Laboratorio - Scuolabook

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oltre ai racconti che troverai di seguito: Buzzati, Eppure battono alla porta; Cortázar .... (1950), Il crollo della Baliverna (1957), Sessanta racconti (1958), Esperi-.
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INDICE GENERALE

Indice generale

Il racconto fantastico K. Blixen, Il racconto del mozzo (racconto fiabesco)

strumenti di lettura laboratorio

H. Harrison, Colpa del trasmettitore (racconto di fantascienza)

strumenti di lettura laboratorio

A. Dumas, Storia di un morto narrata da lui stesso (racconto horror)

strumenti di lettura laboratorio

E.A. Poe, Il cuore rivelatore (racconto horror)

strumenti di lettura laboratorio

Ch. Dickens, Il segnalatore

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E. Hemingway, I sicari (racconto noir)

strumenti di lettura laboratorio

W. Faulkner, Settembre secco (racconto noir)

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strumenti di lettura laboratorio

J. Joyce, Contropartita (racconto psicologico)

strumenti di lettura laboratorio

T. Hardy, Il veto del figlio (racconto sociale)

strumenti di lettura laboratorio

G. Deledda, La martora (racconto sociale)

strumenti di lettura laboratorio

strumenti di lettura laboratorio

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Il racconto realistico

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P.P. Pasolini, Studi sulla vita del Testaccio

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(racconto sociale)

(ghost story)

D.L. Sayers, L’uomo che sapeva (racconto giallo)

strumenti di lettura laboratorio

G. Orwell, Un’impiccagione (racconto sociale)

strumenti di lettura laboratorio

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INDICE GENERALE

G. Verga, Libertà (novella sociale) 161 strumenti di lettura 166 laboratorio 167 L. Kannan, Ritmi (racconto sociale) 170 strumenti di lettura 173 laboratorio 174 R. Arlt, Piccoli proprietari (racconto satirico) 176 strumenti di lettura 182 laboratorio 183 J. Conrad, La laguna (racconto di avventura) 186 strumenti di lettura 197 laboratorio 198

Il racconto tra realtà e fantasia

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D. Buzzati, Eppure battono alla porta (racconto satirico-sociale) 204 strumenti di lettura 213 laboratorio 214 J. Cortázar, Axolotl (racconto psicologico-fantastico) 219 strumenti di lettura 223 laboratorio 224

UN ROMANZO NEL SUO INSIEME I. Calvino, Il barone rampante (romanzo fiabesco)

strumenti di lettura laboratorio

Suggerimenti di lettura

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booktrailers J.D. Salinger, Il giovane Holden R.L. Stevenson, Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde G. Tomasi di Lampedusa, Il gattopardo H. Murakami, Tokyo blues F. Mernissi, La terrazza proibita

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IL RACCONTO TRA REALTÀ E FANTASIA

Il racconto tra realtà e fantasia TRA LA REALTÀ E QUELLO CHE VA “OLTRE” Tra il racconto “della realtà” e il racconto che va “oltre” la realtà, si colloca una vasta zona intermedia dalle caratteristiche non facilmente definibili. Dal punto di vista dello stile, si può raccontare in modo realistico un avvenimento non reale, come si può raccontare un avvenimento reale in modo non realistico. In entrambi i casi, lo scrittore vorrà farci intendere che la realtà può comunque rivelare qualche cosa “d’altro”, anche se questo non cade immediatamente nell’ambito della nostra sfera sensoriale.

Una nuova nozione di realtà

Mario Calandri (19141993), Il museo delle cere, 1963, particolare. Visto, o immaginato, il museo delle cere diventa un luogo sospeso tra realtà e fantasia.

Nel secolo appena trascorso, le conquiste della scienza hanno notevolmente allargato la comune nozione di “realtà”. Sia l’infinitamente piccolo (come il movimento degli elettroni all’interno di un atomo), sia l’infinitamente grande (come la composizione chimica dei pianeti del nostro sistema solare) rientrano attualmente nella sfera della realtà, mentre alcuni secoli fa potevano essere solamente oggetto di immaginazione. Fu soprattutto la teoria della relatività ad influenzare, anche nel mondo letterario, la percezione del reale. La teoria della relatività tratta come un tutto lo spazio, il tempo e la struttura dell’universo. Nell’accettare una descrizione matematica della natura, i fisici sono stati obbligati ad abbandonare il mondo comune dell’esperienza, il mondo soggetto alla nostra “normale” percezione dei sensi. Albert Einstein (vedi Appendice) dimostrò che anche lo spazio e il tempo sono forme di intuizione, le quali non possono essere disgiunte dalla coscienza individuale più di quanto possano esserlo i nostri concetti di colore, forma e dimensioni. Lo spazio non possiede una realtà obiettiva, salvo che come ordinamento o disposizione degli oggetti che noi distinguiamo in esso, così come il tempo non possiede un’esistenza indipendente se non per la successione degli avvenimenti con cui lo misuriamo. Anche la sfera di quello che viene definito con “inconscio”, che spesso affiora attraverso l’attività onirica (secondo Sigmund Freud vedi Appendice), è considerata un aspetto della realtà. Possiamo dire, quindi, che ciò che va “oltre” la realtà tangibile non necessariamente si colloca in una dimensione di pura fantasia, ma può far riferimento a un diverso modo di percepire la realtà fisica, oppure all’universo interiore dell’uomo. Per esempio, le allucinazioni prodotte da certi stati di alterazione della mente sono oggettivamente “irreali”, ma ben concrete per colui che le subisce.

IL RACCONTO TRA REALTÀ E FANTASIA

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Generi del Realistico-Fantastico umoristico-parodico : vengono esasperati certi tratti caratteristici della presunta “normalità”, suscitando un effetto di ridicolo. Alla descrizione di aspetti curiosi, incongrui e divertenti della vita, si accompagna la rappresentazione caricaturale dei personaggi, del loro modo di parlare e di agire, come pure l’esagerazione di situazioni, abitudini e comportamenti privati o collettivi. satirico-sociale : sulla base di un forte impulso etico o politico, lo scrittore muove una violenta critica alla struttura e all’organizzazione di una determinata realtà storica e sociale, esercitata attraverso la rappresentazione di persone, situazioni, e dei costumi individuali o collettivi in genere, così da farne risaltare, in modo ridicolo e caricaturale, gli aspetti negativi. horror-psicologico: gli aspetti caratteristici del genere horror, fondato su azioni e immagini macabre e raccapriccianti, trovano il loro fondamento nella psiche individuale, nei suoi processi talora distorti o esasperati da cause traumatiche profonde, o condizionati da ragioni ambientali, tali da comprometterne l’integrità. filosofico-psicologico: coesistono due aspetti in qualche modo inconciliabili, uno generale, relativo alla riflessione filosofica sul significato e i fini ultimi dell’esistenza, e uno particolare, legato ai meccanismi della psiche individuale, che il variare delle esperienze porta a un inevitabile mutamento. Da tale contrasto deriva una tensione drammatica che rimane per lo più implicita nei personaggi e nelle situazioni, esplicitandosi piuttosto a livello stilistico. filosofico-paradossale: che, attraverso il meccanismo del paradosso, ribalta il significato ultimo della speculazione filosofica, cioè la ricerca di quanto rimane costantemente valido come criterio dell’operare umano al di là della transitorietà dell’esperienza. Il paradosso, partendo da presupposti comunemente ritenuti validi, si pone in contrasto con l’opinione corrente, va contro la verosimiglianza, risulta sorprendente e inaspettato, determinando situazioni di incertezza e ambiguità allo scopo di mostrare il carattere aleatorio di ogni speculazione sul destino umano. psicologico-fantastico: gli stati d’animo, i sentimenti e le passioni umane, i “normali” meccanismi della psiche, vengono scardinati dall’imprevista irruzione di elementi immaginari e straordinari, che trascinano i protagonisti in dimensioni ambigue e irreali, spesso dall’esito traumatico. paranormale: l’argomento centrale riguarda fenomeni psichici o psicofisici non spiegabili con le leggi scientifiche conosciute, e che consistono in modificazioni del mondo fisico attuate con mezzi non materiali (telecinesi, ectoplasmi, levitazione ecc.) o in perSE VUOI LAVORARE SU... cezioni “extrasensoriali” (telepatia, il racconto tra realtà e fantasia chiaroveggenza ecc.), grazie a particolari poteri attribuiti ad alcune oltre ai racconti che troverai di seguito: Buzzati, Eppure battono alla porta; Cortázar, Axolotl ; troverai anche appartenenti al Realisticopersone, sensitivi o medium.

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Fantastico: Benni, La storia di Pronto Soccorso e Beauty Case; Bierce, Accadde al ponte di Owl Creek; Doyle, Per filo e per segno; Hašek, Storia del porco Saverio; Kafka, Davanti alla legge; Maupassant, Il rifugio; Pirandello, Una giornata; Schow, Una settimana nella non-vita.

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IL RACCONTO TRA REALTÀ E FANTASIA

Dino Buzzati

Eppure battono alla porta la storia i personaggi il tempo lo spazio il narratore e la focalizzazione le tecniche espressive la lingua e lo stile

IL RACCONTO Eppure battono alla porta fu pubblicato su rivista nel 1940. Dal racconto traspaiono alcune importanti caratteristiche del lavoro di Buzzati. Da un lato, il senso del mistero, della decadenza e della morte incombente ricordano Edgar Poe e racconti come La maschera della morte rossa o Il crollo della casa Usher, in sintonia con la predilezione dell’autore per il “gotico”, il fantastico, il favoloso. Dall’altro c’è il riferimento, quasi obbligato, a Kafka, dal quale Buzzati deriva atmosfere angosciose, destini paradossali, allegorie inquietanti, immaginari “fatti di cronaca” dal sapore surreale e sempre intrisi di mistero. Va detto, tuttavia, che in Buzzati il mistero non è un’entità che “obiettivamente” incute paura, ma ricorda quell’impressione di impotenza e quel senso d’angoscia che impregnano i sogni più inquietanti. Tipico di Buzzati, infine, è il senso dell’ironia, quando non del sarcasmo, che “alleggerisce” le situazioni e le illumina con la luce di un sinistro sogghigno.

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1. fanées: termine francese che significa “appassite”. 2. imposte: persiane. 3. vestibolo: ambiente posto all’ingresso di un alloggio; entrata.

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satiricosociale tratto da Sessanta racconti anno 1940 luogo Italia

a signora Maria Gron entrò nella sala al pianterreno della villa col cestino del lavoro. Diede uno sguardo attorno, per constatare che tutto procedesse secondo le norme familiari, depose il cestino su un tavolo, si avvicinò a un vaso pieno di rose, annusando gentilmente. Nella sala c’erano suo marito Stefano, il figlio Federico detto Fedri, entrambi seduti al caminetto, la figlia Giorgina che leggeva, il vecchio amico di casa Eugenio Martora, medico, intento a fumare un sigaro. «Sono tutte fanées,1 tutte andate» mormorò parlando a se stessa e passò una mano, carezzando, sui fiori. Parecchi petali si staccarono e caddero. Dalla poltrona dove stava seduta leggendo, Giorgina chiamò: «Mamma!». Era già notte e come al solito le imposte2 degli alti finestroni erano state sprangate. Pure dall’esterno giungeva un ininterrotto scroscio di pioggia. In fondo alla sala, verso il vestibolo3 d’ingresso, un solenne tendaggio rosso chiudeva la larga apertura ad arco: a quell’ora, per la poca luce che vi giungeva, esso sembrava nero. «Mamma!» disse Giorgina. «Sai quei due cani di pietra in fondo al viale delle querce, nel parco?» «E come ti saltano in mente i cani di pietra, cara?» rispose la mamma con cortese indifferenza, riprendendo il cestino del lavoro e sedendosi al consueto posto, presso un paralume. «Questa mattina» spiegò la graziosa ragazza «mentre tornavo in auto, li ho visti sul carro di un contadino, proprio vicino al ponte.» Nel silenzio della sala, la voce esile della Giorgina spiccò grandemente. La signora Gron, che stava scorrendo un giornale, piegò le labbra a un sorriso di precauzione e guardò di sfuggita il marito, come se sperasse che lui non avesse ascoltato.

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Dino Buzzati, nato a San Pellegrino (Belluno) nel «Questa è bella!» esclamò il dottor 1906, lavorò a lungo come giornalista per il “CorMartora. «Non ci manca4 che i conriere della sera”. Dopo i primi due racconti lunghi, tadini vadano in giro a rubare le staBarnabò delle montagne (1933) e Il segreto del bosco vecchio (1935), segue il suo romanzo più tue. Collezionisti d’arte, adesso!» famoso, Il deserto dei Tartari (1940. Buzzati ha «E allora?» chiese il padre, invitentato anche il genere fantascientifico (Il grande ritratto, 1961); il romanzo erotico (Un amore, tando la figliola a continuare. 1963); le curiose sperimentazioni di Poema a fu«Allora ho detto a Berto di fermetti (1969) e I miracoli di VaI Morel (1971), lemare e di andare a chiedere...» gate alla sua attività, non secondaria, di pittore. Particolarmente ricca la produzione di racconti, tra cui ricordiamo I sette La signora Gron, contrasse lievemessaggeri (1942), Paura alla Scala (1949), In quel preciso momento mente il naso; faceva sempre così (1950), Il crollo della Baliverna (1957), Sessanta racconti (1958), Esperimento di magia (1958), Il colombre e altri cinquanta racconti (1966), Le quando uno toccava argomenti innotti difficili (1971). Dal racconto Sette piani Buzzati trasse uno dei suoi grati e bisognava correre ai ripari. testi teatrali di maggior successo, Un caso clinico (1953), dal quale nel La faccenda delle due statue na1967 venne tratto il film Il fischio al naso, di e con Ugo Tognazzi. Buzzati morì a Milano nel 1972. scondeva qualcosa e lei aveva capito; qualcosa di spiacevole che bisognava quindi tacere. «Ma sì, ma sì, sono stata io a dire di portarli via» e lei così tentava di liquidar la questione «li trovo così antipatici.» Dal caminetto giunse la voce del padre, una voce profonda e oscillante, forse per la vecchiaia, forse per inquietudine: «Ma come? ma come? Ma perché li hai fatti portar via, cara? Erano due statue antiche, due pezzi di scavo...» «Mi sono spiegata male» fece la signora accentuando la gentilezza (“che stupida sono stata” pensava intanto “non potevo trovare qualcosa di meglio?”). «L’avevo detto, sì, di toglierli; ma in termini vaghi, più che altro per scherzo l’avevo detto, naturalmente...» «Ma stammi a sentire, mammina» insisté la ragazza. «Berto ha domandato al contadino e lui ha detto che aveva trovato il cane giù sulla riva del fiume...» Si fermò perché le era parso che la pioggia fosse cessata. Invece, fattosi silenzio, si udì ancora lo scroscio immobile, fondo, che opprimeva gli animi (benché nessuno se ne accorgesse). «Perché “il cane”?» domandò il giovane Federico, senza nemmeno voltare la testa. «Non avevi detto che c’erano tutti e due?» «Oh Dio, come sei pedante»5 ribatté Giorgina ridendo «io ne ho visto uno, ma probabilmente c’era anche l’altro». Federico disse: «Non vedo, non vedo il perché». E anche il dottor Martora rise. «Dimmi, Giorgina» chiese allora la signora Gron, approfittando subito della 4. Non ci manca: pausa. «Che libro leggi? È l’ultimo romanzo del Massin,6 quello che mi di- esprime disappunto e cevi? Vorrei leggerlo anch’io quando l’avrai finito. Se non te lo si dice prima, contrarietà per un evento che appare tu lo presti immediatamente alle amiche. Non si trova più niente dopo. Oh, particolarmente grave, a me piace Massin, così personale, così strano... La Frida oggi mi ha pro- che costituisce un radicale sovvertimento di messo...» quanto è reputato giusto Il marito però interruppe: «Giorgina» chiese alla figlia «tu allora che cosa e corretto. 5. pedante: hai fatto? Ti sarai fatta almeno dare il nome! Scusa sai, Maria» aggiunse allu- eccessivamente meticoloso, pignolo. dendo all’interruzione. 6. Massin: nome di «Non volevi mica che mi mettessi a litigare per la strada, spero» rispose la ra- fantasia.

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7. ottuso di mente: poco perspicace, poco sveglio; lento nella comprensione. 8. con garbo: in modo gentile e composto. 9. facezie: spiritosaggini, battute. 10. Giava: isola dell’Indonesia, nell’Estremo Oriente. 11. Tesaurizzate: tesaurizzare significa utilizzare in modo utile, fruttuoso. 12. crollare a spicchi: indica lo smottamento progressivo degli argini.

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gazza. «Era uno dei Dall’Oca. Ha detto che lui non sapeva niente, che aveva trovato la statua giù nel fiume.» «E sei proprio sicura che fosse uno dei cani nostri?» «Altro che sicura. Non ti ricordi che Fedri e io gli avevamo dipinto le orecchie di verde?» «E quello che hai visto aveva le orecchie verdi?» fece il padre, spesso un poco ottuso di mente.7 «Le orecchie verdi, proprio» disse la Giorgina. «Si capisce che ormai sono un po’ scolorite.» Di nuovo intervenne la mamma: «Sentite» domandò con garbo8 perfino esagerato «ma li trovate poi così interessanti questi cani di pietra? Non so, scusa se te lo dico, Stefano, ma non mi sembra che ci sia da fare poi un gran caso...». Dall’esterno – si sarebbe detto quasi subito dietro il tendone – giunse, frammisto alla voce della pioggia, un rombo sordo e prolungato. «Avete sentito?» esclamò subito il signor Gron. «Avete sentito?» «Un tuono, no? Un semplice tuono. È inutile, Stefano, tu hai bisogno di essere sempre nervoso nelle giornate di pioggia» si affrettò a spiegare la moglie. Tacquero tutti, ma a lungo non poteva durare. Sembrava che un pensiero estraneo, inadatto a quel palazzo da signori, fosse entrato e ristagnasse nella grande sala in penombra. «Trovato giù nel fiume!» commentò ancora il padre, tornando all’argomento dei cani. «Come è possibile che sia finito giù al fiume? Non sarà mica volato, dico.» «E perché no?» fece il dottor Martora gioviale. «Perché no cosa, dottore?» chiese la signora Maria, diffidente, non piacendole in genere le facezie9 del vecchio amico. «Dico: e perché è poi escluso che la statua abbia fatto un volo? Il fiume passa proprio lì, sotto. Venti metri di salto, dopo tutto.» «Che mondo, che mondo!» ancora una volta Maria Gron tentava di respingere il soggetto dei cani, quasi vi si celassero cose sconvenienti. «Le statue da noi si mettono a volare e sapete cosa dice qua il giornale! “Una razza di pesci parlanti scoperta nelle acque di Giava.10”» «Dice anche: “Tesaurizzate11 il tempo!”» aggiunse stupidamente Federico che pure aveva in mano un giornale. «Come, che cosa dici?» chiese il padre, che non aveva capito, con generica apprensione. «Sì, c’è scritto qui: “Tesaurizzate il tempo! Nel bilancio di un produttore di affari dovrebbe figurare all’attivo e al passivo, secondo i casi, anche il tempo”.» «Al passivo, direi allora, al passivo, con questo po’ po’ di pioggia!» propose il Martora divertito. E allora si udì il suono di un campanello, al di là della grande tenda. Qualcuno dunque giungeva dall’infida notte, qualcuno aveva attraversato le barriere di pioggia, la quale diluviava sul mondo, martellava i tetti, divorava le rive del fiume facendole crollare a spicchi;12 e nobili alberi precipitavano col loro piedestallo di terra giù dalle ripe, scrosciando, e poco dopo si vedevano

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emergere per un istante cento metri più in là, succhiati dai gorghi; il fiume che aveva inghiottito i margini dell’antico parco, con le balaustre di ferro settecentesco, le panchine, i due cani di pietra. «Chi sarà?» disse il vecchio Gron, togliendosi gli occhiali d’oro. «Anche a quest’ora vengono! Sarà quello della sottoscrizione,13 scommetto, l’impiegato della parrocchia, da qualche giorno è sempre tra i piedi. Le vittime dell’inondazione! Dove sono poi queste vittime! Continuano a domandare soldi, ma non ne ho vista neanche una, io, di queste vittime! Come se... Chi è? Chi è?» domandò a bassa voce al cameriere uscito dalla tenda. «Il signor Massigher» annunciò il cameriere. Il dottor Martora fu contento: «Oh eccolo, quel simpatico amico! Abbiam fatto una discussione l’altro giorno... oh, sa quel che si vuole il giovanotto.» «Sarà intelligente fin che volete, caro Martora» disse la signora «ma è proprio la qualità che mi commuove meno. Questa gente che non fa che discutere... Confesso, le discussioni non mi vanno... Non dico di Massigher che è un gran bravo ragazzo... Tu, Giorgina» aggiunse a bassa voce «farai il piacere, dopo aver salutato, di andartene a letto. È tardi, cara, lo sai.» «Se Massigher ti fosse più simpatico» rispose la figlia audacemente, tentando un tono scherzoso «se ti fosse più simpatico scommetto che adesso non sarebbe tardi, scommetto.» «Basta, Giorgina; non dire sciocchezze, lo sai... Oh buonasera, Massigher. Oramai non speravamo più di vedervi... di solito venite più presto...» Il giovine, i capelli un po’ arruffati, si fermò sulla soglia, guardando i Gron con stupore. “Ma come, loro non sapevano?” Poi si fece avanti, vagamente impacciato. «Buonasera, signora Maria» disse senza raccogliere il rimprovero. «Buonasera, signor Gron, ciao Giorgina, ciao Fedri, ah, scusatemi dottore, nell’ombra non vi avevo veduto...» Sembrava eccitato, andava di qua e di là salutando, quasi ansioso di dare importante notizia. «Avete sentito dunque?» si decise infine, siccome gli altri non lo provocavano. «Avete sentito che l’argine...» «Oh sì» intervenne Maria Gron con impeccabile scioltezza. «Un tempaccio, vero?» E sorrise, socchiudendo gli occhi, invitando l’ospite a capire (pare impossibile, pensava intanto, il senso dell’opportunità non è proprio il suo forte!). Ma il padre Gron si era già alzato dalla poltrona. «Ditemi, Massigher, che cosa avete sentito? Qualche novità forse?» «Macché novità» fece vivamente la moglie. «Non capisco proprio, caro, questa sera sei così nervoso...» Massigher restò interdetto. «Già» ammise, cercando una scappatoia «nessuna novità che io sappia. Solo che dal ponte si vede...» «Sfido io, mi immagino, il fiume in piena!» fece la signora Maria aiutandolo a trarsi d’impaccio. «Uno spettacolo imponente, immagino... ti ricordi, Stefano, del Niagara?14 Quanti anni, da allora...» A questo punto Massigher si avvicinò alla padrona di casa e le mormorò sottovoce, approfittando che Giorgina e Federico si erano messi a parlare tra

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13. sottoscrizione: raccolta di denaro a favore di qualche iniziativa. 14. Niagara: le celebri cascate del Niagara, tra i laghi Eire e Ontario, al confine tra Canada e Stati Uniti.

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15. rantoli: respiri ansanti, affannosi, tipici di chi agonizza. 16. stolta: sciocca, stupida. 17. acrimonia: astio, risentimento. 18. zotici: persone volgari, rozze.

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loro: «Ma signora, ma signora» i suoi occhi sfavillavano «ma il fiume è ormai qui sotto, non è prudente restare, non sentite il...?» «Ti ricordi, Stefano?» continuò lei come se non avesse neppure sentito «ti ricordi che paura quei due olandesi? Non hanno voluto neppure avvicinarsi, dicevano ch’era un rischio inutile, che si poteva venire travolti...» «Bene» ribatté il marito «dicono che qualche volta è proprio successo. Gente che si è sporta troppo, un capogiro, magari...» Pareva aver riacquistato la calma. Aveva rimesso gli occhiali, si era nuovamente seduto vicino al caminetto, allungando le mani verso il fuoco, allo scopo di scaldarle. Ed ecco per la seconda volta quel rombo sordo e inquietante. Ora sembrava provenire in realtà dal fondo della terra, giù in basso, dai remoti meandri delle cantine. Anche la signora Gron restò suo malgrado ad ascoltare. «Avete sentito?» esclamò il padre, corrugando un pochetto la fronte. «Di’, Giorgina, hai sentito?...» «Ho sentito, sì, non capisco» fece la ragazza sbiancatasi in volto. «Ma è un tuono!» ribatté con prepotenza la madre. «Ma è un tuono qualsiasi... che cosa volete che sia?... Non saranno mica gli spiriti alle volte!» «Il tuono non fa questo rumore, Maria» notò il marito scuotendo la testa. «Pareva qui sotto, pareva.» «Lo sai, caro: tutte le volte che fa temporale sembra che crolli la casa» insisté la signora. «Quando c’è temporale in questa casa saltan fuori rumori di ogni genere... Anche voi avete sentito un semplice tuono, vero, Massigher?» concluse, certa che l’ospite non avrebbe osato smentirla. Il quale sorrise con garbata rassegnazione, dando risposta elusiva: «Voi dite gli spiriti, signora..., proprio stasera, attraverso il giardino, ho avuto una curiosa impressione, mi pareva che mi venisse dietro qualcuno... sentivo dei passi, come... dei passi ben distinti sulla ghiaietta del viale...» «E naturalmente suono di ossa e rantoli,15 vero?» suggerì la signora Gron. «Niente ossa, signora, semplicemente dei passi, probabilmente erano i miei stessi» soggiunse «si verificano certi strani echi, alle volte.» «Ecco, così; bravo Massigher... Oppure topi, caro mio volete vedere che erano topi? Certo non bisogna essere romantici come voi, altrimenti chissà cosa si sente...» «Signora» tentò nuovamente sottovoce il giovane, chinandosi verso di lei. «Ma non sentite, signora? Il fiume qua sotto, non sentite?» «No, non sento, non sento niente» rispose lei, pure sottovoce, recisa. Poi più forte: «Ma non siete divertente con queste vostre storie, sapete?» Non trovò da rispondere, il giovane. Tentò soltanto una risata, tanto gli pareva stolta16 l’ostinazione della signora. “Non ci volete credere, dunque?” pensò con acrimonia;17 anche in pensiero, istintivamente, finiva per darle del voi. “Le cose spiacevoli non vi riguardano, vero? Vi pare da zotici18 il parlarne? Il vostro prezioso mondo le ha sempre rifiutate, vero? Voglio vedere, la vostra sdegnosa immunità dove andrà a finire!” «Senti, senti, Stefano» diceva lei intanto con slancio, parlando attraverso la sala «Massigher sostiene di aver incontrato gli spiriti, qui fuori, in giardino, e lo dice sul serio... questi giovani, un bell’esempio, mi pare.»

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«Signor Gron, ma non crediate» e rideva con sforzo, arrossendo «ma io non dicevo questo, io...» Si interruppe, ascoltando. E dal silenzio stesso sopravvenuto gli parve che, sopra il rumore della pioggia, altra voce andasse crescendo, minacciosa e cupa. Egli era in piedi, nel cono di luce di una lampada un poco azzurra, la bocca socchiusa, non spaventato in verità, ma assorto e come vibrante, stranamente diverso da tutto ciò che lo circondava, uomini è cose. Giorgina lo guardava con desiderio. Ma non capisci, giovane Massigher? Non ti senti abbastanza sicuro nell’antica magione dei Gron? Come fai a dubitare? Non ti bastano queste vecchie mura massicce, questa controllatissima pace, queste facce impassibili? Come osi offendere tanta dignità coi tuoi stupidi spaventi giovanili? «Mi sembri uno spiritato» osservò il suo amico Fedri. «Sembri un pittore..., ma non potevi pettinarti, stasera? Mi raccomando un’altra volta... lo sai che la mamma ci tiene» e scoppiò in una risata. Il padre allora intervenne con la sua querula19 voce: «Bene, lo cominciamo questo ponte? Facciamo ancora in tempo, sapete. Una partita e poi andiamo a dormire. Giorgina, per favore, va’ a prendere la scatola delle carte». In quel mentre si affacciò il cameriere con faccia stranita. «Che cosa c’è adesso?» chiese la padrona, malcelando20 l’irritazione. «È arrivato qualcun altro?» «C’è di là Antonio, il fattore... chiede di parlare con uno di lor signori, dice che è una cosa importante.» «Vengo io, vengo io» disse subito Stefano, e si alzò con precipitazione, come temesse di non fare in tempo. La moglie infatti lo trattenne: «No, no, no, tu rimani qui, adesso. Con l’umido che c’è fuori... lo sai bene... i tuoi reumi. Tu rimani qui, caro. Andrà Fedri a sentire». «Sarà una delle solite storie» fece il giovane, avviandosi verso la tenda. Poi da lontano giunsero voci incerte. «Vi mettete qui a giocare?» chiedeva nel frattempo la signora. «Giorgina, togli quel vaso, per favore... poi va’ a dormire, cara, è già tardi. E voi, dottor Martora, che cosa fate, dormite?» L’amico si riscosse, confuso: «Se dormivo? Eh sì, un poco» rise. «Il caldo del caminetto, l’età...». «Mamma!» chiamò da un angolo la ragazza. «Mamma, non trovo più la scatola delle carte, erano qui nel cassetto, ieri.» «Apri gli occhi, cara. Ma non la vedi lì sulla mensola? Voi almeno non trovate mai niente...» Massigher dispose le quattro sedie, poi cominciò a mescolare un mazzo. Intanto rientrava Federico. Il padre domandò stancamente: «Che cosa voleva Antonio?» «Ma niente!» rispose il figliolo allegro. «Le solite paure dei contadini. Dicono che c’è pericolo per il fiume, dicono che anche la casa è minacciata, figurati. Volevano che io andassi a vedere, figurati, con questo tempo! Sono tutti là che pregano, adesso, e suonano le campane, sentite?» «Fedri» propose allora Massigher. «Andiamo insieme a vedere? Solo cinque minuti. Ci stai?»

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19. querula: lamentosa. 20. malcelando: trattenendo a stento, lasciando trapelare.

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21. tristo: cupo, sinistro, che suscita una sensazione di pena e come di paura. 22. cloaca: condotto delle fogne. 23. astrazion fatta: senza tenere conto, a prescindere. 24. stillicidio: il cadere lento e continuato, goccia a goccia, di un liquido.

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«E la partita, Massigher?» fece la signora. «Volete piantare in asso il dottor Martora? Per bagnarvi come pulcini, poi...» Così i quattro cominciarono il gioco, Giorgina se n’andò a dormire, la madre in un angolo prese in mano il ricamo. Mentre i quattro giocavano, i tonfi di poco prima divennero più frequenti. Era come se un corpo massiccio piombasse in una buca profonda piena di melma, tale era il suono: un colpo tristo21 nelle viscere della terra. Ogni volta esso lasciava dietro a sé sensazione di pena, le mani indugiavano sulla carta da gettare, il respiro restava sospeso, ma poi tutto quanto spariva. Nessuno – si sarebbe detto – osava parlarne. Solo a un certo punto il dottor Martora osservò: «Deve essere nella cloaca,22 qui sotto. C’è una specie di condotta antichissima che sbocca nel fiume. Qualche rigurgito forse...». Gli altri non aggiunsero parola. Ora conviene osservare gli sguardi del signor Gron, nobiluomo. Essi sono rivolti principalmente al piccolo ventaglio di carte tenuto dalla mano sinistra, tuttavia essi passano anche oltre il margine delle carte, si estendono alla testa e alle spalle del Martora, seduto dinanzi, e raggiungono perfino l’estremità della sala là dove il lucido pavimento scompare sotto le frange del tendaggio. Adesso invece gli occhi di Gron non si indugiavano più sulle carte, né sull’onesto volto dell’amico, ma insistevano al di là, verso il fondo, ai piedi del cortinaggio; e si dilatavano per di più, accendendosi di strana luce. Fino a che dalla bocca del vecchio signore uscì una voce opaca, carica di indicibile desolazione, e diceva semplicemente: «Guarda». Non si rivolgeva al figlio, né al dottore, né a Massigher in modo particolare. Diceva solamente «Guarda» ma così da suscitare paura. Il Gron disse questo e gli altri guardarono, compresa la consorte che sedeva nell’angolo con grande dignità, accudendo al ricamo. E dal bordo inferiore del cupo tendaggio videro avanzare lentamente, strisciando sul pavimento, un’informe cosa nera. «Stefano, Stefano, per l’amor di Dio, perché fai quella voce?» esclamava la signora Gron levatasi in piedi e già in cammino verso la tenda: «Non vedi che è acqua?». Dei quattro che stavano giocando nessuno si era ancora alzato. Era acqua infatti. Da qualche frattura o spiraglio essa si era finalmente insinuata nella villa, come serpente era andata strisciando qua e là per gli anditi prima di affacciarsi nella sala, dove figurava di colore nero a causa della penombra. Una cosa da ridere, astrazion fatta23 per l’aperto oltraggio. Ma dietro quella povera lingua d’acqua, scolo di lavandino, non c’era altro? È proprio certo che sia tutto qui l’inconveniente? Non sussurrio di rigagnoli giù per i muri, non paludi tra gli alti scaffali della biblioteca, non stillicidio24 di flaccide gocce dalla volta del salone vicino (percotenti il grande piatto d’argento donato dal Principe per le nozze, molti molti anni or sono)? Il giovane Federico esclamò: «Quei cretini hanno dimenticato una finestra aperta!». Il padre suo: «Corri, va a chiudere, va! ». Ma la signora si oppose: «Ma neanche per idea, state quieti voi, verrà bene qualcheduno spero!». Nervosamente tirò il cordone del campanello e se ne udì lo squillo lontano. Nel medesimo tempo i tonfi misteriosi succedevano l’uno all’altro con tetra

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precipitazione, perturbando gli estremi angoli del palazzo. Il vecchio Gron, accigliato, fissava la lingua d’acqua sul pavimento: lentamente essa gonfiavasi ai bordi, straripava per qualche centimetro, si fermava, si gonfiava di nuovo ai margini, di nuovo un altro passo in avanti e così via. Massigher mescolava le carte per coprire la propria emozione, presentendo cose diverse dalle solite. E il dottor Martora scuoteva adagio il capo, il quale gesto poteva voler dire: che tempi, che tempi, di questa servitù non ci si può più fidare!, oppure, indifferentemente: niente da fare oramai, troppo tardi ve ne siete accorti. Attesero alcuni istanti, nessun segno di vita proveniva dalle altre sale. Massigher si fece coraggio: «Signora» disse «l’avevo pur detto che...» «Cielo! Sempre voi, Massigher!» rispose Maria Gron non lasciandolo neppur finire. «Per un po’ d’acqua per terra! Adesso verrà Ettore ad asciugare. Sempre quelle benedette vetrate, ogni volta lasciano entrare acqua, bisognerebbe rifare le serramenta25!» Ma il cameriere di nome Ettore non veniva, né alcun altro dei numerosi servi. La notte si era fatta ostile e greve. Mentre gli inesplicabili tonfi si mutavano in un rombo pressoché continuo simile a rotolio di botti nelle fondamenta della casa. Lo scroscio della pioggia all’esterno non si udiva già più, sommerso dalla nuova voce. «Signora!» gridò improvvisamente Massigher, balzando in piedi, con estrema risolutezza. «Signora, dove è andata Giorgina? Lasciate che vada a chiamarla.» «Che c’è ancora, Massigher?» e Maria Gron atteggiava ancora il volto a mondano stupore. «Siete tutti terribilmente nervosi, stasera. Che cosa volete da Giorgina? Fatemi il santo piacere di lasciarla dormire.» «Dormire!» ribatté il giovanotto ed era piuttosto beffardo.26 «Dormire! Ecco, ecco...» Dall’andito27 che la tenda celava, come da gelida spelonca, irruppe nella sala un impetuoso soffio di vento. Il cortinaggio si gonfiò qual vela, attorcigliandosi ai lembi, così che le luci della sala poterono passare di là e riflettersi nell’acqua dilagata per terra. «Fedri, perdio, corri a chiudere!» imprecò il padre «perdio, chiama i servi, chiama!» Ma il giovane pareva quasi divertito dall’imprevisto. Accorso verso l’andito buio andava gridando: «Ettore! Ettore! Berto! Berto! Sofia!» Egli chiamava i facenti parte della servitù ma le sue grida si perdevano senza eco nei vestiboli deserti. «Papà» si udì ancora la voce di Federico. «Non c’è luce, qui. Non riesco a vedere... Madonna, che cos’è successo!» Tutti nella sala erano in piedi, sgomenti per l’improvviso appello. La villa intera sembrava ora, inesplicabilmente, scrosciare d’acqua. E il vento, quasi i muri si fossero spalancati, la attraversava in su e in giù, protervamente, facendo dondolare le lampade, agitando carte e giornali, rovesciando fiori. Federico, di ritorno, comparve. Era pallido come la neve e un poco tremava. «Madonna!» ripeteva macchinalmente. «Madonna, cos’è successo!» E occorreva ancora spiegare che il fiume era giunto lì sotto, scavando la riva, con la sua furia sorda e inumana? Che i muri da quella parte stavano per ro-

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25. serramenta: serrature, sistemi di chiusura di porte e finestre. 26. beffardo: che intende schernire, deridere. 27. andito: ambiente di disimpegno, di passaggio da una stanza all’altra.

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28. incrudelì: infierì, insistette con malanimo. 29. atono: privo di espressione, assente.

vinare? Che i servi tutti erano dileguati nella notte e fra poco presumibilmente sarebbe mancata la luce? Non bastavano, a spiegare tutto, il bianco volto di Federico, i suoi richiami affannosi (lui solitamente così elegante e sicuro di sé), l’orribile rombo che aumentava aumentava dalle fonde voragini della terra? «Andiamo, presto, andiamo, c’è anche la mia macchina qui fuori, sarebbe da pazzi...» diceva il dottor Martora, fra tutti passabilmente calmo. Poi, accompagnata da Massigher, ecco ricomparire Giorgina, avviluppata in un pesante mantello; ella singhiozzava lievemente, con assoluta decenza, senza quasi farsi sentire. Il padre cominciò a frugare un cassetto raccogliendo i valori. «Oh no! no!» proruppe infine la signora Maria, esasperata. «Oh, non voglio! I miei fiori, le mie belle cose, non voglio, non voglio!» la sua bocca ebbe un tremito, la faccia si contrasse quasi scomponendosi, ella stava per cedere. Poi con uno sforzo meraviglioso, sorrise. La sua maschera mondana era intatta, salvo il suo raffinatissimo incanto. «Me la ricorderò, signora» incrudelì28 Massigher, odiandola sinceramente. «Me la ricorderò sempre questa vostra villa. Com’era bella nelle notti di luna!» «Presto, un mantello, signora» insisteva Martora rivolto alla padrona di casa. «E anche tu, Stefano, prendi qualcosa da coprirti. Andiamo prima che manchi la luce.» Il signor Stefano Gron non aveva nemmeno paura, si poteva veramente dirlo. Egli era come atono29 e stringeva la busta di pelle contenente i valori. Federico girava per la sala sguazzando nell’acqua, senza più dominarsi. «È finita, è finita» andava ripetendo. La luce elettrica cominciò a affievolire. Allora rintronò, più tenebroso dei precedenti e ancor più vicino, un lungo tonfo da catastrofe. Una gelida tenaglia si chiuse sul cuore dei Gron. «Oh, no! no!» ricominciò a gridare la signora. «Non voglio, non voglio!» Pallida anche lei come la morte, una piega dura segnata sul volto, ella avanzò a passi ansiosi verso il tendaggio che palpitava. E faceva di no col capo: per significare che lo proibiva, che adesso sarebbe venuta lei in persona e l’acqua non avrebbe osato passare. La videro scostare i lembi sventolanti della tenda con gesto d’ira, sparire al di là nel buio, quasi andasse a cacciare una turba di pezzenti molesti che la servitù era incapace di allontanare. Col suo aristocratico sprezzo presumeva ora di opporsi alla rovina, di intimidire l’abisso? Ella sparì dietro il tendaggio, e benché il rombo funesto andasse crescendo, parve farsi il silenzio. Fino a che Massigher disse: «C’è qualcuno che batte alla porta». «Qualcuno che batte alla porta?» chiese il Martora. «Chi volete che sia?» «Nessuno» rispose Massigher. «Non c’è nessuno, naturalmente, oramai. Pure battono alla porta, questo è positivo. Un messaggero forse, uno spirito, un’anima, venuta ad avvertire. È una casa di signori, questa. Ci usano dei riguardi, alle volte, quelli dell’altro mondo.» Eppure battono alla porta, in Sessanta racconti, © Copyright Eredi Dino Buzzati. Tutti i diritti riservati trattati da Agenzia Letteraria Internazionale Milano. Pubblicato da Arnoldo Mondadori, Milano 2005

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eppure battono alla porta

STRUMENTI DI LETTURA La storia L’efficacia del racconto nasce dal contrasto fra due situazioni “estreme”: da una parte, lo scatenarsi di un cataclisma naturale, dall’altra, l’imperturbabile inerzia dei protagonisti. A questo contrasto corrisponde, sul piano narrativo, una fedeltà minuziosa alla realtà, che però s’inquadra, alla fine, in un telaio fantastico, assurdo e stralunato. Perché i Gron rifiutano sino all’ultimo di prestar fede all’evidenza dei fatti, al frastuono dell’uragano, ai rimbombi che giungono dalle cantine? La domanda rimane, nel racconto, senza esplicita risposta, perché il “non-detto” è per Buzzati la materia stessa del racconto. Si può dire quindi che l’autore oppone un “testo” (i fatti narrati, le reazioni dei personaggi ecc.) a un “sotto-testo”, formato appunto dagli interrogativi che pone il racconto e dalle risposte che il lettore è portato a darsi. Eppure bussano alla porta rappresenta, in questo senso, un esempio tipico di opera aperta, nel senso che l’autore, lasciando in sospeso una serie di domande, assegna al lettore il compito di attribuire un senso, un significato a situazioni che, altrimenti, risulterebbero letteralmente assurde e indecifrabili.

I personaggi Accanto ai personaggi veri e propri, hanno funzione di protagonisti anche i rumori, che sottolineano come una colonna sonora il crescendo dell’azione, o meglio l’esasperante “inazione” dei personaggi, accentuando, per contrasto, il loro “silenzio morale”. Quanto ai personaggi “veri”, pur nella loro acuta caratterizzazione, essi appaiono piuttosto come l’incarnazione di un’idea, un principio, in primo luogo quello appunto dell’inazione, dell’inerzia cieca che caparbiamente rifiuta di prendere atto di quel che accade “fuori”.

Lo spazio Il racconto contrappone un interno, nel quale, come in una scena teatrale, è ambientata la vicenda e un esterno, invisibile ma ben distintamente udibile attraverso rumori sordi e minacciosi. Tanto l’esterno è dinamico nella sua furia primitiva e incontrollabile, tanto l’interno appare congelato in un rigido e statico formalismo, nei gesti, nelle parole e nei pensieri dei protagonisti, che alla fine si rivela addirittura suicida.

Il narratore e la focalizzazione Il punto di vista è apparentemente esterno e imparziale, tuttavia, pur riferendo oggettivamente i fatti, il narratore non sa reprimere

il proprio atteggiamento critico nei confronti dei personaggi, ricorrendo di preferenza alle armi del sarcasmo e dell’ironia. Molta narrativa di Buzzati appare quasi come una sorta di favola, molto moderna e culturalmente aggiornata. Inscindibile dalla favola, si sa, è la morale e Buzzati è per l’appunto, in fondo, un moralista, che appunta i suoi strali contro vizi e difetti degli uomini, considerati tanto sotto il profilo sociale, quanto sotto quello psicologico.

La lingua e lo stile Il racconto, con la sua unità di luogo e d’azione, ricorda quasi un testo teatrale, dove le parti descrittive o riflessive alternate ai dialoghi hanno quasi la funzione di “ note di regia”. Gli scrosci di pioggia, i rumori cupi, i rimbombi sordi e inquietanti, sono come “rumori fuori scena” che contrastano con il tono lepido della conversazione e gli conferiscono un tono tragicamente assurdo.

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IL RACCONTO TRA REALTÀ E FANTASIA

Comprensione

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LABORATORIO 1 Quali ipotesi vengono fatte circa il cane di pietra che il contadino trasporta sopra il suo carro? 2 Quale ospite sopraggiunge più tardi e quali notizie porta? 3 Quali notizie porta il fattore Antonio? 4 Chi si accorge infine e in che modo di ciò che sta accadendo?

Comprensione globale

di ffi co ltà

5 «C’è qualcuno che batte alla porta». Di chi si tratta?

di ffi co ltà

6 Il racconto ben si presta a una interpretazione in chiave politica: un gruppo di privilegiati, arroccati nei propri privilegi, si rifiutano di prendere atto della minaccia che incombe su di loro, rimanendone alla fine travolti. In questo arroccamento, in questa difesa a oltranza, è implicita la tutela di alcuni valori, che alcuni personaggi ritengono irrinunciabili. Quali sono i valori borghesi che emergono dalla lettura del brano?

Analisi La storia

Vedi a p. 6

7 Individua la struttura del racconto indicando i righi corrispondenti a ciascuna parte dello schema della narrazione riportato di seguito: situazione iniziale perturbazione o complicazione trasformazione o mutamento scioglimento o risoluzione situazione finale 8 Quale episodio specifico costituisce la Spannung? 9 Abbiamo detto che nella narrativa di Buzzati ha larga parte l’influenza del “gotico”, un genere che, come sappiamo (vedi il Volume A), fa leva su sentimenti primari ed eventi di forte impatto emotivo quali la paura, l’orrore, il mistero, il soprannaturale ecc. Sottolinea sul testo quei passaggi che possono richiamare i tratti più caratteristici del gotico. LE SS IC O

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I personaggi

Vedi a p. 24

10 Dal punto di vista sociale, come definiresti i personaggi del racconto? Popolani Borghesi Piccolo borghesi Aristocratici Proletari Intellettuali

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11 Come definiresti il loro atteggiamento mentale? Intellettuale Progressista Conservatore Benpensante Reazionario Rivoluzionario

Religioso Romantico

12 Ponendo particolare attenzione a quella che, in un certo senso, è la figura principale del racconto, la signora Gron, individua i passaggi da cui emerge la sua personalità e rispondi alle domande che seguono con precisi riferimenti al testo. Con quali caratteri viene presentata all’inizio del racconto? Qual è il suo atteggiamento rispetto alla faccenda dei due cani? Come reagisce al racconto di Massigher? Come reagisce quando scopre che l’acqua si è ormai infiltrata nella casa? Sottolinea sul testo i passaggi dai quali emerge il suo rifiuto di arrendersi ad una realtà che giudica sgradevole. 13 Nella tabella seguente, assegna un ruolo ai diversi personaggi del racconto, distinguendo tra protagonisti, comprimari, personaggi secondari, comparse e figure fuori scena.

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Maria Gron, Stefano Gron, Federico, Giorgina, Eugenio Martora, Massigher, un cameriere, il fattore Antonio, il contadino che trasporta i cani di pietra, Ettore, Berto, Sofia. Protagonisti

Comprimari

Personaggi secondari

Comparse

Figure fuori scena

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14 Riassumi brevemente nello schema sottostante i principali caratteri dei personaggi del racconto, utilizzando per ciascuno almeno cinque aggettivi a tua scelta. Maria Gron

Stefano Gron

Federico

Giorgina

Eugenio Martora

Massigher

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IL RACCONTO TRA REALTÀ E FANTASIA

Lo spazio

Vedi a p. 66

15 Abbiamo detto che nel racconto sono presenti due spazi, l’uno visibile, reale, l’altro soltanto evocato attraverso suoni e rumori. Facendo riferimenti ai righi relativi, indica dove è segnalata con maggiore evidenza la presenza di ciascuno di questi due spazi. Spazio visibile

Spazio evocato

Righi ............................................................................................... Righi ............................................................................................... Righi ............................................................................................... Righi ...............................................................................................

Righi ............................................................................................... Righi ............................................................................................... Righi ............................................................................................... Righi ...............................................................................................

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16 Indica i righi in cui lo spazio esterno prima si insinua e poi irrompe nello spazio interno fino a travolgerlo. 17 Nel racconto, lo spazio ha una dimensione simbolica? Sì Motiva in poche righe la tua risposta con riferimenti al testo.

No

18 All’inizio i personaggi si trovano in una stanza del tutto “normale”, che tuttavia si trasforma rapidamente in un luogo d’incubo. Cerchia le notazioni che determinano questo mutamento d’atmosfera.

Il narratore e la focalizzazione

Vedi a p. 88

19 In quale persona è narrata la vicenda? Prima Terza 20 Il narratore è: esterno

interno

21 Secondo il tuo giudizio, la narrazione è: mimetica diegetica 22 Ti sembra che il narratore intervenga con considerazioni generali, commenti, giudizi? Sì No Se sì, dove?

Le tecniche espressive

Vedi a p. 110

23 Abbiamo detto che il racconto ricorda quasi un testo teatrale, in cui la tecnica espressiva che prevale è il dialogo. Nei casi che ti indichiamo di seguito sono tuttavia indicate altre tecniche Quali? «... pare impossibile, pensava intanto, il senso dell’opportunità non è proprio il suo forte!» (righi 154-155) «... certa che l’ospite non avrebbe osato smentirla.» (rigo 191) «“Non ci volete credere, dunque?” pensò con acrimonia; anche in pensiero, istintivamente, finiva per darle del voi. “Le cose spiacevoli non vi riguardano, vero? Vi pare da zotici il parlarne? Il vostro prezioso mondo le ha sempre rifiutate, vero? Voglio vedere, la vostra sdegnosa immunità dove andrà a finire!”» (righi 207-211)

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LE SS IC O

24 Individua e sottolinea espressioni e situazioni che rinviano alla componente fantastica della narrazione.

La lingua e lo stile

Vedi a p. 136

25 Nel corso del racconto diventa man mano più sensibile la presenza della minaccia che incombe sulla casa. Che tipo di aggettivazione riscontri? Scarsa Abbondante Esornativa Strettamente funzionale Trova degli esempi a sostegno della tua risposta. 26 La sintassi è: semplice 27 Lo stile è: medio

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complessa formale

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28 Osserva le seguenti espressioni tratte dal testo. Alcune sono figure retoriche: di’ di che cosa si tratta. Altre sono espressioni particolari che sottolineano l’atteggiamento di un personaggio. Prova a sostituirle con espressioni (semplici aggettivi o perifrasi) più correnti, esprimendo lo stesso concetto. Figure retoriche

Espressioni particolari

«... bagnarvi come pulcini...» rigo 263

«... annusando gentilmente...» rigo 4

«... un colpo tristo nelle viscere della terra.» rigo 268

«... sorriso di precauzione...» righi 24-25

«... con tetra precipitazione...» righi 307308

«Una gelida tenaglia si chiuse sul cuore dei Gron.» rigo 381

«La notte si era fatta ostile e greve.» rigo 323

«... avanzò a passi ansiosi...» righi 383384

«... il vento [...] la attraversava in su e in giù, protervamente...» righi 348-349 «Pallida [...] come la morte...» rigo 383

29 A quale personaggio l’autore affida il compito di sottolineare, con l’ironia e il sarcasmo delle sue battute, l’assurdità della situazione che si viene creando? Sottolineale sul testo.

IL RACCONTO TRA REALTÀ E FANTASIA

Produzione

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30 Da «Il giovine, i capelli un po’ arruffati...» del rigo 143, a «... la vostra sdegnosa immunità dove andrà a finire!» dei righi 210-211, trascrivi il testo sostituendo al narratore esterno l’io narrante di Massigher. 31 Scrivi un riassunto dell’intero racconto in non più di 800 parole. Riassumi ulteriormente il racconto utilizzando prima non più di 400 parole e poi non più di 200. 32 Nei righi 391-392 viene detto che quando Maria Gron sparisce dietro il tendaggio «benché il rombo funesto andasse crescendo, parve farsi il silenzio», poi della donna non si sa più nulla. A partire da questo punto, immagina la sorte di Maria Gron e riscrivi un diverso finale del racconto in circa 50 parole.