerarchia di preferenze (non si riconosce ai soggetti che ricorrono alle tecniche la stessa autonomia che gli è riconosciuta qualora procreino “secondo natura”) 150 . I limiti e i controlli non valgono infatti per la procreazione “naturale” e questo ci aiuta a vedere ancora una volta che l’interesse è ideologico: stigmatizzare il “disordine sessuale”, piuttosto che assicurare genitori affidabili.

146

Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche, fantasie

e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, p.22. 147

Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,

fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, pp.40-41. 148

Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,

fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, p.20. 149

Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,

fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, p.104. 150

Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,

fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, p. 199.

52 Si tratta di un discorso estremamente delicato che tocca l’ambito etico, sociale e politico. C’è una famiglia che si sta “disfacendo”: siamo certe/i che non sia piuttosto un certo modello di famiglia (non l’unico possibile, e ancora meno il migliore)? Va ammessa, piuttosto, la necessità di ripensare la parentalità biologica, sociale e simbolica. Per tutti questi motivi, “la famiglia” resta uno dei concetti da rielaborare 151 .

La “privatizzazione” del “pubblico” Prendere sul serio la provocazione di Kate Millet, implica una trasformazione radicale della politica stessa, la quale non sarà più l’ambito iniziatico che nasce per scissione e negazione dell’altro che lo sostentava (il privato) 152 . L’opera di Carol Gilligan 153 , pur ribadendo una dicotomia fra i generi, offre spunti costruttivi a riguardo. L’autrice, citata regolarmente nella letteratura femminista, sostiene che vi siano effettivamente due modi di pensare, due progetti morali che caratterizzano le donne e gli uomini. In polemica con le conclusioni cui era giunto Kohlberg, sostiene che lo sviluppo morale non segue un percorso unico, fatto di stadi (in cui le donne si “fermerebbero” prima degli uomini), bensì due percorsi differenti, nessuno dei quali è superiore all’altro. L’intuizione, l’emozione, la disposizione particolaristica (utili per la vita domestica) si riscontrano prevalentemente in chi ha agito nel mondo privato; cura e responsabilità sono valori e virtù di chi ha sempre “regnato” in quell’ambito (quindi doti femminili). Il pensiero razionale, imparziale, spassionato (necessario per la vita pubblica) è invece prerogativa degli uomini; la giustizia ed i diritti sono dunque riconosciuti come valori e virtù maschili. Come leggere questa ricerca? È più probabile che le due etiche siano frutto di socializzazione, piuttosto che riflesso di qualità essenziali dei due generi; la divisione privato-pubblico ha certamente incentivato la formazione di due “progetti morali” paralleli. La “scoperta” dei due approcci non rappresenta tuttavia un limite da superare ma una risorsa: uno non deve sopraffare l’altro, sono utili entrambi (per tutte/i) e non alternativamente. Nessuno delle due etiche sembra infatti tanto carente da esser rifiutata 151

Vd. CRISTINA BRULLET, La maternidad en Occidente y sus condiciones de posibilidad en el siglo XXI, in

ÀNGELES DE LA CONCHA y RAQUEL OSBORNE (coords.), Las mujeres y los niňos primero. Discursos de la maternidad, Icaria Mujeres y culturas, Barcelona 2004, p.204. 152

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.189-190 . 153

CAROL GILLIGAN, Con voce di donna : etica e formazione della personalità, Feltrinelli, Milano 1991 (testo

originale: In a different voice, Cambridge, MA: Harvard University Press, 1982).

53 o tanto efficiente da sostituire l’altra; potremmo intravedere un proficuo scambio fra di esse. “Etica della giustizia” ed “etica della cura” potrebbero considerarsi due approcci che riguardano chiunque (al di là del sesso) senza che siano in competizione, bensì in collaborazione. In questa “etica superiore” (nata dalla sintesi delle due precedenti) il pubblico non si reggerà più sul disprezzo del privato 154 . Secondo Will Kymlicka è in famiglia che si esercitano o meno le capacità morali di tener conto degli altri, essa è la base delle elaborazioni teoriche sui principi morali. Se nel privato ci vuole un senso della giustizia prima valido solo nell’ambito pubblico, nel pubblico compare un’etica della cura ed un’attenzione al particolare prima relegate al solo ambito privato. Vediamo come la filosofia politica proponga di integrare il diritto–equità con la responsabilità–relazione 155 . Superare il bipolarismo donna-uomo, privato-pubblico significa anche che, come contropartita del percorso svolto dalle donne nell’ambito pubblico, ci saranno dei “passi avanti” degli uomini nell’ambito privato: avranno una loro parte nelle faccende domestiche, nella cura della prole, e ciò permetterà loro di guadagnare – auspicabilmente - un maggiore sviluppo affettivo e una nuova responsabilità paterna 156 . Così come la giustizia entra a far parte dei rapporti interpersonali interni alla famiglia, si prospettano relazioni extrafamiliari non prioritariamente aggressive, ma capaci di essere affettivamente importanti e sicure. Sono interessanti a questo propostito le proposte di “umanizzare” i rapporti di lavoro 157 , per uscire dall’alternativa affettivitàcompetitività, e far sì che una certa dose della prima sia presente tra le persone ogni qual volta esse entrano in relazione.

154

Vd. VICTORIA SENDÓN, ¿Què es el feminismo de la diferencia? Una visión muy personal, in

http://www.nodo50.org/mujeresred/victoria_sendon-feminismo_de_la_diferencia.html 155

Vd. WILL KYMLICKA, Il femminismo, in Introduzione alla filosofia politica contemporanea, Feltrinelli, Milano

1996. 156

Vd. ALICIA H. PULEO, Perfiles filosoficos de la maternidad, in ÀNGELES DE LA CONCHA y RAQUEL OSBORNE

(coords.), Las mujeres y los niňos primero. Discursos de la maternidad, Icaria Mujeres y culturas, Barcelona 2004, pp.39-40. 157

Vd. GENOVEVA ROJO, Ser mujer: el orgullo de un nombre, in El viejo topo extra 10, Masculino Femenino,

Barcelona septiembre 1980.

54

CAPITOLO 5 DISIDENTIFICAZIONE FEMMINISTA: VERSO “L’ INDIVIDUA” L’inferiorizzazione Il Patriarcato consiste di un insieme di pratiche reali e simboliche 158 ; queste ultime, attraverso le quali il sistema si è stabilizzato, si legittima e si perpetua, sono probabilmente le più complesse. Se finora abbiamo analizzato soprattutto la divisione degli spazi pratici (e simbolici), ciò che metteremo in luce adesso sarà il segno “negativo” che grava sulle donne. Non solo gli è stato imposto un ambito d’azione ben preciso, e – come abbiamo visto - sono state considerate alla stregua di corpi-oggetto sessuali mercificabili, ma questa condizione di emarginazione e silenziamento è stata “autorizzata” attraverso un processo sistematico - di inferiorizzazione, che ha portato le stesse donne, educate in una cultura misogina, ad accettare il loro ruolo di “sconfitte”. Facciamo alcuni esempi.

Esseri imperfetti e dipendenti Che cos’è la donna? La filosofia non risponde (come se fosse una questione superflua) oppure risponde disprezzandola: non ha l’anima razionale (Aristotele); è immediatezza naturale (Hegel); ha l’invidia del pene (Freud). Oppure è “la madre”, “la puttana”, “la regina del focolare”, “la notte”, “l’abisso”… Si riscontra un fastidio generale, un senso di estraneità 159 . In ogni caso è un essere manchevole, inferiore, passivo. Con la modernità si diffonde l’ ideale della donna domestica, angelo del focolare; alcuni diranno perfino che tutte le energie femminili devono consacrarsi alla maternità e si diffonde l’idea che l’esercizio intellettuale danneggi gli organi riproduttivi femminili 160 . La kirieia (tutela) è il termine giuridico per definire lo stato proprio della donna a partire 158

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.127, 116. 159

Vd. ADRIANA CAVARERO, L’elaborazione filosofica della differenza sessuale, in AA.VV., La ricerca delle

donne. Studi femministi in Italia, a cura di Maria Cristina Marcuzzo e Anna Rossi-Doria, Rosenberg & Sellier, Torino 1998, p.185. 160

Vd. ALICIA H. PULEO, Perfiles filosoficos de la maternidad, in ÀNGELES DE LA CONCHA y RAQUEL OSBORNE

(coords.), Las mujeres y los niňos primero. Discursos de la maternidad, Icaria Mujeres y culturas, Barcelona 2004, pp.25-28.

55 dalla pubertà, cioè quello di vigilanza protetta da un uomo; la subisce per tutta la vita 161 . Ancora oggi avviene qualcosa di simile, dato che per abortire le donne devono reclamare ad altri il proprio diritto e non semplicemente farlo se lo considerano pertinente 162 . È come se il dato biologico della minore forza fisica fosse stato assolutizzato, mortificando lo sviluppo delle donne. La debolezza fisica (lo scarto fisico è probabilmente quello che non si colmerà mai) diventa immagine di una (supposta) debolezza morale e intellettuale. Per Babeuf le donne avrebbero dovuto restare sotto il controllo maschile ed un intellettuale del suo circolo arrivó a proporre che si proibisse loro di imparare a leggere 163 . L’illuminatissimo Kant ironizzava sul fatto che le donne potessero equipararsi agli uomini a livello accademico e intellettuale e propendeva per il mantenimento delle stesse nell’ignoranza: è palese la volontà di escludere il sesso femminile dal processo illustrato isolandolo dalla conoscenza. 164 La sfiducia verso l’intelligenza femminile è vivacemente presente persino nell’opera di un rinomato filosofo contemporaneo: Giulio Preti. È osceno dover leggere fra le pagine di Retorica e logica con quanta nonchalance si possa dare per scontato il difetto intellettuale di metà del genere umano, cui si attribuisce una mentalità “pre-logica”. Ciò che più sgomenta è il fatto che questa “tesi” non venga argomentata, ma utilizzata come verità assodata, metro di paragone attraverso il quale insultare altre categorie di uomini ritenute intellettualmente deboli 165 . Dal punto di vista di Kant le donne non potranno nemmeno mai essere soggetti di dovere e diritto né possedere coscienza etica 166 . Tutto ció si lega al fatto che le donne siano 161

Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,

segunda edición 2004, p.78. 162

Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,

segunda edición 2004, p.80. 163

Vd. ALICIA H. PULEO, Perfiles filosoficos de la maternidad, in ÀNGELES DE LA CONCHA y RAQUEL OSBORNE

(coords.), Las mujeres y los niňos primero. Discursos de la maternidad, Icaria Mujeres y culturas, Barcelona 2004, p.23. 164

Vd. LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos encubiertos y esencialismos heredados : desde

un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p.66. Il testo in cui esprime più energicamente il suo desiderio di non condividere il processo di “ilustración” con le donne è observaciones sobre el sentimento de lo bello y lo sublime (1764.) 165

Vd. GIULIO PRETI, Retorica e logica, Einaudi, p. 12: "[...] La scienza moderna richiede, e quindi alleva,

molti "proletari della ricerca" o savants betes (come li chiama A. Huxley sulla scia di V. Hugo): piccoli ricercatori senza cultura e senza luce, [...] le cui micro-ricerche si compongono poi nei grandi quadri scientifici che trascendono la loro intelligenza e la loro cultura. [...] Fuori del loro "Istituto", smettono di pensare, e ricadono immediatamente al livello di mentalità pre-logica delle loro mogli, madri e nonne." (corsivo mio). 166

Vd. LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos encubiertos y esencialismos heredados : desde

un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, pp.14-15.

56 considerate minorenni a vita e per questo incapaci di prendere decisioni autonome; sono esseri da proteggere, la tutela dei quali passa dai rispettivi padri ai rispettivi mariti. Incapaci di coscienza morale ed autonoma, partecipano dell’imperativo categorico solo sussidiariamente attraverso l’uomo: il “bel sesso” si sottomette al “sesso sublime” 167 . L’affermazione “le donne sono totalmente indifferenti al bene comune” non ha il carattere di una constatazione problematica, piuttosto la dignità di una definizione essenziale, perfettamente consona all’andamento “naturale” delle cose. Questo limite del genere umano femminile (a ribadire l’inferiorità di questa parte dell’Umanità rispetto all’altra) è tuttavia utile e positivo: il pensatore trae la conclusione che vada tutto benissimo così. La (doverosa) vocazione delle donne al privato è infatti vitale affinché gli uomini possano contare sulle loro cure per riposarsi dalle fatiche della vita pubblica 168 . È chiaro che la descrizione si confonde con la prescrizione. Anche quando il disprezzo non è diretto, e si attribuiscono “doti” specifiche (comuni a tutto il sesso femminile), si dà per scontato che queste ultime siano di minor valore rispetto alle doti proprie dal sesso maschile (anche in questo caso ne beneficierebbero tutti gli individui). Kant parla di una maggiore dose di sentimenti di compassione, di bontà, e della tendenza ad anteporre il bello all’utile 169 . Esiste perfino una moralità femminile da preservarsi. Come vediamo già in Rousseau, ci sono due percorsi pedagogici: Emilio e Sofia riceveranno diversi tipi di educazione. Il primo sarà un essere autonomo; l’altra dovrà ricoprire un ambito preciso... 170 La sottomissione, l’essere in funzione di altro (dell’altro, fondamentalmente), sono stati proclamati come valori “universali a metà”: essi sono curiosamente validi per tutte le donne ma allo stesso tempo solo per metà del genere umano (il che cozza fragorosamente con gli ideali universalisti dell’Illuminismo): “tutta l’educazione delle donne dev’essere in funzione degli uomini. Piacere e rendersi L’autrice, interloquendo con femministe tedesche studiose dell’Illuminismo e/o di Kant, si concentra principalmente su due testi del grande filosofo: Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime del 1764 (pubblicato da Fabbri editore a Milano nel 1996, tradotto da Laura Novati e con introduzione di Guido Morpurgo-Tagliabue) e Antropologia dal punto di vista pragmatico del 1798 (pubblicato da TEA a Milano nel 1995 con introduzione di Alberto Bosi e a cura di Pietro Chiodi). 167

Vd. LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos encubiertos y esencialismos heredados : desde

un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p.65. 168

Vd. LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos encubiertos y esencialismos heredados : desde

un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p.74. 169

Vd. LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos encubiertos y esencialismos heredados : desde

un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, pp.70-71. 170

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp. 186-187.

57 utili a loro, farsene amare e onorare, allevarli da piccoli, averne cura da grandi, consigliarli, consolarli, rendere loro la vita piacevole e dolce: ecco i doveri delle donne in ogni età della vita e questo si deve loro insegnare fin dall’infanzia” 171 . Si sta così invertendo la proposta kantiana del “sapere aude 172 ”: piuttosto che un invito all’autonomia, contro ogni tutela altrui, avremmo da accettare un destino relativo. Le medesime doti caratteriali sono confermate ad esempio dalla religione 173 : il modello cui le donne dovrebbero ispirarsi è l’umiltà, la carità, l’abnegazione 174 . In questa ideologia maschile sessista la religione ha infatti giocato - da tempo immemore - un ruolo di primo ordine. La donna è muta nel Genesi (non ha parola, nome, lignaggio); nasce (da uomo e non da donna) indifesa e condannata, per una supposta infrazione, ad essere subordinata all’uomo 175 . Il padre è il principio fondamentale della genealogia; non c’è traccia di successione matrilineare. Le donne sono sempre “figlie di”, “nuore di”, mai “madri di”; quando sono madri si dice che “danno figli agli uomini” o “gli partoriscono figli”. Non esiste la diade madre-figlia (creando un vuoto spaventoso) 176 . Il padre-patriarca puó sentirsi figlio virtuale di Dio così come lo sono i suoi figli maschi rispetto a lui; il dio di Israele di fronte al quale si inchina è garante del suo proprio potere patriarcale 177 . Le donne invece non possono sentirsi madri virtuali perché la maternità non è un referente co-costitutivo della comunità, né una categoria da guadagnare in futuro. Ha solo la funzione di partorire e allevare figli-padri virtuali per il Padre. Il sacrificio rituale del Figlio, consumato nel disprezzo della volontà (ignorata) della Madre, è uno dei requisiti del 171

Vd. J. J. ROUSSEAU, Emilio, tr. Di Paolo Massini, Armando Editore, Roma 1981, p.550.

172

Cfr. LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos encubiertos y esencialismos heredados : desde

un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p.18. Si rivolge direttamente a Kant. È il medesimo filosofo il primo a fare distinzioni: benché il suo testo Che cos’è l’illuminismo? del 1784 (pubblicato da Editori riuniti a Roma nel 1987) sottolineasse che la ragione deve emanciparsi dai tutori esterni, in altri punti delle sue opere lasció intendere che l’invito valesse solo per i maschi. 173

Si parla di religione cristiana, ed in particolare cattolica; tuttavia il ruolo subordinato del femminile sembra

essere una costante di tutte le religioni. 174

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.169. 175

Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,

segunda edición 2004, p.51. 176

Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,

segunda edición 2004, pp.55-56. 177

Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,

segunda edición 2004, p.58.

58 potere del Padre, come già si vide in Abramo (ancora una volta l’uomo si impone quale proprietario assoluto di vite). Secondo questa logica le madri vedono i propri figli/e condotti alla morte (guerre, genocidi) e alla prostituzione 178 . Potremmo ipotizzare che sia proprio a partire dalla prima (?) interpretazione dei ruoli riproduttivi, dove l’uomo si aggiudica la parte importante, “attiva” della produzione di corpi-individue/i, derivino, a grappolo, le successive “conclusioni” ideologiche. Il padre implica la donna come suo utero extracorporale 179 . Le donne sono insomma semplici portatrici, “incubatrici dello sperma maschile”, coloro che mettono solo il proprio organismo, la propria biologia naturale (animale), affinché cresca il seme dell’uomo 180 . Questa visione delle donne come “esseri in funzione di-” si traduce a più livelli, partendo da quello biologico. Aristotele, ad esempio, giustificava la dominazione delle donne (e degli schiavi) in quanto carenti di fini in sé stessi (sarebbero quindi meri mezzi per i fini altrui). Non si tratta di una visione ormai superata perchè continua ad agire “sotterraneamente” ancora oggi, come un’analisi approfondita delle TRA mette in luce. Rispetto al tema dell’aborto e del connesso diritto alla vita del feto ci accorgiamo che ancora una volta la donna è percepita come contenitore (della cretura nascente), ambiente di vita 181 . Nel momento in cui poniamo l’accento sul concepimento piuttosto che sulla nascita, il corpo femminile diventa solo una via di transito, uno strumento 182 . Uno dei veicoli di diffusione più attuali dell’ideologia imperante è la pubblicità. Se una marziana, guardandola, volesse provare a capire ció che sono le terrestri, difficilmente arriverebbe ad alcuna conclusione approssimativa sulle donne reali 183 . La più innovativa tecnica di persuasione è infatti piuttosto reazionaria nei suoi contenuti: 178

Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,

segunda edición 2004, pp. 58-59. 179

Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,

segunda edición 2004, p.56. 180

Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,

segunda edición 2004, p.74. 181

Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,

fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, p.64. 182

Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,

fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, pp 111-112. 183

NURIA VARELA, La cultura in NURIA VARELA, Feminismo para principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005,

p.306: “si una marciana pretendiera entender la Tierra a travès de la publicidad, difìcilmente llegarìa a ninguna conclusión aproximada de lo que son las mujeres. Pensarìa que èstas sólo tienen un objetivo fundamental: exhibirse como reclamo sexual o conseguir el blanco màs reluciente y satisfacer las necesidades de la famiglia en una casa con los suelos màs brillantes de todo el barrio…(se las reconoce como) objetos de placer o como sujetos domèsticos”.

59 tra gli stereotipi che questo potentissimo mezzo ribadisce, ritornano i due centrali: la donna-mero oggetto di piacere 184 e la madre polvere-dipendente 185 . Si tende perció a reiterare i modelli tradizionali, dove le donne sono ridotte alla sessualità oppure alla funzione riproduttiva (riconfermandole nella loro presunta vocazione domestica).

Autodisprezzo: misoginia femminile Si intende ora perché le donne siano alla ricerca di libertà ed uguaglianza, ma non solo: si parla anche di una ricerca di senso, di dignità ed autostima (se le pensatrici della differenza puntano molto su di questa, sostenendo che l’immagine della vittima viene perpetrata dalle femministe di stampo rivendicativo 186 , è anche vero che una lotta importante delle femministe dell’uguaglianza è quella contro il “valore tradizionale” dell’abnegación). La stessa Celia Amorós ammette che non si puó arrivare da nessuna parte a partire dalla propria svalutazione, dalla depressione (prodotto dell’interiorizzazione dell’oppressione subita), dall’odio a se stesse, e dall’assunzione come propria dell’inferiorità che ci è stata attribuita. Chi non riesce ad entrare in dialogo con il modello ricevuto, rinuncia infatti a cambiare.

Un

passaggio

decisivo

all’avvio

di

qualsiasi

percorso

femminista

è

evidentemente uno sguardo diverso delle donne su se stesse: non solo le donne devono disporre delle possibilità oggettive per poter effettivamente sfuggire alla tutela (in primo luogo economica) dei padri e dei mariti, riprendendosi i propri corpi e la propria sessualità, dimostrando di essere pensanti, capaci di indipendenza e moralità, artefici attive delle proprie esistenze, al di là dei ruoli pre-costituiti e verso progetti individuali-individuanti; per poterlo fare devono in più considerare positivamente il proprio “essere donna”. Le femministe non credono più che il loro sesso comporti “essere da meno” e per 184

Cfr. EDWARD SHORTER, Storia del corpo femminile, Feltrinelli, Milano 1984, pp. 29-30. Il binomio donna-

oggetto sessuale è antico. In quest’opera si tratta della cultura contadina europea nell’800 ed è bizzarro che anche allora le donne fossero descritte come vulcani di desiderio, fornaci della carnalità, lussuriose e naturalmente insaziabili, divoratrici di uomini: a quei tempi il sesso era per loro un dovere da sopportare con rassegnazione, una sorta di comandamento, e non una fonte di piacere; esso si legava per di più alla paura della gravidanza e delle gravi conseguenze cui gravidanze troppo frequenti portavano. 185

Vd. RUTH

RUBIO MARìN, Engendering the ConstItution. The Spanish Experience, in The Gender of

Constitutional Jurisprudence, edited by B. Baines and R. Rubio-Marin, Cambridge University Press, 2005. Si dovrebbe incoraggiare l’uso delle statistiche e degli studi che mostrano il danno specifico che si fa alle donne nei modi in cui i mezzi di comunicazione le ritraggono. 186

Cfr. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Seller, Torino 1987.

Questa accusa viene ripetuta costantemente.

60 questo bramano di liberarsi dal segno di inferiorità che è stato loro affibbiato. Esso è irrazionale ed ingiusto, desolatamente contraddittorio rispetto al presupposto moderno che squalifica lo status a favore del merito. Credono, insomma, che donne e uomini siano assiologicamente equivalenti; due rappresentanti ugualmente degni della specie umana. Sebbene sia del tutto deprecabile la violenza di tipo fisico che il collettivo delle donne ha subito e ancora subisce 187 , la più subdola, prepotente, e infida da stanare, è la violenza di tipo simbolico. Il paradosso è che alberghi nelle stesse donne.

La parziale verità di certi pregiudizi D’altro canto le descrizioni “inferiorizzanti” non sono tutte “campate in aria”: le caratteristiche infantili – ad esempio - come l’immaturità, la debolezza etc. sono da sempre attribuite ai gruppi subordinati ma anche “propiziate” dal gruppo dominante 188 . Intendiamo dire che se parte di queste caratteristiche si riscontrano di fatto in individui di genere femminile, è perché il tipo di educazione impartita loro è stata orientata a quegli scopi; le descrizioni hanno agito da prescrizioni. Sottolineiamo che viene prima la prescrizione della descrizione: altrimenti non si spiegherebbe il fatto che moltissime donne non rispecchino più quegli standard. Per via di una sorta di circolo vizioso le donne cresciute in una cultura che le considera eternamente manchevoli e incapaci, non possedendo la forza né la fiducia (interiori ma anche esteriori) per elaborare e proporre una voce propria, facilmente si ritrovano ad interpretare esattamente quel ruolo che è stato pre-formato appositamente per esse: quello di esseri sussidiari, appendici dei propri mariti. La studiosa Miriam Johnson sostiene che il ruolo di moglie sia di gran lunga il peggiore fra quelli subiti (forse l’unico “costitutivamente” degradante) 189 . Per le donne così educate sarà arduo ridiscutere se stesse: lo stereotipo di genere fa parte della propria formazione, è insediato dentro di loro. “Il peggior nemico” da combattere sarà allora - forse - non tanto quello esterno, la società, quanto quello interno, sé stesse. Il senso di “donna” così come è stato culturalmente stabilito, finisce per incarnarsi nei corpi delle donne reali ed “agirli”: non è facile sradicarlo 190 . Ció che accade

187

Cfr. NURIA VARELA, La violencia, in NURIA VARELA, Feminismo para principiantes, Ediciones B, Barcelona

2005, pp. 251-271. 188

Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,

segunda edición 2004, p.47. 189 190

Vd. MIRIAM M. JOHNSON, Madri forti, mogli deboli, Il Mulino, Bologna 1995. Ricordo un breve ma efficace aneddoto raccontato dal Professor Francisco Vázquez García a lezione.

Durante una cena fra coppie di amici si discuteva animatamente di tematiche legate al femminismo, al genere,

61 alle femministe è esattamente questo: si scontrano con una parte di sé.

“La pesadumbre comùn” 191 Non deve disorientare che le donne abbiano potuto (e possano) farsi veicolo di considerazioni di tipo machista (ovvero denigrino se stesse). Come sostiene Victoria Sau, essendo dominate fisicamente ma anche ideologicamente, le madri per prime reiterano la dominazione, educando la propria prole entro quella cultura (patriarcale) che le ignora e le disprezza. Le figlie ed i figli non hanno Madre. Se questi ultimi vengono socializzati in modo tale da credere che non ne hanno bisogno e che anzi essa sarebbe un disturbo (negare di essere nati da donna libera l’ego maschile dal vincolo di dipendenza più naturale e basilare), le prime si formano nella convinzione che le donne non ebbero mai alcun ruolo se non quelli “tradizionali”, come se fossero di un’altra razza (ovviamente inferiore). Si pensi ad esempio alla Cosmogonia di Esiodo, dove si narra di un tempo in cui non vi erano donne e gli uomini vivevano felicemente. Pandora, pur essendo la prima donna non è madre dell’umanità, ma solo delle donne! Esse sono percepite come un collettivo a parte, un’unità sociale chiusa su se stessa 192 . Se le madri sono state a lungo codarde e ipocrite, complici di coloro che abusavano di loro, ambigue, va ricordato che nemmeno loro hanno avuto Madre (in questo senso “siamo tutte orfane”) 193 . Vittime e carnefici si confondono. L’evidenza che le donne interiorizzino i miti maschili può darla il fatto che ancora oggi in Africa le autrici dei riti mutilatori della circoncisione femminile siano donne 194 . Nella famiglia (oikos), cellula base della società -anche per la sua funzione economica- chi governa è l’uomo: la donna è addestrata dal marito 195 , ed è così che le madri reali si fanno portavoce del Padre, portatrici dei suoi valori culturali (tra i quali il fatto che lei, la

ai diritti delle donne, etc. Ad un certo punto il fervente dibattito fu interrotto dallo scoppio di un pianto (di un/a bimb@). Chi saltò dalla sedia? Le donne, “naturalmente”. 191

Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, Mujeres en relación. Feminismo 1970-2000, Icaria Màs Madera,

Barcelona segunda edición 2003, p. 19. Significa “la sofferenza comune”: si allude all’essere orfane, è questo “il peso” che tutte le donne porta(va)no. 192

Vd VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,

segunda edición 2004, pp.59, 69. 193

Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,

segunda edición 2004, p.108. 194

Vd. EDWARD SHORTER, Storia del corpo femminile, Feltrinelli, Milano 1984, p.341.

195

Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,

segunda edición 2004, p.78.

62 Madre, non esiste). È una sorta di ventriloquia dell’uomo 196 : la madre è mpère 197 . La Madre non esiste, è stata fagocitata dal Padre e per estensione la donna dall’uomo. 198 Il linguaggio ne è testimone: il generico, maschile, sta per il maschile ed il femminile allo stesso tempo. La socializzazione delle figlie nel “vuoto della Madre” - dal momento che si riduce a funzione del Padre 199 - è cruciale per il mantenimento dello status quo.

Il corpo femminile: ignoranza, paura, vergogna L’autodisprezzo che ci impone il Patriarcato è un problema di non poco conto 200 . In primo luogo detestiamo il nostro corpo 201 : nella civiltà occidentale il corpo femminile è immaginato come portatore della sessualità, pericoloso per l’uomo e quindi causa di tutti i mali dell’umanità (Eva e Pandora sono due esempi più che classici). Le donne sono state tenute distanti dai propri corpi, che esse stesse hanno tradizionalmente denigrato. Studi sulla cultura dell’Europa tradizionale lo confermano: essendo la società dominata da concezioni maschili, le paure proprie di una metà del genere umano, finiscono per essere condivise anche dall’altra metà. Il disagio maschile nei confronti delle “facoltà magiche/demoniache” delle donne si riflette perció sulle stesse donne. L’utero, ad esempio, è vissuto come una minaccia (così ce lo presentano molte leggende): è qualcosa di vivo, una creatura animata; 202 si temono le sue emanazioni quando la donna è gravida. La puerpera “non vale di più di una scrofa” e

deve stare in casa, se no

“contaminerebbe gli altri” 203 . La guarigione dopo il parto e i preparativi funebri per le puerpere morte ispiravano terrore dei poteri magici (del corpo delle donne): “le sofferenze delle donne dovrebbero restare una faccenda tutta loro”. 196

Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,

segunda edición 2004, p.49. 197

Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,

segunda edición 2004, p.33. 198

Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,

segunda edición 2004, pp.11, 46. 199

Il vuoto di cui approfonditamente parla Victoria Sau. La stessa idea emerge da numerosi saggi contenuti nel

testo Las mujeres y los ninos primero, op. cit. 200

Cfr. GENOVEVA ROJO, Ser mujer: el orgullo de un nombre, in El viejo topo extra 10, Masculino Femenino,

Barcelona septiembre 1980. 201

Vd. GENOVEVA ROJO, Ser mujer: el orgullo de un nombre, in El viejo topo extra 10, Masculino Femenino,

Barcelona septiembre 1980. 202

Vd. EDWARD SHORTER, Storia del corpo femminile, Feltrinelli, Milano 1984, p.335.

203

Vd. EDWARD SHORTER, Storia del corpo femminile, Feltrinelli, Milano 1984, p.337.

63 Si riscontra l’usanza della “benedizione dopo il parto” fra i riti di tutte le chiese cristiane prima della Riforma Protestante (una sorta di “decontaminazione religiosa” che continua a protrarsi nella chiesa anglicana e cattolica fino al ‘900) ed è testimoniato inoltre il timore delle anime delle puerpere decedute (soprattutto se non benedette) 204 . Le donne morte di parto sono infatti spesso sepolte in un angolo del cimitero con assassini e suicidi, o anche completamente al di fuori delle mura 205 . C’è l’orrore del sangue mestruale, uno dei tabù persistenti (che come sappiamo è comune a tutte le culture) 206 : la donna mestruata rovina bevande e cibi; il sangue è impurità; si citano ad esempio le purificazioni rituali delle ebree ortodosse. La cosa rilevante è che le donne acconsentissero a questa concezione maschile di una femminilità corrotta e pericolosa. A lungo il corpo e la sessualità femminili hanno rappresentato motivi di inibizione e insicurezza, mentre la disinformazione su di essi ha regnato sovrana in famiglia e nell’educazione. La vergogna delle mestruazioni persiste in certa misura ancora oggi ed nemmeno il godimento sessuale femminile, a partire dalla negazione del clitoride come organo specifico del piacere della donna, ha avuto modo di “affermarsi”. Il senso di disagio rispetto a queste tematiche è ampio 207 . Non a caso nel femminismo si è avvertito un malessere corporeo, legato al desiderio di vivere con libertà e felicità il proprio corpo. La prova della verità era ritrovare la stessa esperienza in altre donne, un senso di epifania (coincidenza parole-cose) 208 . Recuperare la stima dei nostri corpi e dei fenomeni specificamente femminili che si mostrano in esso (ciclo, gravidanza e parto) è indispensabile per costruire un nuovo senso di sé, oltre quelli “permessi” dagli schemi patriarcali.

L’androcentrismo: una parzialità divenuta universale C’è un’altra “sindrome” di origine maschile che va riconosciuta e “curata”. Essa è forse meno evidente e meno “grossolana” della misoginia, ma non per questo meno diffusa e 204

Vd. EDWARD SHORTER, Storia del corpo femminile, Feltrinelli, Milano 1984, p.338.

205

Vd. EDWARD SHORTER, Storia del corpo femminile, Feltrinelli, Milano 1984, p.339.

206

Vd. EDWARD SHORTER, Storia del corpo femminile, Feltrinelli, Milano 1984, p.336.

207

Cfr. El viejo topo, extra 13, Cuerpo y poder, Barcelona, p.37. Un gruppo di donne si interroga su questi temi

e si trova d’accordo su molti punti. Tra gli altri si confessa di aver subito l’immagine della passività (“sono gli uomini che sanno già come fare”, a livello di competenze erotiche), e vissuto la censura della violenzaaggressività fisica (cosa che peró fa sorgere il dubbio: siamo “naturalmente” contrarie alla violenza o non ci è permesso esprimerla?). 208

Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, La diferencia sexual en la historia, Universitat de València 2005,

p.31.

64 grave. Anche in questo caso la “patologia” finisce per infettare le stesse donne: parliamo dell’androcentrismo. Pensiamo che, d’altronde, la stessa Lingua che tutte/i parliamo porta i segni di secoli di dominazione maschile e che le Istituzioni, il Pensiero filosofico, il Diritto, la Religione, l’Economia, hanno da sempre ospitato esclusivamente uomini (o in ogni caso contemplato soltanto uomini ai loro vertici), formandosi perciò a loro immagine e somiglianza. Non si puó trascurare il problema del tipo di valore che si dà a determinate funzioni, ruoli, atteggiamenti: le cose perseguite in modo “neutro” sono in realtà spesso identificate sulla base degli interessi-valori degli uomini. Di norma “ció che è più importante” è ció che ha a che vedere con gli effetti del testosterone: la forza, la competitività, l’azione, la conquista, la produzione (di fronte alla pazienza, alla solidarietà, al sentimento, alla cura, alla riproduzione) 209 : “in queste società virtualmente tutte le qualità che distinguono gli uomini dalle donne sono state positivamente valorizzate: la loro presenza definisce la famiglia; la loro incapacità di andare d’accordo tra loro le guerre; le loro dominazioni, la storia…” 210 Superare l’androcentrismo è un lavoro impegnativo. Uno degli impliciti fondamentali da svelare è che il maschile “non sa della sua mascolinità” e si considera “standard”. Il mondo, insomma, è sempre stato molto protagoreo, “a misura d’uomo”, intendendo però con “uomo” esclusivamente l’essere umano maschio. Persino rispetto al tema della salute le donne sono svantaggiate, dal momento che gli uomini hanno posto sé stessi come prototipo di riferimento degli studi medici e farmacologici 211 . Vediamo quindi che l’unica designata come differente è la donna, mentre l’uomo si autoistituisce come neutro. 212 Il punto è che egli non si autoconcepisce come sesso: il sesso è quello femminile, come se il maschile fosse “il proprio” della specie, ed il femminile “il caratteristico”. Il corpo sessuato gioca un ruolo importante (quello di ostacolo) solo per gli esseri umani di sesso

209

Vd. VICTORIA SENDÓN, ¿Què es el feminismo de la diferencia? Una visión muy personal, in

http://www.nodo50.org/mujeresred/victoria_sendon-feminismo_de_la_diferencia.html 210

Vd. WILL KYMLICKA, Il femminismo, in Introduzione alla filosofia politica contemporanea, Feltrinelli, Milano

1996. Si sta citando McKinnon. 211

Vd. NURIA VARELA, op.cit. e NICLA VASSALLO e PIERANNA GARAVASO, Filosofia delle donne, Editori Laterza,

Bari 2007, p.53. 212

Vd. CELIA AMORÓS, Feminismo y perversión in LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos

encubiertos y esencialismos heredados : desde un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p.132.

65 femminile 213 , ed è a partire dalle sue caratteristiche che si giustificano le principali aspettative nutrite nei confronti delle donne: come dire che gli uomini possano prescindere del tutto dal proprio corpo, e le donne, affatto. Come scrisse Rousseau: “non v’è alcuna parità tra i sessi quanto alle conseguenze derivanti dalla loro diversità. Il maschio è maschio solo in determinati momenti, la femmina è femmina per tutta la vita, o almeno per tutta la giovinezza” 214 . L’uomo non riconosce la sua parzialità perché occorre che venga designato dall’esterno (il bianco non ha coscienza di sé come differente, bensì il nero) ed è dal momento in cui è stata interpellata dalla lotta delle donne per l’uguaglianza, che l’identità maschile ha smesso di essere a-problematica: “quien està en posición de sujeto del discurso es el que mira y designa al otro. No se ve a si mismo come diferente, sino como norma canonica” 215 . Poiché gli uomini si sono imposti quale archetipo dell’umanità, la diversità “da discutere” sembra sia sempre stata quella delle donne rispetto agli uomini, e non

-

simmetricamente - quella degli uomini rispetto alle donne. Questo tipo di cecità persiste anche nei luoghi più insospettabili: basta leggere alcune analisi femministe svolte sulle costituzioni più attuali 216 . Dato che la voce dominante è stata a lungo quella maschile, non colpisce che i processi fisiologici femminili si siano convertiti in processi patologici: per esempio le mestruazioni e la menopausa (il movimento femminista deve smascherare anche questo) 217 . A conferma di questa tendenza basti pensare che oggi nella Convenzione europea sui diritti umani e le libertà fondamentali esiste il diritto a proteggere la gravidanza come diritto sociale, ma è garantito affianco alla protezione nei casi di malattia, vecchiaia etc.: la gravidanza è costruita dalla legge come se fosse un’anomalia 218 , mentre sappiamo bene che è tutto fuorché una “bizzarria femminile”: è 213

Cfr. CELIA AMORÓS, Presentación (que intenta ser un esbozo del “status questionis”) in CELIA AMORÓS

(ed.), Feminismo y filosofìa, Ed. Sìntesis, Madrid 2000 e AMELIA VALCÁRCEL, Sexo y filosofìa. Sobre “mujer” y “poder”, Anthropos Biblioteca A, Barcelona 1994. 214 215

Vd. J. J. ROUSSEAU, Emilio, tr. Di Paolo Massini, Armando Editore, Roma 1981, p. 544. Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.314 . 216

Cfr. SUSANNE BAER, Citizenship in Europe and the Construction of Gender by Law in The European Charter

of Fundamental Rights in Gender and Human Rights edited by Karen Knopp, Oxford University Press 2004. 217

Vd. SACRAMENTO MARTI, La maternidad. Punto clave para una perspectiva feminista, in El viejo topo, n°

51, Barcelona diciembre 1980. Cfr. CARMEN VALLS-LLOBET, La menstruación: de la invisibilidad a la abolición, in DUODA, ESTUDIOS DE LA DIFERENCIA SEXUAL, numero 31, Barcelona 2006. 218

Vd. SUSANNE BAER, Citizenship in Europe and the Construction of Gender by Law in The European Charter

of Fundamental Rights in Gender and Human Rights, edited by Karen Knopp, Oxford University Press 2004.

66 quella realtà naturalissima indispensabile a che la specie umana (donne e uomini) si riproduca.

Porsi come soggetti Molte delle donne reali sperimentano una distanza abnorme fra l’immagine (o l’avaro ventaglio di immagini) di sé in quanto donne che la tradizione offre e l’immagine (o le poliedriche immagini) di sé che esse stesse possiedono o aspirano a plasmare. La risposta a questo abisso risiede nel fatto che il generico “donna” è stato finora designato dagli uomini (i padroni del linguaggio, in primo luogo) e quindi in funzione dei loro sogni e delle loro paure. Poiché il sesso maschile è stato a lungo l’unico ad autorappresentarsi, decidendo al contempo la rappresentazione del sesso femminile a sé funzionale (è l’altra dall’uomo e per l’uomo; è senza parola né immagine propria) 219 , la coltre di pregiudizi che ha avuto modo di sedimentarsi sulle donne si spiega semplicemente con l’essere state oggetti “eterodesignati”: “non crediamo più a quello che gli uomini, politici o giornalisti, scienziati o mariti, dicono su di noi, sul nostro destino, sui nostri desideri e i nostri doveri” 220 Se l’immagine femminile con cui l’uomo ha interpretato la donna è una sua invenzione e tuttavia egli ha sempre parlato a nome del genere umano, la rivoluzione simbolica consisterà nel porsi come soggetto. C’è un intenso bisogno di autosignificazione. Le individue sono vivamente preoccupate di parlare di sé da sé, scegliendo al contempo percorsi esistenziali propri, senza rispettare i “guiones existenciales” offertici dalla cultura patriarcale. Come diceva Carla Lonzi negli anni ‘70, con una delle sue frasi "fulminanti": “abbiamo guardato 4000 anni, adesso abbiamo visto!” 221 .

Come significarsi? Individualità e femminilità Nell’ordine simbolico-sociale pensato dagli uomini, nascere donna è per un caso che condiziona tutta la vita; in essa lei non ha un destino personale. In conformità a ció, la consapevolezza della differenza, interpretata come ineluttabile stato di privazione e subordinazione, puó portare a due casi-limite: quello di chi si rifugia con rassegnazione nel vecchio ruolo; o quello di chi rinnega l’appartenenza al genere 219

Vd. ADRIANA CAVARERO, Il pensiero femminista. Un approccio teoretico, in FRANCO RESTAINO e ADRIANA

CAVARERO, Le filosofie femministe, Paraviascriptorium, Torino 1999, p. 119. 220

Cfr. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Seller, Torino 1987,

p.34. Si tratta di una citazione da Donne è bello, pubblicato nel 1972 dal gruppo Anabasi. 221

Questa frase si trova nel Manifesto di Rivolta femminile, pubblicato a Roma e a Milano nel 1970.

67 umano femminile, per non rinunciare a vivere un’esistenza “individuale”, né subordinarsi. Per colpa della vetusta dicotomia (donna-privato/uomo-pubblico) alcune donne desiderose di vedersi riconosciuto lo status di individue, guadagnato con fatica, operano una disidentificazione “senza ritorno”: piuttosto che ridiscutere il fatto stesso che individualità e femminilità siano inconciliabili, assumono un punto di vista che potrebbe forse rientrare nel “nominalismo estremo”. Questo tipo di disidentificazione, che Celia Amorós definisce “misogino”, è accompagnato da una certa distorsione ermeneutica. Per il desiderio di essere individue le donne rinnegano la femminilità, nel senso che disprezzano chi non ha sviluppato la propria individualità e negano che alcuna delle proprie “difficoltà” abbia a che fare col fatto di essere donne. Non c’è il problema di stare perdendo la femminilità (che altrimenti sarebbe, ancora una volta, essenzialmente “fare da madri” etc.), bensì di non essere riconosciute come individue. Ciò di cui ci si vuole spogliare sono proprio gli stereotipi che, mentre associano “donna” a “mondo privato”, contrappongono come inconciliabili “donna” e “mondo pubblico”. Non abbiamo a che fare con una dicotomia vera, di cui noi abbiamo desiderato negare un estremo; è che ancora non si concepiscono individualità e femminilità insieme. L’individualità, insomma, (così come tutta una serie di altri concetti tratti dall’universale “umanità”) non è “maschile”: si puó essere individue, restando donne. La disidentificazione di tipo femminista ha lo scopo di ri-assumere la genericità risignificandola 222 : a questo scopo dovremmo pazientemente raccogliere le sfide che la sopravvivenza nel “mondo pubblico” ci lancia. Come prevedibile, in una società patriarcale l’essere di sesso femminile, se non c’è da procreare, non si lega con niente: liberata dalla servitù del suo destino anatomico una donna non diventa automaticamente libera, ma superflua 223 . All’infuori dei ruoli che interpretano l’anatomia, il destino di una donna si trova infatti sospeso nel vuoto, dipendente

da

scelte

personali

oggi

ammesse

facilmente

ma

che

non

hanno

l’avvaloramento di sapersi corrispondenti ad una qualche necessità oggettiva; fuori dalle alternative precostituite – che interpretano l’anatomia - c’è solo disorientamento. Non dimentichiamo che, sotto la legge del padre, le donne non hanno senso per sé stesse, ma solo in funzione di lui (in particolare di dargli figli). Al di là di questa funzione, le donne o perdono valore o perdono la loro differenza per essere assimilate a uomini 224 . 222

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.213-214. 223

Vd. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Seller, Torino 1987,

p.156 e seguenti. 224

Vd.

LUISA

MURARO,

La

madre

dopo

http://www.libreriadelledonne.it/news/MF.htm

il

patriarcato,

intervista

di

Ida

Dominijanni

in

68 Tuttavia, così come “non è libertà un ruolo sociale ricalcato sull’anatomia”, “c’è servitù in una libertà sociale pagata con la cancellazione del proprio corpo sessuato” 225 . L’obiettivo della riflessione femminista è evidentemente quello di superare un aut aut di tal fatta: non c’è vera libertà in questa alternativa. Si vuole frantumare la spessa maschera dello stereotipo di genere sia per ribadire la propria individualità che in esso non si esaurisce né si riconosce, sia per ridiscutere il generico stesso. In ogni caso non è una mera questione volontarista: non basta che io mi percepisca come individua perché io lo sia davvero. Se gli altri mi vedono come una in più di una serie o moltitudine indifferenziata, non sono individua, visto che non genero gli effetti sociali e politici specifici di questa condizione 226 . Allo stesso modo non è volontaristica la resignificazione di “donna”. Non si smuove nulla, se prima non tentiamo di prendere sul serio la trama dei rapporti di potere. Per quanto sia improbabile riuscire a gestirla, cominciando a prendere in mano alcuni fra i suoi fili si saprà per lo meno come evitare di restarne avviluppate.

Il potere Cambiare il significato di “donna” non si puó fare “in disparte”: il potere è necessario. Ció che accade è che le identità si costituiscono nell’interazione costante con le altre e gli altri, ed occorrerebbe perció “contrattare nuovi significati” prima di poterli rendere attivi. Abbiamo bisogno di un gruppo giuramentato (perché ci sia normalizzazione e stabilità) che diffonda la re-significazione soprattutto attraverso mezzi sociali, altrimenti è come costruire “un muro de arena” 227 . Per ricostruire l’identità di genere occorre essere consapevoli del fatto che chi contratta nuovi significati non è chi vuole ma chi puó istituire un linguaggio socialmente egemonico (altrimenti si resta nell’ambito del ghetto). Le identità convalidate lo sono infatti in virtù di un gioco di meccanismi per l’analisi del quale non si puó prescindere dalle relazioni di potere. Finché queste ultime saranno squilibrate, non si potrà giocare al genere: le varie proposte

225

Vd. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Seller, Torino 1987,

p.136. 226

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.102. 227

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.108, 257.

69 di moltiplicarli, farli proliferare, etc., sono espedienti cinici o illusori 228 . Il problema più grave è negare che la femminilità quale ci è stata tramandata sia una costruzione dello stesso patriarcato. La pretesa di possedere un’identità femminile genuina ed autocostituentesi va unita infatti a quella di essere immuni alle eterodesignazioni patriarcali: “definir què sea eso de “ser mujer”, y hacerlo, ademàs, desde un discurso que se pretende no contaminado por el patriarcato, resulta tan chocante como querer salir del universo para retratarlo” 229 Se la donna non è soggetto del linguaggio, e parla e si rappresenta attraverso il linguaggio e le categorie dell’altro, come puó situarsi per raggiungere il miracolo di rompere col linguaggio che è - ed è stato - storicamente quello che tesse i discorsi? 230 È opportuno prestare attenzione. Negare il mondo del contratto (contro il paradigma moderno) e voler ricostruire un mondo di status non gerarchico significa ignorare del tutto la questione del potere 231 e vivere nel sogno volontaristico di non necessitare convalide dal e nel mondo (finora) maschile. L’atteggiamento delle pensatrici della differenza che disdegnano l’uso del potere e negano di subirne gli effetti ricorda quello degli Stoici che, con la loro filosofia, davano la possibilità agli oppressi di evadere la fattività e mostrarsi indifferenti. Ignorare la fattività però non significa essere libere: la libertà è ció che noi facciamo di ció che hanno fatto di noi 232 . Il “volontarismo valorativo dell’oppresso” si ripete nella storia in situazioni dove risulta più facile ri-significare volontaristicamente il linguaggio piuttosto che trasformare determinati aspetti della realtà sociale; le relazioni di potere diventano irrilevanti ed alla gerarchia sociogiuridica subentra la gerarchia etica. Un esempio è quello dei gitani: emarginati e disprezzati dalle società nelle quali vivono senza integrarsi, sostengono che tale disprezzo non li colpisce perché hanno sangue reale. 228

Vd. CELIA AMORÓS, Feminismo y perversión in LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos

encubiertos y esencialismos heredados : desde un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p. 140. 229

Vd. LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos encubiertos y esencialismos heredados : desde

un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p.113. 230

Vd. LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos encubiertos y esencialismos heredados : desde

un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p.106. 231

Vd. CELIA AMORÓS, Feminismo y perversión in LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos

encubiertos y esencialismos heredados : desde un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p.139. 232

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.235, 259.

70 Si sopravvalutano nel gruppo (“intragrupalmente”) mentre valgono nulla nel confronto tra gruppi (“intergrupalmente”). Questo fenomeno è descritto da Celia Amorós come “sovraccarico di identità”(sobrecarga) e giustificato proprio in relazione all’esilio volontario dal mondo del potere: è una sorta di reazione compensativa per la mancanza dei meccanismi abituali di convalidazione delle identità in una società ampia e complessa. È un vecchio espediente che risale agli Stoici: al fine di restituire autostima ad un’identità danneggiata, si nega che l’ordine sociale delle designazioni ci colpisca in ció che importa davvero; una situazione giuridico-sociale come la schiavitù può mettersi tra parentesi traslando l’enfasi sulle parole di “padrone” e “schiavo” in un altro ambito che si considera più pertinente (“padrone” sarà il padrone delle proprie passioni, anche se continua ad essere schiavo in società, e “schiavo” sarà lo schiavo delle passioni, al di là del fatto che il suo status sociale sia quello di “padrone” ). In nessun caso si puó giocare con le eterodesignazioni: a questo proposito una similitudine cara a Celia Amorós è quella presa a prestito dall’amica ed interlocutrice filosofica, Amelia Valcárcel. Basti pensare all’abbigliamento: così come un abito (i pantaloni o l’hijab ad esempio) non si indossa in modo “estetico” finchè la sua “carga ètica” non si è disattivata, così le eterodesignazioni patriarcali (che sono ancora eticamente e politicamente “cariche”) non si possono assumere come stilizzazioni estetiche (quindi “innocentemente”). 233 Il segno linguistico è arbitrario a priori, ma a posteriori non lo è più; il linguaggio crea una gabbia. Il termine “donna” è già stato catturato in una rete di significati 234 ossia esiste una simbologia tradizionale che, dal momento in cui esiste storicamente, non si puó manipolare in maniera assolutamente libera. La significazione del simbolico maschile e femminile non si può risignificare ad arbitrio. Le femministe della differenza tendono invece a prescindere da questa realtà. Secondo Luisa Muraro la differenza sessuale è una caratteristica costante dell’essere umano, una necessità vitale che tuttavia nella storia del pensiero politico, filosofico e scientifico dell’Occidente non è stata accettata, bensì ridotta ad una inevitabile dipendenza dall’animalità precedente. Dal suo punto di vista c’è da fare molto “lavoro simbolico” perché la differenza non collassi nell’animalità e sprofondi nell’inconscio. Per

233

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.38, nota 34. 234

Vd. ADRIANA CAVARERO, Il pensiero femminista. Un approccio teoretico, in FRANCO RESTAINO e ADRIANA

CAVARERO, Le filosofie femministe, Paraviascriptorium, Torino 1999, p.120.

71 esempio il fiocco rosa o azzurro la rendono un fatto umano 235 . Celia Amorós sostiene invece che di lavoro simbolico se ne faccia già tanto: ció che manca è un criterio per giudicare (anche la mutilazione genitale femminile è, se si vuole, lavoro simbolico). In questo ordine simbolico duplice e asimmetrico si intravede la gerarchia di potere. Le donne dovrebbero trovarsi in una situazione di equipotenza rispetto agli uomini per istituire una simbolica propria senza connotazioni di inferiorità e subordinazione (il che implica il raggiungimento dell’uguaglianza) 236 . Il vero lavoro etico per staccarci dall’animalità è quindi puntare sull’ideale regolativo di carattere razionale che ci differenzia dalle altre specie: l’ideale dell’uguaglianza, appunto. In prima analisi, va bandito il luogo comune sul potere-male e denunciata la mistificazione del potere nell’ambito domestico.

Il potere-male Il binomio potere-male ha agito da efficace ideologia per tenere a bada il gruppo dominato. Se le donne sono viste come un peccato in sé è facile prevedere che le donne (male) con potere (altro male) siano viste come una catastrofe 237 . Con tono pungente Amelia Valcárcel evidenzia che non si puó avere vita fuori dalle istituzioni 238 e che vanno superati questi “tabù” che portano oggi le donne con potere a doversi “scusare” di averlo 239 . Le pensatrici della differenza che si vantano di essere l’antipotere 240 fanno un favore ai misogini; associare il potere al male implica evitare un’analisi seria del tema, mentre si ribadisce lo stereotipo delle donne aliene al potere (sostenuto da pseudospiegazioni 235

Vd. LUISA MURARO, Màs allà de la igualdad, in LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos

encubiertos y esencialismos heredados : desde un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p.128 e seguenti. 236

Vd. CELIA AMORÓS, Feminismo y perversión in LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos

encubiertos y esencialismos heredados : desde un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, pp.130-131. 237

Vd. AMELIA VALCÁRCEL, Sexo y filosofìa. Sobre “mujer” y “poder”, Anthropos Biblioteca A, Barcelona 1994,

p.78. 238

Vd. AMELIA VALCÁRCEL, Sexo y filosofìa. Sobre “mujer” y “poder”, Anthropos Biblioteca A, Barcelona 1994,

p. 74. 239

Vd. AMELIA VALCÁRCEL, Sexo y filosofìa. Sobre “mujer” y “poder”, Anthropos Biblioteca A, Barcelona 1994,

p.77. Di ció dà vari esempi con la sua solita ironia, sottile e provocatoria. 240

Vd. AMELIA VALCÁRCEL, Sexo y filosofìa. Sobre “mujer” y “poder”, Anthropos Biblioteca A, Barcelona 1994,

p.110.

72 psicologiche e sociologiche come: sono timide, non atte al comando) 241 . Desiderare e/o possedere il potere non è un qualcosa che possiamo attribuire ad uno dei due generi e negare all’altro. D’altro canto nemmeno tutti gli uomini (maschi) vogliono il potere 242 . Il fatto che qualcuno possa dire che si tratta di uno spazio socialmente e culturalmente ritenuto migliore, ma non eticamente, ci farebbe ricadere nello stoicismo (sarebbe indifferente rivendicarlo): non si discute del contenuto ma della formalità che sia accessibile a tutte/i. Dovremmo per lo meno chiarire cosa intendiamo per “potere”: se tutto è potere, allora niente è potere. 243 “Potere” è invece qualcosa di simile all’autostima; è “poter fare”, “avere influenza”, “prendere decisioni”. Non averne puó far degenerare piuttosto che corrompere l’averlo 244 . Per agire nel mondo dobbiamo esercitare il nostro potere, altrimenti viviamo ai margini delle istituzioni come eremite/i 245 .

Il potere domestico (?) Il potere interno alla casa o sulle decisioni del marito attraverso l’intimità non è vero potere: è un potere complementare, a parte (le donne sono escluse dalle decisioni fondamentali) 246 . Victoria Sau denuncia la condizione di “mpére” delle madri: non si tratta solo del fatto che le donne siano state considerate esclusivamente “madri”, ma della più dolorosa constatazione del vuoto di potere di queste madri, silenziose e sottomesse appendici dei padri. Il potere domestico è raro e soprattutto senza alcuna traduzione nell’altro ambito. Non ha senso, quindi, intonare “cánticos a la maternidad” per sopperire alla carenza di potere ed autorità effettivi delle donne 247 . 241

Vd. AMELIA VALCÁRCEL, Sexo y filosofìa. Sobre “mujer” y “poder”, Anthropos Biblioteca A, Barcelona 1994,

pp.115-117. 242

Vd. AMELIA VALCÁRCEL, Sexo y filosofìa. Sobre “mujer” y “poder”, Anthropos Biblioteca A, Barcelona 1994,

p.118. 243

Vd. AMELIA VALCÁRCEL, Sexo y filosofìa. Sobre “mujer” y “poder”, Anthropos Biblioteca A, Barcelona 1994,

p.76. 244

Vd. AMELIA VALCÁRCEL, Sexo y filosofìa. Sobre “mujer” y “poder”, Anthropos Biblioteca A, Barcelona 1994,

pp.60, 89. 245

Vd. AMELIA VALCÁRCEL, Sexo y filosofìa. Sobre “mujer” y “poder”, Anthropos Biblioteca A, Barcelona 1994,

pp.74, 93. 246

Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,

segunda edición 2004, pp.30, 40. 247

Vd. ALICIA H. PULEO, Memoria de una ilustración olvidada, in El viejo topo, Marzo 1994, n°73, Barcelona.

73 Si vuole il potere nelle decisioni forti e al contempo si sottolinea l’urgenza di confutare che questo tipo di potere sia di per sé stesso “maschile” 248 (le donne che lo possiedono ed esercitano non stanno contraddicendo in nessun modo la propria “natura”: è una possibilità caratteristica degli esseri umani in quanto tali; il fatto che finora sia stato prerogativa degli uomini significa solo che si sono riservati ció che invece è condivisocondivisbile). “no nos engañemos: quien tiene el poder y puede elegir -¿como podrìa ser de otro modo?elige la mejor parte, y es en esa parte donde hemos de hacer presión para que se nos ceda nuestro espacio en ella” 249 .

Equipotenza e individualità “autorevoli” Il potere è intimamente legato all’individualità, una delle dimensioni che vorremmo ci fosse riconosciuta. Non è un caso che nel mondo patriarcale non si possano percepire femminilità e individualità contemporaneamente; è come se si escludessero a vicenda. Questa sorta di schizofrenia viene acutamente descritta dalla filosofa spagnola richiamandosi al principio di indeterminazione di Heisenberg. “ser individuo mujer o, si se quiere, ser individua es una tarea difìcil, pues va a contrapelo de la percepción social que, cuando te capta como mujer, no te escucha en tanto que portadora del logos, en tanto que sujeto de un discurso relevante. (...) Como en la fisica cuàntica, en que no es posible precisar a la vez la posición y la velocidad de un electrón, individualidad y feminidad se interrumpen mutuamente para unos hàbitos perceptivos configurados por los interesse y las formas de objetualización masculinos” 250 . Uno dei temi ricorrenti della “misoginia romantica” (applicabile retrospettivamente anche all’interpretazione hegeliana di Antigone) è il rifiuto a considerare le donne come individui 251 . Si tratta di una reazione difensiva all’appropriazione delle idee democratiche

248

Vd. AMELIA VALCÁRCEL, Sexo y filosofìa. Sobre “mujer” y “poder”, Anthropos Biblioteca A, Barcelona 1994,

p.132. 249

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.79. In realtà questa affermazione andrebbe stemperata con un certo distacco dall’androcentrismo : ciò che gli uomini potenti hanno ritenuto essere la parte migliore da aggiudicarsi non deve esserlo necessariamente. 250

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.211. 251

Vd. CELIA AMORÓS, Presentación (que intenta ser un esbozo del “status questionis”) in CELIA AMORÓS (ed.),

Feminismo y filosofìa,

Ed. Sìntesis, Madrid 2000. Questo tipo di misoginia è presente nel pensiero di

Kierkegaard ma anche in Schopenhauer e Nietzsche.

74 da

parte

di

una

collettività

dominata

secolarmente,

diretta

a

trattenere

la

universalizzazione dei nuovi diritti. La volontà di esclusione non si esprimerà in linguaggio politico (per non entrare direttamente in contraddizione con i propri principi): sono sintomatici i discorsi pseudoscientifici che si diffondono nei secoli XVIIIe XIX sul carattere sessuato dell’intelletto femminile per dare ragione del fatto che le donne si limitino all’ambito del privato 252 . La ragione per cui ci negano il principio di individuazione è la stessa per cui ci negano il potere. Gli uomini stanno nello “spazio degli eguali” per lo meno in linea di principio: il potere consiste nel potersi differenziare, nell’essere individui: “no entendemos aquÍ que todos los varones tengan el mismo poder, sino que cualquier varón es percibido y reconocido por otro como alquien que, si no puede, al menos puede poder, es candidato potencial de un relevo siempre posible” 253 . Noi invece stiamo nello “spazio delle identiche”: proliferano i nomi generici che connotano genericamente per mezzo di stereotipi le donne senza che vi sia un qualcosa di simile per gli uomini. Essere “equipotenti” significa essere uguali: la radicale uguaglianza si fonda infatti sull’equipotenza, ovvero sul riconoscimento mutuo dell’individualità. Il concetto di uguaglianza non ha tuttavia nulla a che vedere con quello di identità: si riferisce a un certo tipo di relazione fra individui, l’ubicazione di essi nel medesimo rango di soggetti fra loro perfettamente discernibili. L’uguaglianza perseguita è quella sociale e legale non certo l’indistinzione dei soggetti 254 . In questo senso il diritto alla differenza deriva dall’uguaglianza 255 : altrimenti la mia differenza non verrebbe riconosciuta o meglio valutata degna dello stesso rispetto di quella che appare come “la sua differenza” dal mio punto di vista. “para quienes el término igualdad sugiere un futuro de pesadilla poblado de seres clónicos y despojado de la seducción de la diferencia, quiero precisar que el feminismo de la 252

Vd. CELIA AMORÓS, Feminismo filosofico español: modulaciones hispànicas de la polémica feminista

igualdad-diferencia in CELIA AMORÓS, Tiempo de feminismo. Sobre feminismo, proyecto ilustrado y postmodernidad, Ed. Càtedra, Madrid 1997. 253

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.453. 254

Vd. AMELIA VALCÁRCEL, Sexo y filosofìa. Sobre “mujer” y “poder”, Anthropos Biblioteca A, Barcelona 1994,

p.50. 255

Cfr. VICTORIA SENDÓN, ¿Què es el feminismo de la diferencia? Una visión muy personal, in

http://www.nodo50.org/mujeresred/victoria_sendon-feminismo_de_la_diferencia.html. Alcune, fra le quali Victoria SENDÓN, pensano esattamente l’opposto, ovvero: non si puó ottenere l’uguaglianza autentica senza mantenere le differenze; sarebbe una colonizzazione totale. Il timore è quello di assumere il modello (cui ci si vuole uguagliare) in maniera acritica.

75 igualdad pretende, por el contrario, la eclosión de las individualidades, una vez liberados, hombres y mujeres, de los estereotipos de sexo” 256 . Esattamente agli antipodi di chi teme che questo invito all’uguaglianza ci faccia slittare verso una poco auspicabile identità indifferenziata, si sostiene che l’uguaglianza in quanto equipotenza sia il presupposto della discernibilità (ovvero del riconoscimento mutuo dell’individualità): “la equifonìa o posibilidad de emitir una voz que sea escuchada y considerada como portadora de significado y de verdad, y goce, en consecuencia, de credibilidad, en las mismas condiciones que otro/a no implica en absoluto que los sujetos que se encuetran en esa situación vayan a decir lo mismo, como tampoco tienen necessariamente por què hacer lo mismo aquellos que tienen la misma capacidad de hacer, es decir, los equipotentes. Todo derecho a la diferencia presuppone, obviamente la igualdad; de otro modo, mi diferencìa no se verìa reconocida, es decir, ponderada como digna del mismo respeto que la del otro” 257

La voce delle donne Per autodefinirci (cioè per uscire dallo “spazio delle identiche” 258 – schiacciate dagli stereotipi) dobbiamo definire 259 e per poter nominare occorre avere potere (difatti certe realtà prima del femminismo non erano nominate 260 ). L’esclusione dai luoghi pubblici e dalle decisioni importanti, così come l’inferiorità di potere e prestigio dei loro atti, spiegano come le donne non abbiano potuto proporre/imporre il proprio punto di vista. Non a caso c’è stata a lungo negata la possibilità di essere interpreti (sacerdoti, giudici, magistrati, docenti universitari, giornalisti di alto livello, rappresentanti del parlamento, ma anche testimoni): questo implica potere socio-culturale. Le donne sono state storicamente “ridotte al silenzio”. Tutte le loro labbra dovevano permanere ermeticamente chiuse, per non essere indecenti. Marìa-Milagros Rivera, storica del Medioevo, ci ricorda che nell’Occidente greco-romano-cristiano la donna che parla, soprattutto se in pubblico, viene percepita come indecorosa: è un corpo 256 257

Vd. ALICIA H. PULEO, Memoria de una ilustración olvidada, in El viejo topo, Marzo 1994, n°73, Barcelona. Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.90. 258

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.89. 259

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.111. 260

Cfr. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, nota 9 p.25.

76 femminile nudo 261 . Questo ci impediva di avere un’esistenza simbolica autonoma: è attraverso il linguaggio (soprattutto la parola pubblica, condivisa) che si costruiscono le categorie di una Cultura; senza segni propri il sesso femminile resta facilmente subordinato al sesso con un’esistenza simbolica propria. Si ribadisce ancora una volta che “femminile” è la costruzione di “ció che deve essere una donna” secondo la soggettività maschile (e non ció che la donna pensa indipendentemente di essere). La donna vuole fondarsi come Soggetto: finora era oggetto – per lo più trascurato - e senza alcuna legittimazione né tradizione sociale, filosofica etc. che le permettesse di farsi portatrice autorevole di Logos. Sebbene una delle poche differenze tra i sessi scientificamente provata sia la migliore attitudine verbale delle bambine e delle donne (rispetto ai bambini e agli uomini); una fra le cose più ridicolizzate è stata il parlare femminile (le donne non parlano bensì chiacchierano,

mormorano,

spettegolano,

parlano

troppo) 262 .

Gli

uomini

partono

demotivati a priori rispetto a ció che dicono le donne. Le donne si trovano infatti frustrate dalla mancanza di ascolto dovuta all’imperante preinterpretazione, che si presenta in due versioni estreme e contraddittorie, eppure attive nel senso comune: da una lato “con las mujeres ya se sabe” ovvero “con le donne si sa già” (non c’è niente da imparare, niente da comunicare, si toglie loro la parola a priori e si confuta automaticamente qualsiasi cambiamento); dall’altro, “con las mujeres nunca se sabe” ovvero “con le donne non si sa mai” (in questo caso un’imprevedibilità molesta induce alla violenza “preventiva”). La mancanza di interpretazione è violenza, è anti-pensiero: non c’è riconoscimento né reciprocità 263 . Se il pensiero femminile autonomo è visto come superfluo, è come dire che sia nullo (il pensiero e la libertà sono necessari): “se l’esperienza di una donna non è un punto di vista vero, se la grandezza femminile è difficilmente sostenibile, se la libertà femminile è considerata un lusso alla stregua della seconda o terza automobile, la risposta efficace consisterà nel rincarare le pretese di verità, di grandezza, di libertà, così da rendere il bisogno di mediazione più e più

261

Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El cuerpo indispensable. Significados del cuerpo de mujer, horas y

HORAS la editorial, segunda edición, Madrid 2001, pp.43-44. 262

Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,

segunda edición 2004, p.48. 263

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.123-126.

77 grande” 264 .

…Una voce ancora flebile Benchè si reclami la possibilità di emettere una voce che sia ascoltata e considerata come portatrice di significato e di verità, e quindi che goda, di conseguenza, di credibilità 265 , si continua a percepire il vuoto di “autorità femminile”, intesa come il rispetto, il prestigio, il riconoscimento delle donne come creatrici di cultura e pensiero 266 . Le poche “fortunate” che muovono i primi passi sul poco transitato, per non dire vergine, terreno del potere (i luoghi accademici e politici soprattutto), tracciano alcuni aspetti della sua fenomenologia, ovvero delle “nuove” strategie che mantengono le disparità: le donne devono - ad esempio - rispettare in modo rigido i tre voti monastici della “pobreza, castidad y obediencia” 267 . Esiste inoltre il limite di quella che chiamano “investitura incompleta”: oltre alle prove normali, si continua a dipendere dal fatto che gli uomini in quanto uomini ratifichino la qualità e l’idoneità di ciò che le donne fanno. Quando il potere è nelle mani di una donna si ha una “detención vacilante” di esso (la “ur-jerarquÍa” della “fratrÍa” continua ad agire); un’implicazione significativa è che le donne non possono investire altre donne; il loro potere non è transitivo 268 .

Valore dell’associazionismo Per raggiungere l’individualità una donna non puó comunque “fare da sola”: l’individualità non si raggiunge individualmente. “il femminismo è una forma di vivere individualmente e di lottare collettivamente” 269 . Per trasformarne il significato non è sufficiente lo sforzo individuale, è necessaria una lotta collettiva per l’individualità. Il momento del gruppo è indispensabile: sia la fase della formazione di un collettivo di donne che la successiva solidarietà sono insuperabili.

264 265

Vd. LUISA MURARO, L’ordine simbolico della madre, Editori Riuniti, Roma 1991, p.98. Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.90. 266 267

Vd. NURIA VARELA, Feminismo para principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005, p.198. Cfr. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.383-423 e AMELIA VALCÁRCEL, La polìtica de las mujeres, Feminismos, tercera edición, Ediciones Càedra, Madrid 2004, pp.119-125. 268

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp. 429-431. 269

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.68. È una citazione di Simone de Beauvoir.

78 Riconosciamo che l’isolamento delle donne è stato un elemento chiave del Sistema patriarcale 270 . Essere donna ha sempre significato essere ascritte allo spazio pratico e simbolico del privato: le donne erano segregate “geograficamente” (in casa) e “mentalmente” (attraverso una pedagogia specifica, ad esempio). Questo comportava non solo l’invisibilizzazione, il non riconoscimento della singola 271 , ma la mancanza di dialogo e scambio fra le donne: “solo se relacionaràn tangencial y esporadicamente” 272 . Ognuna stava nel suo ambiente familiare, senza condividere le proprie esperienze con altre. Un’eccezione a questa regola poteva essere rappresentata dal “vincolo femminile” che si cristallizzava attorno al puerperio e al periodo del parto (periodo in cui le donne erano considerate massimamente pericolose) 273 . Il rapporto di una donna con una sua simile non rientra nelle forme di rapporto volute e pensate collettivamente. Non si insegna la necessità di curare specialmente i rapporti con altre donne, né quella di considerarli una risorsa insostituibile di forza personale, di originalità mentale, di sicurezza sociale. Si puó per questo parlare di uno “stato selvaggio dell’umanità femminile” 274 . La distruzione dei rapporti tra donne in generale, in primis con la madre è un elemento non marginale del funzionamento del Patriarcato; agli uomini non piace l’idea di una alleanza fra donne. Non è innocente né banale che una riunione esclusiva di donne venga “disconosciuta” in quanto tale (“siete sole?”, di fronte ad un gruppo di 6 donne), o stigmatizzata. Capita infatti che essa sia percepita come non naturale – né culturale, e descritta quindi come infraumana (paragondola a quella fra animali) 275 o sovraumane (si inserisce qui il topos delle donne demonizzate come “streghe”) 276 . Quando invece le donne cominciano a parlare e ad ascoltarsi, si organizzano e danno 270

Vd. NURIA VARELA, El poder, in NURIA VARELA, Feminismo para principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005,

pp.198 e seguenti. 271

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p. 212 . 272

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.197 etc. 273

Vd. EDWARD SHORTER, Storia del corpo femminile, Feltrinelli, Milano 1984, p.342.

274

Vd. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Seller, Torino 1987,

p.169. 275

Vd. NURIA VARELA, El poder, in NURIA VARELA, Feminismo para principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005,

p.199 e seguenti. Le donne si paragonano ad animali, per esempio galline o pecore. 276

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp. 135, 438. Si parla di streghe anche quando le donne fuoriescano dai ruoli convenzionali.

79 autorità, senza mediazioni maschili. È stato un percorso parallelo a quello della fine dello scontro tra donne. Con le donne che litigavano fra di loro, togliendosi autorità, non ci sarebbe stata opposizione al potere. Rispettarsi, darsi credito (le une alle altre) e lavorare insieme è la formula più efficace per interrompere il dominio patriarcale e tra l’altro migliorare l’autostima come collettivo e come persone, senza scordare che “il potere di una donna individualmente è condizionato da quello delle donne come generico”. Le donne non hanno costituito una forza politica né esercitato un potere rilevante nello spazio pubblico proprio per via della loro dispersione negli spazi privati. Il potere è infatti in chi si riunisce: le donne dapprima isolate in singole case, sentono l’esigenza di costituirsi in patti 277 . Le forme di associazione femminile si sono comunque evolute nel tempo, attraversando fasi storiche differenziate: nel caso del femminismo italiano, ad esempio, si nota il passaggio da una prima fase prettamente “orale”, di incontro e scambio di opinioni, ad una seconda fase dove, dopo l’autocoscienza e la pratica dell’inconscio, si giunse alla cosiddetta “pratica del fare” 278 . La storia del femminismo è interessante non solo per via delle nuove categorie e problemi proposti, ma anche per la molteplicità di figure che le relazioni fra donne hanno assunto al suo interno. Sebbene il concetto della relazione interpersonale sia antico, non fu ripreso politicamente fino alla terza ondata del femminismo.

A partire dagli anni ‘70 del XX

secolo si insiste sull’oppressione comune sofferta da tutte le donne, al di là della classe, della razza, della religione o cultura. La coscienza femminile della sottomissione dentro la struttura patriarcale e la rivolta alla medesima riceve un nome iniziale: “sororidad” (sorellanza). Tutte le donne diventano sorelle sotto la medesima dominazione e speranza di cambiamento, rifiutando il ruolo che è stato assegnato loro nel copione patriarcale. Siamo tutte identiche, tanto inadatte alla vita pubblica quanto idonee al privato, al particolare e all’inessenziale, con volontà debole, condannate all’abnegazione e alla dipendenza, incapaci di pensiero e di moralità, passive, consacrate alla generazione e all’accudimento della prole, nonché provvidenzialmente incaricate della cura di casa, figli e mariti? Su tutti questi punti, una volta “certi,” si avanzano imponenti dubbi.

277

Vd. CELIA AMORóS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.197 e seguenti; p.204. 278

Vd. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Seller, Torino 1987.

80

Una ridefinizione provvisoria Attualmente le identità delle donne non possono più essere (se mai lo sono state) preriflessive; la loro “honestidad intelectual” impedisce che si identifichino riflessivamente con il “ser mujeres”. Saranno perció “identidades problemàticas”. Se anche si riesce a mantenere una distanza intellettuale e pratica da questa “essenza” che ci viene prescritta, non si improvvisa facilmente un ambito di pensiero e azione alternativo. Non solo: vivere in contrasto col “proyecto-proyectado” è un compito complesso e duro per il quale la società non prevede gratificazioni bensì sanzioni che possono avere effetto dissuasorio. La “vivencia” del sesso-genere nella “reflexión pura” passa attraverso l’articolazione di discorsi atti a smontare le eterodesignazioni di cui le donne sono oggetto, e questa non è la maggior parte delle volte alla loro portata, cosicché queste identità problematiche non sempre giungono ad essere identità critiche. La presa di distanza che si richiede è resa ancora più ardua dal fatto che dovrebbe prodursi in mezzo ai collanti che legano affettivamente le donne a coloro i quali le aggiudicano spazi costrittivi. Le identità critiche salveranno dell’identità di genere ricevuta solo ció che possa essere compatibile o ri-significabile a partire dai propri progetti individuali, nella “cuidadosa tarea de selección y redefinición del bagaje normativo que les viene por la vìa de la asignación adscriptiva”; quelle problematiche si accontenteranno invece di far combaciare quei piccoli pezzi dei propri progetti individuali che non siano eccessivamente dissonanti col progetto-proiettato che le definisce in quanto sesso-genere (di per sé del tutto ostile allo sviluppo dell’individualità autonoma). La pratica costante di risignificazione ha tuttavia le sue regole da seguire 279 . Un concetto rinnovato di “donna” non deve necessariamente fondarsi sul dato corporeo. La stessa duplicità fisica, per quanto si mantenga in ambito riproduttivo, puó non essere più un punto di partenza saldo per l’elaborazione concettuale dei generi. Per esempio i transessuali non possono essere ignorati: come stabilire a priori che chi non ha la vagina non puó avere avuto esperienze paragonabili a chi ce l’ha? “Donna” non ha perciò un significato univoco: non è dato attraverso la determinazione di una caratteristica specifica ma attraverso l’elaborazione di una complessa rete di caratteristiche. Chiarire il significato della parole è un atto politico, stipulativo (e non meramente descrittivo); è uno sforzo inconcluso. Notiamo che le affermazioni sulle donne emergono dalla nostra collocazione storicoculturale nonché dai nostri ideali per il futuro (ecco perché le femministe bianche prendono in considerazione le richieste di quelle nere e non delle bianche conservatrici, 279

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp. 252-253.

81 pur possedendo tutte una vagina) 280 . In maniera del tutto simile Celia Amorós afferma che “l’identità femminile è un processo permanente di decostruzione e ricostruzione sempre provvisoria, è una forma di esistenza riflessiva dell’essere donna con momenti di risignificazione, reinterpretazione, stipulativi, che si forgiano come precipitato simbolico della stessa lotta per l’uguaglianza. È identità femminista” 281 . Ci accontentiamo di dire che la donna è essenzialmente persona, così come lo è l’uomo, e per questo non puó essere spiegata esclusivamente come essere sessuale e trattata solo come tale; è bandito qualsiasi riduzionismo 282 . Né le donne né gli uomini si esauriscono nella sessualità come elemento dualistico: il genere sessuale non è risolto dalla genitalità ed entrambi non esauriscono l'identità sessuale che a sua volta non costituisce l'intera persona, e non spiega il mistero che l'individu@ rappresenta 283 .

La maternità, un caso speciale Il legame fra il femminile e il materno esiste: le due dimensioni non si possono sovrapporre, né dissociare completamente 284 ; per questo motivo non possiamo non prendere in esame questo delicatissimo tema. Se il criterio gerarchico della società patriarcale fosse coerentemente biologico, le donne starebbero in posizione dominante piuttosto che subordinata, perché non solo l’apporto genetico è simmetrico, ma generano e partoriscono 285 . È paradossale che il “di più” femminile sia stato sfruttato e considerato un “di meno”. Questa capacità si è convertita in difetto in primo luogo attraverso l’ “ideologia dei due mondi”: in quanto generatrice di corpi la donna è più legata alla Natura, e la Natura è meno della Cultura. 280

Vd. LINDA NICHOLSON, Per una interpretazione di “genere” in Genere. La costruzione sociale del femminile

e del maschile, a cura di Simonetta Piccone Stella e Chiara Saraceno, ed. Il Mulino, Bologna 1996. 281

Vd CELIA AMORÓS, Feminismo y perversión in LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos

encubiertos y esencialismos heredados : desde un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p.141 (traduzione mia.) 282

Vd. LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos encubiertos y esencialismos heredados : desde

un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p.29. 283

Vd. ROBERTO SABATINI, L’identità sessuale, in L'astuzia del desiderio, Ed. Editoroma, Roma 1994, p.31

284

Vd. SILVIA TUBERT, La maternidad en el discurso de las nuevas tecnologìas reproductivas in ÀNGELES DE LA

CONCHA y RAQUEL OSBORNE (coords.), Las mujeres y los niňos primero. Discursos de la maternidad, Icaria Mujeres y culturas, Barcelona 2004, p.114. 285

Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,

segunda edición 2004, p.75.

82 Persino una delle incontestate madri del femminismo, una pensatrice del rango di Simone de Beauvoir, resta ingabbiata in questo marcato androcentrismo del “pensiero”. Afferma infatti che “l’uomo si innalza al di sopra dell’animale, non suscitando ma rischiando la vita; perciò nell’umanità la preminenza è accordata non al sesso che genera ma a quello che uccide” 286 . In realtà dare la vita comporta rischi (compreso quello di morte): si possono contrarre delle malattie e subire delle conseguenze fisiche; ma soprattutto si corre il rischio di stabilire il vincolo più forte esistente con un’altra persona (si passa ad uno stato di relazione, comunicazione e responsabilità) 287 . La “potenza materna” è stata espropriata e degradata a semplice veicolo materiale 288 . Il lavoro materno, che con le sue attenzioni fisiche, materiali, e quelle psicologiche, affettive, è finalizzato alla produzione di soggetti (non di oggetti), si è gerarchizzato come inferiore alla produzione di oggetti. Si dice che non serva intelligenza ma solo intuizione: in questo modo il lavoro materno si sottovaluta, perché è come dire che non richieda sforzo, non abbia valore 289 . Si dice inoltre che è un’esigenza per le donne, le quali verranno accusate di essere cattive madri o snaturate se non dimostrano le forme di amore sperate. Esse dovranno subire la paternalistica e benevola ridicolizzazione delle dimostrazioni materne d’affetto (orgoglio materno, preoccupazione giudicata eccessiva, espressività esagerata, etc.) quando queste superino le aspettative paterne (in particolare quelle di pediatri, maestri, psicologi): è una maternità sotto vigilanza. La maternità non è meramente biologica e dovrebbe istituirsi come fatto psicosocio-culturale trascendente. Non semplicemente perché la singola donna che scelga di essere madre costruisca una relazione che è tutto fuorché banalmente naturale, meccanicamente animale, con le sue figlie e i suoi figli (dà loro corpo e linguaggio ed il loro rapporto è il primo rapporto umano, sociale), ma anche perché della maternità possiamo scorgere una dimensione politica, economica etc.: la società è tale perché ci sono gruppi di età minore da socializzare (solo che finora ogni nuovo essere lo si fa entrare nella Cultura solo nel nome del Padre, a misura del quale è fatta la cultura stessa alla

286

Vd. SIMONE DE BEAUVOIR, Il secondo sesso, trad. it. di Roberto Cantini e Mario Andreose, Il Saggiatore, Milano 2002, p.94. 287 Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona, segunda edición 2004, p.8. 288

Vd. WANDA TOMMASI, I filosofi e le donne. La differenza sessuale nella storia della filosofia, Tre Lune

Edizioni, Mantova 2001, p.54. 289

Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,

segunda edición 2004, pp.101-103.

83 quale tutte e tutti devono adeguarsi) 290 . Benché i compiti della procreazione condizionino (non determinino) la situazione passata e presente della donna, è facile immaginare che in un mondo che riconoscesse attraverso le sue istituzioni sociali (linguaggio, educazione, leggi) “la importancia primordial e ineludible” della riproduzione della specie, la sua situazione sarebbe diametralmente opposta a quella assegnatale storicamente. Il fatto fondamentale è la sottovalutazione o negazione del nostro contributo speciale dato alla specie nei termini di creazione della vita (si occultano i costi della riproduzione e la differenza biologica diventa svantaggio sociale). I progressi materiali (anticoncezionali, biberon, etc.) non hanno valore liberatore se non si inseriscono in una società che dia alla procreazione il suo giusto significato: essa è - come minimo - un lavoro socialmente necessario 291 . Sebbene la maternità resti inequivocabilmente una delle chance esistenziali degli esseri umani di sesso femminile, non è per questo adeguato rappresentarla come suo asse di definizione. Si sogna una donna “più completa” 292 . È lento il percorso delle femministe che tentano di sganciare la definizione della donna dall’unidimensionalità alla quale è stata per lunghissimo tempo relegata. Come disse Emilia Pardo Bazàn 293 “el ser humano no es un àrbol frutal que sólo se cultive por la cosecha”. Occorre tenere presente che si sono utilizzate due strategie per consolidare l’equazione donna-madre: non soltanto il disprezzo, ma anche l’elogio. Quest’ultimo è sibillino e 290

Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,

segunda edición 2004, pp.79, 50. 291

Vd. SACRAMENTO MARTI, La maternidad. Punto clave para una perspectiva feminista, in El viejo Topo, n°

51, Barcelona diciembre 1980. 292

Vd. SILVIA TUBERT, La maternidad en el discurso de las nuevas tecnologìas reproductivas in ÀNGELES DE LA

CONCHA y RAQUEL OSBORNE (coords.), Las mujeres y los niňos primero. Discursos de la maternidad, Icaria Mujeres y culturas, Barcelona 2004, p.163. 293

Vd. NURIA VARELA, Feminismo en Espaňa. De la clandestinidad al gobierno paritario, in NURIA VARELA,

Feminismo para principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005, p.137. Ovvero: “l’essere umano non è un albero da frutto che si coltiva soltanto per il raccolto”. Emilia Pardo Bazàn (nata nel 1851) fu la prima a ricevere una cattedra di Letteratura nell’Università Centrale di Madrid. La letteratura ed il matrimonio entrarono peró molto presto in conflitto al punto che decise di abbandonare il marito e mantenersi fino alla sua morte con la scrittura. Scrisse anche lei sulle donne (trattando tra l’altro di educazione e maternità). A proposito dell’educazione delle donne, talvolta difesa sulla base dell’argomento che una certa cultura avrebbe reso le donne migliori madri e più piacevoli mogli, ci lascia la suddetta riflessione. Al contrario di chi si preoccupa di scorgere quella finalità, Emilia sostiene che l’educazione vada difesa di per se stessa, ribadendo che la maternità è una condizione non necessaria dell’esser donna e denunciando come il destino relativo (implicito nell’altro approccio) sia deprimente per la dignità umana.

84 dunque complesso da affrontare, perché puó non provocare un rifiuto diretto 294 . Numerosi pensatori fra i quali Rousseau vedono le donne come le uniche capaci di allevare i figli (e quindi naturalmente – giustamente dedite alla maternità in modo esclusivo) 295 . Vari studi rivelano in che modo l’ideologia della maternità (biologica e poi sociale) sia stata utilizzata–sfruttata per tenere a casa o in ambiti ben definiti le donne 296 . Il famoso testo di Betty Friedan 297 fece risuonare il campanello d’allarme a proposito dell’America del Dopoguerra, svelando gli interessi sottesi a “la mistica della femminilità”. In quest’opera ella illustró come fosse stato dispiegato tutto un dispositivo propagandistico su differenti piani perché le donne, che avevano occupato i posti di lavoro “degli uomini” durante la guerra, al termine di quest’ultima tornassero “a casa”. Il femminismo è allergico alle essenze, che riducono le donne ad una sola capacità, e denuncia contemporaneamente la contraddizione fra l’esaltazione ufficiale e la svalutazione nell’organizzazione sociale. Si lavora per una definizione di donna più articolata, che non coincida con la maternità; al contempo si rivoluziona la stessa immagine patriarcale della “maternità”, della quale si vogliono palesare le molteplici dimensioni 298 : le donne non sono “ùteros con piernas”

299

.

La suggestione di liberarsi dal condizionamento biologico è un’attrazione fatale per le donne confinate storicamente nella corporeità 300 . Lo conferma anche chi crede che le TRA siano liberatorie (come se la donna ancora una volta fosse “riassunta” e “sussunta”

294

Vd. ALICIA H. PULEO, Perfiles filosoficos de la maternidad, in ÀNGELES DE LA CONCHA y RAQUEL OSBORNE

(coords.), Las mujeres y los niňos primero. Discursos de la maternidad, Icaria Mujeres y culturas, Barcelona 2004, p.25. 295

Vd. J.J. ROUSSEAU, Emilio, tr. Di Paolo Massini, Armando Editore, Roma 1981.

296

Cfr.

MARY

NASH,

El

aprendizaje

del

feminismo

histórico

en

Espaňa,

in

http://www.nodo50.org/mujeresred/historia-MeryNash1.html e MARY NASH, Pronatalismo y maternidad en la Espaňa franquista, in GISELA BOCK y PAT THANE (eds.) Maternidad y polìticas de gènero: la mujer en los estados de bienestar europeos (1880-1950), Colección Feminismos numero 31, Madrid 1996. 297

BETTY FRIEDAN, La mistica della femminilità, Ediz. Di Comunità, Milano 1964.

298

Cfr. SILVIA TUBERT, La maternidad en el discurso de las nuevas tecnologìas reproductivas in ÀNGELES DE LA

CONCHA y RAQUEL OSBORNE (coords.), Las mujeres y los niňos primero. Discursos de la maternidad, Icaria Mujeres y culturas, Barcelona 2004. 299

Vd. ÀNGELES DE LA CONCHA, La figura materna, un problema transcultural. Reflexiones sobre su

representación en la novela de autorìa femenina, in ÀNGELES DE LA CONCHA y RAQUEL OSBORNE (coords.), Las mujeres y los niňos primero. Discursos de la maternidad, Icaria Mujeres y culturas, Barcelona 2004, pp. 167, 163. 300

Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L”eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,

fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, p.90.

85 dall’organo di sesso) 301 . In ogni caso, seppure è vero che la nostra capacità di gestazione si è utilizzata per sottometterci, ció non significa che la nostra liberazione passi per l’utero artificiale (come sosteneva Shulamith Firestone 302 ): “es algo asì como cortarte la cabeza sólo por que te duele” 303 . La prima realtà con cui fare i conti è una distribuzione diseguale dei carichi, dove noi sopportiamo la maggior parte dei costi della riproduzione (anche con le TRA si mantiene l’asimmetria m/f): “la hembra de los mamìferos superiores, teniendo las mismas aptitudes que el macho, debe renunciar a ellas en provecho de la especie a costa de su propria enajenación” 304 . Per Shulamith Firestone l’unica alternativa per la liberazione sarebbe svincolarsi dal compito riproduttivo. Tuttavia la maternità in sé è neutra: in Natura non c’è un’intrinseca distribuzione di potere. Non c’è ragione dunque perché la maternità diventi un principio di dominio né di sottomissione: questo dipende dal codice di valori che impone la società e non dal fatto biologico in sé. Una delle elaborazioni più seducenti su questo tema è quella di Marìa-Milagros Rivera, che legge la potenzialità materna, il “poter essere due”, come stimolo allo sviluppo di una libertà femminile relazionale e non individualista. Questo “màs femenino” 305 , questa capacità, data per caso ma necessariamente, è un’indicazione-indizio che si puó accettare o rifiutare 306 . Tuttavia bisogna esimersi dall’esaltare la potenzialità materna indiscriminatamente. Dire che la capacità di generare è “questo potere così particolare”, “così squisitamente 301

Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,

fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, p.180. 302 303

SHULAMITH FIRESTONE, La dialettica dei sessi, Guaraldi, Firenza 1971. Vd. VICTORIA SENDÓN, ¿Què es el feminismo de la diferencia? Una visión muy personal, in

http://www.nodo50.org/mujeresred/victoria_sendon-feminismo_de_la_diferencia.html 304

Vd. SACRAMENTO MARTI, La maternidad. Punto clave para una perspectiva feminista, in El viejo topo, n°

51, Barcelona diciembre 1980, p.27. 305

Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, Mujeres en relación. Feminismo 1970-2000, Icaria Màs Madera,

Barcelona segunda edición 2003, p.47. 306

Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El fraude de la igualdad, segunda edición revisada, Librerìa de

Mujeres, Ciudad Autónoma de Buenos Aires, 2002, pp.107, 111, 113; MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, La diferencia sexual en la historia, Universitat de València 2005, pp. 20, 49; MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El cuerpo indispensable. Significados del cuerpo de mujer, horas y HORAS la editorial, segunda edición, Madrid 2001, pp.9, 12. La passività-ricettività del corpo femminile, intese come un dare e lasciarsi dare, sono un valore; il corpo materno, in particolare, rappresenta la possibilità di unità: in esso si dissolve la dicotomia dentro-fuori. Esso si trasforma in un invito alla relazione, un’apertura al dialago con l’altr@ da sè.

86 femminile”, “la caratteristica più specifica del femminile” 307 , indurrebbe ancora una volta a vedere in essa il massimo orizzonte di realizzazione della donna. Osannando la maternità potremmo

occultare

altre

potenzialità

umane

delle

donne:

non

siamo

esseri

monodimensionali. Se è vero che la soggettività si radica nel corpo, è dubitabile che la potenzialità materna sia la principale (esclusiva) caratterizzazione del corpo sessuato femminile (implicherebbe ridursi-identificarsi nell’organo di sesso) 308 . Il ruolo riproduttivo resta un “temibile risucchio di soggettività per le donne” 309 . Chi si immedesima in questa ideale corrispondenza fra l’essere donna e l’essere madre e non riscontra una tale armonia prestabilita nella sua esistenza, si ritrova infatti ad infliggersi sofferenze e frustrazioni, come quella di cercare il figlio/la figlia “a tutti i costi” 310 o quella di colpevolizzarsi se non fa dell’accudimento della prole il baricentro della propria vita.

307

Vd. WANDA TOMMASI, I filosofi e le donne. La differenza sessuale nella storia della filosofia, Tre Lune

Edizioni, Mantova 2001, pp.53, 56, 59. 308

Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,

fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, p.171. 309

Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,

fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, p.113. 310

Vd. SILVIA TUBERT, La maternidad en el discurso de las nuevas tecnologìas reproductivas in ÀNGELES DE LA

CONCHA y RAQUEL OSBORNE (coords.), Las mujeres y los niňos primero. Discursos de la maternidad, Icaria Mujeres y culturas, Barcelona 2004, p. 129.

87

CAPITOLO 6 LA NORMA DELL’UGUAGLIANZA: INCOERENZE, PARADOSSI, EVOLUZIONE Femminismo e Illuminismo, amore-odio Entrare nel mondo come soggetti aventi pretese su di esso vuol dire percepire l’ingiustizia dello stato “normale” delle cose, aver cambiato la percezione di se stesse nonché possedere i mezzi materiali per “farsi valere”. Assumere ruoli extra-domestici significa infatti voler essere riconosciute come individue ed esercitare al contempo un certo potere. Tra le possibilità che si cercano come mezzi per raggiungere tali obiettivi, ma anche come fini in sé, vi è un accesso paritario alle risorse intellettuali, economiche, politiche, etc. Tutte queste cose che oggi ci appaiono pressoché ovvie non erano “date”: il movimento femminista le ha ottenute lungo gli ultimi tre secoli. La piattaforma filosofica che ha permesso questa rivoluzione è quella dell’Illuminismo. Il femminismo in senso proprio risale al XVIII secolo e alla “cabezota” idea dell’uguaglianza 311 . Quest’ultima è sempre un’astrazione, perché stabilisce una relazione di equipollenza a partire da alcune caratteristiche che si decide di considerare rilevanti di fronte ad altre che ci individualizzano. L’uguaglianza puó essere incoerente/incongruente quando chi possiede la caratteristica richiesta risulta esclus@ (vedi le donne dai diritti di cittadinanza) oppure non pertinente 312 se il parametro scelto non è considerato adeguato. Il primo teorico del femminismo fu – ironia della sorte? – un uomo: Poulain de la Barre (1673), cartesiano che riconobbe le implicazioni etico-politiche del pensiero del maestro. Cartesio si rivolgeva a chiunque avesse capacità autonoma di giudicare, al di là dell’istruzione ricevuta (ed anzi metteva in discussione la validità del sapere tradizionale stesso): Poullain de la Barre ne trae la conclusione che le donne - possedendo il bon sens possono svolgere gli stessi incarichi degli uomini. Se il buon senso è condiviso da tutti e tutte, allora tutti e tutte potranno considerarsi eguali. 311

Vd. CELIA AMORÓS, Presentación (que intenta ser un esbozo del “status questionis”) in CELIA AMORÓS (ed.),

Feminismo y filosofìa, Ed. Sìntesis, Madrid 2000, p. 26. 312

Cfr. CELIA AMORÓS, Presentación (que intenta ser un esbozo del “status questionis”) in CELIA AMORÓS

(ed.), Feminismo y filosofìa, Ed. Sìntesis, Madrid 2000 e CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres, Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.315.

88 Allo stesso modo Mary Wollstonecraft 313 critica che il sesso possa essere motivo di esclusione dall’universalità razionale e morale e si chiede come mai questa astrazione, che nasce dall’irrazionalizzazione delle gerarchie dell’Ancien Regime, mantenga un privilegio di nascita. Se non c’è più “il diritto divino dei re”, perché resta “il diritto divino dei mariti” 314 ? Lo status non è considerato appropriato per fare distinzioni di grado fra esseri umani: il parametro delle origini, sociali ed economiche, perde di valore. Tuttavia, del tutto incoerentemente, si mantiene lo scarto fra chi nasca femmina o maschio: si confonde perció Uomo con uomo. Un nuovo orizzonte di universalità è perseguibile ed auspicabile dato che condividiamo potenzialità essenziali come il logos e la libertà di decidere del nostro essere. Si legittimano così le rivendicazioni, dato che si crede nell’applicazione errata di un concetto universalizzante giusto. Gli ideali illuministici danno alle donne la sicurezza di pretendere ragionevolmente l’accesso agli ambiti prima preclusi, ambiti del sapere-potere che si guadagnano col movimento sociale prima, e politico, poi. L’illuminismo è dunque il padre legittimo di un movimento di pensiero che dai suoi ideali trasse la forza di esistere e con le sue promesse non realizzate ha il compito costante di confrontarsi. Come scrive Amelia Valcárcel, «el feminismo es un hijo no querido de la Ilustración» 315 . Restó infatti privo di riconoscimento e come tipico dei figli illegittimi radicalizzó la sua identità polemicamente: esso rivendica l’universalismo evidenziando l’incoerenza di chi pur avendolo postulato, non ne segue i principi (una linea misogina e patriarcalista che va da Rousseau a Kant escluse le donne dalla cittadinanza e arrivó persino a proibire che insegnassero loro a leggere). Capiamo dunque in che senso il rapporto di amore-odio fra Femminismo e Illuminismo sia centrale per le pensatrici del gruppo di Celia Amorós 316 . Le pensatrici della differenza sono invece del tutto impermeabili a questo dibattito: è compito delle donne e della loro politica esporsi in cerca della coerenza interna del 313

Mary Wollstonecraft, filosofa inglese, fu autrice nel 1792 di A Vindication of the Rights of Woman, una delle

prime opere della letteratura femminista, a favore dell’educazione delle donne. 314

Vd. CELIA AMORÓS, Feminismo y perversión in LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos

encubiertos y esencialismos heredados : desde un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p.138. 5

Vd. AMELIA VALCÁRCEL, La memoria colectiva y los retos del feminismo, Naciones Unidas, Santiago de Chile,

2001, p. 8. 316

Celia Amorós crea nel 1987 presso l’Universidad Complutense di Madrid il Seminario Permanente "Feminismo

e Ilustración" per indagare sistematicamente le relazioni tra Femminismo e Illuminismo: è un rapporto dialettico dato che il femminismo è illuminista nelle sue stesse radici ma risulta da una delle promesse non mantenute dello stesso illuminismo.

89 paradigma politico moderno? Secondo Luisa Muraro proprio la risposta a questa domanda segnala la linea di confine tra alcune femministe e le altre. 317

“Quiero la diferencia” Se il femminismo di stampo rivendicativo situa la sua origine teorica e storica nel secolo dei Lumi, è solo a partire dalla fine del XX secolo che si sviluppa quello che è stato chiamato “pensiero della differenza”. Il femminismo originario si è biforcato: le femministe dell’uguaglianza hanno visto l’opposizione delle “sorelle insoddisfatte”. Questo fenomeno di “ripensamento” fu globale 318 ed in Spagna sono gli anni 80 quelli che videro aprirsi la crepa 319 . Secondo Celia Amorós non si rimase sempre sulle orme del tracciato originario per via della profonda delusione cui un primo femminismo (di matrice emancipativa) andó incontro – ovvero l’inadeguata risposta che il diritto e la legge seppero dare alle pressanti domande delle femministe. È qui una delle molle decisive alla crescita e allo sviluppo dell’altro femminismo, il quale non a caso professa (e lo fa espressamente) la sua diffidenza nei confronti dei “pezzi di carta che si chiamano leggi o costituzioni” 320 . La

frustrazione

generata

dalle

deficienze

della

Costituzione

del

‘78

fu

probabilmente una delle cause dello snervamento che pesó sul movimento nell’epoca in cui si ebbe la frattura. Le

pensatrici

della

differenza

dicevano

di

voler

elaborare

delle

forme

specificamente femminili di discutere e comunicare, convertendo gli incontri femministi in feste che bruciassero i rigidi schemi di una programmazione e di contenuti marcati dall’impronta del “patriarcale” (questo il punto di vista di Celia Amorós, una femminista chiaramente “fedele” al modo tradizionale di fare politica e diffidente nei confronti del nuovo atteggiamento). Tra i nomi spicca quello di Victoria Sendón e tra le parole di questa

317

Vd. LUISA MURARO, Màs allà de la igualdad, in LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos

encubiertos y esencialismos heredados : desde un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p.122. 318

Cfr. NURIA VARELA, La tercera ola. Del feminismo radical al ciberfeminismo in NURIA VARELA, Feminismo

para principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005. 319

Vd. CELIA AMORÓS, Feminismo filosofico español: modulaciones hispànicas de la polémica feminista

igualdad-diferencia in CELIA AMORÓS, Tiempo de feminismo. Sobre feminismo, proyecto ilustrado y postmodernidad, Ed. Càtedra, Madrid 1997 e NURIA VARELA, Feminismo en Espaňa. De la clandestinidad al gobierno paritario, in NURIA VARELA, Feminismo para principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005, pp.163-165. 320

Vd. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Seller, Torino 1987,

p.179.

90 autrice “quiero la diferencia. Me repugna profondamente la igualdad” 321 . Ci si chiede in che cosa si voglia essere uguali e si indica l’uguaglianza come il fantasma di un mito nato dall’etica dello schiavo. Si nega un principio chiave per il femminismo che si riconosce di matrice illustrata (quello di Celia Amorós e del suo gruppo): il principio dell’uguaglianza fra i sessi. Esso diverrà il concetto più controverso. Attualmente è assodato che il contrasto fosse per lo più fittizio: il contrario di uguaglianza è disuguaglianza, e non differenza. Essere uguali non significa identiche/i. Sebbene il senso di sconforto potesse essere comune a molte, le pensatrici dell’uguaglianza paiono rimproverare alle “dissidenti” di avere “mollato la presa”, e, col loro addio alle rivendicazioni, avere disattivato la logica interna al progresso graduale delle conquiste di libertà per le donne. Si sarebbero insomma rifugiate in un separatismo dai toni misticheggianti nonché essenzialistici e dagli imprudenti risvolti conservatori. Del principale referente polemico Celia Amorós deplora che sia un pensiero profetico, impreciso nelle sue descrizioni e con un biasimevole deficit di normatività 322 . Luisa Posada Kubissa muove accuse analoghe alle pensatrici della differenza e con un tono altrettanto contrariato sottolinea che il loro è un programma utopico o peggio retorico nel quale avvertiamo la carenza di proposte concrete: promettono nuovi concetti, relazioni, etc. ma non mantengono coerentemente

323

nuove

.

Sulla scorta del pensiero della differenza si transitano “le solite vie dell’evocazione” mentre il progetto illuminista è un compito infinito che va seguito ed esplorato 324 .

Il rapporto conflittuale con le norme Le norme influiscono sulla vita delle donne e nel XXI secolo resta molto da fare affinché si “costituiscano” (riconoscano, sostengano, promuovano e rendano “costituzionali”) i diritti delle donne. Il punto di partenza condiviso da molte studiose odierne (tanto che sarebbe “needless to

321

Cfr. CELIA AMORÓS, Feminismo filosofico español: modulaciones hispànicas de la polémica feminista

igualdad-diferencia in CELIA AMORÓS, Tiempo de feminismo. Sobre feminismo, proyecto ilustrado y postmodernidad, Ed. Càtedra, Madrid 1997, pp. 419 -420.

Tradotto: “Voglio la differenza. Mi ripugna

profondamente l’uguaglianza”. 322

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.22, 23, 30, 326. 323

Vd. LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos encubiertos y esencialismos heredados : desde

un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, pp.97-98. 324

Vd. CELIA AMORÓS, Feminismo filosofico español: modulaciones hispànicas de la polémica feminista

igualdad-diferencia in CELIA AMORÓS, Tiempo de feminismo. Sobre feminismo, proyecto ilustrado y postmodernidad, Ed. Càtedra, Madrid 1997.

91 say”) è che “women’s political status is crucial to the overcoming of their social and economic subordination” 325 ; instaurare un dialogo-scontro col mondo delle norme è risultato storicamente imprescindibile. Si rinuncia tuttavia all’ingenuità del parallelismo fra miglioramento della legge e miglioramento della società: il progresso costituzionale non è sinonimo di progresso sociale 326 . Confrontarsi con le norme, dunque, è importante, ma non bisogna illudersi che sia facile avere a che fare con esse, né che in alcun caso esse siano la panacea di tutti i mali. Una delle cose da tenere sott’occhio, tra le altre, sono i mezzi necessari per fare uso dei diritti stessi: alle donne spesso mancano le risorse per mobilitare la legge a loro soccorso, nonché il sostegno e la conoscenza adeguati 327 . Le prime donne a votare una Costituzione furono le australiane nel 1901 ed è in America che dal 1920 si garantisce il diritto di voto a livello costituzionale (diventerà una tendenza generalizzata solo nel costituzionalismo postbellico). Fra il 1980 ed il 1990 le donne sono attive nel processo di rinnovo delle costituzioni, dimostrando di considerarle rilevanti. Se da un lato i diritti costituzionali sono quelli che offrono più protezione alle donne come gruppo, dall’altro hanno il limite di essere formulati in modo poco trasparente e accessibile (sono astratti e dipendono dall’interpretazione dei giudici). L’astrattezza puó dunque aiutare 328 o meno le donne; si tratta di una potenziale ricchezza o di un difetto a seconda del punto di vista. In certa misura la libertà della donna esiste anche senza ed oltre una codificazione scritta che la legittimi e la giustizia reale non deriva automaticamente da quella formale, ossia - per quanto “buona” possa essere una Costituzione - non è detto che abbia un effetto pervasivo. Le carni che riempiono questo scheletro sono la pratica, le convenzioni, gli usi e la tradizione 329 . Così come si dice a proposito della Carta Europea dei diritti “it is just a piece of paper, but its words are directed at varying audiences, and their meaning will be shaped by

325

Vd. Introduction in The Gender of Constitutional Jurisprudence, edited by B. Baines and R. Rubio-Marin,

Cambridge University Press, 2005, p.20. 326

Vd. Introduction in The Gender of Constitutional Jurisprudence, edited by B. Baines and R. Rubio-Marin,

Cambridge University Press, 2005, p.6. 327

Vd. SUSANNE BAER, Citizenship in Europe and the Construction of Gender by Law in The European Charter

of Fundamental Rights in Gender and Human Rights, edited by Karen Knopp, Oxford University Press 2004. 328

A questo proposito la Dichiarazione Universale dei diritti umani, essendo attualmente ‘il massimo livello di

astrazione’, è uno degli strumenti politici che deve essere ripensato e rielaborato. 329

Vd. ISABEL KARPIN and KAREN O’CONNELL, Embedded Constitutionalism, the Australian Constitution, and

the Rights of Women, in The Gender of Constitutional Jurisprudence, edited by B. Baines and R. Rubio-Marin, Cambridge University Press, 2005, p.23. La Costituzione altro non è se non “a skeleton”, uno scheletro.

92 various agents of interpretation, as well as by a heterogeneous public” 330 . Lo studio comparativo dà conferme del fatto che il contenuto delle Costituzioni sia il riflesso non neutro di quella che è stata la storia che le ha prodotte e che d’altro canto un’azione diretta su di esso non è sufficiente (talvolta si raggiungono risultati all’infuori di esso, talaltra un certo suo uso “rigido” pone di fronte a contraddizioni). In linea di massima i “constitutional tools” 331 si presentano come armi a doppio taglio.

L’evoluzione del concetto di uguaglianza La maggior parte delle costituzioni proibisce la discriminazione sessuale (anche se in realtà si tratta di proteggere le donne); è una promessa chiara. Ma cosa significa uguaglianza sessuale? Ci sono vari significati di uguaglianza e due dottrine prevalenti: la “formal equality” e la “separate but equal” 332 . Entrambe le teorie si appoggiano sull’assunto aristotelico che vuole che si trattino i simili da simili ed i diversi diversamente; si preoccupano di sottolineare quindi differenze e somiglianze, siano esse determinate biologicamente o socialmente. Ció che le distingue è il tipo di strategia emancipativa. Compare per prima l’uguaglianza formale. Secondo questa prospettiva il sesso di una persona “reveals nothing about individual worth or autonomy”: l’obiettivo è un ordine legale genericamente neutro, ovvero le donne trattate esattamente come gli uomini (la gravidanza viene vista come un’eccezione e qualsiasi “azione positiva” viene letta come forma di discriminazione verso gli uomini). Doversi

rifare

all’uguaglianza

in

termini

comparativi

quando

i

parametri

della

comparazione sono stati stabiliti dall’uomo a partire dalla sua esperienza puó diventare a quel punto un grosso problema 333 . Una società del tutto “cieca al sesso” non è la soluzione, dato che la “neutralità” tesse un’invisibile ragnatela nella quale si resta frequemente impigliate: è la “società delle uguali opportunità di entrare in istituzioni maschiliste” 334 . 330

Vd. SUSANNE BAER, Citizenship in Europe and the Construction of Gender by Law in The European Charter

of Fundamental Rights in Gender and Human Rights, edited by Karen Knopp, Oxford University Press 2004. 331

Vd. Introduction in The Gender of Constitutional Jurisprudence, edited by B. Baines and R. Rubio-Marin,

Cambridge University Press, 2005, p. 8. 332

Vd. Introduction in The Gender of Constitutional Jurisprudence, edited by B. Baines and R. Rubio-Marin,

Cambridge University Press, 2005. 333

Vd. Introduction in The Gender of Constitutional Jurisprudence, edited by B. Baines and R. Rubio-Marin,

Cambridge University Press, 2005, p.10. 334

Vd. WILL KYMLICKA, Il femminismo, in Introduzione alla filosofia politica contemporanea, Feltrinelli, Milano

1996, p.270.

93 L’uguaglianza nasce per creare parità dove lo squilibrio ha sempre visto la parte femminile svantaggiata. Tuttavia con l’uguaglianza formale non c’è un accesso che sia proporzionale alla formazione e agli sforzi delle donne: i meccanismi di esclusione si mantengono anche se sono più sottili (e quindi più difficili da sradicare). Contro queste “sottigliezze” si utilizzano azioni di discriminazione positiva, ovvero misure temporanee che correggono la situazione di squilibrio (conseguenza di pratiche o sistemi sociali discriminatori) 335 . L’ aspirazione liberale ad un ordine legale neutro non è infatti sufficiente a mettere a fuoco il problema: si riconosce perció che la proibizione della discriminazione sessuale ha come scopo quello di eliminare uno svantaggio tradizionale delle donne e rimuovere le differenze che le hanno situate storicamente in una posizione legale e sociale inferiore, sia come risultato di azioni pubbliche, che di pratiche sociali. L’argomento più diffuso contro le azioni positive è quello di chi dice “al potere devono accedere i e le migliori, al di là del sesso”: l’ironia vuole che le femministe desiderino la medesima cosa, non essendo però convinte del fatto che i migliori siano sempre stati in tutte le istituzioni e in tutti i momenti storici gli uomini 336 . Amelia Valcárcel sottolinea a questo proposito che nella popolazione occidentale “la formazione necessaria” delle donne è persino più forte e profonda di quella degli uomini; eppure si mantiene la distorsione per cui le posizioni di potere restano maschili. Ad illustrare ancor meglio la situazione, la filosofa riporta l’espressione “grafica” (che risale al femminismo degli anni ’80) del “techo de cristal”: “es como si realmente existiera una barrera invisibile sobre las cabezas femeninas en una pirámide jerárquica, barrera que no puede traspasarse mediante esfuerzos individuales” 337 . La difficoltà che sorge con la cosiddetta “different equality” è opposta: chi controlla le “azioni positive”? Chi puó stabilire quando sono paternalistiche? Le politiche di

335

Vd. NURIA VARELA, El poder, in NURIA VARELA, Feminismo para principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005.

Le azioni positive, nate negli Usa negli anni 60, si utilizzano per facilitare la partecipazione di minoranze o gruppi sociali esclusi. Si tratta in maniera disuguale ció che è disuguale per trovare un equilibrio: il fine è l’uguaglianza di opportunità. Si applica e dovrebbe applicare a vari ambiti: principalmente lavoro, educazione e partecipazione politica (le quote). La parità non è l’obiettivo, ma il punto di partenza (le regole del gioco democratico saranno più giuste). Il primo governo di Josè Luis Rodriguez Zapatero (elezioni del marzo 2004) è stato il primo governo paritario in Spagna, con un consiglio dei ministri composto da otto ministri e otto ministre. 336

Vd. NURIA VARELA, El poder, in NURIA VARELA, Feminismo para principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005,

pp.192, 202-204. L’autrice riporta i dati della infra-rappersentazione delle donne in tutti gli ambiti, malgrado il raggiungimento formale dell’uguaglianza; si chiede e ci invita a chiederci: “¿dónde están las mujeres?”. 337

Vd. AMELIA VALCÁRCEL, La polìtica de las mujeres, Feminismos, tercera edición, Ediciones Càtedra, Madrid

2004, p.99.

94 integrazione possono rappresentare poco più che “la camomilla del vero male” 338 . La retribuzione del lavoro domestico potrebbe ad esempio riconfermare i ruoli dei quali ci si voleva liberare; la condivisione delle cure all’infanzia, pur alleggerendo il lavoro delle donne, potrebbe pericolosamente rafforzare la misoginia - che invece, secondo alcune pensatrici, troverebbe una “magica” soluzione in essa - o comunque non essere una premessa sufficiente alla realizzazione di una sostanziale parità fra i generi 339 . Tra le difficoltà ci sono dunque anche gli effetti perversi delle “buone intenzioni”, ovvero l’eventualità che le cosiddette azioni positive ottengano l’effetto contrario a quello desiderato ed anzi aiutino a perpetuare gli stereotipi sessisti dei quali ci si vorrebbe sbarazzare (per esempio la naturale vocazione e/o obbligo delle donne verso i ruoli familiari). Le politiche di opportunità e quelle di tutela sono insomma le Scilla e Cariddi tra le quali le donne hanno cercato di navigare, condannandosi allo smarrimento e alla disperazione. Perché? Nel primo caso se si richiede a non-A (la donna, non-uomo) di essere A, ci sarà lo svantaggio inevitabile di essere cresciuta con un’identità di genere diversa ovvero con obiettivi, aspettative, responsabilità e sensibilità diversa; nel secondo caso la distinzione netta fra A e B fa sì che le differenze non siano riconosciute come arbitrarie e che si riconfermino i rapporti di potere tradizionali, ovvero le donne saranno protette a costo di permanere in quello stato di minorità socio-politica dal quale volevano uscire 340 . L’analisi del concetto di uguaglianza si è dovuta raffinare dal momento che una sua rivendicazione “semplice” ha mostrato dei limiti: si cerca di ricostruire e rigenerare il concetto primitivo a partire dalle contraddizioni cui ha dato origine. Una terza dottrina, la più “avanzata”, parla di “uguaglianza sostanziale”. Non c’è l’ossessione di identificare gli elementi di somiglianza e differenza. Si riconosce che l’oppressione e la subordinazione della donna vanno comprese soprattutto a partire dalla lunga storia di ineguaglianza delle donne in quasi tutte le aree della vita piuttosto che essere inerenti al sesso come categoria concettuale.

338

Vd. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Seller, Torino 1987,

p.27. 339

Cfr. BIRTE SIIM, Creare la democrazia: cittadinanza sociale e partecipazione politica delle donne nei paesi

scandinavi in Genere. La costruzione sociale del femminile e del maschile, a cura di Simonetta Piccone Stella e Chiara Saraceno, ed. Il Mulino, Bologna 1996. 340

Vd. ANNA ELISABETTA GALEOTTI, Teorie politiche femministe, in AA.VV., Manuale di filosofia politica, a

cura di S. Maffettone e S. Veca, Donzelli Editore, Roma 1996.

95

Il corpo-pensante negato reclama la sua parte Sintomatologia del disagio Un’uguaglianza “coerente” porta a paradossi e perversità: molte donne si riferiscono a sé stesse col neutro-maschile (la Pivetti nel ‘95 insistette perché la si chiamasse Presidente 341 ); gli uomini si richiamano alla bellezza del corpo femminile per negare o porre in dubbio un altro tipo di meriti (si ricorda un caso biografico in cui per togliere pregnanza alle parole della collega, un conferenziere fa un complimento ai suoi occhi ) 342 . È come se i nostri corpi venissero sovraccaricati di senso da un lato, e negati dall’altro. Essi,

“sobre-significados” e “hiper-normados” 343 , diventano centrali nei ruoli assegnati

(dove la donna è un corpo-oggetto posseduto e controllato: da tutti – la prostituta - ; da uno solo, il marito/padre – la moglie/madre-; in attesa di esserlo e comunque sotto la tutela del padre – la vergine -) mentre vi ci dovremmo rinunciare se volessimo agire all’infuori di quelli (perché il mondo extra-privato è stato disegnato a misura d’uomo– maschio e tutto ció che ruota intorno alla sessualità femminile e alla gravidanza ne risulta evidentemente escluso a priori). Inserire la donna nella società così com’è significa non mettere in discussione la società a partire da sé donne, ma se medesime in funzione della società (di tradizione decisionale maschile). Dentro la società dell’emancipazione una donna avverte subito che “la sua differenza umana costituisce una particolarità visibile quanto irrilevante”: è una donna ma potrebbe essere un uomo e da mille indizi la società le fa intendere che per lei sarebbe meglio esserlo veramente 344 . Il progresso è essere divise in due? “Il corpo di sesso 341

Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El fraude de la igualdad, segunda edición revisada, Librerìa de

Mujeres, Ciudad Autónoma de Buenos Aires, 2002, p.59. 342

Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El fraude de la igualdad, segunda edición revisada, Librerìa de

Mujeres, Ciudad Autónoma de Buenos Aires, 2002, p. 55. 343

Vd. AMELIA VALCÁRCEL, La polìtica de las mujeres, Feminismos, tercera edición, Ediciones Càedra, Madrid

2004, p.169. 344

Il caso storico del travestimento di Concepción Arenal potrebbe rendere perfettamente l’idea. Nata nel

1820, fu la prima donna spagnola a godere del diritto all’educazione e la prima ad essere premiata da un’Accademia; tutto ció al prezzo di camuffare il suo essere donna. Per studiare diritto nell’Università di Madrid si vestì infatti da uomo (molto più di una ribellione, dato che l’Inquisizione fu abolita definitivamente nel 1834) e quando scrisse nel 1860 “la beneficiencia, la filantropia y la caridad”, l’opera vincitrice del premio della Real Accademia de Ciencias Morales y Polìticas, la presentó (astutamente) col nome del figlio di dieci anni, Fernando. Collaboró al quotidiano “La Iberia” insieme al marito, e quando egli si ammaló, continuó da sola: Col decesso del consorte- malgrado il suo migliore amico si fosse impegnato a dimostrare al direttore del giornale che a scrivere era sempre stata lei (perché potesse continuare ad avere il lavoro e lo stipendio per mantenersi

96 femminile da una parte, soggetto pensante e sociale dall’altra, e fra le due neanche più il legame di un disagio sensibilmente avvertito: lo stupro portato alla sua perfezione di atto simbolico” 345 . Il prezzo da pagare in cambio dei diritti è stato perció la rinuncia al corpo, l’ “oblio del corpo femminile, vissuto come ostacolo e come ingombro” 346 , ovvero la povertà simbolica: la libertà la possediamo per il sesso che abbiamo e non nonostante esso 347 . È questo “el fraude de la igualdad” 348 .

I diritti delle donne attraverso i diritti “neutri” Una delle principali difficoltà nel caso della rivendicazione dei diritti delle donne è quella di doversi rifare ai diritti “tradizionali” per difenderli: questi ultimi però, poiché sorgono “storicamente” insieme alla negazione dei primi, sono spesso inefficaci e si resta imprigionate in contraddizioni. Un nodo cruciale è il riconoscimento della natura di “deposito” storico-culturale e soprattutto morale del diritto: i diritti costituzionali nati per esporre i valori fondamentali di una nazione, in nome di questi possono limitare - piuttosto che esaudire - le richieste delle donne. Non si puó ignorare a questo proposito l’attrito che la difesa delle libertà delle donne genera a contatto con le tradizioni e la religione.

L’aborto e l’offesa sessuale La questione dell’aborto è esemplare a riguardo. C’è sempre il reclamo dello Stato per la difesa costituzionale del diritto alla vita del feto. In Spagna ad esempio, lungi dall’essere un diritto costituzionale, l’aborto è considerato un crimine. È tollerato solo in tre casi: per evitare un serio danno alla salute o alla vita della madre (aborto terapeutico); se si tratta di uno stupro (aborto etico); se il feto avrà seri problemi fisici o mentali (aborto eugenetico). Tanto per cambiare, l’accento è posto sul figlio e non sulle donne: ovvero esiste il problema del valore della vita e della protezione del nascituro che si mettono in primo piano, in contrasto coi diritti delle donne. L’embrione reclama la vita a prescindere dal corpo della madre, si autonomizza; è insieme ai suoi due figli)- cominciò ad essere pagata la metà. Scrisse sulla situazione nelle carceri (la delinquenza come risultato dell’emarginazione sociale) e pubblicó due opere sulla condizione della donna. 345

Vd. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Seller, Torino 1987,

p.179. 346

Vd. WANDA TOMMASI, I filosofi e le donne. La differenza sessuale nella storia della filosofia, Tre Lune

Edizioni, Mantova 2001, pp.167-168. 347

Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El fraude de la igualdad, segunda edición revisada, Librerìa de

Mujeres, Ciudad Autónoma de Buenos Aires, 2002, p.13. 348

Ovvero “l’inganno dell’uguaglianza”. Costituisce il titolo di un’opera di Marìa-Milagros Rivera.

97 individuo: una visione sacrale del concepimento fa sì che pur avendo un’età compresa fra i 15 gg e i 2 mesi, l’embrione abbia già status morale e giuridico (è forse il desiderio di affermare retrospettivamente il proprio interesse assoluto ad esistere a motivarla?) 349 . La biologia impone un concetto di vita (vita = zigote) che non ha niente a che fare con l’esperienza di creazione del figlio che cresce nella madre 350 . Parlare di autonomia del feto o del feto come proprietà della donna genera barriere concettuali: c’è una situazione particolare ed irripetibile che lega la donna al concepito; è una relazione sui generis. Tuttavia è assurdo che il feto sia parificato a chi è già nato 351 , e anzi valga pure di più. Non c’è conflitto tra due soggetti uguali, bensì schiacciamento della donna a favore del feto (cittadino da tutelare fin dal concepimento) 352 . Tra le conseguenze perverse del feto-persona oltre al ben noto “dovere della donna a generare” 353 potrebbe giustificarsi una certa invadenza nello stile di vita della gestante (in nome dei diritti del non-nato). Anche l’offesa sessuale (stupro, prostituzione, pornografia, adulterio, assassini d’onore, discorsi d’odio, discorsi sessisti, molestie sessuali) rappresenta un ambito controverso. Non c’è protezione dell’autonomia sessuale a livello costituzionale. Alcuni uomini hanno perfino sfidato la criminalizzazione dello stupro ed in generale fatto leva sulla presunzione di innocenza, la libertà di espressione, l’onore etc. In Spagna le molestie sessuali sul lavoro sono state sanzionate come offese alla Costituzione solo molto recentemente e sulla base del diritto alla privacy piuttosto che sull’uguaglianza o sul diritto all’integrità morale. La molestia avrebbe quindi a che vedere con una sfera privata quale quella della sessualità per cui l’imposizione del sesso violerebbe la privacy. In realtà il sesso imposto non è sesso (per lo meno non per chi lo subisce) e non ha senso che sia protetto. È semmai più vicino alla violenza e all’umiliazione. Si è lasciata aperta la possibilità di considerarla come discriminazione sessuale indiretta, dato che è evidente che colpisce più donne che uomini. Un’altra situazione delicata è quella della difesa delle donne dai discorsi sessisti. In questo caso tutelarsi significa ridiscutere la libertà di parola e di stampa, appellandosi a

349

Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,

fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, pp. 132, 144. 350

Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,

fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, p.63. 351

Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,

fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, p.137. 352

Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,

fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, p.147. 353

Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,

fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, p 146.

98 privacy ed onore, nel senso di rispettabilità sociale, reputazione e dignità. Tuttavia il mancato richiamo all’articolo 14 (quello che in Spagna assicura l’uguaglianza fra i sessi) non sottolinea la natura collettiva del danno operato dai discorsi sessisti e rifarsi al diritto all’onore non è una garanzia sufficiente, dato che la cultura decide i confini di ció che è “rispettabilità sociale”, ed essa risulta impregnata di stereotipi sessisti 354 . Il caso della pornografia che eroicizza la violenza contro le donne ad esempio andrebbe riconosciuto come pratica anticostituzionale nel suo colpire le donne come gruppo nella loro integrità fisica e morale. Anche le conquiste fatte nel caso del riconoscimento della paternità e del sostegno dei figli presentano un limite dello stesso tipo: non si riconoscono come preoccupazioni delle donne, piuttosto come necessità dei figli. Non è discriminazione punire le donne per la loro biologia forzandole a sostenere il peso psicologico ed economico di tirare su i figli come madri single? Gli uomini possono essere esentati dalla condivisione dei doveri?

“VacÍo de la norma” o compromesso? Considerate le difficoltà di questa interazione (donne-norme), ci chiediamo: siamo realmente costrette ad abbandonarla? Siamo davvero sprovviste della capacità di trovare una via d’uscita? Esiste “una terza via”, oltre la rinuncia e l’omologazione? Come ben sappiamo il mondo pubblico si è formato a partire dall’esclusione delle donne, confinate nell’ambito del privato, ed orientate “esistenzialmente” al mantenimento di quest’ultimo, indispensabile sostentamento del primo. Come stupirci di non ritrovare in esso (mondo pubblico) alcun interesse per le loro esigenze specifiche? La società patriarcale si erige sull’ignoranza e sul disprezzo della voce e del corpo femminili. Se dovessimo seguire il pensiero della differenza, sosterremmo il “vacÍo de la norma”, una sorta di separatismo indispensabile dato che “las armas del amo no desmanteleràn nunca la casa del amo”. Per avere reale libertà bisognerebbe, secondo queste pensatrici, rinunciare alle rivendicazioni che piuttosto perpetrano l’immagine della vittima, esaurendo le energie umane delle donne (ed utilizzando per di più il discusso metodo della rappresentanza). Le donne che si muovono all’interno della politica 354

Vd. NURIA VARELA, El cuerpo de las mujeres. El botìn màs preciado, in NURIA VARELA, Feminismo para

principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005, pp. 274-275. Cfr. RUTH

RUBIO MARìN, Engendering the

ConstItution. The Spanish Experience, in The Gender of Constitutional Jurisprudence, edited by B. Baines and R. Rubio-Marin, Cambridge University Press, 2005. È esemplare a questo proposito l’esempio addotto in questo saggio. Si tratta de “il caso Playboy”: ció che una donna, nella fattispecie Ana Obregón, considera un insulto è visto come “complimento oggettivo”, ignorando il fatto che ridurre una donna ad oggetto sessuale è un insulto per quanto uno intenda fare complimenti alle qualità dell’oggetto. Non è la qualità degli attributi sessuali ma il fatto di ridurre la persona ad essi che è “truly offensive”.

99 tradizionale sarebbero in realtà come clandestine in un mondo dove non possono integrarsi se non a costo dell’omologazione agli uomini 355 , ovvero a costo della perdita della loro differenza (l’incastro è sempre mal riuscito per una donna che si muove in una società modellata sul paradigma della mascolinità spacciata per universalismo): l’universalismo spesso si ritorce contro le donne giacché esse tentano di esprimere i loro bisogni parlando un linguaggio che non è il loro 356 . Questa visione pessimistica puó stemperarsi col fatto che l’ingresso consapevole delle donne nel mondo che era loro precluso puó far cambiare le cose. Se è vero che hanno rischiato di farsi schiacciare dai modelli predominanti (quindi androcentrici e talvolta misogini), questo puó giustificarsi col fatto che la troppa “fame” 357 le abbia “accecate”. Tuttavia rendersi conto di questi limiti non significa abbandonare il percorso svolto, ma continuare a lavorarci pazientemente. Così come è indubitabile che i testi giuridici siano imbevuti di cultura (patriarcale), è presumibile e desiderabile che una rivoluzione culturale autentica porti a ridiscutere i termini del “vecchio”, facendo sì che vi si sedimenti “il nuovo”. La consapevolezza del fatto che l’arma che si vorrebbe utilizzare (le norme) non possiede la neutralità che ci si auspicava non pregiudica l’ottimismo: l’obiettivo è affinarla per migliorarla e – soprattutto - per poterne fare effettivamente uso senza che si ferisca da sé chi desiderava difendersi con essa. “our primary goal is, in short, to identify, sustain and promote the constitutional norms and strategies that will achieve (corsivo mio) gender equality for women” 358 . Anche per chi crede nella legge (così come per le più disincantate autrici di Non credere), si parte da “pezzi di carta” che senza la volontà di essere “presi sul serio” restano tali: “words on a piece of paper do not have life of their own but need interpretation and implementation. However, they also need an aura, to be symbols, in order to create the willingness to take them seriously” 359 .

355

Ancora una volta è illuminante l’immagine storica di Concepción Arenal. Cfr. inoltre MARìA-MILAGROS

RIVERA GARRETAS, La diferencia sexual en la historia, Universitat de València 2005, p.141. L’uguaglianza è intesa come astrazione della differenza sessuale e quindi un “penoso e lungo cammino” verso l’omologazione. 356

Qui sarebbe opportuno rispondere con la riflessione di Celia Amorós esposta precedentemente: non si puó

rinunciare all’universalismo. 357

Si parla della “fame di universale”. Cfr. paragrafo “Rigenerazione dell’universale: hambre y olfato” nel capitolo successivo. 358 Vd. Introduction in The Gender of Constitutional Jurisprudence, edited by B. Baines and R. Rubio-Marin, Cambridge University Press, 2005, p.5. 359

Vd. SUSANNE BAER, Citizenship in Europe and the Construction of Gender by Law in The European Charter

of Fundamental Rights in Gender and Human Rights, edited by Karen Knopp, Oxford University Press 2004, p.87.

100 L’atteggiamento non è solo critico, ma costruttivo; non c’è affatto rinuncia: “challenge” è la parola chiave 360 . D’altronde un’idea fertile è che “life forms law and law forms life, as interdependent dynamics” 361 : la legge è un fatto culturale e sociale. Non c’è astoricità-idealità, per cui la storia della norma ha a che fare con chi ha definito il suo testo e la sua interpretazione (per molto tempo le donne ed altri sono stati trascurati): va evidenziato che questi meccanismi (di inclusione ed esclusione) sono contingenti e la legge svolge il suo ruolo nel crearli e disfarli.

I diritti delle donne attraverso i diritti delle donne È innegabile, come abbiamo precedentemente detto, che capiti di dibattersi con l’utilizzo di mezzi impropri o insufficienti quando i diritti delle donne ancora non sono riconosciuti di per se stessi e si cerca di difenderli attraverso derivazioni da altri: è così che ci si trova allora impantanate in conflitti, tensioni ed aporie. Così come ci fa notare Ruth Rubio Marin nel suo studio sulla Costituzione spagnola, esiste una difficoltà ad articolare i diritti delle donne come tali ed è qui che si nota la povertà del paradigma egualitario originario. In vista del benessere delle donne non basta estendere i diritti dei quali hanno sempre goduto gli uomini al gruppo storicamente discriminato, ma occorre riconoscere la presenza di diritti specifici per non cadere in quelle trappole logiche che rendono invisibili determinate esigenze condivise da tutte le donne come gruppo. Le rivendicazioni comuni, al di là delle particolari situazioni nazionali, sono tutte legate in modo diretto od indiretto alla capacità riproduttiva e alla sessualità, nonché alle disparità frutto di secoli di segregazione. Le donne agiscono soprattutto su ambiti come: gravidanza e discriminazione lavorativa; violenza domestica; sottorappresentazione politica; crimini sessuali e/o le loro procedure di accompagnamento; matrimoni ingiusti; divorzio; regole di successione. Eppure sono molto poche le costituzioni che parlano dei diritti riproduttivi (vitali per le donne come individui e come gruppo)

362

. Le questioni connesse (aborto, contraccezione,

sterilizzazione, fertilizzazione in vitro, ecc.) sono spesso criminalizzate e in assenza di tali 360

Vd. Introduction in The Gender of Constitutional Jurisprudence, edited by B. Baines and R. Rubio-Marin,

Cambridge University Press, 2005, p.3. 361

Vd. SUSANNE BAER, Citizenship in Europe and the Construction of Gender by Law in The European Charter

of Fundamental Rights in Gender and Human Rights, edited by Karen Knopp, Oxford University Press 2004, p.98. 362

Vd. The gender of constitutional jurisprudence, edited by Beverley Baines and Ruth Rubio-Marin, Cambridge

University Press, 2004.

101 diritti si tenta di sostenere il diritto delle donne a controllare il proprio corpo utilizzando altri diritti (normalmente riconosciuti): sicurezza della persona, libertà, uguaglianza, privacy, libero sviluppo della personalità di ciascuno, integrità fisica, dignità umana, integrità fisico-morale, libertà di pensiero e credenza. I Diritti Umani sono, con alta probabilità, il luogo principale sul quale agire: è lì che ancora più manifestamente la società (con potere) dice ció che considera inalienabile ad un essere umano ed è dunque lì che si gioca probabilmente la sfida. Benché essi si fregino dell’intento di costruire la comunità che comprende tutte/i, la verità è che è sempre attiva una logica di inclusione/esclusione (discriminazione). Occorre fare luce sugli abusi che sorgono specificamente in relazione al sesso come la schiavitù sessuale femminile, la violenza contro le donne, i crimini “di onore” o i “crimini familiari” così come il matrimonio forzato, la mutilazione genitale, l’aborto (diritto negato in decine di paesi, controllato o legalizzato nella maggior parte e convertito in delitto in buona parte del mondo). Per superare l’androcentrismo del mondo “pubblico”, delle norme (di ciò che solevamo considerare neutro-neutrale) non è sufficiente permettere che vi siano comprese formalmente

le

donne:

diventa

indispensabile

controbilanciarlo

con

un

certo

“ginocentrismo”. Si tratta di trasformare il concetto dei diritti umani da una prospettiva femminista passando per quell’affermazione “tan obvia como utópica” 363 per cui “i diritti delle donne sono diritti umani”. Un’esigenza primaria è che si riconosca l’ambivalenza di tale assunto (esso indica due cose): da una parte i diritti formulati al maschile devono estendersi alle donne; dall’altra, ci sono diritti specifici delle donne (quelli sessuali e riproduttivi). Si sta confermando l’impossibilità di un ingresso in sordina delle donne in un mondo disegnato da altri. È una reazione chimica incessante quella per cui la presenza femminile corrode e rigenera il “già dato” in un processo continuo che non puó non intaccare le stesse norme, per quanto esse siano state tendenzialmente nemiche delle donne ed ancora oggi si mostrino ostiche da addomesticare e piegare ai propri interessi.

363

Vd. NURIA VARELA, El poder, in NURIA VARELA, Feminismo para principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005,

p.201.

102

CAPITOLO 7 UN NEUTRO PROBLEMATICO Tutte sono d’accordo sul fatto che la soggettività neutra di cui si è sempre parlato, tanto neutra non sia. Ci si spacca subito dopo la scoperta rispetto al come reagire ad essa: c’è chi continua a credere nella possibilità di un universale neutro (da ricostruire con le donne, prima escluse); c’è chi rifiuta la possibilità stessa di questo soggetto neutraleasessuato, nella convinzione che la differenza donna-uomo non possa essere trascesa. Di fronte ad un neutro contraffatto, ci si chiede se sia possibile rimodellarlo affinché si perfezioni la sua “neutralità mancata” o se il neutro in sé sia una chimera. Dovremmo capire fino a che punto il dato della differenza sessuale vada a confliggere con le pretese universalizzanti. Il valore del genere nell’identità è assodato (è uno dei dati coi quali dobbiamo “scontrarci” e “riconciliarci” in qualche modo); peró fino a che punto dobbiamo estendere la questione? La visione sessuata della realtà è utile per comprendere i falsi universalismi che “proteggono” il patriarcato: in ragione del sesso si è giustificato un assetto diseguale del potere a scapito delle donne. Tuttavia la differenza fra i sessi che illecitamente si traduce in disuguaglianze assiologiche deve o meno portare a rivalutare “la differenza” come determinante di tutto l’agire e il pensare umano?

L’incommensurabile peso della differenza La

differenza

sessuale

è

“originaria”,

un

“concreto

ed

essenziale

differire”;

“imprescindibile”, un “da sempre già dato così e non altrimenti”; è “ció che è inscritto necessariamente nel concreto esserci di ciascun umano vivente”; è un “fatto fondamentale” ed “evidente”, “originario ed essenziale”, “vero in ogni luogo geografico ed in ogni tempo storico” 364 . La sessualità chiama in causa l'essere stesso della persona, inerisce cioè, alla sua ontologia, investe il senso e il significato del suo stesso esistere (se non altro perché non si puó esistere che come esseri sessuati) 365 . Cosa ci assicura, del resto, che ne sia il nucleo?

364

Vd. ADRIANA CAVARERO, L’elaborazione filosofica della differenza sessuale, in AA.VV., La ricerca delle

donne. Studi femministi in Italia, a cura di Maria Cristina Marcuzzo e Anna Rossi-Doria, Rosenberg & Sellier, Torino 1998, pp.180-183. 365

Vd. ROBERTO SABATINI, L’identità sessuale, in L'astuzia del desiderio, Ed. Editoroma, Roma 1994, p.3.

103 Si puó per questo arrivare a dire che sia un “reale principio fondativo” 366 ? Il fatto che sia non oltrepassabile, bensì irriducibile, è sufficiente a che si presti ad essere un “significante inesauribile”?” 367 Suonano ancora più estremistiche le parole che si riferiscono alla differenza femminile come ció che “si radica nel suo essere non come un che di superfluo o un di più ma come ció che essa necessariamente è: appunto donna”. Parlare di necessità è forse imprudente. Forse è una necessità sociale: la società vuole che siamo o donne o uomini. E probabilmente l’unica autentica necessità per mantenerci “differenti” è quella della riproduzione. In ogni caso sapere della propria differenza femminile e riconoscerne la necessità non ci dice ancora niente su ció che “donna” debba significare (o meglio, la cultura ci ha detto fin troppo bene cosa significhi ed il femminismo opera laboriosamente affinché questi sensi mutino). Secondo Marìa-Milagros Rivera l’esperienza di vivere in un corpo di donna non è l’esperienza di vivere in un corpo di uomo: essere fisicamente diversi implica avere esperienze diverse 368 . Benché uguali nel valore, saremmo sostanzialmente differenti 369 . Da un punto di vista ancora più nettamente ontologico Wanda Tommasi afferma “L’Essere non è neutro”. Di conseguenza la differenza donne- uomini esiste anche nella vita della mente 370 . È o meno “eccessivo” parlare di una verità sessuata 371 ? Il sesso influisce sulla conoscenza prodotta 372 ? Affermazioni come “il pensiero finora non è stato neutro, ma sessuato al

366

Vd. ADRIANA CAVARERO, L’elaborazione filosofica della differenza sessuale, in AA.VV., La ricerca delle

donne. Studi femministi in Italia, a cura di Maria Cristina Marcuzzo e Anna Rossi-Doria, Rosenberg & Sellier, Torino 1998, p.175. 367

Vd. WANDA TOMMASI, I filosofi e le donne. La differenza sessuale nella storia della filosofia, Tre Lune

Edizioni, Mantova 2001, p.37: “la differenza sessuale, proprio nella sua irriducibilità, nell’opacità del corpo che la rende non oltrepassabile, è un significante inesauribile”. 368

Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, La diferencia sexual en la historia, Universitat de València 2005,

p.12. 369

Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, La diferencia sexual en la historia, Universitat de València 2005,

p.14. 370

Vd. WANDA TOMMASI, I filosofi e le donne. La differenza sessuale nella storia della filosofia, Tre Lune

Edizioni, Mantova 2001, p.7. 371

Vd. LUISA MURARO, Màs allà de la igualdad, in LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos

encubiertos y esencialismos heredados : desde un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p.179. 372

Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, La diferencia sexual en la historia, Universitat de València 2005,

p.16. La pensatrice spagnola sostiene esattamente questo: il sesso influisce.

104 maschile” 373 ed “il pensiero maschile si dichiara universale” 374 sono un chiaro invito a “portare il non detto del corpo femminile muto alla parola”, “dare mondo al desiderio femminile”. Ció che si sostiene è che “il sapere legato al corpo femminile” fosse consegnato all’insignificanza, al silenzio o al massimo al linguaggio del corpo isterico 375 . È

vero che il “pensiero” è stato finora prodotto da menti(-corpi) maschili che hanno

pensato in maniera fortemente parziale, ed hanno tuttavia stimato di parlare in vece del genere umano tutto. Ma la “soluzione” è che ci siano due visioni del mondo (una femminile ed una maschile)? Gli uomini devono necessariamente parlare solo di uomini e le donne solo di donne? I due punti di vista sono irriducibili? Non basta che ognuno dei due generi si assuma come particolarità se non si pratica una maggiore onestà intellettuale, tale da rivedere l’universale stesso. Il genericamente umano non è una finzione in sé ma un buon progetto da realizzare. Le pensatrici della differenza esagerano questo aspetto della duplicità sessuata del genere umano a scapito di un giusto universalismo che abbia come base l’individu@ come unico ens realissimus. L’idea di soggetto neutro sarebbe di per sé stessa ingannevole, un’ipotesi irrealistica ed ingenua. Questa astrazione farebbe perdere simbolico, ovvero senso della vita e delle relazioni 376 . È vero che il concetto di “persona” non è qualcosa che ci libera (di per sé) e la differenza sessuale non è (di per sé) un peso, un impedimento. La differenza sessuale non è nemmeno una mera appendice biologica (sappiamo delle stratificazioni culturali dove naturale e sociale si sono attorcigliati) ed è giusto non occultarla, ma ció giustificherebbe la costruzione di “due pensieri”? 377 Non è più proficuo cercare punti di incontro?

373

Vd. ADRIANA CAVARERO, L’elaborazione filosofica della differenza sessuale, in AA.VV., La ricerca delle

donne. Studi femministi in Italia, a cura di Maria Cristina Marcuzzo e Anna Rossi-Doria, Rosenberg & Sellier, Torino 1998, p.175. 374

Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El cuerpo indispensable. Significados del cuerpo de mujer, horas y

HORAS la editorial, segunda edición, Madrid 2001, p.51. 375

Vd. WANDA TOMMASI, I filosofi e le donne. La differenza sessuale nella storia della filosofia, Tre Lune

Edizioni, Mantova 2001, pp.31-32. 376

Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, La diferencia sexual en la historia, Universitat de València 2005, p

23. 377

Vd. ADRIANA CAVARERO, L’elaborazione filosofica della differenza sessuale, in AA.VV., La ricerca delle

donne. Studi femministi in Italia, a cura di Maria Cristina Marcuzzo e Anna Rossi-Doria, Rosenberg & Sellier, Torino 1998, pp.128-9.

105

È possibile coabitare l’ “umanità”? L’essere umano deve essere due in tutti gli ordini o solo sulla base di una duplicità anatomica-fisiologica 378 ?

Poiché la stessa linea di demarcazione fra donne e uomini è

opinabile, tra i due sessi converrebbe lasciare aperto un ampio spettro di capacità, comportamenti, etc. senza qualifica sessuale, come terra di nessuno e di tutte/i, territorio neutro: dominio della persona in quanto tale. Bisogna uscire dal bipolarismo che oppone il proprio del maschile al proprio del femminile, sia nell’ottica dell’antagonismo che in quella della complementarietà: “el hecho de ser humano es infinitamente màs importante que todas las singularidades que distinguen a los seres humanos”

379

.

Alle italiane che si scagliano contro l’universalità, e dicono “ad ognuno il suo” Celia Amorós assai provocatoriamente chiede: chi distribuisce? 380 Se il genericamente umano viene visto come un trucco-artificio non ha più senso rivendicare nulla: se categorie come individuo, cittadino, soggetto, universalità, oggettività fossero mere menzogne maschili, ci troveremmo senza la piattaforma che serviva da referenza per pretendere uguaglianza (rivendicarla significherebbe identificarci con gli uomini, essere uomini) 381 . Per parlare di discriminazione occorre essere d’accordo sul fatto che la specie umana è un tutto 382 . Se l’universale, insomma, è intrinsecamente maschile, sarà giusto che continuino a riservarselo gli uomini; altrimenti rinnegheremmo il nostro valore in quanto donne. Luisa Muraro parla del “fantasma dell’usurpazione”. È come se le femministe dell’uguaglianza dicessero: ció che ci manca ci è stato rubato dagli uomini e loro potranno

378

Vd. LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos encubiertos y esencialismos heredados : desde

un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p.98. 379

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.353. Si tratta di una citazione di Simone de Beauvoir. 380

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.31, 46, 358. 381

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.208-209 e CELIA AMORÓS, Presentación (que intenta ser un esbozo del “status questionis”) in CELIA AMORÓS (ed.), Feminismo y filosofìa, Ed. Sìntesis, Madrid 2000. 382

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp. 291-293.

106 restituircelo 383 . Si nega la necessità di rivendicare l’universale (mentre il femminismo da tre secoli percorre quella strada) seguendo la logica per cui, dato che gli uomini non hanno l’identità umana femminile, che è ció che vogliamo, non ha senso chiedergli nulla. Celia Amorós distingue invece, proprio a partire dalla categoria di rivendicazione, fra un femminismo in senso ampio e un femminismo in senso ristretto 384 . Seguendo il punto di vista della differenza, la “soluzione” per non “disidentificare la donna” consisterebbe nel reclamare la differenza, affermando con orgoglio la nostra (supposta) particolarità come donne – è problematico stabilire quale sia —. È un trattato di pace, un messaggio tranquillizzante per gli uomini, dato che significa rinunciare al potere sul mondo (il nostro regno simbolico non è di questo mondo). È come dire: lasciateci solo giocare in pace 385 . Il luogo comune delle donne che vogliono essere come uomini si spiega con l’appropriazione indebita dell’universale-neutro da parte dei maschi 386 : dal momento che gli uomini hanno decretato i caratteri di razionalità e moralità - ad esempio - come base di un’idea chiave di umanità cui ispirarsi, le donne - che godono delle medesime capacità affermando di possederle, si starebbero “mascolinizzando” poiché da questo ideale erano state estromesse a priori. Il problema non sta nel concetto di Umanità, ma nell’avere escluso metà del genere umano

383

Vd. LUISA MURARO, Màs allà de la igualdad, in LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos

encubiertos y esencialismos heredados : desde un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998. LUISA MURARO, Oltre l'uguaglianza sta in DIOTIMA, Oltre l'uguaglianza. Le radici femminili dell'autorità, Napoli, Liguori 1995. 384

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.227-229. Il femminismo in senso ampio è qualsiasi posizione che si mostri favorevole alle donne, che apprezzi come positivo tutto ció che si considera convenzionalmente femminile etc. In molti casi si prescinde da un atteggiamento critico rispetto ai sottintesi degli attributi tradizionali, si cerca di preservare le donne dalla corruzione che il potere implica e/o si vogliono mantenere il maschile ed il femminile in sfere separate. In questa definizione ampia ricadono anche i cosiddetti femminismi della differenza (sia essenzialisti, alla ricerca di un’origine o modello primitivo, che decostruttivisti, propulsori di una simulazione parodica e della moltiplicazione dei generi, con pretese trasgressive). In una definizione ristretta è invece chiave la componente rivendicativa. In questo caso si puó individuare un protofemminismo ed uno vero e proprio che richiede certe conquiste storiche: si deve essere giunti a delle astrazioni universalizzanti sul genere umano che abbiano abbandonato la logica dei privilegi per nascita, a favore del merito. 385

Vd. CELIA AMORÓS, Feminismo y perversión in LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos

encubiertos y esencialismos heredados : desde un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998. 386

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.212.

107 dalla sua definizione: “las mujeres reclaman de los varones, no, obviamente, lo idiosincràtico de la identidad mascolina –sea ello lo que fuere -, sino la parte que estiman que les corrisponde en

lo

genericamente

humano

que

monopolìsticamente se han atribuido”

los

varones

han

definido

a

la

vez

que

387

In realtà nell’umanità astratta vi sono i concetti di individualità, cittadinanza, essere soggetto morale e politico che non possiamo cedere serenamente agli uomini: le astrazioni sono in realtà patrimonio di entrambi i generi 388 : sarebbe come buttar via il bambino con l’acqua sporca 389 . Uomo e donna non sono abusivamente ridotti ad uno 390 . La decostruzione del genericamente umano come una mera mistificazione, prodotto della complicità di androcentrismo ed etnocentrismo ci toglie ogni punto di riferimento: che criterio potremmo seguire per scegliere le produzioni culturali? Non avremmo alcun universalismo. È stupido rifiutare in blocco tutto ció che è universale solo perché fu definito dagli uomini. Il nostro obiettivo è di rifiutare il travestimento universalista del maschile e non ogni universalismo 391 . La cosa negativa è che finora questo ideale sia stato costruito senza le donne, che dovrebbero reclamare la loro parte. Si tratta quindi di far sì che la specie umana smetta di essere “ese club tan restringido”. Le donne vogliono essere (ed essere riconosciute) parte attiva di “un mundo que sin nosotras no puede considerarse humano” 392 . “lo genericamente humano no es un referente de identidad sino una idea reguladora para todos los individuos con sus respectivos referentes identitarios. El significado de lo humano tout court ha de valer para todos y todas. La especie humana es tanto un dato como una 387

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p. 228. 388

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.209-210. 389

Vd. CELIA AMORÓS, Feminismo y perversión in LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos

encubiertos y esencialismos heredados : desde un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p.133. 390

Vd. LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos encubiertos y esencialismos heredados : desde

un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, pp. 90-91 . Discute la posizione di Irigaray, che invece sostiene esattamente il contrario (l’unità è abusiva). 391

Vd. CELIA AMORÓS, Presentación (que intenta ser un esbozo del “status questionis”) in CELIA AMORÓS (ed.),

Feminismo y filosofìa, Ed. Sìntesis, Madrid 2000. 392

Vd. NURIA VARELA, ¿què es el feminismo? La metafora de las gafas violetas, in NURIA VARELA, Feminismo

para principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005, p.21.

108 tarea. Lo que no es, en absoluto, es un mero flatus vocis” 393 . Si puó mantenere la posizione di un nominalismo moderato, anche in questo caso. Il concetto di “umanità” così come quello di “donna” non è stato definito una volta per tutte: entrambi si prestano ad essere modificati (e migliorati). È imprudente abbandonarli completamente, rigettandoli solo perché ammorbati da difetti.

L’universalizzazione dei valori “Un modello culturale duale implica la negazione che possano esserci molteplici modelli od un solo modello recepito in modo diverso da autentici individui ed individue. Individui ed individue che non sono identici fra loro ma la cui diversità non puó rispondere al rigido modello di due culture differenti alle quali si ascrivono in modo naturale e secondo le quali agiscono e vengono valutati” 394 . I valori devono essere validi per l’Umanità, c’è la necessità di universalizzazione (se un valore “vale”, vale per tutte/i): quelli che erano i valori maschili, se lo sono davvero, che lo siano anche delle donne; viceversa, se esistono “valori femminili”, che siano condivisibili con gli uomini. Basta con i “valori” specifici per le donne 395 . Per questo non basta dare valore positivo a ció che era disprezzato, se continuiamo ad etichettarlo come “femminile” o “maschile” (cosa che le pensatrici della differenza tendono a fare): si ricascherebbe nei dualismi essenzialistici del passato. In ogni caso “el discurso etico feminista o se universaliza o se pudre, y no precisamente para fecundar la tierra” 396 . L’universalizzazione dei valori non sarà motivo di “confusione” fra i generi. Accade come sostiene Marìa-Milagros Rivera: i valori non sono entità astratte, si incarnano. Per questo motivo la forza e la dolcezza di una donna saranno valori femminili, quelle di un uomo, maschili 397 . 393

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.264. 394

Vd. LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos encubiertos y esencialismos heredados : desde

un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p.97 (traduzione mia). 395

Vd. ÀNGELES DE LA CONCHA, La figura materna, un problema transcultural. Reflexiones sobre su

representación en la novela de autorìa femenina, in ÀNGELES DE LA CONCHA y RAQUEL OSBORNE (coords.), Las mujeres y los niňos primero. Discursos de la maternidad, Icaria Mujeres y culturas, Barcelona 2004, p.172. 396

Vd. CELIA AMORÓS, Feminismo: discurso de la diferencia, discurso de la igualdad, in El viejo topo extra 10,

Masculino Femenino, Barcelona septiembre 1980. Qui assumeva una posizione più morbida rispetto agli ultimi scritti, arrivando a sostenere che avrebbero potuto esserci dei valori da recuperare nella sottocultura femminile (benché generatasi a partire da una situazione ancestrale di oppressione ed emarginazione). 397

Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS in Via Dogana n 49, p. 21.

109 Un valore incarnato da una donna diventerà per ció stesso femminile e viceversa nel caso dell’uomo. L’importante è che non si finisca per riconfermare la schizofrenia di uno schema che legge le medesime “doti” con valenza diversa a seconda di chi le possiede: se ad esempio la prudenza è incarnata da una donna, ella è giudiziosa; se è incarnata da un uomo, egli sarà codardo; l’audacia in una donna è impulsività, azione senza riflessione; in un uomo, coraggio; e via dicendo 398 . Un’altra conseguenza logica di questo discorso è che l’essere di sesso femminile non precluda il “diritto al male” delle donne 399 . Non si tratta certamente di un invito ad esercitarlo, quanto di una maggiore consapevolezza delle individue, tale da non permettere più alla società di giudicarle come “doppiamente maligne”

quando non

rispecchino quell’altissimo standard di virtù che “essere femminili”, di gran lunga più che “essere maschili”, si supponeva comportasse. Un universalismo più sensato sarebbe quindi quello di aggiudicarsi lo stesso ambito di opzioni 400 che gli uomini danno a sé stessi (ad esempio di fronte alle guerre c’è chi è pacifista, c’è chi le sostiene etc: non dobbiamo sentirci pacifiste per il solo fatto d’essere donne); il che significa maggiori libertà e responsabilità per tutte/i. Per quanto sia vero che abbiamo “diritto al male” siamo tuttavia più calorosamente invitate ad investire le nostre forze nel proporre ed impiantare nuovi valori trovati nel movimento stesso. Poter “impersonare” valori e disvalori prima universali solo a parole (praticamente maschili) non significa infatti adeguarsi passivamente ad essi, negandoci la possibilità di crearne di originali e rigettando a priori quelli “ereditati” 401 . Quelli che sono stati valori del genere femminile possono confrontarsi con quelli preesistenti allo scopo di essere o universalizzati-condivisi o abbandonati. Perché questo 398

Vd. NURIA VARELA, La masculinidad. ¿Y los hombres què? , in NURIA VARELA, Feminismo para principiantes,

Ediciones B, Barcelona 2005, p.321. 399

Cfr. AMELIA VALCÁRCEL, El derecho al mal, in El viejo topo, extra 10, Masculino Femenino, Barcelona

septiembre 1980. Il cuore del discorso è questo: l’uguaglianza è un valore in sé, non dobbiamo garantire esiti positivi, né assicurare che ci renda migliori. 400

Vd. CELIA AMORÓS, Feminismo filosofico español: modulaciones hispànicas de la polémica feminista

igualdad-diferencia in CELIA AMORÓS, Tiempo de feminismo. Sobre feminismo, proyecto ilustrado y postmodernidad, Ed. Càtedra, Madrid 1997. 401

Cfr. WILL KYMLICKA, Il femminismo, in Introduzione alla filosofia politica contemporanea, Feltrinelli,

Milano 1996. Si sostiene che il concetto dell’autonomia sia superiore a quello di uguaglianza poiché permette di non accettare gli standard dati, bensì di crearne di nuovi. Tuttavia l’autonomia, che puó positivamente motivare all’originalità, dovrebbe a mio modo di vedere porsi come limite la necessità di trovare conferme (ovvero puntare a ricostruire un orizzonte regolativo comune, di uguaglianza e universalità) affinché non si cada nel separatismo.

110 accada, si dovranno prima di tutto ribadire le forti incertezze riguardo l’origine “naturale” - piuttosto che storica – di questi valori (per evitare di esaltarli ingenuamente come “nostri”), ed al contempo bisognerà aver raggiunto un certo distacco dall’androcentrismo (per evitare, al contrario, di rifiutarli in toto soltanto perché - assumendo il punto di vista “dominante”- essendo tradizionalmente femminili sarebbero “meno validi” o addirittura in netta contrapposizione rispetto a quelli “normali”, ovvero “maschili”, assurti a standard).

Rigenerazione dell’universale: hambre y olfato Dobbiamo riappropriarci dell’universale benché si tratti di un’operazione complessa: “lo que se define como simplemente, genericamente humano, està impregnado de masculinidad de una forma compleja. Deshaderirlo de la masculinidad es por la misma razón una operación compleja” 402 . Perció abbiamo bisogno di seguire due fasi 403 , denominate da Celia Amorós hambre e olfato. In primo luogo c’è l’ “urgenza di universale” (ne siamo “affamate”) e quindi l’imprescindibile fase della rivendicazione per poter partecipare pienamente di ció che si era definito come genericamente umano. Si chiederà che si sopprimano i progettiproiettati per le donne per colpa dei quali non possono accedere alla categoria di soggetti, nella misura in cui nessun soggetto è sostanza e rifiuta predicazioni fisse, soprattutto se eteronome. Bisogna rifiutare “los guiones existenciales” (i copioni esistenziali), ed ottenere le stesse opportunità di realizzazione di un progetto esistenziale proprio e individuale. Tutto ció implica una critica al “genere” per non essere identiche. Solo in un secondo tempo ci si potrà e dovrà soffermare su un esame più raffinato dell’inquinamento di esso (universale) da parte di chi se lo è riservato. “lo genericamente humano no depurado de masculinidad especifica desprende un tufillo” 404 (che è quasi come dire: l’universale “puzza di maschio”). Superata la fase dell’hambre, non possiamo esimerci da un uso adeguato dell’olfatto (per intercettare l’androcentrismo imperante).

402

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p. 45. 403

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp. 43-44, 355-356. 404

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.45.

111

CAPITOLO 8 VERSO UN NUOVO MODELLO DI SOGGETTIVITÀ Essere figli@ Non possiamo non prestare attenzione alla teoria di Nancy Chodorow 405 , punto di riferimento del cosiddetto “pensiero materno” 406 . Il suo studio ha ispirato varie analisi sull’identità femminile come identità eminentemente relazionale e accudente. Da un’analisi clinica più che sociologica è risultato che l’origine comune di ciascuno nel corpo materno e l’esperienza comune di una dipendenza dalle cure materne per la propria sopravvivenza nell’infanzia provocano percorsi di individuazione radicalmente differenti per i due sessi. L’origine della differenza è collocata nei primi rapporti infantili e nei meccanismi

psichici

che

essi

mettono

in

moto

(non

è

una

prospettiva

biologistica/naturalistica). Per i maschi il processo di formazione del sé implica una doppia separazione: come individui e come genere fino alla rimozione di quel primo legame, rovesciato in superiorità dell’uomo sulla donna. Per le femmine, il processo di individuazione è invece incerto e carente. Ci sarebbe una difficoltà a separarsi, a pensarsi come autonome. I maschi mantengono l’aspettativa di essere accuditi da una donna e che siano le donne le responsabili dell’accudimento e della cura; le femmine sperimentano una più forte ambivalenza. La femmina si dis-identifica come oggetto di cura per diventare colei che fornisce la cura. Come nel caso delle “due etiche” di Carol Gilligan, l’analisi è acuta sotto molti aspetti ma vanno presi in considerazione i fattori culturali: per esplicare l’aspetto non necessario di una tale dicotomia, ricordiamo che la funzione materna è un’aspettativa sociale e dipende comunque dalla disponibilità soggettiva. Allo stesso modo il processo di disidentificazione maschile che inverte i termini del primo rapporto non ha motivo di essere “eterno”: crediamo possano esistere una disidentificazione (maschile) non misogina da un lato, e una “individualizzazione-autonomizzazione” femminile dall’altro, tali che che nessun@ si aspetti di essere “naturalmente” oggetto o soggetto di cure, bensì l’una e l’altra cosa contemporaneamente. L’infanzia è di certo un momento fondamentale della formazione delle persone nonché un 405

NANCY CHODOROW, La funzione materna, Ed. La tartaruga, Milano 1991.

406

Sostenuto poi da Sara Ruddick (Maternal Thinking. Toward a Politics of Peace, New York, 1989; trad. it. Il

pensiero materno, Como, 1993). La stessa Nancy Chodorow prese le distanze da certi sviluppi delle sue tesi, soprattutto quelli che idealizzano il modello materno come modello relazionale non solo originario ma univocamente positivo.

112 paradigma migliore di riferimento rispetto all’essere adulto – dato che mette in luce la dipendenza-interrelazione fra esseri umani, che persiste in tutte le epoche della vita 407 . D’altro lato possiamo riconoscere come uno dei pochi punti di vista veramente universali sia quello dell’essere figli@ 408 ; l’ombelico è la “huella indelebile de esa relación humana primera” 409 . Se prendiamo sul serio in considerazione questa condizione comune dell’essere figlie e figli (quindi generate/i ed in relazione), rinunciando alla visione “esasperata” dell’autonomia (dove la soggettività – maschile - si delinea a partire dalla frattura/abbandono di ogni vincolo, come se non ne avesse, appunto), evidenzieremo le esigenze reali dei corpi-individui e di conseguenza avremo una diversa visione del soggetto.

Il soggetto incarnato ∗ Il Soggetto Universale, così come è stato delineato dalla tradizione filosofica maschile, è un “soggetto angelico”, autonomo e totalmente autosufficiente, isolato dagli altri io, che nega la dipendenza dal corpo, dai luoghi, dal mondo 410 . Vige l’ideale dell’imperturbabilità, del totale controllo di sé. Si pretende la superiorità sul mondo naturale delle esigenze e dei desideri “animali”; si svaluta la sensibilità: di norma emozioni, desideri, inclinazioni sono state viste come

407

Vd. LUISA MURARO, L’ordine simbolico della madre, Editori Riuniti, Roma 1991, p. 125. È arduo nella nostra

cultura tener fermo il punto di vista di un soggetto in relazione con altro da sé; è ritenuto alienante. Cfr. SUSANNE BAER, Citizenship in Europe and the Construction of Gender by Law in The European Charter of Fundamental Rights in Gender and Human Rights edited by Karen Knopp, Oxford University Press 2004. Il primo fra i limiti che troviamo in un documento tanto importante come The European Charter of Fundamental Rights (la costruzione legale più contemporanea e quindi più rappresentativa di ció che le persone nel mondo occidentale considerano oggi fondamentale agli esseri umani) è proprio l’accento sull’essere umano pienamente sviluppato, che presuppone un adulto indipendente ed elude la domanda sul come si diventa un cittadino e come si vive da tale. Non si considera la nascita, la crescita né la vita dei cittadini. C’è una totale ignoranza del “privato”: con questa impostazione si escludono la famiglia, le donne, e molti aspetti del divenire della persona. 408

Vd. VICTORIA SAU, El vacìo de la maternidad. Madre no hay màs que ninguna, Icaria Antrazyt 76, Barcelona,

segunda edición 2004, p.10. 409

Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, La diferencia sexual en la historia, Universitat de València 2005,

p.59. ∗

In questo caso mi risulta faticoso utilizzare la versione femminile del termine: normalmente, infatti, a

“soggetto” attribuiamo valore attivo e positivo mentre in “soggetta” leggeremmo la preponderanza dell’elemento di soggezione e passività. 410

Vd. WANDA TOMMASI, I filosofi e le donne. La differenza sessuale nella storia della filosofia, Tre Lune

Edizioni, Mantova 2001, p.119.

113 interferenze 411 . Il soggetto androcentrico è un soggetto iniziatico: si costituisce a partire dalla negazione della sua dipendenza dal femminile, della vita naturale ricevuta dalla donna; vive l’illusione dell’autogenesi. Dal punto di vista di questo “sujeto desmadrado”, la figura della Madre-Natura sarà il fondo (disprezzato e negato) sul quale si erigono la Ragione e la Cultura 412 ; c’è il rifiuto (maschile) della materia, la quale invece ci radica e ci fa realmente umani 413 . Nella svalutazione del corpo c’è misoginia, nel senso di non dare alcun peso all’opera della madre, al mondo della generazione. Il soggetto cartesiano, ad esempio, distingue fortemente il corpo dal pensiero. Questo soggetto è “forte” perché autofondantesi, autocentrato, autocosciente, capace di generarsi e stabilizzarsi da solo. È il pensiero a generare l’esistente e non il corpo materno 414 . L’ “ossequio mistico per l’individuo” ci porta ad esempio a non cogliere la falsità del fatto che nell’embrione vi sia tutto il necessario per uno sviluppo continuativo fino alla maturità 415 . Da questo punto di vista le TRA sono il capitolo finale della lunga storia della fantasia degli uomini sulla propria auto-generazione 416 . Un ideale normativo di tal fatta va ri-considerato. È assurdo contrapporre natura a libertà, dato che la nostra libertà nasce dalla nostra natura, la quale ci dota tanto di possibilità quanto di limiti. Nessun@ dovrebbe scordarsi del proprio corpo (sessuato), dell’affettività, dei bisogni, dell’essere interdipendente. Bisogna salvare l’interezza del nostro essere (sia ragione che corporeità, tenendo legate ragione-pensiero e passioni-“ragioni del cuore e delle viscere”): il nostro essere corpo, il nostro provare emozioni e sentimenti, non rappresentano una parte trascurabile e disprezzabile del sé, che possa essere messa fuori gioco senza danno. L’estremo 411

Vd. WANDA TOMMASI, I filosofi e le donne. La differenza sessuale nella storia della filosofia, Tre Lune

Edizioni, Mantova 2001, pp.120, 123, 142, 144. 412

Vd. ALICIA H. PULEO, Perfiles filosoficos de la maternidad, in ÀNGELES DE LA CONCHA y RAQUEL OSBORNE

(coords.), Las mujeres y los niňos primero. Discursos de la maternidad, Icaria Mujeres y culturas, Barcelona 2004, p.30. 413

Vd.

VICTORIA SENDÓN, ¿Què es el feminismo de la diferencia? Una visión muy personal, in

http://www.nodo50.org/mujeresred/victoria_sendon-feminismo_de_la_diferencia.html. 414

Vd. ADRIANA CAVARERO, Il pensiero femminista. Un approccio teoretico, in FRANCO RESTAINO e ADRIANA

CAVARERO, Le filosofie femministe, Paraviascriptorium, Torino 1999, p.135 . 415

Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,

fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, p.152. 416

Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,

fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, p.169.

114 individualismo svaluta le relazioni personali, quando invece siamo io in relazione 417 . La verità è che dipendiamo dagli altri, dal corpo e dalla fortuna. Sono soprattutto le pensatrici della differenza a trattare questi aspetti, ed è loro merito averli messi in luce; tuttavia ritengo poco raccomandabile che attribuiscano l’aggettivo “femminile” a determinate esigenze 418 . Questi valori non sono esclusivi del gruppo delle donne e vanno proposti a tutti e tutte in alternativa a ció che ha costituito finora il genericamente umano. Non continuiamo a riconoscerci nel principio passivo della corporeità, né come le uniche interessate alle emozioni e alle relazioni; piuttosto, denunciamo questa deficienza del Soggetto con la proposta di migliorarlo per tutti e tutte. Altrimenti si rischia di ribadire le stesse gabbie concettuali (patriarcali) in cui per secoli erano rinchiuse le donne.

417

Vd. WANDA TOMMASI, I filosofi e le donne. La differenza sessuale nella storia della filosofia, Tre Lune

Edizioni, Mantova 2001, pp.119-120, 145, 244. 418

Marìa-Milagros Rivera parla di libertà relazionale femminile e valore della passività del corpo femminile;

Wanda Tommasi (op. cit., p.142) dice che svalutare la sensibilità è andare contro la donna e contro il femminile che è nell’uomo. Etichettare la sensibilità come “femminile” è rischioso. È una dote umana che per un verso o per l’altro le donne si sono trovate a sviluppare maggiormente, ma non per questo è “il proprio” dell’essere donne.

115

CONCLUSIONI Il “femminismo”, in quanto processo di rinegoziazione dei termini del contratto sociale di genere, di modifica e riaggiustamento delle basi di dominazione di genere stabilite in società, si è concretizzato - storicamente - in varie esperienze collettive di donne che hanno contribuito a cambiare il mondo 419. Pur nell’intento comune di ridefinirsi, infatti, le strategie seguite sono state discordi; i percorsi della liberazione sono molteplici e si puó cercare di avere la pratica come principio regolatore 420 . Fra i passaggi imprescindibili nel percorso di un femminismo filosofico c’è un certo distacco dal generico per essere individue ma anche il progetto di ricostruire la genericità. L’obiettivo reale di tutte le femministe non è semplicemente una lista di rivendicazioni immediate 421 , ma guadagnare una femminilità “nuova”, più “abitabile” di quella “antica”. Bisogna decidere ció che va conservato e ció di cui vogliamo spogliarci (tra le nostre “differenze”): saper selezionare, insomma. Le differenze ereditate (imposte e sviluppatesi in una situazione di eteronomia) possono non essere tutte “da buttare”. L’arduo lavoro di discernere (è possibile? secondo quali criteri?) fra ció che davvero corrisponde all’esperienza femminile e ció che sono le rappresentazioni stereotipate di essa costituisce il cuore della ricostruzione, un momento delicatissimo. Concordo con Celia Amorós nel ritenere che il femminismo della differenza sia “da maneggiare con cura”. Non possiede la stessa forza ed eleganza concettuale del femminismo dell’uguaglianza - benché possa risultare più affascinante - e rischia di cadere nei medesimi essenzialismi per discostarsi dai quali si è tanto lottato. Non possiamo dimenticare da quali luoghi comuni siamo state a lungo soggiogate e trovarci a ribadirli, tra la leggerezza e la sconsideratezza. Porsi come soggetti e deliberare “dove andiamo” non significa obliare “da dove veniamo”. Non solo è bene limitare le definizioni che rinchiudano metà del genere umano fissandone i caratteri essenziali (per via dell’irriducibilità dell’individua al suo genere - gli eccessi di identità asfissiano l’individualità - e delle imponderabili conseguenze della differenza sessuale stessa), ma soprattutto è opportuno ricordarsi quale struttura gerarchica abbia contribuito a mantenere la scelta di una determinata serie di “peculiarità femminili”, evitando quindi accuratamente di rigenerarla. Le femministe della differenza 419

Vd.

MARY

NASH,

El

aprendizaje

del

feminismo

histórico

en

Espaňa,

in

http://www.nodo50.org/mujeresred/historia-MeryNash1.html. 420

Vd. CELIA AMORÓS, Feminismo: discurso de la diferencia, discurso de la igualdad, in El viejo topo extra 10,

Masculino Femenino, Barcelona septiembre 1980. 421

Vd. GENOVEVA ROJO, Ser mujer: el orgullo de un nombre, in El viejo topo extra 10, Masculino Femenino,

Barcelona septiembre 1980.

116 agiscono

come

se

avessero

scelta

dove

non

ne

hanno

(quando

prescindono

dall’eterodesignazione come un fatto che oggettivamente limita la simbolica) e come se non ne avessero dove ne hanno (l’identità femminile non ha motivo di essere ascrittiva) 422 . Il dato sessuale è ineludibile (già dalla nascita ci caratterizza, non viene scelto benché poi ci sia un margine di libertà nell’ “interpretarlo” e con le tecnologie l’opportunità di cambiarlo) ma non per questo cruciale in ogni manifestazione dell’essere che lo porta iscritto in sé. La differenza non va negata, ma non deve diventare la chiave di volta di tutto (o si ricade negli essenzialismi dell’ “eterno femenino”) 423 . È più agevole abbracciare una visione pragmatica ed aperta come quella di chi concepisce il genere come “ció che hanno fatto di noi”, ma anche come “ció che possiamo scegliere” (dato che è ció che ci hanno proiettato storicamente e non qualcosa di naturale, fisso, indiscutibile). Anche se questo processo di farsi donna è infinito 424 . Se le pensatrici della differenza rischiano obiettivamente di cadere nella “sobrecarga de identidad”, l’individualismo di fondo delle filosofe dell’uguaglianza potrebbe invece lasciare insoddisfatte rispetto alla promessa ricostruzione del generico “donna”. È condivisibile la prospettiva speranzosa di Victoria Sendón che riconosce nei due femminismi stimolanti ed irrinunciabili apporti: non sono in competizione, né possono coincidere. Sono molto diversi ma non per questo assolutamente incompatibili. Se il femminismo dell’uguaglianza mira a “lo urgente”, il femminismo della differenza è proiettato verso “lo importante”. Essi sono in certa misura complementari. Penso che dovrebbero e potrebbero dialogare di più 425 , benché le rispettive riflessioni procedano da presupposti tra loro assai lontani: la loro interazione genererà visioni più ampie di quelle che i singoli gruppi, chiusi su se stessi, possono permettersi. È comprensibile che, se si cerca di lottare efficacemente, il femminismo assume un “noialtre” che genera un discorso sulle caratteristiche delle donne. Nonostante questo, 422

Vd. CELIA AMORÓS, Feminismo y perversión in LUISA POSADA KUBISSA, Sexo y esencia. De esencialismos

encubiertos y esencialismos heredados : desde un feminismo nominalista, Cuadernos Inacabados numero 26, horas y HORAS editorial, Madrid 1998, p.139. 423

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.21. 424

Vd. CELIA AMORÓS, Presentación (que intenta ser un esbozo del “status questionis”) in CELIA AMORÓS (ed.),

Feminismo y filosofìa, Ed. Sìntesis, Madrid 2000425

Cfr. CELIA AMORÓS, Feminismo filosofico español: modulaciones hispànicas de la polémica feminista

igualdad-diferencia in CELIA AMORÓS, Tiempo de feminismo. Sobre feminismo, proyecto ilustrado y postmodernidad, Ed. Càtedra, Madrid 1997. Nel suo ultimo testo, vincitore del Premio Nacional de Ensayo 2006,(La gran diferencia, op. cit.) è evidente la polemica in atto con le cosiddette “pensatrici della differenza” (già a partire dall’ironia del titolo): tuttavia ci si lamenta della scarse occasioni che si sono avute per un confronto diretto.

117 così come troppo “nominalismo” debilita, puó essere di intralcio un eccesso di “costruzionismo”. Tra le restrizioni che dovremmo darci c’è quindi sia quella di schivare l’essenzialismo, che ha sempre gravato sulla collettività delle donne, sia quella di non lasciarci frodare dalle più recenti “promesse” del decostruzionismo. A mio parere è valido il tentativo di spingere ancora oltre il confine fra culturale e naturale, fino ad inglobare lo stesso corpo sessuato e la stessa sessualità nel primo ambito: in questo modo si sventano le insidie dell’ingenuità comune che di norma non soppesa le varie influenze ideologiche, sociali, religiose, et cetera che hanno agito sulla delimitazione dei corpi, le loro fattezze, il loro orientamento sessuale, il minore o maggiore rilievo simbolico delle loro parti 426 . È un bene ridurre ulteriormente il peso della “Natura” a favore della “Cultura” e legittimare contemporanemante la varietà delle forme (corporeesessuali) nelle quali gli individui si riconoscono. Tuttavia bisogna preoccuparsi che la fluidità di questo sostrato non diventi scivolosa: si potrebbe rischiare di demolire tutto e giocare futilmente con le parole. Il pericolo è che sparisca non solo il corpo, ma l’esperienza stessa, ridotta a punto di vista: le differenze sperimentate dalle donne sarebbero solo interpretazioni. In realtà ci sono elementi di diversità insormontabili che se non si riconoscono non possono essere difesi, e possono invece far sì che il corpo-pensante femminile diventi un ingombro in un mondo che non aveva previsto la sua partecipazione. Sostenere che non c’è un prius originario biologico di cui rendere conto, ma solo un accumulo, una stratificazione costante di simboli e di significati, potrebbe farcelo dimenticare. Dire che l’unico processo responsabile dell’esistenza dei due generi sia la costruzione storica del linguaggio, sembrerebbe la via d’uscita più facile: alle donne basta disfare il discorso sociale che è stato loro cucito addosso, mostrandone il carattere fittizio, e costruire nuovi discorsi a loro piacimento. Credo che un tale accanimento contro le categorie di corpo e sessualità sia da attribuirsi al fatto che il corpo femminile e le sue capacità specifiche abbiano da sempre giocato a sfavore delle donne (nella costruzione del genere). È una comprensibile “reazione” a millenni di emarginazione delle donne giustificata a partire dai loro corpi e

426

Cfr.

CRISTINA

MOLINA

PETIT:

Debates

sobre

el

género,

in

CELIA

AMORÓS

AMORÓS

(ed.):

Feminismo y Filosofía, Madrid, Síntesis, 2000. Si segnala l’apporto teorico fondamentale di Michel Foucault col suo testo del 1976, Storia della sessualità (edito dalla Feltrinelli nel 1978). Egli contribuisce a decostruire la categoria di corpo e sesso-sessualità scagliandosi contro la visione comune del sesso come qualcosa di intimo, un impulso naturale: esso è in verità costruito culturalmente da interessi di potere e si puó manipolare per mezzo della religione, della medicina e della politica.

118 dalla loro sessualità. Ma, ai fini della “liberazione” dalla definizione tradizionale di “donna”, non è indispensabile “sciogliere” la materialità fino a farla quasi scomparire. Sebbene sia decisiva la Cultura, non possiamo credere che il distacco dalla componente biologica sia totale: l’evoluzione umana risulta dall’interazione reciproca tra forze biologiche e socioculturali. Il discorso simbolico (che col genere riccamente sviluppa il tema della presenza di due sessi in natura) ha radici reali, e le differenze non si decostruiscono solo con un’operazione simbolica sia per via del fatto che la procreazione vuole che restiamo controparti sessuali (con ció che a livello fisico comporta), sia perché i significati non si cambiano in completa libertà. Il genere non è frutto di una semplice elezione, ma un progetto che ci viene proiettato già prima della nascita 427 . A reggere il dualismo resta un pilastro incrollabile 428 : per generare un nuovo essere vivente, devono incontrarsi due individui genitalmente “diversi”. Rispetto al tema della procreazione ci distinguiamo ancora necessariamente in femmine e maschi. Persino con le Tecnologie di Riproduzione Artificiale si mantiene un’asimmetria rispetto alla distribuzione dei “carichi”, nella percentuale del “contributo” offerto dai due sessi alla specie. Se è fondamentalismo biologico volersi basare sulla materialità per costruire un’identità ed in ogni caso non esiste un corpo pre-significato, è altrettanto presuntuoso pensare di poter prescindere completamente da essa. Bisogna fare i conti col fatto che le donne e gli uomini differiscono fra di loro (nel ruolo riproduttivo pare invariabilmente, in tutto il resto pare molto discutibilmente). Conformarci all’idea che qualcosa di naturale ed immutabile esiste, ovvero il dualismo riproduttivo 429 , non è di per sé compromettente. In ogni caso, la stessa duplicità fisica resta “un valore in sé” solo se il nostro interesse principale è riprodurci (cosa opinabile); ma, soprattutto, dalla differenza naturale fra i corpi ai fini della riproduzione della specie non occorre dedurre altro ed in nessun modo l’assetto del potere. Se considerarsi superiori alle donne ha fatto parte dell’identità di genere maschile,

427

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, pp.233-237. Ribadisce questo fatto discutendo la posizione di Judith Butler. 428

Il progresso tecnico-scientifico ne ha già ridefinito le modalità ed inoltre potenzialmente disattivato la

“necessità”: con la clonazione la sessualità si trascende del tutto. In un mondo dove la clonazione divenisse la norma le individue e gli individui potrebbero smettere di entrare in rapporto (procreativo) e forse a quel punto anche rinunciare a distinguersi in femmine e maschi. 429

Le stesse disparità anatomiche e fisiologiche (che consideravamo irriducibili) hanno smesso di essere

insormontabili. Esse si ritrovano mescolate in alcuni individui: il corpo dei transessuali è “femminile” o “maschile”?

119 non è affatto necessario che continui a farlo. Una volta stabilito che è stato un lungo processo storico-sociale ad imporre la disuguaglianza assiologica ed essa non deriva in nessun modo da “dati oggettivi”, sarà sulla Cultura stessa che investiremo. La divisione degli spazi non è “naturale” né “neutrale” (anche se ció non significa che il matrimonio e la famiglia siano “un male in sé”). Piuttosto, è chiaro che: questa distribuzione viene subita; la famiglia patriarcale è gerarchica (la patrilinearità ed il “vuoto della madre” sembrano andare di pari passo); l’individualità delle donne non puó emergere (anche perché le si educa affinché non lo facciano: l’impotenza della madre diventa l’impotenza della figlia); la dicotomia è tanto radicata da limitare la possibilità effettiva di uscire da essa, benché si sia raggiunta formalmente l’alternativa di camminare nell’altro ambito, quello pubblico. Va difatti superato il “limite mentale”. A partire dalla presa di parola delle donne si esperisce la possibilità di un mondo alternativo, oltre i dualismi taglienti e l’unità fittizia. Gli spazi vanno ridistribuiti, e modificati, ma questo lavoro di trasformazione ha inizio logicamente e storicamente in un secondo tempo, ovvero una volta che le donne abbiano potuto dire la loro, entrare nel mondo “che conta”: anche perché senza “lavorare dall’interno” è sostanzialmente impossibile dare risonanza al proprio punto di vista ‘alternativo’; non si puó cambiare stando ai margini. Come abbiamo visto, la cosiddetta fase dell’olfatto è successiva. Se è vero che donne e uomini dovrebbero assumere consapevolmente la propria parzialità sessuata (è loro “responsabilità”) 430 e l’obiettivo è quello di dare l’avvio ad un “libero gioco fra i due sessi nel comune cimento per l’identità umana” 431 , dobbiamo tuttavia ricordarci dei limiti che si frappongono a questa fantasia. In prima istanza ribadiamo che la competizione giocosa non puó aver luogo finché i rapporti di potere non si parificheranno: sarebbe una falsa partenza. L’unità era fittizia per due motivi: in primo luogo un disegno approssimativamente condivisibile di ció che è “umanità” escludeva poi incoerentemente le donne o comunque le poneva in posizione subordinata; in secondo luogo l’ “umanità” che sarebbe dovuta valere per tutte/i era disegnata da tutti (ma non da tutte) ignorando le esigenze di metà del genere umano. Superare l’universalità “ingannevole” non significa rinunciare del tutto ad essa, anche perché le parzialità non possono interagire se non avendo di mira un’orizzonte regolativo. Esiste il genericamente umano, ovvero delle zone neutre nella vita umana dove il

430

Vd. WANDA TOMMASI, I filosofi e le donne. La differenza sessuale nella storia della filosofia, Tre Lune

Edizioni, Mantova 2001, p.31. 431

Vd. WANDA TOMMASI, I filosofi e le donne. La differenza sessuale nella storia della filosofia, Tre Lune

Edizioni, Mantova 2001, p.11.

120 sesso-genere non dovrebbe considerarsi pertinente; è estremistico estendere “la differenza” (femminile o maschile che sia) a tutto 432 . In molti casi le differenze si fanno questioni irrilevanti, sfumature impercettibili, inezie, caratteristiche dell'individu@ più che del genere di appartenenza. Non è giusto che alle donne non vengano riconosciute quelle generalissime capacità proprie della specie e non di uno dei due sessi. Occorre essere interlocutori ed interlocutrici che si considerino al medesimo livello, in grado di comprendersi, e quindi che si neghi che il sesso costituisca alcuna barriera comunicativa, alcun segno di due mondi paralleli la cui distanza sia da preservare: questo è il punto di partenza e d’arrivo del nostro slancio costruttivo. Ció non significa che tutto ció che è stato detto sul paradigma di umanità sia corretto e sottoscrivibile. Peró solo a partire da premesse comuni, e dal rispetto reciproco in quanto pari, sarà possibile elaborare nuove formule, più adeguate. Se non crediamo nell’ “universalità”, non potremo nemmeno cambiare gli aspetti che di quella universalità non ci soddisfano. Una migliore approssimazione alla “neutralità” si avrà soltanto quando “le differenze” si siano confrontate, avendo le loro voci il medesimo potere di pronunciarsi ed essere ascoltate. All’universale è giusto rifarsi in modo tale che, criticato e trasformato, diventi sempre più rappresentativo dei caratteri propri di quelle e quelli che concretamente sono gli esseri umani. Se non ha senso piegarsi ed accettare passivamente ció che già si possiede (un universale “di parte”), tantomeno lo ha fondare “due mondi”: occorre piuttosto passare da una “universalidad substitutoria” ad una “universalidad interactiva” 433 . Puntiamo perció verso un “universalismo interattivo”, ovvero sulla ricostruzione del genericamente umano che incorpori le scoperte di tutto ció che le “particolarità prepotenti” avevano reso invisibile. Una nuova definizione del genere umano passa attraverso la presa di coscienza delle donne, prima solo oggetto e non soggetto di riflessione su se stesse e sul mondo. L’ “intrusione” di queste ultime nel sociale, nel politico etc. (tutto ció che va “oltre il privato”) ha effetti importanti. Questo perché, mentre circolano donne in spazi un tempo a loro sconosciuti, lo spazio stesso muta: è impossibile non lasciare impronte. La differenza corporea - in primo luogo - resta, e la loro esperienza materna – quando c’è vuole dirsi. Portare la propria esperienza di esseri umani femminili, e far sì ad esempio che si riconoscano le molteplici dimensioni della maternità (oltre i discorsi patriarcali

432

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.21. 433

Vd. CELIA AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas consecuencias…para las luchas de las mujeres,

Ediciones Càtedra, Universitat de Valencia, Istituto de la Mujer, Madrid 2005, p.334.

121 dell’elogio e del disprezzo), è utile per tutto il genere umano e non solo per una nuova identità femminile. Giacché, se è vero che solo le donne possono trovarsi nella posizione di partorire ed allattare, tutte e tutti ci troviamo nella posizione d’essere figlie/i. La sessuazione del corpo è per tutta la vita, ineludibile 434 . La differenza, che è un dato

basilare,

un’evidenza

del

corpo,

benché

costantemente

reinterpretata-

reinterpretabile, resta una fonte di significato. Quanto peso dovremmo dare a questi fatti? Il principio dell’uguaglianza che stabilisce l’equipotenza “al di là del sesso” è in certa misura impostato male. Il problema non è il sesso, ma come questo abbia servito da pretesto per strutturare iniquamente il mondo. Desideriamo il mutuo riconoscimento di donne e uomini come “pari”, e non solo assiologicamente: essere equipotenti. Quando postuliamo l’uguaglianza fra i sessi esprimiamo il desiderio di oltrepassare la disuguaglianza a favore degli uomini e non qualsiasi disparità/differenza. È un principio utile a garantire i diritti delle donne, un ideale cui si tende. Fingere di non cogliere questo obiettivo sarebbe come applicare un nominalismo estremo: considerare che basti parlare di persone per risolvere le dicotomie gerarchizzanti è un’amara illusione. Si occultano le differenze che invece restano: alcune probabilmente insuperabili (quelle legate alla riproduzione), altre che, pur non essendo essenziali, si sono concretamente sedimentate fra i gruppi ed è giusto che siano prese in considerazione, sottoponendo ad esame le strategie per superarle se creano svantaggi. Il concetto di “uguaglianza”, “il neutro”, vanno cambiati e non assunti passivamente. Occorre cambiare il paradigma stesso cui ci si rifà; non abbandonarlo del tutto, ma rivoluzionarlo dall’interno: perché non siamo irriducibilmente diversi. L’aspirazione alla neutralità deve quindi arginare il rischio di un’assunzione acritica del modello presente e dedicarsi a rinnovarlo puntigliosamente. Le pensatrici della differenza hanno dunque ragione a sottolineare i limiti di un’applicazione “coerente” dell’uguaglianza. Ciononostante, è solo una volta che si sia soddisfatta “el hambre” che è possibile scorgere nitidamente l’androcentrismo ed applicarsi a realizzare la necessità di un certo ginocentrismo. Dall’analisi delle costituzioni e delle norme in generale si è visto che non è sufficiente entrare a far parte di questo mondo, né decostruire le parzialità sessiste tradizionali: occorre anche costruire qualcosa come parzialità sessiste a favore delle donne (perché questa metà del genere umano goda di pari libertà ha bisogno di maggiori diritti, o diritti

434

Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, La diferencia sexual en la historia, Universitat de València 2005,

pp. 14-15, 17, 22.

122 specifici – la mancanza dei quali ha creato in negativo dei “delitti specifici” 435 ). Pare che adeguarsi e conformarsi ai diritti esistenti non sia sufficiente proprio in virtù della specificità del corpo femminile. Ogni donna dovrebbe avere il diritto di controllo sul proprio corpo, la sua sessualità e la sua vita riproduttiva. Ci si accorge che i diritti liberali tradizionali limitano il diritto costituzionale all’uguaglianza fra i sessi 436 , nel senso che l’uso di determinate categorie talvolta distorce o impoverisce le richieste delle donne e talvolta risulta perfino pericoloso per il fatto che possono scontrarsi come avversarie 437 ; in più, in una gerarchia di valori più o meno implicita, le donne vengono sempre in secondo luogo 438 . Si caldeggia un approccio meno rigido per poterlo riconoscere. Il fatto che la donna sia al centro delle relazioni procreative continua a generare timore e diffidenza nei confronti della sua autonomia 439 . Nell’aborto, ad esempio, si continua a non vedere le donne come soggetti responsabili (è lo Stato a fare da tutore). Non si comprende pienamente che il corpo-pensante della donna non puó diventare mezzo per fini altrui: il diritto dev’essere dispari e la decisione, della donna 440 . Affermare che “cada mujer es capaz de tomar sus propias decisiones” sembra indispensabile in una società dove il pregiudizio che le donne non siano capaci di scelte assennate e indipendenti continua a pesare 441 . Se per una giusta trascendenza (capace di creare Cultura) ravvisiamo la necessità sia di condizioni materiali che di condizioni simboliche, le pensatrici della differenza dovrebbero ammettere che anche la lotta delle donne che si battono per progressi materiali ha una sua urgenza. Il limite del pensiero della differenza è infatti quello di volersi sostituire (lo dicono esplicitamente 442 ) all’altro femminismo mentre probabilmente 435

Vd. NURIA VARELA, Feminismo en Espaňa. De la clandestinidad al gobierno paritario, in NURIA VARELA,

Feminismo para principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005, p.157. 436

Vd. Introduction in The Gender of Constitutional Jurisprudence, edited by B. Baines and R. Rubio-Marin,

Cambridge University Press, 2005, p.16. 437

Vd. Introduction in The Gender of Constitutional Jurisprudence, edited by B. Baines and R. Rubio-Marin,

Cambridge University Press, 2005, p.5. 438

Vd. SUSANNE BAER, Citizenship in Europe and the Construction of Gender by Law in The European Charter

of Fundamental Rights in Gender and Human Rights, edited by Karen Knopp, Oxford University Press 2004. 439

Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,

fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, p.214. 440

Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,

fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, pp.135-136, 142. 441

Vd. NURIA VARELA, El poder, in NURIA VARELA, Feminismo para principiantes, Ediciones B, Barcelona 2005,

p.200. 442

Vd. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Seller, Torino 1987,

p.180: “la politica della differenza sessuale non viene dopo la raggiunta uguaglianza fra i sessi ma sostituisce

123 la liberazione materiale crea le premesse di quella simbolica. Che le conquiste siano parziali non significa che siano irrilevanti. Il cambiamento di “ordine simbolico” sembra che sia stato storicamente promosso da miglioramenti nelle condizioni materiali, benché questi ultimi da soli non siano sufficienti a generarlo. Il gruppo della Libreria di Milano quasi rinnega l’influenza delle condizioni oggettive di vita, a favore di una libertà femminile che si sostenga unicamente su se stessa. Scrivono come se la libertà di una donna potesse garantirsi da se medesima, rendendo superflue le circostanze storiche; non si accetta di poter essere libere “per caso” 443 : “chi sono io se la mia libertà sta in questa bottiglia, in questo fiore che mi hanno messo in mano?” 444 I doni del progresso scientifico-tecnico (pastorizzazione del latte ed anticoncezionali, ad esempio),non vengono respinti: sono utili. D’altro canto i frutti della civiltà sono solo frutti, mentre la libertà è un albero 445 . “Non possiamo risalire il corso del tempo fino ad arrivare prima di quel momento in cui la nostra differenza dall’uomo fu interpretata come un essere da meno. Ma a quel prima ci portiamo con un atto mentale al quale diamo la realtà delle sue conseguenze nel presente” 446 Come si è visto, ció che permette alle donne di “ribellarsi” all’ordine patriarcale è sicuramente un nuovo senso di sé, il quale sorge da una libertà che le donne si danno da sole; tuttavia - allo stesso modo - va dato risalto al fatto che è imprescindibile accrescere il proprio potere (politico, economico, etc.) e promuovere certi cambiamenti nelle condizioni oggettive delle donne: questi miglioramenti tangibili di status, pur non essendo capaci – da soli - di determinarla, agevolano l’emancipazione femminile. Non ha senso porsi il problema del cosa viene prima: sarebbe come riproporre l’enigma dell’uovo e della gallina. Basta riconoscere che abbiamo bisogno di trasformare entrambe le dimensioni: tanto quella “esteriore” quanto quella “interiore”. Nessuno dei due percorsi

(!) la politica dell’uguaglianza, troppo astratta e spesso contradditoria, per combattere ogni forma di oppressione sessista dal luogo della libertà femminile conquistata e fondata sui rapporti sociali fra donne”. 443

Vd. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Seller, Torino 1987,

p.180. 444

Vd. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Seller, Torino 1987,

p.179. 445

Vd. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Seller, Torino 1987,

pp.180 e seguenti. 446

Vd. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Seller, Torino 1987,

p.180.

124 preso singolarmente è esaustivo; si alimentano e rafforzano a vicenda 447 . Tra i presupposti “esteriori” del raggiungimento di una autentica libertà femminile e della giustizia fra i generi c’è una dislocazione del potere e del prestigio dal suo luogo tradizionale (maschile): non è marginale né tantomeno superfluo che ci siano donne piuttosto che uomini ad occupare posti di responsabilità o ai vertici politici, ad ottenere successi economici, rilievo nella gestione dei mezzi di comunicazione, influenza sulla cultura scientifica, etc. Si tratta, in parte, di “riprendere ció che è stato negato”, aumentando quantitativamente e qualitativamente “la fetta rosa” del mondo; una sorta di pacifico pareggiamento dei conti. Tutto ció ha significato storicamente una serie di conquiste preliminari, passando attraverso la lotta per il diritto al lavoro, all’educazione, al voto: il rapporto con le norme che hanno un tempo pesantemente limitato la vita delle donne, è stato ed è imprescindibile. Va sottolineata la complessità del percorso femminista: se disidentificarsi dai modelli standard ed entrare in tutti gli ambiti un tempo esclusivamente maschili è la prima grande conquista, la seconda è riuscire a resistere al loro interno, ponendone a nudo le contraddizioni e imperfezioni, senza rassegnarsi e rinunciare ad essi per questo motivo. Le donne si muovono entro schemi creati senza di loro e cercano di rimodellarli per non farsene schiacciare, facendo in modo che possano andargli meglio indosso. In ogni caso bisogna capire che l’ingresso delle donne al potere significa trasformazione dello stesso (che non era neutro, ma maschile). Ribadiamo che l’ “insolita presenza” delle donne non è l’aggiunta di un dato, non è come passare dal suffragio censitario a quello universale (maschile). Non è una questione “quantitativa”: comporta ridiscutere strutturalmente, concettualmente e praticamente, il “mondo pubblico”. “Se ci fosse un mondo soltanto e non si trovasse la potenza simbolica per crearne un altro, come donna dovrei voltare le spalle alla differenza e cercare l’inclusione. O restare una

447

Cfr. BRENDA MAJOR, Il genere, i diritti e la distribuzione del lavoro familiare in Genere. La costruzione

sociale del femminile e del maschile, a cura di Simonetta Piccone Stella e Chiara Saraceno, ed. Il Mulino, Bologna 1996. La lettura di questo saggio di psicologia sociale ci dà molte chiavi per comprendere la complessità della questione. Ad esempio l’ineguale distribuzione dei carichi domestici-familiari non puó essere superata se non si instaura un determinato equilibrio fra molteplici fattori, materiali e simbolici. Così come il lavoro retribuito della donna puó favorire una situazione familiare più equa (ma non è abbastanza affinché ció si verifichi, se la donna non si sente di avere diritto ad un trattamento paritario), il fatto che l’entitlement cambi (il senso del giusto, di ció che spetta) puó non essere sufficiente quando la donna non dispone dei mezzi concreti per sfuggire ai ruoli “precostituiti”.

125 disadattata” 448 . Il senso della realtà sociale e politica cambia sia per gli uomini che per le donne dal momento che queste ultime osarono sbirciare oltre i propri recinti familiari e muoversi in quella realtà prima abitata quasi esclusivamente dalla parte maschile del genere umano: “il nuovo della libertà femminile, della fine del patriarcato, dell’essere delle donne nelle nostre società contemporanee, consiste nel fatto che il mondo come era, le sue tradizioni, le sue norme, le sue regolarità, i suoi valori, cambiano, cambiano perché erano costruiti su un mondo di uomini e inevitabilmente le donne, entrando in quel mondo ne trasformano il senso, producono un senso che diviene diverso sia per le donne che gli uomini” 449 . La logica di base (da superarsi) è che il sesso maschile sia rappresentativo dell’umano in quanto umano (il paradigma) e quindi “per natura” debba comandare: essendo un sistema ad economia binaria, il sesso femminile sarà di conseguenza non pienamente umano, inferiore ed incompiuto 450 . Una volta decisa la polarità positiva del maschio, la negatività sarà per la femmina (soggetto-oggetto; sé-altro; cultura-natura; ragione-passione; mente-corpo; pubblico-privato). Evidenziare la presenza di queste logiche, binarie e gerarchiche, è indispensabile per dubitare poi della loro stessa inevitabilità: si critica il fatto stesso che debba esserci una separazione netta, ed al contempo la natura della distribuzione. Il senso dei due ambiti (degli estremi delle dicotomie) viene rinnovato mentre si sperimenta il dialogo fra di essi. Col femminismo si sedimenta una maggiore consapevolezza rispetto all’esistenza di queste rigidità mentali e pratiche (che in gran parte continuano ad agire), ed accresce l’intensità del desiderio di fluidificarle, dando nuova linfa alle categorie tradizionali mentre si cancella da esse l’elemento del dominio. Ad esempio la reinterpretazione del privato e del pubblico ci porta ad un concetto di giustizia come valore pertinente alle relazioni cosiddette private e ad uno di solidarietà, come ideale confacente a quelle

448

Vd. LUISA MURARO, Far essere. Passaggi per la politica del simbolico, in Via Dogana: rivista di pratica

politica, La politica del simbolico, n°54, marzo 2001, p. 8. 449

Vd. SILVIA NICCOLAI, : il costituzionalismo, la new governance e

l'ascolto della differenza di genere. in M. Barbera (cur.), Governare il lavoro e il welfare attraverso la democrazia deliberativa, Atti del Convegno di Roma, 2-3 ottobre 2006, Giuffré, Milano, 2007 (pubblicazione in corso). 450

Vd. ADRIANA CAVARERO, Il pensiero femminista. Un approccio teoretico, in FRANCO RESTAINO e ADRIANA

CAVARERO, Le filosofie femministe, Paraviascriptorium, Torino 1999, pp.117, 120.

126 considerate pubbliche 451 . Donna e uomo, privato e pubblico, corpo e mente, natura e cultura, sono meno “in opposizione” di quanto si creda, discutibilmente gerarchizzati e con un senso che va rivisto. In particolare “essere donna” non significa appartenere “naturalmente” al privato né essere meramente corpo; entrambi i generi possono e dovrebbero vivere entrambe le dimensioni. Come si è visto, il nesso inestricabile tra Natura e Cultura anima di sé perfino il corpo, la cui realtà ci appariva quella di un dato elementare e “scontato”. Gli uomini dovrebbero riconoscere in sé stessi tutti i limiti che hanno generosamente scaricato sull’altra metà del genere umano (sono sessuati, materiali, generati, etc., tanto quanto noi 452 ) e - contemporaneamente - dovrebbero riconoscere nelle loro controparti femminili la capacità di prescindere da queste dimensioni, l’uguale valore (in linea di principio) del loro pensare e agire. Poniamo fine alla dicotomia che vede il principio attivo del logos (maschile) contrapporsi al principio passivo della corporeità (femminile). Non siamo solo natura: è assurdo disconoscere il possesso del Logos alle donne ed in generale la loro esigenza-capacità di “trascendersi” (sarebbe considerarle sub-umane, se è ancora il raziocinio un tratto fondamentale della nostra umanità, ció che ci distingue dalle altre specie animali). In particolare se le donne sono – per esprimerci in termini platonici – ancorate senza rimedio al regno della generazione e solo gli uomini agevolmente se ne distaccano per volare alto nel mondo delle Idee, sarà ancora plausibile credere che gli esseri umani di sesso femminile vivano l’intera esistenza a stretto contatto con la Natura (avendo precluso tutto il resto), mentre ai soli esseri di sesso maschile si riserva la Cultura. Si intendono così i presupposti della difficoltà teorica di un rapporto tra la filosofia e le donne 453 . Non a caso per cominciare daccapo, “da condizionate a condizionatrici”, per diventare “membri della storia” che “fanno la storia”, le donne si astraggono in primo luogo dal proprio sesso (secondario accidente del loro essere ed esistere in sé) per rinnegare tutto

451

Vd. CELIA AMORÓS, Feminismo filosofico español: modulaciones hispànicas de la polémica feminista

igualdad-diferencia in CELIA AMORÓS, Tiempo de feminismo. Sobre feminismo, proyecto ilustrado y postmodernidad, Ed. Càtedra, Madrid 1997. 452

Cfr. ALICIA H. PULEO, Perfiles filosoficos de la maternidad, in ÀNGELES DE LA CONCHA y RAQUEL OSBORNE

(coords.), Las mujeres y los niňos primero. Discursos de la maternidad, Icaria Mujeres y culturas, Barcelona 2004, p.35. L’autrice si pone tutto sommato il medesimo interrogativo quando si chiede se le nostre rivendicazioni debbano passare attraverso una definizione dell’essere umano meno dualista che riunisca natura e cultura per entrambi i sessi. 453

Cfr. NICLA VASSALLO e PIERANNA GARAVASO, Filosofia delle donne, Editori Laterza, Bari 2007, p.18.

127 ció che, teorizzato ed affermato e voluto dalle strutture di una società maschilista, ad esse le legherebbe e riconfermerebbe. Il Manifesto programmatico del gruppo Demau (demistificazione dell’autoritarismo patriarcale), primo documento del femminismo italiano, sottolinea questo momento cruciale di distacco 454 . Questa fase, tuttavia, non è che di passaggio e ha lo scopo non di negare il sesso ed il suo frutto, ma di valutarsi libere dagli inganni e dalle limitazioni che questi due termini (sesso e figli/e) interpretati da altri e non da loro stesse, hanno costituito per le donne nella storia della loro evoluzione. La differenza sessuale segna il corpo femminile senza farsi segno, parola, ragione 455 ed in tal modo il corpo stesso diventa per lei la sua trappola o parte di essa 456 . Anche per questo motivo c’è la “necessità di ripensare in radice il corpo femminile generante” 457 . Se da un lato è illegittimo attribuire valore essenziale alla maternità nell’identità di una donna, dall’altro è un delitto sconfessare la completezza dell’opera materna presentandola come pura animalità. Ridurre la maternità all’opacità del dato biologico è stato un momento chiave del processo di spoliazione della Madre (nella filosofia e cultura patriarcali): la scissione Natura-Cultura ha operato il matricidio simbolico 458 . In realtà la madre ci fa dono di corpo e linguaggio, corpo e mente: la sua creatività non è solo biologica. È il “corpo pensante” della madre a garantire il costituirsi dell’altro da lei; è la madre la prima mediazione col mondo. Il circolo della mediazione materna è un “circolo di carne”, che ci porta ad essere corpo e parola senza che vi sia opposizione di corpo-anima, passivo-attivo, sensibile-razionale 459 . La relazione con la madre è la prima relazione, matrice delle altre relazioni sociali-umane; è una relazione senza fine (senza scopo e senza termine) 460 ; è il vincolo di civilizzazione 461 . 454

Vd. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Seller, Torino 1987,

pp.25-32. 455

In realtà lo diventa, eccome, ma non in modo autonomo: la differenza è stata interpretata dall’Altro

(l’uomo). 456

Vd. LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Seller, Torino 1987,

p.27. 457

Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,

fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, p.181. 458

Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,

fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, pp.180-181. 459

Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, El cuerpo indispensable. Significados del cuerpo de mujer, horas y

HORAS la editorial, segunda edición, Madrid 2001, p.61. 460

Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, La diferencia sexual en la historia, Universitat de València 2005,

pp.59, 62. 461

Vd. MARìA-MILAGROS RIVERA GARRETAS, Mujeres en relación. Feminismo 1970-2000, Icaria Màs Madera,

Barcelona segunda edición 2003, pp.20, 91.

128 “La madre offre non solo le condizioni fisiologiche del compiersi di un processo vitale ma è tramite essenziale di riconoscibilità del proprio essere umano fra gli umani, dunque della stessa possibilità di coniugare individualità e legame, relazioni con e tra altri/e” 462 . Il rapporto con la madre è fonte di significato e incoraggia molteplici riflessioni. Anche le interpretazioni del corpo femminile come apertura verso l’altr@ da sé o in generale l’accento sulle doti relazionali delle donne possono rappresentare (se non ricadono in essenzialismi) conquiste di verità valide per tutte/i, stimoli interessanti verso una nuova soggettività. Benché denunci l’aspetto iniziatico della soggettività maschile ed il suo ottuso rifiuto della dipendenza dalla donna, Celia Amorós si irrigidisce sotto altri aspetti. Nel suo concetto di umanità infatti non compaiono né la caratteristica della (inter)dipendenza, né quella della corporeità. La filosofa dovrebbe forse “osare di più”, tradire in parte la rigida gerarchia corpo-mente tanto cara a tutta la filosofia, ed inserire quei tratti nel genericamente umano. Il fatto che di norma ci abbiano scaricato tutto il peso della “soggezione” non significa che la soggettività alla quale aspiriamo sia quella di tradizione maschile, illusoriamente nonché presuntuosamente “ab-soluta”: “una riflessione filosofica che dimentica tali caratteristiche non è adeguata a comprendere la condizione umana” 463 . La trascendenza è un ideale perseguibile, una “tendenza innata” così come la nostra “immanenza”, con la quale la prima si ritrova necessariamente a fare i conti. La sua insuperabilità non è “negativa”, né la sua presenza “inessenziale”. Bisogna apprezzare non tanto gli estremi di questo circolo, quanto il circolo stesso. Ció che di norma era considerato

prettamente

femminile

(la

corporeità,

l’affettività,

etc.)

non

va

tassativamente negato, o trascurato (per timore che ci assorba-riassuma nuovamente), ma riconosciuto come comune a tutti gli esseri umani e perció “re-distribuito” equamente fra di essi, al di là del sesso-genere. Riconoscere il carattere illusorio di un modello di autonomia assoluta ed accettare la componente della dipendenza (la prima delle quali è quella da un essere umano di sesso femminile, la madre) potrebbe forse essere più facile per le donne, piuttosto che per gli uomini, dato che le prime sanno di potersi trovare “dall’altra parte”, di poter essere il “luogo d’origine” di un’altra creatura. In ogni caso andare oltre i modelli tradizionali

462

Vd. MARIA LUISA BOCCIA e GRAZIA ZUFFA, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale. Tecniche,

fantasie e norme, Pratiche Editrice, Lavis (TN) 1998, p. 181. 463

Vd. NICLA VASSALLO e PIERANNA GARAVASO, Filosofia delle donne, Editori Laterza, Bari 2007, p. 21. Le

condizioni da non trascurare sono, per le autrici, la “corporeità” e la “contestualità”.

129 significa progettare una soggettività valida per donne e uomini, che sfugga all’alternativa fra un Soggetto (maschile) che era - o meglio fantasticava d’essere - fondamentalmente “astratto” (dal suo corpo, dalle sue emozioni, dal contesto storico-sociale), ed uno eccessivamente “dipendente” (tratto finora promosso nello sviluppo della personalità femminile). Il generico “donna” ha una sua profondità e complessità innegabili. Ciò che ha significato in passato resta incluso “come ricordo” ma anche come problematico termine di confronto; ciò che significherà in futuro è imprevedibile. L’importante è che resti aperto, a contenere tutto quello che oggi le donne, con le loro parole ed atti individuali e collettivi, fanno in modo che significhi. Ciò che in ogni caso mi pare più proficuo approfondire, piuttosto che la ricerca di un’identità di genere esclusiva, “non condivisibile”, (che temo porterebbe a dualismi, se non nocivi, per lo meno sterili) è l’ipotesi di una nuova soggettività incarnata, capace di contenere donne e uomini in maniera unitaria (senza per questo con-fonderli).

130

131

RINGRAZIAMENTI

132 All’Erasmus, o meglio a chi l’ha inventato e a chi lo promuove, poiché mi ha dilatato la mente ed il cuore 464 A Francisco Vázquez García, che con una lettura fece scoccare la prima scintilla e si mostrò disponibile ad aiutarmi affinché l’impulso iniziale non si estinguesse A Chiara Zamboni, Mercedes Lopez Jorge, Diana Sartori, donne che non ho mai visto ma che mi hanno dato fiducia perché continuassi la ricerca A Silvia Niccolai e ad Augusto Pusceddu per avermi permesso di studiare il femminismo a partire dalle loro discipline A Maria Teresa Marcialis, che mi ha sostenuto nella scelta “imprudente” e sopportato nella mia “indisciplinatezza” A tutte le filosofe spagnole, che ebbi modo di ascoltare e che mi ascoltarono A mia madre, che è la prima Alle mie amiche, per lo scambio infinito di pensieri ed emozioni A tutta la mia famiglia, per la stima e l’amore reciproci Agli uomini della mia vita, controparti ed interlocutori di sempre, tanto per la complicità spontanea quanto per il conflittuale dissenso Alle donne della mia vita, esempi vivi della varietà ma anche della comunione di esperienze, per la sorpresa e la gioia di rispecchiarmi in loro ed anche di non farlo

A tutte/i voi, un sincero GRAZIE ∗

464

La prima, dato che il confronto col diverso ci dà gli strumenti per un’approssimazione migliore verso la

comprensione di quel diverso e di noi stesse/i, che ne siamo misura; il secondo, per le persone ed i luoghi che mi hanno arricchito durante quei mesi e ai quali mi sentii, mi sento e mi sentirò legata per molto oltre. ∗

Infine un ringraziamento a parte va all’ERSU, per avermi supportato economicamente col contributo tesi di

laurea. Per mezzo di esso ho potuto trascorrere due intense settimane tra Barcellona e Madrid, settimane di importanti incontri e di proficue indagini bibliografiche, rivelatesi imprescindibili per questa tesi.

133

BIBLIOGRAFIA





NB.: In considerazione del carattere patronimico del cognome, si è preferito indicare come maggiormente

individuante il nome delle/dei singole/i autrici/autori.

134

Autrici/autori spagnole/i •

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Autrici/autori italiane/i •

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ADRIARA CAVARERO, Diotima. Il pensiero della differenza sessuale, La tartaruga, Milano 1987

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CLARA JOURDAN, Quel che di nuovo c'è nel conflitto http://freeweb.supereva.com/balena.freeweb/clara01.html



FRANCO RESTAINO, Il pensiero delle donne sulle donne, in NICOLA ABBAGNANO, Storia della filosofia. Il pensiero contemporaneo: il dibattito attuale (vol. 9), Gruppo Editoriale L’Espresso, Roma 2006, cap XXX



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in

Kosovo

in



LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg & Seller, Torino 1987



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Diritto comparato •

Introduction in The Gender of Constitutional Jurisprudence, edited by B. Baines and R. Rubio-Marin, Cambridge University Press, 2005



ISABEL KARPIN and KAREN O’CONNELL, Embedded Constitutionalism, the Australian Constitution, and the Rights of Women, in The Gender of Constitutional Jurisprudence, edited by B. Baines and R. Rubio-Marin, Cambridge University Press, 2005



RUTH RUBIO MARìN, Engendering the ConstItution. The Spanish Experience, in The Gender of Constitutional Jurisprudence, edited by B. Baines and R. Rubio-Marin, Cambridge University Press, 2005



SILVIA NICCOLAI, Diritto come esperienza, Convegno IAph, Roma 31, 3 settembre 2006 SILVIA NICCOLAI, : il costituzionalismo, la new governance e l'ascolto della differenza di genere. in M. Barbera (cur.), Governare il lavoro e il welfare attraverso la democrazia deliberativa, Atti del Convegno di Roma, 2-3 ottobre 2006, Giuffré, Milano, 2007 (pubblicazione in corso)





SUSANNE BAER, Citizenship in Europe and the Construction of Gender by Law in The European Charter of Fundamental Rights in Gender and Human Rights edited by Karen Knopp, Oxford University Press 2004

Filosofia politica •

ANNA ELISABETTA GALEOTTI, Teorie politiche femministe, in AA.VV., Manuale di filosofia politica, a cura di S. Maffettone e S. Veca, Donzelli Editore, Roma 1996



STEFANO PETRUCCIANI, Femminismo e teoria politica, in STEFANO PETRUCCIANI, Modelli di filosofia politica, G. Einaudi, Torino 2003



WILL KYMLICKA, Il femminismo, in contemporanea, Feltrinelli, Milano 1996

Introduzione

alla

filosofia

politica

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Sociologia •

BIRTE SIIM, Creare la democrazia: cittadinanza sociale e partecipazione politica delle donne nei paesi scandinavi in Genere. La costruzione sociale del femminile e del maschile, a cura di Simonetta Piccone Stella e Chiara Saraceno, ed. Il Mulino, Bologna 1996



BRENDA MAJOR, Il genere, i diritti e la distribuzione del lavoro familiare in Genere. La costruzione sociale del femminile e del maschile, a cura di Simonetta Piccone Stella e Chiara Saraceno, ed. Il Mulino, Bologna 1996



JOHN TOSH, Come dovrebbero affrontare la mascolinità gli storici? in Genere. La costruzione sociale del femminile e del maschile, a cura di Simonetta Piccone Stella e Chiara Saraceno, ed. Il Mulino, Bologna 1996



La storia di un concetto e di un dibattito in Genere. La costruzione sociale del femminile e del maschile, a cura di Simonetta Piccone Stella e Chiara Saraceno, ed. Il Mulino, Bologna 1996



LINDA NICHOLSON, Per una interpretazione di “genere” in Genere. La costruzione sociale del femminile e del maschile, a cura di Simonetta Piccone Stella e Chiara Saraceno, ed. Il Mulino, Bologna 1996

Altri studi •

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MARVIN HARRIS, Personalità e sesso, in MARVIN HARRIS, Antropologia culturale, Zanichelli, 1990



MIRIAM M. JOHNSON, Madri forti, mogli deboli, Il Mulino, Bologna 1995



OSCAR GUASCH, El mito de la heterosexualidad in La crisis de la heterosexualidad, Ed. Laertes, Barcelona 2000

Conferenze • •

AMELIA VALCÁRCEL, Feminismo: nacimiento y primiera ola, 13 Novembre 2006, presso l’Instituto de la Mujer di Madrid Feminismo, Ilustración y multiculturalidad: procesos de ilustración en el Islàm y sus implicaciones para las mujeres, 1er encuentro internacional de investigadoras e investigadores feministas, presso il Salón de Actos della Facultad de CC. Polìticas y Sociologìa della UNED, Madrid 13-17 Novembre 2006

140

Classici •

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BETTY FRIEDAN, La mistica della femminilità, Ediz. Di Comunità, Milano 1964



CARLA LONZI, Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale, Rivolta Femminile, Milano 1974



CAROL GILLIGAN, Con voce di donna : etica e formazione della personalità, Feltrinelli, Milano 1991



CAROLE PATEMAN, Il contratto sessuale, a cura di Cristina Biasimi, Editori riuniti, Roma 1997



DONNA HARAWAY, Manifesto Cyborg. Donne, tecnologie, e biopolitiche del corpo, Feltrineli, Milano 1995



JUDITH BUTLER, Corpi che contano. I limiti discorsivi del “sesso”, Feltrinelli, Milano 1997



JULIA KRISTEVA, Eretica dell’amore, Ed. La Rosa, Torino 1979



JULIET MITHCHELL, Psicoanalisi e femminismo, Einaudi, Torino 1976



KATE MILLET, La politica del sesso, Rizzoli, Milano 1971



LUCE IRIGARAY, Etica della differenza sessuale, Feltrinelli, Milano 1985



MARY WOLLSTONECRAFT, I diritti delle donne, Editori Riuniti, Roma 1997



NANCY CHODOROW, La funzione materna, Ed. La tartaruga, Milano 1991



POULAIN DE LA BARRE, L'uguaglianza dei due sessi in GINEVRA CONTI ODORISIO, Poullain de la Barre e la teoria dell'uguaglianza, UNICOPLI, Milano 1996



SHULAMITH FIRESTONE, La dialettica dei sessi, Guaraldi, Firenza 1971



SIMONE DE BEUVOIR, Il secondo sesso, Il Saggiatore, Milano 2002



SUSAN BROWNMILLER, Contro la nostra volontà. Uomini, donne e violenza sessuale, Bompiani, Milano 1976



VIRGINIA WOOLF, Una stanza tutta per sé, SE, Milano, 2005

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Reti di informazione e pubblicazioni in rete •

CREATIVIDAD FEMINISTA, http://www.creatividadfeminista.org



DUODA, http://www.ub.es/duoda



INSTITUTO DE LA MUJER, http://www.mtas.es/mujer



MUJERES EN RED, http://www.nodo50.org/mujeresred

• •

CENTRO DI DOCUMENTAZIONE E STUDI DELLE DONNE, http://www.cdsdonnecagliari.it DIOTIMA, http://www.diotimafilosofe.it



DWF, http://www.dwf.it



GOLEM L’INDISPENSABILE, http://www.golemindispensabile.ilsole24ore.com/



LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, http://www.libreriadelledonne.it

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SOMMARIO

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INTRODUZIONE ...........................................................................................1 CAP. 1 - IL GENERE ......................................................................................9 Donne e uomini...........................................................................................9 Il genere "nascosto” .................................................................................. 10 Sesso-genere, Natura-Cultura ...................................................................... 11 La sproporzione ....................................................................................... 12 Decostruzione di "sex", approfondimento di "gender” ....................................... 14 Corpo/anima, corpo < anima ...................................................................... 15 Il corpo umano come simbolo del corpo sociale................................................ 15 Maschio o femmina?................................................................................. 16 L'orientamento sessuale ............................................................................ 16 Nuove prospettive di analisi........................................................................ 17 CAP. 2 - REALISMO E NOMINALISMO: I NEMICI TEORICI (E PRATICI) DEL FEMMINISMO .. 19 Realismo antifemminista ............................................................................ 19 Obiezioni al realismo ............................................................................... 20 Dialogo Natura-Cultura............................................................................. 21 Realismo femminista ................................................................................. 22 Nominalismo antifemminista ....................................................................... 24 Obiezioni al nominalismo .......................................................................... 25 Mascolinità e dominio .............................................................................. 27 Nominalismo femminista estremo ................................................................. 29 Una soluzione: il nominalismo femminista moderato ......................................... 30 CAP. 3 – IL PATRIARCATO ............................................................................ 31 Ipotesi.................................................................................................... 31 La forza fisica, la guerra e la socializzazione .................................................. 32 Il rapporto sessuale, un modello di violenza ................................................... 33 La riproduzione: disparità e perversioni ........................................................ 34 Le strategie di controllo sul corpo femminile................................................... 36 Il contratto sessuale: un corpo che non ci appartiene ........................................ 36 Corpi “maltrattati” ................................................................................. 38 Matrimonio e patrilinearità ....................................................................... 39 CAP. 4 – PRIVATO/PUBBLICO ........................................................................ 42 Lo spazio bipartito ................................................................................... 42

145 Strascichi”: donna-privato, anche quando agisce nel pubblico...............................43 La famiglia.............................................................................................. 44 Il lavoro familiare non retribuito né equamente condiviso ...................................45 Le lavoratrici e le mogli appagate ................................................................46 Socializzazione dei ruoli di genere ................................................................48 Oltre “privato vs pubblico” : contaminazioni .................................................. 49 La “pubblicizazzione” del “privato” ..............................................................49 Famiglia-valore (?) ...................................................................................50 Le TRA, effetti collaterali dell’ideologia familiare ............................................50 La “privatizzazione” del “pubblico” ..............................................................52 CAP. 5 – DISINDETIFICAZIONE FEMMINISTA: VERSO “L’INDIVIDUA” ......................... 54 L’inferiorizzazione.................................................................................... 54 Esseri imperfetti e dipendenti .....................................................................54 Autodisprezzo: misoginia femminile .............................................................. 59 La parziale verità di certi pregiudizi .............................................................60 "La pesadumbre comùn”.............................................................................61 Il corpo femminile: ignoranza, paura, vergogna ................................................62 L’androcentrismo: una parzialità divenuta universale....................................... 63 Porsi come soggetti ................................................................................... 66 Come significarsi? Individualità e femminilità ..................................................66 Il potere ................................................................................................. 68 Il potere-male.........................................................................................71 Il potere domestico (?) ..............................................................................72 Equipotenza e individualità “autorevoli” ........................................................73 La voce delle donne................................................................................... 75 …Una voce ancora flebile ...........................................................................77 Valore dell’associazionismo ........................................................................ 77 Una ridefinizione provvisoria ...................................................................... 80 La maternità, un caso speciale .................................................................... 81 CAP. 6 – LA NORMA DEL’UGUAGLIANZA: INCOERENZE, PARADOSSI, EVOLUZIONE ....... 87 Femminismo e Illuminismo, amore-odio.......................................................... 87 "Quiero la diferencia” ............................................................................... 89 Il rapporto conflittuale con le norme............................................................. 90 L’evoluzione del concetto di uguaglianza ........................................................92 Il corpo-pensante negato reclama la sua parte ................................................ 95 Sintomatologia del disagio..........................................................................95 I diritti delle donne attraverso i diritti “neutri” ...............................................96

146 Vacío de la norma” o compromesso? ............................................................. 98 I diritti delle donne attraverso i diritti delle donne ......................................... 100 CAP. 7 – UN NEUTRO PROBLEMATICO ............................................................102 L’incommensurabile peso della differenza .....................................................102 È possibile coabitare l’ “umanità”?..............................................................105 L’universalizzazione deI valori ................................................................... 108 Rigenerazione dell’universale: hambre y olfato .............................................. 110 CAP. 8 – VERSO UN NUOVO MODELLO DI SOGGETTIVITÀ .....................................111 Essere figli@ ...........................................................................................111 Il soggetto incarnato ................................................................................112 CONCLUSIONI ..........................................................................................115 RINGRAZIAMENTI......................................................................................131 BIBLIOGRAFIA ..........................................................................................133