L'evoluzione del flauto traverso - Scuola Popolare di Musica Donna ...

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Nella storia degli strumenti a fiato il flauto traverso occupa uno spazio distinto ...... 15Gian-Luca Petrucci, Il flauto di Mozart, Pompei (NA), Falaut 2006, p. 57.
L’EVOLUZIONE MECCANICA DEL FLAUTO TRAVERSO E LA SUA INFLUENZA NELLA LETTERATURA FLAUTISTICA (Stefano Ribeca)

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Indice

1 – L’evoluzione del flauto traverso 1.1 – Premessa

pag. 3

1.2 - Le origini

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1.3 - Il Medioevo

pag. 4

1.4 - Il Rinascimento

pag. 5

1.5 - Il Barocco

pag. 6

1.6 - Il periodo classico

pag. 8

1.7 - Il periodo romantico

pag. 9

1.8 - Il Novecento

pag. 11

1.9 - Il flauto traverso ai nostri giorni

pag. 12

2 – L’opera di Theobald Böhm 2.1 – La vita

pag. 14

2.2 – Il brevetto del 1832

pag. 15

2.3 – Il brevetto del 1847

pag. 17

2.4 – La diffusione del flauto Böhm

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3 – Lo sviluppo della letteratura flautistica 3.1 – A. Vivaldi, J.S. Bach e J.J Quantz

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3.2 – W.A. Mozart e il flauto

pag. 21

3.3 – Il flauto ed i compositori romantici

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3.4 – Il flauto nell’Impressionismo

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3.5 – Il flauto nella musica contemporanea

pag. 25

3.6 – Conclusioni

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Tavole Note Bibliografia

pag. 27 pag. 32 pag. 33

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1 – L’evoluzione del flauto traverso

“Non mi soffermerò a raccontare storie favolose quanto inaffidabili sulle origini dei flauti da tenersi di traverso davanti alla bocca. Dal momento che non disponiamo di notizie certe su tale materia non dobbiamo curarci di sapere se fu il re frigio Mida o qualcun altro ad inventarli. Ugualmente non possiamo determinare se tale invenzione fu davvero inizialmente suggerita da un soffio di vento che si insinuò in un ramo cavo di un cespuglio di sambuco, spezzato in cima, in cui il marciume aveva praticato un piccolo foro lateralmente, o se fu dovuta a qualche altra circostanza.” (Johann Joachim Quantz) 1

1.1 - Premessa Nella storia degli strumenti a fiato il flauto traverso occupa uno spazio distinto e particolare, non confondibile con il flauto dritto. Da quest’ultimo il flauto traverso si differenzia non solo per la posizione trasversale rispetto al corpo dell’esecutore ma anche per l’imboccatura, libera nel primo ed a ‘fischietto’ nel secondo. Queste profonde differenze fanno sì che nella classificazione in uso degli strumenti musicali, pur appartenendo alla classe degli aerofoni, alla sottoclasse dei fiati ed al gruppo dei legni, il flauto traverso sia inserito in una categoria specifica: quella dei flauti ad imboccatura laterale e senza condotto interno, con la produzione del suono che avviene soffiando direttamente sullo spigolo esterno del foro d’imboccatura.

1.2 - Le origini Se sono molte le immagini del mondo antico che mostrano musicisti con flauti dritti, flauti doppi ed a più canne, sono invece più rare le iconografie che ritraggono il flauto traverso. Nelle civiltà greca e romana, ed in generale in tutta l’area del mediterraneo, era diffuso l’uso di strumenti a fiato di varia foggia, ognuno rappre-

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sentante della tradizione dei diversi popoli dell’antichità: il flauto di Pan, formato da più canne unite insieme ed a cui si fa risalire il mito della nascita degli strumenti a fiato; gli aulos a una o due canne; le tibie costruite con ossa di animali ed una grande varietà di altri strumenti. Seppure con una diffusione più limitata è possibile stabilire che il flauto traverso fosse presente già in epoca etrusca e romana; a conferma di questo vi sono diverse testimonianze, come le immagini di suonatori di flauto traverso trovate sia su urne cinerarie di epoca etrusca risalenti al I-II secolo a.C. che su monete romane databili I-II secolo d.C. Ma queste prove certe non superano, come epoca, l’Alto Medioevo ed è necessario attendere oltre un millennio per poter avere altri riscontri sulla presenza e la diffusione del flauto traverso in Europa.

1.3 - Il Medioevo La mancanza di prove iconografiche fa ritenere che il flauto traverso si sia realmente estinto nell’area del Mediterraneo in epoca antica; la sua ricomparsa è avvenuta in un’area geografica diversa, al centro dell’Europa, probabilmente importato a seguito dell’immigrazione di popoli provenienti dall’est asiatico. La prima testimonianza moderna della diffusione del flauto traverso in Europa è un’immagine raffigurante alcune sirene che ammaliano dei marinai con il canto, il flauto e l’arpa, contenuta nel codice dell’Hortus deliciarum, opera redatta a Strasburgo intorno alla metà del sec. XII (fig. 1).2 Lo strumento era inizialmente in bambù, materiale importato dall’Oriente, ma ben presto fu utilizzato il legno tornito ed anche l’argento, quantunque la definizione flahustes d’argent traversaines potrebbe riferirsi alle caratteristiche timbriche; il canneggio, come testimoniato dall’iconografia rinvenuta, sembra essere notevolmente più grande dell’attuale e la lunghezza all’incirca quella di un braccio. Il numero dei fori era principalmente di sei, soluzione che consente di ottenere una completa scala diatonica, ma si può ipotizzare che il numero di questi, all’inizio inferiore, sia aumentato con il miglioramento delle tecniche costruttive. Altro elemento da sottolineare è la postura che vede principalmente lo strumento tenuto trasversalmente a sinistra; la posizione dei fori, tutti allineati anche con il foro d’imboccatura, lascia supporre che fosse possibile suonare anche con la po-

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stura a destra, come nell’uso attuale. Nella costruzione sono utilizzati anche altri materiali quali ghiere ed anelli di rinforzo e fra un foro e l’altro possono essere presenti motivi ornamentali realizzati con fili arrotolati. Se è possibile desumere le caratteristiche tecniche dello strumento in epoca medievale osservando le immagini rinvenute, per quanto riguarda l’impiego ed il repertorio del flauto traverso, invece, si possono fare solo supposizioni. Si può ipotizzare un utilizzo in formazioni strumentali di accompagnamento per la danza come nella polifonia, insieme alle voci o in alternanza a queste, con altri strumenti come arpa e liuto (a corde pizzicate) o fidula e ribeca (ad arco). E’ documentato anche l’uso militare in associazione col tamburo.

1.4 - Il Rinascimento Dal Cinquecento le fonti divengono assai più numerose per varietà, quantità e qualità. Innumerevoli sono le rappresentazioni nell’arte figurativa, numerosissime le citazioni letterarie ed anche le opere teoriche dedicate alla musica ed agli strumenti del tempo. I più utili elementi di conoscenza pervenutici, però, sono le composizioni scritte specificatamente per il flauto traverso e gli strumenti in ottimo stato di conservazione che, in mancanza di esemplari medievali, rappresentano i più antichi flauti traversi rinvenuti in occidente. Gli strumenti sono realizzati in modo assai accurato e contemporaneamente sobrio, seguendo l’ideale di semplicità del tempo; sono di forma cilindrica all’interno ed hanno il profilo esterno che risulta leggermente a doppia conicità, con un lieve restringimento sia dal foro d’imboccatura verso l’estremità superiore che verso quella inferiore. Questa forma sembra essere scelta solo per motivi estetici, in quanto lo strumento si comporta, da un punto di vista acustico, come un tubo cilindrico aperto. Ad ornamento sono presenti ghiere di metallo, per impreziosire ed irrobustire le estremità, i materiali usati sono il legno (principalmente il bosso ma anche l’ebano, il ciliegio ed altri legni che si forano facilmente), l’avorio, il vetro e il cristallo. Sul corpo dello strumento sono aperti sei fori, allineati con il foro d’imboccatura, quest’ultimo è relativamente più piccolo rispetto agli strumenti attuali, circa otto millimetri, ed è di forma ovale; i fori coperti dalle

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dita sono di forma e grandezza variabile, frutto di un compromesso che teneva in conto le necessità relative all’intonazione, alla sonorità ed alla comodità d’uso. Lo sviluppo del flauto traverso avuto nel Cinquecento e nel Seicento è evidenziato soprattutto dal costituirsi di una completa famiglia di strumenti, differenti nelle dimensioni e nell’estensione ed in grado di suonare nei diversi registri. Questi flauti, seppur con caratteristiche e diapason differenti fra le differenti regioni, possono essere classificati in soprani, tenori e bassi ed utilizzati nella realizzazione delle diverse parti degli insiemi del tempo, solo strumentali o con l’aggiunta delle voci. Il più diffuso è il tenore, usato sia nelle parti superiori, superius e discantus, che in quelle intermedie, altus e tenor; il flauto traverso soprano ha una diffusione più limitata, essendo quasi mai usato, ad esempio, in Francia; il basso, solitamente costruito in due parti con un incastro che ne consentiva il montaggio, per la sua sonorità debole era spesso sostituito nella sua funzione da altri strumenti, in particolare la viola da gamba. Gli strumenti erano acquistati direttamente dalle corti, per l’alto costo e per la necessità di avere strumenti omogenei per intonazione; fra quelli conservati fino ad oggi di particolare interesse sono quelli della collezione della Accademia Filarmonica di Verona (fig. 2). Altro contesto assai comune è l’uso del flauto traverso in ambito militare, solitamente insieme con il tamburo, al seguito della fanteria. In numerose immagini dell’epoca questo duo è ritratto in prima linea, nel mentre di battaglie ed assalti per infondere coraggio nelle truppe o durante le marce per segnare il tempo.3 In epoca di pace il flauto traverso ed il tamburo facevano il loro ingresso a corte, per accompagnare le danze, i momenti di festa e le celebrazioni.

1.5 - Il Barocco Il flauto barocco, comunemente definito anche traversiere o flauto ad una chiave, è rimasto in auge fino oltre il Barocco musicale, agli albori del periodo classico. Il termine traversiere, usato in Italia fin dal settecento deriva dalla denominazione francese flûte traversière, mentre in Inghilterra la denominazione più comune era quella di german flute; dalla fine del Settecento il termine ‘flauto’ privo di specificazioni prese ad indicare il flauto traverso e non più il flauto dritto o flauto dolce. Padri dello strumento barocco vengono considerati gli Hotteterre,

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famiglia di costruttori di legni e strumentisti della corte di Luigi XIV in Francia, anche se probabilmente il flauto ad una chiave non fu il frutto dell’inventiva di un solo costruttore ma il risultato di una somma di esperimenti riferibili ad un più ampio ambiente musicale.4 Il flauto di Hotteterre è diviso il tre parti: la testata con cameratura cilindrica, il corpo di forma conica con restringimento verso la fine ed il piede, la parte terminale dello strumento, che ha una forma conica inversa rispetto al corpo; sullo strumento si aprono sette fori oltre quello d’imboccatura che è di forma rotonda e di circa 9 millimetri di diametro; il foro sul piede viene aperto con l’uso di una chiave chiusa per ottenere il re diesis/mi bemolle. Lo strumento può essere suonato sia tenendolo a destra che a sinistra, ruotando il piede per poter posizionare a piacere la chiave. Come il flauto rinascimentale anche quello barocco ha una linea che riflette il gusto del tempo, con un profilo più mosso creato da modanature che evidenziavano gli incastri delle diverse sezioni dello strumento (fig. 3). Altra importante novità fu che i flauti utilizzati non erano più di proprietà delle corti bensì del singolo strumentista, favorendo un rapporto sempre più stretto con lo strumento per una personalizzazione delle scelte estetico-sonore. Questo comportò la soluzione di un complesso problema legato all’intonazione in quanto, come già detto, il diapason utilizzato era differente fra le diverse aree geografiche. La scelta comune fu di suddividere il corpo del flauto in due parti e di rendere intercambiabile quella superiore, in modo da poter scegliere la lunghezza idonea per ciascuna intonazione richiesta; potevano contarsi fino ad otto corpi superiori di ricambio per lo scopo. Altri sistemi che vennero utilizzati furono la testata chiusa con un tappo a vite ed allungabile attraverso un elemento definito pompa di intonazione, la cui invenzione si fa risalire a Johann Joachim Quantz, e la lunghezza del piede modificabile attraverso una vite di registro che, invece, non incontrò troppi favori e fu presto in disuso.5 La diffusione del flauto traverso fu favorita dal grande successo che questo incontrò fra i dilettanti, con conseguente sviluppo sia dell’industria costruttiva che della produzione di metodi e musica dedicata. Contemporaneamente l’aumento dei pubblici concerti, con la partecipazione dei più validi strumentisti del tempo, promosse il flauto anche al di fuori delle corti, stimolando i compositori a produrre musica strumentale per organici fino allora insoliti e si affermò sempre di più

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l’usanza di trascrivere per flauto traverso, inserito in piccoli organici da camera, sia brani originariamente previsti per altri strumenti che le arie delle opere più note. Simbolo del flautismo di questa epoca fu senz’altro Quantz, grande concertista, didatta e teorico, compositore e costruttore di flauti.

1.6 - Il periodo classico Il periodo classico, convenzionalmente compreso fra il 1756, anno della nascita di Mozart, ed il 1827, anno della morte di Beethoven, è una fase di grandi trasformazioni in campo musicale. I cambiamenti storici, lo sviluppo dei commerci, il progresso industriale, i rivolgimenti politici della Rivoluzione Francese, avevano prodotto una borghesia che aveva ampliato i propri interessi artistici. La musica, che fino ad allora era stata praticata quasi esclusivamente all’interno delle corti, irrompe nella società civile, vengono organizzati concerti con scopi commerciali ed istituite scuole pubbliche per l’insegnamento musicale. I musicisti si trovano ad essere per la prima volta indipendenti e, pertanto, interessati alle varie attività legate alla musica: i concerti, l’insegnamento, l’attività editoriale, l’organizzazione degli eventi, la costruzione degli strumenti. Tutto questo fu favorito dall’enorme incremento del numero degli appassionati che praticavano musica, un gran numero dei quali scelse il flauto come strumento da suonare. Si crearono, perciò, le condizioni favorevoli per una produzione su scala industriale e non più artigianale, con una specializzazione dei compiti ed investimenti nei campi della ricerca e della sperimentazione. Il flauto ad una chiave, che aveva attraversato con grande successo l’intero periodo Barocco, fu trasformato per rispondere alle necessità del tempo di una maggiore facilità di utilizzo ed una migliore intonazione, necessaria per suonare in ogni tonalità. Il difetto più evidente, quello delle cosiddette posizioni a forchetta che alternano fori chiusi e aperti per l’ottenimento dei semitoni, fu risolto con l’apertura di ulteriori fori laterali, la cui chiusura era possibile con l’aggiunta di altre chiavi. La meccanizzazione del flauto iniziò nei laboratori presenti a Londra, con l’inserimento sullo strumento delle chiavi per ottenere i suoni fa, sol diesis e si bemolle, ed è per questo che questo modello venne chiamato comunemente flauto inglese; successivamente il nuovo flauto si diffuse in tutta Europa e vennero

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aggiunti altri fori ed altre chiavi per l’esecuzione di tutti i suoni senza l’utilizzo delle diteggiature a forchetta e per la semplificazione di alcuni passaggi quali i trilli. Gli strumenti erano estremamente differenti da regione a regione: per il numero e la forma delle chiavi, per l’estensione dello strumento (all’inizio ancora discendente al re e successivamente fino al do diesis ed al do), per i materiali utilizzati, per la forma e le dimensioni dei fori laterali e del foro d’imboccatura (fig. 4). Come è per qualsiasi innovazione, anche la meccanizzazione del flauto non fu immediatamente accettata da tutti; alcuni ritennero che la scarsa sonorità e la non precisa intonazione di alcune note ottenute sul flauto ad una chiave non fossero difetti bensì caratteristiche peculiari del suono dello strumento e non dovessero, quindi, essere eliminate. Con il tempo il flauto meccanizzato si diffuse generalmente e con caratteristiche tecniche simili nei diversi paesi; rimase in uso per tutto l’Ottocento con la definizione di “sistema semplice” o “vecchio sistema” finché, nel Novecento, non fu universalmente sostituito dal flauto “sistema Böhm”. Il miglioramento tecnico del flauto, ed in generale lo sviluppo dell’utilizzo degli strumenti a fiato nel periodo classico, incrementarono la produzione musicale specifica, spaziando dalle semplici composizioni per duo o trio, dedicate ai dilettanti, ai concerti per flauto ed orchestra che richiedevano grandi capacità virtuosistiche. Nelle orchestre trovarono spazio stabilmente flauti, oboi, corni, fagotti ed anche clarinetti ed era molto diffusa la letteratura per il quintetto di fiati comprendente le prime parti orchestrali. Nello stesso periodo lo sviluppo ed il successo fra i dilettanti di un altro strumento quale la chitarra, portò ad una fiorentissima letteratura in duo con il flauto, opera soprattutto di autori italiani.

1.7 - Il periodo romantico Lo sviluppo costruttivo avuto dal flauto nell’Ottocento lo portò ad essere lo strumento che oggi conosciamo; le nuove tecnologie e la possibilità di applicare nelle diverse fasi della lavorazione le novità sviluppatesi nel campo della ricerca resero il flauto ed in generale tutti gli strumenti a fiato somiglianti agli strumenti moderni. Questa fase di grande sviluppo stimolò anche l’invenzione di nuovi strumenti, come è il caso del sassofono di Adolphe Sax. Nei primi anni del secolo

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il flauto si presenta nella sua forma completamente meccanizzata, con l’apertura di nuovi fori laterali ed un sistema di chiavi complesso. Fra i costruttori più rappresentativi di quest’epoca si possono senz’altro citare gli Ziegler di Vienna, prima il padre Johann e poi il figlio Johann Baptist, attivi a Vienna ed in grado di produrre circa diecimila strumenti l’anno; questo grande successo fece sì che il flauto meccanizzato “vecchio sistema” fu conosciuto per tutto l’Ottocento anche come flauto Ziegler.6 La storia del flauto è indirizzata in modo determinante dall’opera del flautista e costruttore Theobald Böhm, che brevettò due nuovi strumenti nel 1831 e nel 1847 partendo dall’idea di una foratura laterale dello strumento che prevedesse un foro per ciascuna nota, con le aperture intervallate da distanze omogenee fra loro, arrivando a realizzare un sistema completamente cromatico. Se il primo brevetto mantenne un evidente legame con gli strumenti in uso, il secondo è assolutamente rivoluzionario, con il corpo dello strumento di forma cilindrica e costruito solitamente in argento, con fori laterali molto ampi ed una meccanica di chiusura nuova e più razionale, per la quale era necessario utilizzare una diteggiatura differente da quella fino ad allora in uso. Come ogni novità anche il sistema Böhm non fu immediatamente ed universalmente accettato e fino ai primi decenni del Novecento furono ancora usati flauti con il vecchio sistema, poi definitivamente accantonati (fig. 5). Lo sviluppo della musica anche in senso commerciale, i sempre più numerosi concerti proposti, i nuovi strumenti che consentivano un virtuosismo più sviluppato, fecero emergere un gran numero di solisti affermati che con il loro esibirsi dal nord al sud dell’Europa favorirono ancora di più la diffusione del flauto. Fra questi i più noti furono, oltre a Böhm, Luis Drouet, Charles Nicholson, Jean-Louis Tulou, Kaspar e Anton Bernhard Fürstenau ed in Italia Giulio Briccialdi. Gli strumenti a fiato entrarono in modo stabile nelle orchestre, presenti in tutta la loro varietà ed in più esemplari per ciascuna specie, il flauto assunse un’importanza paragonabile a quella del primo violino con cui condivideva il ruolo di voce principale. Il periodo romantico è anche il momento in cui si consolidano le scuole strumentali, sia da un punto di vista istituzionale che artistico. Le scuole pubbliche, sorte nel secolo precedente, rappresentano i luoghi dove si codificano tecnica e prassi esecutiva, arrivando a definire compiutamente la cifra stilistica del flauti-

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smo in ogni paese; vengono adottate metodologie specifiche e strumenti con precise caratteristiche tecniche, favorendo in questo modo il successo commerciale di un modello rispetto ad un altro.

1.8 - Il Novecento Tanto fu rivoluzionaria la trasformazione del flauto nell’Ottocento quanto fu stabile nelle sue caratteristiche principali durante il Novecento, dopo i primi decenni del quale il flauto sistema Böhm raggiunse una diffusione ed un utilizzo pressoché universali. Alcune innovazioni della meccanica erano ormai presenti su tutti i modelli, come la leva del si bemolle ideata da Briccialdi o l’uso del sol diesis chiuso; altre se ne aggiunsero come il mi snodato per la facilitazione dell’emissione della nota sulla terza ottava, la chiave per il trillo sol-la acuti ed il piede discendente al si. La ricerca si è occupata del miglioramento dei materiali costruttivi con l’obiettivo di raggiungere la massima durezza possibile della lega utilizzata, aggiungendo all’argento o all’oro altri metalli in grado di indurirne la consistenza, come il rame. Riguardo il percorso di ricerca sui materiali e la relazione che questi hanno sempre avuto con le caratteristiche sonore, assolutamente simbolico è il brano Density 21.5 composto da Edgar Varèse specificatamente per essere suonato con un flauto di platino prodotto da Verne Powell nel 1932.7 Comune fu anche la produzione di flauti in legno (di ebano, cocco o bosso) con cameratura cilindrica e sistema delle chiavi Böhm, che consentono di ottenere un suono particolarmente adatto per l’esecuzione di letteratura rinascimentale e barocca con la facilità e la perfezione di uno strumento evoluto. Le moderne tecnologie hanno consentito la produzione dei tubi secondo il sistema dell’estrusione e non più della lavorazione di una lastra successivamente saldata, tecnica che consente di ottenere strumenti più resistenti e maggiormente equilibrati nel suono. In alcuni casi le modifiche adottate hanno riguardato soluzioni già adoperate in passato, è il caso dei caminetti dei fori che nei flauti moderni di maggiore qualità sono saldati e non più estrusi dal tubo, come avveniva nel recente passato, della foratura laterale in linea e non più anatomica e dei piattelli forati come avveniva già per i flauti francesi della fine dell’Ottocento.

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Caratteristica fondamentale della produzione flautistica del Novecento fu la fusione delle diverse scuole nazionali in un’omogenea prassi esecutiva i cui confini travalicarono quelli dei singoli paesi, affermando come ideale di suono quello francese e, per quanto riguarda lo strumento, i modelli prodotti dal notissimo artigiano Luis Lot. Il flauto si affermò come il protagonista dell’Impressionismo musicale e per il livello tecnologico raggiunto e le possibilità esecutive si elevò al ruolo di solista in registri nella gamma dal grave al sovracuto.

1.9 - Il flauto traverso ai nostri giorni A 160 anni dal brevetto del 1847 il flauto Böhm è oggetto continuo di studi ed aggiornamenti da parte dei costruttori di tutto il mondo, il cui livello di ricerca e di perfezione tecnica ha raggiunto livelli inimmaginabili fino a pochi anni fa. La spinta per questi continui miglioramenti va ricercata nella necessità di produrre strumenti sempre più equilibrati, in grado di suonare con la massima escursione dinamica in tutti i registri, sempre più intonati e con un attacco del suono il più possibile pronto. Questo è necessario sia perché il flauto possa stare al pari con gli altri strumenti, anch’essi sempre più perfezionati ed in grado di avere una sonorità più ampia che in passato, e sia per le dimensioni delle stesse sale da concerto, sempre più grandi ed in grado di accogliere un numero sempre maggiore di ascoltatori. L’attenzione massima, oggi, è rivolta alla produzione delle testate, con l’utilizzo di leghe metalliche in cui trovano posto non più solo l’argento e l’oro, ma anche metalli costosi o inusuali quali il platino, il palladio, il titanio. La forma del foro d’imboccatura, la profondità del pozzetto e il disegno della boccoletta vengono ideati e realizzati con grande attenzione in modo da rispondere alle esigenze più particolari degli esecutori. Anche la progettazione e l’utilizzo di nuove chiavi nella meccanica fa sì che i flauti moderni siano sempre più personalizzabili per le proprie necessità esecutive. Una delle più avveniristiche soluzioni è quella del flauto in fibra di carbonio, il materiale che coniuga la massima durezza con la massima leggerezza (fig. 6). Questo strumento, dal peso di soli 26 grammi, contiene innovazioni meccaniche particolarmente interessanti: le molle sono sostituite da magneti che si attraggono

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o si respingono a seconda se debbono sottintendere al funzionamento di chiavi chiuse o aperte e le stanghe di sostegno sono disposte in modo ergonomico, sul lato interno per le chiavi utilizzate con la mano sinistra e su quello esterno per quelle mosse dalla destra. Il flauto in fibra di carbonio, ideato dal finlandese Matti Kähönen, è stato prodotto già in alcuni prototipi, utilizzati sia in registrazioni discografiche che concerti.8 Da un punto di vista compositivo lo strumento è sempre più messo alla prova, l’ideale di omogeneità e purezza del passato ha lasciato il posto ad un suono del flauto con uno spettro di possibilità più ampio e diversificato, utile per tutte le esigenza della musica contemporanea. La forza e l’aggressività richiesta hanno fatto sì che si sviluppassero nuove tecniche come la possibilità di ottenere suoni doppi e tripli, l’humming o ‘suono cantato’ e tutte le possibilità connesse all’uso di un microfono per l’amplificazione del suono e dell’interazione con effetti di concezione analogica e digitale.

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2 – L’opera di Theobald Böhm

“Ma se a taluno a’ dì nostri venisse l’idea di produrre composizioni in la, re bemolle, si o fa diesis sur un flauto ad una chiave, l’uditorio sarebbe probabilmente dell’opinione di Mozart che interrogato: Che cosa vi fosse di peggio di un flauto, rispose: Due flauti.” (Theobald Böhm)9

2.1 – La vita Theobald Böhm (1794-1881) nacque a Monaco di Baviera (fig. 7). Il grande talento per la musica e la dedizione dimostrata per questa disciplina lo distolsero presto dall’attività inizialmente intrapresa, quella di orafo e gioielliere nel laboratorio del padre. Originariamente autodidatta, Böhm fu allievo di Johann Nepomuk Capeller, flautista della corte monacense, con il quale fece anche le prime esperienze nel campo della costruzione di strumenti. Iniziò ben presto l’attività orchestrale, prima al Teatro Isartor di Monaco e successivamente, nel 1818, con un incarico stabile nell'orchestra della Cappella Reale di Monaco. Studiò composizione e orchestrazione ed iniziò l’attività di solista, eseguendo proprie composizioni ed esibendosi in tutta Europa, ricevendo ovunque grandi apprezzamenti dal pubblico e dalla critica. In questo periodo Böhm suonò su flauti costruiti da lui stesso e con il sistema di chiavi allora in uso. Nel 1828 aprì un proprio laboratorio per la produzione di strumenti e nel 1831, durante una tournée che lo portò in Francia ed a Londra, incontrò William Gordon, flautista dilettante anche lui interessato a modifiche innovative per il flauto, e Charles Nicholson, uno dei più noti solisti dell’epoca, che lo impressionò per la grande forza del suono favorita da uno strumento con foratura laterale molto ampia. Queste esperienze indussero Böhm a progettare un proprio flauto, con fori per le dita più grandi, posizionati in modo razionale lungo il tubo e controllati da un sistema di chiavi innovativo. Dopo una serie di ulteriori modifiche lo strumento venne brevettato nel 1832, fu messo in

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produzione ed incontrò presto il favore del pubblico. Lo stesso sistema di chiavi fu utilizzato da Auguste Buffet anche per il clarinetto. Negli anni successivi gli interessi di Böhm si indirizzarono verso campi totalmente diversi: progettò un sistema innovativo per la disposizione delle corde del pianoforte, si occupò di metallurgia conseguendo brevetti relativi a nuovi metodi estrattivi e di raffinamento del ferro, ottenne incarichi e riconoscimenti ufficiali, entrò nella Società Politecnica Reale e nel 1839 gli venne conferito il titolo di Cavaliere di Prima Classe dell'Ordine Bavarese del Merito di San Michele. Queste nuove attività lo impegnarono al punto da costringerlo a trascurare il concertismo, le sue apparizioni pubbliche divennero molto rare e nel 1839 chiuse il laboratorio flautistico. Böhm tornò a occuparsi a tempo pieno della costruzione di flauti nel 1846 e l'anno successivo aprì un nuovo laboratorio. Attraverso un metodo più scientifico, e ristudiando i principi acustici fondamentali dello strumento, nel 1847 progettò un nuovo e rivoluzionario tipo di flauto con il corpo cilindrico e la testata conicoparabolica. Lo strumento fu subito brevettato e messo in produzione. Per promuoverlo e dimostrarne la qualità, scrisse un opuscolo in cui illustrava le caratteristiche tecniche peculiari del flauto da lui progettato, Della costruzíone dei flautí e de’ più recenti miglioramenti alla medesima,10 pubblicato in tutta Europa ed uscito in Italia per la Ricordi. Altri lavori editoriali furono la pubblicazione dello Schema per calcolare la disposizione omogenea dei fori nel flauto e negli altri strumenti a fiato, il volume Il flauto nei suoi aspetti acustici, tecnici e artistici11 e diverse composizioni e raccolte di studi specifici per il nuovo strumento. Lo straordinario successo del flauto di Böhm è testimoniato dal fatto che, dopo oltre un secolo e mezzo di storia, questo appare inalterato nei suoi principi costruttivi fondamentali ed è divenuto, per la diffusione universale che ha raggiunto, sinonimo del flauto traverso stesso.

2.2 – Il brevetto del 1832 Il modello del 1832 rappresentò un’importantissima novità per i flautisti dell’Ottocento. Il merito principale di Böhm fu quello di raccogliere tutte le più importanti novità tecniche, gia comunque in uso, ed inserirle in uno strumento

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progettato in modo razionale. Il principio di una foratura laterale cromatica, in cui le aperture siano disposte in modo omogeneo sullo strumento, era stata già illustrata nel 1800 da Johann George Tromlitz nel suo trattato sul flauto a più chiavi e successivamente il reverendo Frederick Nolan brevettò un modello di flauto dotato di chiavi ad anello, ossia quei dispositivi che consentono la chiusura di due fori con l’azione di un solo dito. Queste innovazioni contengono i principi fondamentali che saranno alla base del progetto del primo modello di flauto Böhm, ossia il definitivo passaggio ad una foratura cromatica e non più diatonica, l'uso di fori di dimensione omogenea, la loro disposizione acusticamente corretta lungo il tubo e la possibilità di controllare più fori attraverso le chiavi ad anello, con una meccanica che consentiva l’utilizzo di una diteggiatura assai simile a quella moderna e senza il continuo ricorso alle posizioni a forchetta (fig. 8). Questo modello di flauto, nonostante gli indubbi miglioramenti, manteneva tuttavia un forte legame con gli strumenti già in uso, era di legno, aveva una testata con cameratura cilindrica ed un corpo con conicità inversa ed i fori, seppur di dimensioni maggiori rispetto agli altri flauti, erano notevolmente più piccoli al confronto dei flauti moderni, poiché essi erano ancora chiusi direttamente con i polpastrelli e non, come fu successivamente, attraverso dei piattelli. L’obiettivo seguente fu quello di far conoscere e apprezzare lo strumento, cercando di convincere flautisti e costruttori della bontà e della praticità delle nuove soluzioni. Böhm iniziò così a insegnare e a suonare in pubblico esclusivamente con il nuovo modello, esibendo il suo flauto nei centri più importanti. A Londra lo strumento trovò subito estimatori nei flautisti John Clinton e Richard Carte e nei costruttori Gerock & Wolf e in seguito in Rudall & Rose. I rapporti tra il costruttore tedesco e Gordon, iniziati a Londra nel 1831 e proseguiti cordialmente e fattivamente nel laboratorio di Monaco, diedero vita nell'Ottocento a una controversia riguardante la paternità dell'invenzione della meccanica Böhm. Successivamente, sulla base di una ricca documentazione, si riconobbe l'onestà morale di Böhm. Né egli, né Gordon si dichiararono mai propriamente inventori del principio delle chiavi ad anello ed i meriti di ciascuno riguardano, invece, lo sviluppo di un sistema meccanico razionalmente concepito.12

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2.3 – Il brevetto del 1847 Tanto lo strumento proposto nel 1832 era nel solco della tradizione quanto quello del 1847 fu rivoluzionario ed innovativo. Böhm riprese l’attività di costruttore di flauti nel 1846 con un rigore scientifico mai avuto in precedenza; per comodità usò per i suoi esperimenti alcuni tubi di vetro di forma cilindrica, all’interno dei quali, con l’utilizzo di sabbia molto fine, poteva verificare le caratteristiche del flusso d’aria all’interno dello strumento e stabilire i punti più idonei dove aprire i fori laterali. Questa ricerca avvenne in modo ancor più sperimentale, attraverso l’utilizzo di un corpo dotato di fori mobili, assemblato con diverse sezioni di tubo dotate di incastri telescopici; questo gli consentì di calcolare, anche ad orecchio, la giusta posizione di ciascun foro ed ottenere una perfetta foratura cromatica. Questa soluzione di tipo matematico-proporzionale fu poi sintetizzata nello Schema del 1862; la foratura laterale proposta da Böhm risulta essere, ad un esame che utilizzi gli strumenti di cui ora disponiamo, leggermente crescente sulle note più prossime alla boccoletta ed è plausibile che queste venissero corrette attraverso una particolare tecnica di imboccatura; per ovviare a questo difetto la distanza dei fori è stata ricalcolata da Albert Cooper negli anni settanta del Novecento ed in seguito anche da altri costruttori. Il nuovo flauto aveva il corpo cilindrico, era discendente al do centrale e la conicità presente nel corpo dei flauti precedenti, necessaria all'intonazione delle armoniche, era spostata in corrispondenza della testata, eleborata con un lieve disegno parabolico; così la struttura del tubo dello strumento diveniva esattamente l'inverso rispetto a quella dei flauti precedenti.13 Lo strumento era costruito in metallo, solitamente argento (anche se negli ultimi anni della sua vita Böhm ritornò ad usare flauti in legno) e l’ampio corpo cilindrico consentiva di ingrandire ulteriormente i fori laterali per dare maggior potenza al suono. I fori più ampi richiesero che dalle chiavi ad anello si passasse a quelle a piattello pieno per consentirne la perfetta chiusura; tutto il meccanismo delle chiavi fu realizzato in modo ancor più razionale, incernierandole su due lunghe stanghe poste sul lato interno dello strumento. Come già detto la promozione del nuovo strumento fu organizzata con grande attenzione dal suo ideatore, a Parigi Böhm concesse i diritti in esclusiva a Clair

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Godefroy ed al suo socio Louis Lot, che in seguito divenne il più rinomato costruttore di flauti francese; a Londra il flauto Böhm venne messo in produzione da Rudall & Rose, presso il cui laboratorio diversi flautisti elaborarono successive migliorie meccaniche, tra questi Giulio Briccialdi che nel 1849 inventò la leva del si bemolle oggi universalmente adottata. Lo strumento venne premiato all'Esposizione Universale di Londra (1851) e di Parigi (1855); in quest'ultima vennero premiati anche un oboe e un fagotto costruiti da Triébert con sistema di chiavi Böhm. E’ importante ricordare anche l’interesse di Böhm per le taglie più gravi della famiglia del flauto, per le quali scrisse diverse composizioni.

2.4 – La diffusione del flauto Böhm La diffusione del flauto cilindrico alla Böhm fu favorita da quella del suo diretto precursore, il flauto conico. Basti pensare a quanto avesse contato l’adozione già nel 1838 presso il Conservatorio di Parigi, la maggiore istituzione musicale francese, del primo modello di flauto che Böhm brevettò. Questo fatto si rivelerà in seguito uno dei motivi principali per l’espansione universale del ben più rivoluzionario modello brevettato nel 1847. Infatti, il flauto Böhm cilindrico entrò per la prima volta nelle aule di un Conservatorio proprio a Parigi, per decisione di Louis Dorus, nel 1860. Alfiere principale della scuola francese, grande solista e didatta, Marcel Moyse (1889-1984) diede l’esempio di cosa si potesse ottenere con i flauti moderni, ossia un suono espressivo, potente e dalle molteplici sfumature, una grande precisione nell’intonazione, nello staccato e nella tecnica digitale. In Germania, fino all'inizio del Novecento, era ancora utilizzato il flauto conico ‘vecchio sistema’ in legno, esempio di un diffuso ostracismo nei confronti del flauto cilindrico di Böhm; in seguito non venne acquisita la fattura francese ma fu trasferita sugli strumenti che venivano prodotti l'estetica e la tradizione costruttiva tedesca, flauti in legno con spesse pareti del tubo e un massiccio meccanismo di chiavi; la fattura tedesca è riconoscibile anche sui flauti di metallo, come quelli di Philipp Hammig, prodotti in Germania sin dagli anni trenta, e successivamente del nipote Johannes Hammig. Gustav Scheck (1901-1983), che sarebbe diventato il flautista forse più influente di questo secolo in Germania, provò un grande apprezzamento per la scuola francese; non amando una sonorità grossa e pesante, ed

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ispirandosi al modello di suono di Moyse, negli anni venti si procurò un flauto Louis Lot, maturando un suono più pronto, cantabile e intenso, con un vibrato stretto, che ottenne molti consensi anche nell'orchestra dell'Opera di Amburgo, dove era primo flauto. In Italia, nel periodo della comparsa del flauto Böhm, Giulio Briccialdi (18181881) era una delle personalità più autorevoli e stimate in campo flautistico internazionale; a lui Theobald Böhm fece omaggio del primo esemplare prodotto del nuovo flauto (fig. 9), con l’intenzione di far diventare il flautista italiano il principale ambasciatore per la diffusione del suo strumento in Europa. Briccialdi, che del flauto cilindrico apprezzava sicuramente l’ampia sonorità e la più facile intonazione, trovò difficoltà a familiarizzare con il nuovo sistema di diteggiatura; dopo alcuni mesi di tentativi decise di recarsi a Londra dai costruttori Rudal & Rose, concessionari per l’Inghilterra del flauto Böhm, ed insieme ad altri flautisti sperimentò alcune soluzioni alternative riguardo la meccanica, fra le quali la leva del si bemolle, tutt’ora in uso sugli strumenti moderni. Briccialdi arrivò a progettare un personale tipo di flauto, con cameratura cilindrica ma con una meccanica che consentisse l’utilizzo della vecchia diteggiatura, che brevettò nel 1869. Questo strumento fu adottato ufficialmente dal Reale Istituto Musicale di Firenze nel 1874 e venne prodotto anche a Napoli. La diffusione del flauto sistema Briccialdi fu contrastata da tutti coloro che in Italia erano convinti della supremazia del sistema Böhm, polemica che raggiunse più volte le pagine della stampa specialistica; dopo la morte di Briccialdi, avvenuta nel 1881, il suo flauto rimase in uso fino ai primi decenni del Novecento.14

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3 – Lo sviluppo della letteratura flautistica

“Non è un pifferaio, e non si deve vivere continuamente nel timore che prenda la nota successiva troppo alta o troppo bassa d’intonazione; la prende sempre giusta; il suo cuore ed il suo orecchio sono ottimi, come il suo colpo di lingua, sempre corretto. Egli non pensa che soffiare e gesticolare sia tutto ciò che è necessario; sa anche cosa significa Adagio.” (Dalla lettera di Mozart al padre Leopold a proposito del flautista Johann Baptist Wendling - Mannheim 1763)15

3.1 – A. Vivaldi, J.S. Bach e J.J. Quantz Le caratteristiche tecniche del flauto, dopo la trasformazione che ne modificò la struttura da tre a quattro parti, rimasero generalmente stabili fino alla metà del Settecento. Lo strumento perse gradualmente gli elementi estetici che avevano caratterizzato i flauti del primo Barocco e si presentava con una linea più sobria che in passato; inoltre, la possibilità di utilizzare corpi superiori di ricambio favoriva una corretta intonazione e consentiva di suonare anche in tonalità che precedentemente potevano risultare poco accessibili. Tuttavia, si era ancora lontani da una standardizzazione ed ogni costruttore utilizzava varianti estetiche e soluzioni personali riguardo il diapason, le dimensioni della cameratura interna, la forma del foro d’imboccatura, lo spessore del tubo, il materiale utilizzato. L’interesse per il flauto traverso da parte di Antonio Vivaldi iniziò negli anni venti del Settecento, la sua produzione è esaltata anche da Quantz che indica il compositore veneziano come il progenitore della forma concerto, elargendogli grandi apprezzamenti per la maestà e la vivacità della scrittura. Vivaldi, in sintonia con i cambiamenti morfologici dello strumento avvenuti in quel tempo, scrisse una gran quantità di composizioni per flauto fra cui spicca l’Opera n. 10, sei concerti per flauto ed orchestra fra cui quelli a tema, Il cardellino, La notte e La tempesta di mare, sono fra le pagine più significative della letteratura flautistica del tempo, anche per l’alto livello virtuosistico richiesto all’esecutore.

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Johann Sebastian Bach fu mosso da un grande interesse nei confronti del flauto e lo mise alla prova in forme e scritture insolite; attraverso i contatti con i flautisti del tempo, fra i quali lo stesso Quantz, acquisì una perfetta conoscenza dei limiti e delle caratteristiche dello strumento, per il quale scrisse pagine indimenticabili. La Partita in La minore (BWV 1013) è forse l’emblema di questa grande e importante produzione, una scrittura del tutto eccezionale per l’epoca sia per le capacità tecniche richieste che per l’estensione, con la conclusione dell’Allemande sul la acuto. Che Bach provasse una grande passione per le qualità espressive del flauto è dimostrato non solo dalla letteratura strumentale ma anche dalla rilevante presenza che lo strumento ha nella produzione sacra; al flauto è affidata, infatti, la realizzazione degli affetti indotti dai testi sacri, come nella Passione secondo Matteo (BWV 244). Gli strumenti di riferimento erano, ovviamente, di fattura tedesca, avevano una sonorità scura ed adatta alla tessitura medio-bassa tipica della produzione bachiana ma erano anche adatti, come suddetto, a raggiungere le note del registro più acuto. Come fu per Böhm nel secolo successivo, Johann Joachim Quantz integrò la sua attività artistica con quella di costruttore di flauti, attraverso la quale perfezionò lo strumento secondo le sue necessità e con l’obiettivo di raggiungere il suo ideale sonoro, che voleva chiaro, penetrante, ampio, rotondo, maschio e tuttavia piacevole. Per ottenere questo risultato i suoi flauti avevano un’ampia cameratura interna ed erano principalmente costruiti in ebano. La produzione artistica di Quantz fu vastissima: oltre cinquecento composizioni, soprattutto concerti dedicati al flauto. Fu didatta di grande fama ed ebbe fra i suoi allievi, per oltre vent’anni, Federico II di Prussia che gli assicurò la libertà necessaria per sviluppare appieno le proprie idee musicali e trascriverle nel suo celebre trattato Saggio di un metodo per suonare il flauto traverso, pubblicato nel 1752.16

3.2 – W.A. Mozart e il flauto Nella seconda metà del Settecento gli strumenti a fiato ebbero tutti un notevole sviluppo tecnico e guadagnarono in importanza, sia per il cambiamento avvenuto nell’ideale sonoro che per la necessità di una espressività più pregnante e differenziata. Nelle orchestre i fiati crebbero di numero ed il loro ruolo era divenuto

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sempre più rilevante. In particolare la comparsa di una coppia di clarinetti, al fianco di flauti, oboi, corni e fagotti, si rivelò un mezzo prezioso per dare più equilibrio alla sezione e per assicurare all’intera orchestra una migliore omogeneità timbrica. Dopo aver ascoltato a Mannheim il celebre organico del principe Karl Theodor, Wolfgang Amadeus Mozart fu conquistato dall’effetto prodotto da una sezione completa di strumenti a fiato e questa si rivelò un’esperienza fondamentale per la sua formazione musicale.17 Il primo frutto di questo incontro fu la Sinfonia Concertante K297b, scritta per flauto, oboe, corno e fagotto, che purtroppo non fu mai eseguita in pubblico. Fra i solisti a cui la Sinfonia fu dedicata c’era Johann Baptist Wendling, flautista di grande prestigio che fece accantonare a Mozart la sua nota antipatia per il flauto. L’ostracismo del grande compositore per lo strumento è da ricercarsi nelle sue limitate possibilità tecniche piuttosto che in uno scarso apprezzamento della sonorità e delle capacità espressive; fino alla seconda metà del Settecento il flauto si presentava solitamente con le caratteristiche costruttive che aveva nel Barocco, con una sola chiave e la necessità dell’uso delle posizioni a forchetta per l’emissione dei semitoni, con la conseguenza di una scarsa omogeneità timbrica e di una intonazione precaria. L’evoluzione tecnica che il flauto ebbe in quel periodo, lo sviluppo della meccanica con la conseguente semplificazione della diteggiatura e la possibilità di suonare con maggiore facilità ed intonazione nelle diverse tonalità, indussero Mozart a comporre pagine importanti anche per il flauto, quali il Concerto in sol maggiore K313 per flauto ed orchestra, quello in re maggiore K314, l’Andante in do maggiore K315 ed il Concerto in do maggiore K299 per flauto, arpa ed orchestra, oltre una gran varietà di altre composizioni per flauto ed organici misti. Mozart fece uscire gli strumenti a fiato dall’ambito di una musica disimpegnata e dedicata soprattutto all’intrattenimento per inserirli a pieno titolo nel mondo della musica più prestigiosa, solitamente riservata agli archi ed al pianoforte.

3.3 – Il flauto ed i compositori romantici Il Romanticismo nasce con una nuova consapevolezza nell’uso degli strumenti ed un considerevole sviluppo delle discipline dell’orchestrazione e della strumentazione; questo portò gli strumenti a fiato a non essere più rappresentativi soltanto

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di affetti specifici ma ad essere utilizzati per una grande varietà di altre soluzioni ed il flauto, in particolare, fu adoperato estendendone i limiti fino ad allora prestabiliti per quanto riguarda la tessitura e la gamma sonora. La scrittura romantica fece grande uso della modulazione come funzione espressiva, attraversando ognuna delle tonalità possibili, e questo rese sempre più indispensabile una completa meccanizzazione che fosse in grado di supportare una foratura laterale cromatica. Il miglioramento dello strumento procedette di pari passo con l’affermazione della figura del ‘virtuoso’, vennero stampate una gran quantità di raccolte di studi che rappresentarono un vero banco di prova nell’apprendimento delle nuove diteggiature; ovunque furono prodotte e brevettate innovazioni tecniche, con una grande rivalità fra i costruttori e un grande fermento fra gli esecutori, che dibatterono animatamente su quale fosse il sistema da preferire. Il repertorio ottocentesco è profondamente influenzato dai flautisticompositori, con la produzione di molta letteratura ‘di bravura’, opere originali o trascrizioni di temi d’opera che esaltavano le capacità dei concertisti. Nelle composizioni per orchestra degli autori più importanti il flauto ha un ruolo di primo piano, con frequenti ‘soli’ che impreziosiscono il repertorio lirico e sinfonico. Lo strumento, utilizzato solitamente nel registro medio-acuto, riceve una grande spinta al progresso tecnico proprio dalle nuove necessità interpretative, con l’emissione di suoni mai toccati prima come il do e il do diesis sovracuti, ad esempio in Brahms e Richard Strauss, fino ad arrivare al grande virtuosismo richiesto da Mendelssonh. Il registro grave venne esplorato maggiormente nella seconda metà del secolo, nell’ambito di una più evoluta ricerca dei colori, ed esempi indimenticabili si trovano nella produzione di Mahler, Rimskij-Korsakov, Bizet. In Italia il repertorio ottocentesco ebbe caratteristiche simili al resto d’Europa, nell’orchestrazione delle opere di autori quali Rossini, Donizetti, Bellini e poi Verdi al flauto è affidato un ruolo assai importante, con l’utilizzo di effetti nuovi come il tremolo, per il quale nascerà una vera e propria moda compositiva. Fra i flautisti-compositori, autori di uno sterminato numero di opere, i più importanti furono Raffaello Galli, Emanuele Krakamp, Giuseppe Roboni, Luigi Hugues, Ernesto Koehler e moltissimi altri, oltre il già citato Briccialdi. Questo grande fermento portò alla pubblicazione di un’imponente mole di studi, metodi, duetti e variazioni su temi popolari.18

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3.4 – Il flauto nell’Impressionismo Pur restando sostanzialmente immutato nelle sue caratteristiche organologiche, il flauto nel Novecento ha acquisito ulteriori possibilità timbriche ed è stato utilizzato stabilmente in tessiture e con dinamiche fino ad allora inusuali ed in nuove atmosfere, come quelle più indefinite e liquide dell’Impressionismo o quelle più fredde e formali dell’Espressionismo. L’evento simbolico a cui si fa risalire l’inizio del Novecento musicale è la prima esecuzione del Prélude à l’après-midi d’un faune di Claude Debussy, avvenuta il 22 dicembre 1894. Il flauto diviene il protagonista della scena musicale, capace di emergere anche se usato nel registro grave e di imporsi su un’orchestra di grandi dimensioni. Inoltre, l’associazione dello strumento al dio Pan ne arricchisce l’aspetto immaginifico, influenzando i compositori legati all’Impressionismo ed assegnando al flauto una potenzialità solistica che nel romanticismo non gli era appieno riconosciuta. La quantità della letteratura flautistica francese è enorme e non c’è autore importante che non abbia scritto per il flauto. Il ruolo di Debussy è assolutamente determinante, con Prelude che apre una nuova epoca e con Syrinx, per flauto solo, che rappresenta una sorta di manifesto delle possibilità espressive dello strumento, con una scrittura idiomatica che affascina in modo ineguagliabile per la sonorità scura ed intensa del registro grave. Altri compositori di grande importanza legati al movimento impressionista, che scrissero per flauto, furono Cecile Chaminade, Henri Dutilleux, Gabriel Fauré, Jaques Ibert, Maurice Ravel. La scuola francese rappresenta un punto di riferimento fondamentale anche per quanto riguarda l’educazione musicale, al Conservatorio Superiore di Parigi, la più importante istituzione didattica del paese che fino al 1945 ha avuto una sola classe di flauto, hanno insegnato flautisti del calibro di Paul Taffanel, Philippe Gaubert, Marcel Moyse, Jean-Pierre Rampal.19 Nel resto dell’Europa l’appartenenza all’Impressionismo deve intendersi in modo assai più sfumato ed i suoi insegnamenti furono acquisiti in modo senz’altro più personale da ciascun compositore. Per l’attività didattica e concertistica, fra i flautisti, in Germania sono da ricordare Gustav Scheck e Auréle Nicolet e in Italia Arrigo Tassinari ed il suo più famoso allievo, Severino Gazzelloni.

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3.5 – Il flauto nella musica contemporanea Il flauto occupa un grande spazio nella produzione di musica contemporanea. Le caratteristiche tecniche dello strumento, nel suo aspetto più evoluto, la grande agilità data dal corpo in metallo leggero e filante, la meccanica assolutamente funzionale, la possibilità di ottenere sonorità particolari quali i doppi e tripli suoni o l’humming (l’effetto che si ottiene doppiando con la voce le note prodotte) hanno fatto sì che il flauto si confermasse come strumento protagonista della scena musicale anche nella seconda metà del Novecento. Nelle opere dedicate allo strumento trovano spazio anche tecniche quali il soffio, il frullato, l’effetto percussivo prodotto attraverso i piattelli e tutta una gamma di nuove possibilità, ottenibili in modo efficace soprattutto per le qualità e le caratteristiche dei flauti moderni. La ricerca sonora si è estesa ampliando l’orizzonte del possibile, prevedendo dinamiche estreme in ogni registro ed utilizzando anche i diversi strumenti della famiglia, soprattutto l’ottavino, il flauto in sol ed il flauto basso. Fra i compositori un ruolo di primo piano lo hanno avuto gli italiani, con Luciano Berio, Alfredo Casella, Franco Donatoni, Domenico Guaccero, Bruno Maderna, Luigi Nono, Goffredo Petrassi e molti altri ancora, a testimoniare il grande interesse e la grande attenzione che il flauto suscitò fra gli autori della nuova musica. Anche nel resto del mondo la sperimentazione di moltissimi artisti ha ricercato il limite estremo delle possibilità tecniche del flauto e su quel confine ha fissato i presupposti di una nuova estetica, che non si è basata più soltanto sull’ideale di omogeneità e purezza ma su una diversa e più articolata ricerca timbrica. La Sequenza per flauto scritta da Berio è uno dei brani più noti della letteratura musicale contemporanea, fu edita nel 1958 e dedicata in stampa, come moltissime altre composizioni di quel periodo, a Severino Gazzelloni (1919-1992) che ha stimolato come pochi altri artisti la vena di compositori europei, americani ed asiatici. Gazzelloni attualizzò la figura del virtuoso ottocentesco e fu in grado di imprimere al repertorio flautistico una svolta decisiva nella direzione della ricerca linguistica e della sperimentazione compositiva.20 La fama universale raggiunta dal concertista italiano ebbe il merito, non secondario, di diffondere ancora più capillarmente il flauto, facendo crescere esponenzialmente il numero degli appassionati e degli allievi; ad esempio nei Conservatori italiani le classi sono aumenta-

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te in modo sostanziale, passando da una per ciascun istituto alle molte che ancora oggi sono attive.

3.6 – Conclusioni Il flauto di oggi pur mantenendo una similitudine evidente con il suo progenitore più diretto, il flauto Böhm brevettato nel 1847, si presenta in una veste assai più avanzata. Il successo sempre ottenuto fra gli appassionati ha fatto sì che fosse possibile avere anche grandi risorse da investire nel campo della ricerca di nuove e migliorative soluzioni, attenzione che ha riguardato ogni aspetto: la forma dello strumento, la scelta dei materiali, le soluzioni tecniche applicate alla meccanica, il profilo della testata, le caratteristiche della boccoletta e del pozzetto, la foratura laterale, i caminetti ed ogni altro dettaglio costruttivo. Gli strumenti moderni sono più intonati, hanno una sonorità più omogenea ed una emissione più pronta, utilizzano una diteggiatura che consente con relativa semplicità di suonare in ogni tonalità, possono meglio destreggiarsi nelle dinamiche dal pianissimo al fortissimo in ogni registro e, quindi, rivestire quel ruolo di primo piano che fino all’Ottocento era esclusivo degli strumenti ad arco e del pianoforte. Lo sviluppo della letteratura per flauto è stata influenzata positivamente dal miglioramento tecnologico e si può supporre che perfino Mozart avrebbe manifestato maggiore attenzione nei confronti del flauto se avesse potuto scrivere per uno strumento con le caratteristiche che appartengono a quello moderno. Rispetto agli altri strumenti a fiato il flauto è stato continuamente oggetto di trasformazioni e le soluzioni tecniche sperimentate per esso sono state successivamente utilizzate anche per il miglioramento degli altri legni; una ricerca che, a tutt’oggi, non si è ancora esaurita e che ci porterà a flauti sempre più evoluti e dotati di maggiori possibilità espressive.

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Tavole

Fig. 1 – Scena delle sirene dall’Hortus deliciarum della badessa Herrad di Landsberg, sec. XII

Fig. 2 – Traverse tenori e basse della collezione dell’Accademia Filarmonica di Verona

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Fig. 3 – Flauti traversi del periodo barocco in due, tre e quattro parti

Fig. 4 – Flauti traversi del periodo classico con diversi sistemi di chiavi e discendenti al re ed al do

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Fig.5 – Flauti ottocenteschi, il secondo da sinistra è un flauto Böhm mod. 1831, il terzo da sinistra è un mod. 1847

Fig. 6 – Flauto in fibra di carbonio prodotto da Matti Kähönen

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Fig. 7 – Theobald Böhm fotografato da Franz Hanfstängl nel 1854

Fig. 8 – Tavola delle diteggiature per il flauto Böhm

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Fig. 9 – Primo esemplare di flauto Böhm mod. 1847, donato dal costruttore al flautista Giulio Briccialdi

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Note

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Johann Joachim Quantz, Saggio di un metodo per suonare il flauto traverso, Milano, Rugginenti Editore 1992 (edizione italiana), p. 32 2 Herrad di Landsberg, badessa di Odile presso Strasburgo, Hortus deliciarum, Scena delle sirene, sec. XII 3 Thoinot Arbeau, Orchésographie, Langres, Jehan des Preyz 1589 4 Gianni Lazzari, Il flauto traverso, storia, tecnica acustica, Torino, EDT 2003, pp. 59-60 5 Johann Joachim Quantz, Saggio di un metodo per suonare il flauto traverso, Milano, Rugginenti Editore 1992 (edizione italiana), pp. 34-36 6 Gianni Lazzari, Il flauto traverso, storia, tecnica acustica, Torino, EDT 2003, p. 165 7 Edgar Varèse, Density 21.5, New York, Franco Colombo Inc. 1936 8 Andrea Pomettini, Il flauto verso il 2000, “Sirynx”, anno IX, 1997, n. 31, pp. 32-33 9 Theobald Böhm, Della costruzione dei flauti e de’ più recenti miglioramenti alla medesima, Pompei (NA), Falaut 1999 (edizione italiana), pp. 11-12 10 Theobald Böhm, Della costruzione dei flauti e de’ più recenti miglioramenti alla medesima, Pompei (NA), Falaut 1999 (edizione italiana) 11 Theobald Böhm, Il flauto nei suoi aspetti acustici, tecnici e artistici, Pompei (NA), Falaut 2006 (edizione italiana) 12 Theobald Böhm, Della costruzione dei flauti e de’ più recenti miglioramenti alla medesima, Pompei (NA), Falaut 1999 (edizione italiana), pp. 10-11 13 Andrea Pomettini, La parabola scomparsa, “Syrinx”, anno XI, 1999, n. 40, pp. 18-24 14 Andrea Pomettini, Briccialdi, un mancato testimonial di Boehm, “Syrinx”, anno XVI, 2004, n. 62, pp. 18-23 15 Gian-Luca Petrucci, Il flauto di Mozart, Pompei (NA), Falaut 2006, p. 57 16 Johann Joachim Quantz, Saggio di un metodo per suonare il flauto traverso, Milano, Rugginenti Editore 1992 (edizione italiana) 17 Cesare Fertonani, Il colore dei fiati, “Amadeus”, anno III, 1990, n. 14. pp. 26-28 18 Gian-Luca Petrucci, La scuola flautistica italiana, aspetti e considerazioni, Pompei (NA), Falaut 2002, pp. 57-82 19 Emilio Galante, Il flauto nel Novecento (nel volume Il flauto traverso, storia, tecnica acustica di Gianni Lazzari), Torino, EDT 2003, pp.184-187 20 Alessandra Vaccarone, Riflessi d’un flauto d’oro, Severino Gazzelloni e la letteratura flautistica contemporanea (1952-1980), Roma, Riverberi Sonori 2002

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Bibliografia

AA.VV., Enciclopedia della musica, Milano, Garzanti 1996 Theobald Böhm, Della costruzione dei flauti e de’ più recenti miglioramenti alla medesima, Pompei (NA), Falaut 1999 (edizione italiana) Theobald Böhm, Il flauto nei suoi aspetti acustici, tecnici e artistici, Pompei (NA), Falaut 2006 (edizione italiana) Roberto Calabretto, Antonio Vivaldi – I Concerti per flauto op. 10, “Falaut”, anno II, 2000, n. 5 Cesare Fertonani, Il colore dei fiati, “Amadeus”, anno III, 1990, n. 14 Gianni Lazzari, Il flauto traverso, storia, tecnica acustica (con Il flauto nel Novecento di Emilio Galante), Torino, EDT 2003 Gian-Luca Petrucci, Severino Gazzelloni, ecletticità e virtuosismo di un grande flautista, “Falaut”, anno I, 1999, n. 2 Gian-Luca Petrucci, La scuola flautistica italiana, aspetti e considerazioni, Pompei (NA), Falaut 2002 Gian-Luca Petrucci, Il flauto di Mozart, Pompei (NA), Falaut 2006 Andrea Pomettini, Il flauto Boehm compie 150 anni, “Syrinx”, anno VII, 1996, n. 29 Andrea Pomettini, Il flauto verso il 2000, “Sirynx”, anno IX, 1997, n. 31 Andrea Pomettini, Figli o nipoti di Boehm, “Syrinx”, anno X, 1998, n. 36 Andrea Pomettini, La parabola scomparsa, “Syrinx”, anno XI, 1999, n. 40 Andrea Pomettini, La boccola e suoi segreti, “Syrinx”, anno XIII, 2001, n. 49 Andrea Pomettini, Briccialdi, un mancato testimonial di Boehm, “Syrinx”, anno XVI, 2004, n. 62 Johann Joachim Quantz, Saggio di un metodo per suonare il flauto traverso, Milano, Rugginenti Editore 1992 (edizione italiana) Alessandra Vaccarone, Riflessi d’un flauto d’oro, Severino Gazzelloni e la letteratura flautistica contemporanea (1952-1980), Roma, Riverberi Sonori 2002