Lo Statuto dei diritti del contribuente e i procedimenti tributari

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In realtà l'intento del legislatore di consacrare i diritti del contribuente in un unico testo ..... lano, 2006, p. 4533; F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, vol.
Capitolo I

Lo Statuto dei diritti del contribuente e i procedimenti tributari SOMMARIO: 1. Considerazioni preliminari. – 2. Dovere tributario, libertà individuali ed interesse fiscale. – 3. Applicazione del tributo e procedimento amministrativo. – 3.1. Segue. La discrezionalità nella fase di attuazione della norma tributaria. – 3.2. Segue. Le refluenze del procedimento sulla determinazione del presupposto del tributo. – 4. L’applicabilità in materia fiscale della legge generale sul procedimento amministrativo. – 5. Il valore delle norme dello Statuto e il “principio di fissità”.

1. Considerazioni preliminari La L. 27 luglio 2000, n. 212, recante “Disposizioni in materia di Statuto dei diritti del contribuente” ha segnato la conclusione dei lavori parlamentari seguiti all’approvazione del d.d.l. n. 4818, in data 8 agosto 1996, da parte del Consiglio dei Ministri. In realtà l’intento del legislatore di consacrare i diritti del contribuente in un unico testo normativo ha origini più remote, che possono farsi risalire al 1990, 1 quando fu presentato il primo disegno di legge intitolato “Rapporti Amministrazione Finanziaria – cittadini, uno Statuto a difesa del contribuente”. Il travagliato iter parlamentare che ha accompagnato l’elaborazione della legge e la sua successiva approvazione mostra come, con la denominazione “Statuto dei diritti del contribuente”, si sia inteso sempre fare riferimento ad un corpo normativo recante l’insieme dei diritti del soggetto passivo del rapporto giuridico d’imposta, con il dichiarato intento di dare ad essi concreta attuazione.

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È il disegno di legge n. 5079, presentato alla Camera dei Deputati il 20 settembre 1990.

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L’avvertita esigenza del provvedimento, invero, si accompagna ad un manifesto ripensamento del ruolo del contribuente nell’ambito del rapporto giuridico d’imposta, ispirato alla creazione di un nuovo modello di relazioni tra le parti. Pur essendo vero che l’avvento della Costituzione abbia segnato il superamento del concetto di “dovere tributario” elaborato dalla dottrina dei diritti pubblici soggettivi e connotato da forti elementi di autoritarietà, si avvertiva l’esigenza di una più compiuta evoluzione dei rapporti tra cittadino e potere amministrativo. Un primo importante passo in questa direzione è stato compiuto con la L. 7 agosto 1990, n. 241, recante nuove norme in materia di procedimento amministrativo, con la quale sono stati sanciti il diritto di accesso ai documenti amministrativi, nonché i principi generali della pubblicità, dell’efficacia e dell’economicità del procedimento stesso. Non stupisce, pertanto, la circostanza che il primo disegno di legge relativo ai rapporti tra amministrazione finanziaria e contribuente sia coevo all’entrata in vigore della legge generale sul procedimento amministrativo e che il Ministro delle Finan2 ze dell’epoca abbia ritenuto opportuno procedere alla nomina di un’apposita Commissione Ministeriale allo scopo di valutare i riflessi della nuova disciplina in materia tributaria. L’esigenza di garantire al cittadino un ruolo paritetico, anche sul piano sostanziale, nei rapporti con la Pubblica Amministrazione, era, invero, largamente avvertita. Lo Statuto dei diritti del contribuente, pertanto, costituisce puntuale affermazione, nell’ambito del diritto tributario, di principi generali non diversi da quelli già immanenti nell’ordinamento, ma che almeno parzialmente, come 3 si avrà modo di verificare in seguito, necessitavano di concreta applicazione . 2

Intervenuta con D.M. 13 settembre 1990. Tale circostanza viene ampiamente confermata dalla relazione illustrativa che accompagna il disegno di legge n. 4818, con la quale viene ribadito l’intento di «dare attuazione ai diritti fondamentali del contribuente, tra i quali si ritiene di potere annoverare quello all’informazione e all’assistenza, all’adeguata conoscenza delle conseguenze delle proprie azioni sul piano fiscale, alla semplificazione degli adempimenti, alla speditezza e tempestività dell’azione fiscale, (…), all’equo e regolare svolgimento delle procedure di accertamento. La grave crisi che vive il rapporto tra cittadini e amministrazione finanziaria, può, infatti, essere superata solo a condizione che vengano ribaditi e soprattutto realizzati concretamente i doveri di imparzialità, efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa (…)». È opportuno, inoltre, sottolineare che la relazione illustrativa contiene espliciti richiami alla legge generale sul procedimento amministrativo in occasione del commento all’art. 4 del d.d.l. (recante la rubrica “informazione del contribuente” ed oggi corrispondente all’art. 5 della L. 27 luglio 2000, n. 212) e all’art. 6 del d.d.l. (recante la rubrica “chiarezza e motivazione degli atti” ed oggi corrispondente all’art. 7 della L. 27 luglio 2000, n. 212). 3

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Con riguardo al contenuto dello Statuto, va subito osservato che le norme che lo compongono possono essere distinte in vari gruppi: mentre gli artt. da 1 a 4 contengono le norme che il legislatore rivolge a se stesso, gli artt. 5, 6, 7 e 12 incidono sui procedimenti di applicazione dei tributi, introducendo specifici obblighi a carico dell’amministrazione finanziaria e corrispondenti garanzie a favore dei contribuenti. Lo Statuto comprende, inoltre, norme sostanziali in tema di tutela dell’integrità patrimoniale (art. 8) e di applicabilità delle sanzioni (art. 10), nonché norme che disciplinano il potere del Ministero delle Finanze di rimessione in termini, la figura del Garante del contribuente (art. 13) e il diritto di interpello (art. 11). Oggetto della presente indagine sono esclusivamente le norme dello Statuto concernenti i procedimenti di applicazione dei tributi e, dunque, l’art. 5, recante la rubrica “informazione del contribuente”, l’art. 6, dedicato alla “conoscenza degli atti e semplificazione”, l’art. 7, intitolato “chiarezza e motivazione degli atti, e, infine, l’art. 12, dedicato alla disciplina dei “diritti” e delle “garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali”. Per cogliere compiutamente la portata innovativa della L. 27 luglio 2000, n. 212, un adeguato spazio verrà riservato alla tematica relativa ai limiti entro i quali possano ritenersi applicabili alla fase di attuazione della norma tributaria gli istituti che disciplinano il procedimento amministrativo e, conseguentemente, possano ritenersi operanti le regole e i principi contenuti nella legge generale sul procedimento amministrativo. È evidente, infatti, che laddove si dovesse concludere nel senso di poter ricondurre l’attuazione del prelievo tributario al più ampio genus dei procedimenti amministrativi, si renderebbero applicabili anche in materia tributaria i principi contenuti nella L. 7 agosto 1990, n. 241. Da tale circostanza, come si avrà modo di verificare in seguito, potrebbero discendere rilevanti conseguenze, sia con riguardo al preteso carattere innovativo delle norme contenute nello Statuto dei diritti del contribuente, sia con riguardo alla natura delle tutele configurabili a fronte della violazione delle norme in esso contenute. Prima di procedere secondo le modalità prospettate, tuttavia, si ritiene opportuno soffermarsi sulla natura dei diritti del contribuente tutelati dalle norme dello Statuto da ultimo citate e, conseguentemente, verificare quale sia il loro rapporto con il “dovere tributario” e con “l’interesse fiscale”, di cui rispettivamente agli artt. 2 e 53 Cost.

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2. Dovere tributario, libertà individuali ed interesse fiscale 4

La fine del XIX e l’inizio del XX secolo videro l’affermazione della teoria secondo cui la potestà d’imposizione dell’amministrazione finanziaria, preesistente all’ordinamento giuridico, costituiva una caratteristica della sovranità tributaria dello Stato. Il rapporto di soggezione che legava l’individuo allo Stato, traeva fondamento dal “dovere tributario”, che costituiva uno degli “oneri della sudditanza politica” in cui si manifestava il più generale “dovere di obbedienza del 5 suddito” . Nonostante la dottrina abbia manifestato forti resistenze ad abbandonare tale impostazione, è indubbio che dal testo costituzionale emergono già elementi nuovi sui quali va fondato il sistema delle relazioni fiscali. Superato il dualismo tra Stato ed ordinamento giuridico, è impensabile configurare un potere originario di imposizione, espressivo di una più ampia “sovranità tributaria” dello Stato. Quest’ultimo, infatti, si esaurisce nell’ordinamento giuridico, con la conseguenza che la potestà impositiva non è originaria, e non è neppure qualitativamente diversa dalle altre potestà di cui pure lo Stato è dotato. Se il “dovere tributario” non esprime più la posizione giuridica passiva del contribuente rispetto alla “sovranità tributaria”, è evidente che solo la Costituzione può suggerire se tale concetto sia ancora configurabile nel nostro ordinamento e quale significato ad esso possa essere attribuito. L’art. 2 Cost. prevede che «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo (…) e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale». L’art. 53, comma 1, Cost. stabilisce, inoltre, che «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva». Dal combinato disposto dell’art. 2, ultima parte, e dell’art. 53 Cost., emerge con evidenza il concetto di “dovere tributario”. Non può tacersi, tuttavia, che esso assume una portata ed un valore assai diversi rispetto al passato. Il “dovere tributario”, infatti, viene qualificato come “dovere inderogabile di solidarietà”. La Costituzione, invero, attribuisce particolare risalto all’individuo, centro di imputazione di diritti inviolabili e di doveri inderogabili: tali 4

Tale teoria, ispirata alla tradizione tedesca dei diritti pubblici soggettivi, è caratterizzata dallo spostamento del baricentro ideologico dei rapporti tra Stato e società a favore dell’autorità statale. Cfr. per un’ampia ricostruzione, E. CASETTA, voce Diritti pubblici subiettivi, in Enc. dir., Milano, 1964, p. 791. 5 Cfr. V.E. ORLANDO, Introduzione al diritto amministrativo. Le teorie fondamentali, in Primo Trattato completo di diritto amministrativo italiano, vol. I, Milano, 1900, p. 34.

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diritti e doveri concorrono a definire le condizioni necessarie a promuovere la dignità umana. La nozione di dovere di solidarietà, legando il concetto di “dovere” al vincolo sociale più che all’autorità dello Stato, induce a ritenere che la Costituzione abbia superato il conflitto tra autorità e libertà, nel quale si contrapponevano gli interessi del singolo (diritti) e gli interessi fondamentali della comunità (doveri). Tale conclusione emerge con evidenza dal nesso assiologico che l’art. 2 Cost. pone tra diritti e doveri, qualificando i primi come “inviolabili” e i secondi come “inderogabili”. Tale relazione rimarca da un lato che i doveri sono connessi ad interessi essenziali della comunità, e dall’altro che sono rilevanti tanto quanto i diritti inviolabili. Il definitivo superamento del conflitto tra status libertatis e status subiectionis è dato, pertanto, dall’inserimento dei doveri inderogabili nella gerarchia dei valori costituzionalmente rilevanti, in una posizione tendenzialmente paritetica rispetto a quella dei diritti inviolabili della persona. Tale circostanza induce a ritenere che i diritti, non sottoposti generalmente ad alcun limite salvo deroghe espressamente previste, possono essere limitati dal legislatore solo a fronte dell’esigenza di bilanciare i diritti stessi con altri valori pari ordinati. La giurisprudenza costituzionale, a questo proposito, afferma che l’esigenza del bilanciamento può dirsi sussistente solo laddove le modalità di svolgimento del diritto inviolabile risultino sostanzialmente configgenti con le modalità di svolgimento di un dovere inderogabile e la prevalenza di quest’ultimo sul primo risulti l’unica soluzione idonea ad im6 pedire che il dovere rimanga inattuato . I diritti tutelati dalle norme contenute negli artt. 5, 6, 7 e 12 dello Statuto sono indubbiamente riconducibili sul piano costituzionale al più ampio genus dei “diritti inviolabili”: gli artt. 5 e 6 sono ispirati alla tutela del diritto all’informazione, l’art. 7 sancisce il diritto ad una completa e congrua motivazione, mentre l’art. 12 costituisce manifestazione del più generale diritto all’inviolabilità del domicilio. Se, pertanto, i diritti tutelati dai primi tre articoli sono 7 implicitamente riconducibili al diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., il dirit6

Cfr. sentenza Corte cost., 19 dicembre 1991, n. 467, in Riv. dir. pen., 1992, p. 340. Cfr. A. BALDASSARRE, Diritti inviolabili, in Enc. giur. Treccani, 1988, p. 18, secondo cui i diritti inviolabili non sono esclusivamente quelli definiti come tali in seno agli articoli della Costituzione. «L’art. 2, infatti, è una norma a fattispecie aperta. I valori che si assumono a fondamento dei diritti inviolabili sono caratterizzati da una irriducibile trascendenza. Ne consegue che questi ultimi non possono mai esaurire nel loro concreto contenuto le potenzialità insite nel relativo valore. Così, anche a volere assumere a fondamento dei diritti inviolabili un valore incorporato nella Costituzione formale, il suo potenziale semantico è tale da superare qualsiasi sua determinazione concreta. Ciò perché la libertà è, per sua essenza, un valore trascendente rispetto alle specifiche possibilità giuridiche 7

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to tutelato dall’art. 12 trova il suo riferimento costituzionale nell’art. 14 Cost., che sancisce la libertà di domicilio. Si è già detto che la nozione di “dovere tributario”, che è dovere inderogabile, discende dal combinato disposto degli artt. 2 e 53 Cost. L’adempimento dell’obbligo di concorrere alle spese pubbliche sulla base della capacità contributiva nella misura prevista dalle leggi, costituisce, infatti, un dovere inderogabile. Il concetto di “dovere tributario” sembra, pertanto, acquisire rilievo nel momento in cui l’obbligazione fiscale risulta definita in modo irrevocabile ed occorre unicamente garantirne l’adempimento. È solo limitatamente a tale esigenza che il “dovere tributario” assume rilevanza al fine di stabilire una gerarchia di valori che impedisce al legislatore sia di proteggere interessi di rango inferiore e con esso configgenti, sia di tutelare quell’adempimento fino a sanzionarne l’inosservanza. Ne discende che nelle operazioni di bilanciamento il legislatore è tenuto a considerare come valore costituzionale preminente solo l’obbligo di adempiere la prestazione tributaria imposta dall’ordinamento allo scopo di concorrere alle spese pubbliche. Precisato in questi termini il requisito della “inderogabilità” che caratterizza il dovere tributario, occorre tenere distinta la figura dell’interesse fiscale, che consiste nell’interesse dello Stato all’agevole percezione delle entrate tributarie. La nozione emerge dall’art. 53 Cost., in cui coesistono due istanze formalmente contrapposte. Da un lato la protezione costituzionale dell’interesse fiscale dello Stato, dall’altro quella dell’interesse del contribuente ad una imposizione legata alla sua capacità contributiva. Il principio di capacità contributiva costituisce, infatti, limite intrinseco della protezione costituzionale accordata all’interesse fiscale. Il bilanciamento dei due contrapposti interessi è rimesso al legislatore, che lo realizza all’interno delle specifiche scelte normative. 8 Secondo la giurisprudenza costituzionale «l’interesse fiscale si configura non come uno degli indistinti interessi che sono affidati alla cura dell’Amministrazione, ma come interesse particolarmente differenziato, che attenendo al regolare funzionamento dei servizi necessari alla vita della comunità, ne 9 condiziona l’esistenza ». attraverso cui essa stessa si propone». L’Autore, inoltre, ritiene che il diritto di informazione debba farsi rientrare «quale diritto implicito o strumentale, nell’ampia garanzia apprestata dall’art. 21 Cost. al diritto di manifestare il proprio pensiero». Si ritiene, tuttavia, che, nel caso che ci occupa, il diritto ad una completa informazione che gli artt. 5, 6 e 7 riconoscono a favore del contribuente sotto diversi profili, sia strumentale al diritto di difesa e non, invece, al diritto di manifestazione del pensiero tutelato dall’art. 21 Cost. 8 Cfr. Corte cost. n. 50/1965. 9 Come osserva E. DE MITA, Interesse fiscale e tutela del contribuente, Milano, 2000, p.

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L’interesse fiscale è stato, pertanto, distinto dagli altri interessi pubblici generici e tale differenziazione ha consentito alla Corte in più occasioni di considerare conformi alla Costituzione norme rivolte, anche attraverso una semplificazione dei procedimenti impositivi, a garantire una pronta e sollecita riscossione delle entrate tributarie. Il richiamato principio è valso infatti a giustificare quello che autorevole dottrina ha definito come “particolarismo del diritto tri10 butario” , che giustificava la derogabilità, in seno a tale specifico ramo dell’ordinamento, dei principi di diritto comune. In molteplici occasioni, invero, l’interesse fiscale è valso a superare dubbi di incostituzionalità prospettabili, tanto ai sensi dell’art. 3 Cost. quanto ai sensi del11 l’art. 53 Cost., in merito a discipline derogatorie rispetto al diritto comune . La riconducibilità dell’interesse fiscale all’art. 53 Cost. e non anche all’art. 2 Cost., induce tuttavia a valutarne opportunamente le differenze rispetto al “dovere tributario”. L’art. 2 Cost., infatti, vale a stabilire una distinzione, in seno ai vari interessi pubblici, tra quelli genericamente tutelati e quelli che costituiscono, invece, l’oggetto precipuo dei doveri inderogabili di solidarietà. All’interno del disegno costituzionale, infatti, il riferimento dell’inderogabilità ai soli doveri di solidarietà sembra potersi interpretare come esplicita intenzione di circoscrivere solo a questi ultimi la possibilità di porsi come “valori pubblici limitanti” i diritti inviolabili. Ne discende che altri interessi pubblici non qualificabili come tali, non dovrebbero essere ritenuti tutelabili negli stessi termini. Si è già precisato che il dovere tributario è inderogabile, ai sensi dell’art. 2 Cost., in quanto ha per oggetto l’interesse della comunità sociale all’adempimento delle obbligazioni fiscali. Soltanto questo interesse, per effetto dell’inderogabilità, viene connotato da un valore così preminente da potere essere ascritto tra quelli suscettibili di limitare, entro i rigorosi limiti della necessarietà, diritti inviolabili. La nozione di interesse fiscale desumibile dall’art. 53 Cost., invece, attiene ad un interesse pubblico all’agevole percezione delle entrate, ad un interesse 101, «l’interesse fiscale, mentre dal punto di vista del diritto sostanziale, della struttura delle imposte, esige la semplicità delle imposte, con tutte le questioni relative alla semplificazione, da un punto di vista del diritto formale, dell’applicazione delle imposte, esige una regolare e sollecita riscossione. Tale obiettivo viene perseguito nelle leggi tributarie con quella che è la particolarità del diritto tributario: la deroga alle regole del diritto comune, del diritto civile, amministrativo, processuale». 10 Cfr. E. DE MITA, Interesse fiscale, cit., p. 32. 11 Secondo la Corte, come emerge esplicitamente dalla sentenza n. 283/1987, «la materia tributaria per la sua particolarità e per il rilievo che ha nella Costituzione l’interesse dello Stato alla percezione dei tributi, giustifica discipline differenziate».

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cioè apprezzabile nel corso dell’attività impositiva, che non presenta il carattere dell’inderogabilità, proprio della doverosità dell’adempimento di cui all’art. 2 Cost. Si ritiene, pertanto, che le esigenze di semplificazione dei procedimenti impositivi al fine di garantire un sollecito soddisfacimento del credito fiscale, rappresentano manifestazione di un interesse dello Stato che, nelle operazioni di bilanciamento operate dal legislatore, non può essere considerato coessenziale rispetto ai diritti inviolabili della persona. Tale interesse resta, pertanto, inidoneo a legittimare eventuali limiti ai diritti inviolabili. Quanto fin qui detto induce a ritenere che, nei procedimenti di attuazione dei tributi, se pure “l’interesse fiscale” può giustificare determinate discipline impositive derogatorie rispetto ai principi di diritto comune, il problema di un’eventuale interferenza tra diritti inviolabili ed interesse fiscale non può che risolversi a vantaggio dei primi.

3. Applicazione del tributo e procedimento amministrativo Le disposizioni dello Statuto dei diritti del contribuente che ci si propone di analizzare sono quelle concernenti le attività dell’amministrazione finanziaria orientate all’attuazione della norma tributaria. L’imposizione tributaria si articola, infatti, in due fasi nettamente distinte: la prima è costituita dalla “fase normativa” e consiste nell’istituzione del tributo e nella disciplina dei suoi vari elementi; la seconda è rappresentata dalla “fase di attuazione della norma”, ha per oggetto la concreta applicazione del tributo e consiste in una serie di atti del contribuente e dell’amministrazione finanziaria, funzionalmente diretti a far acquisire allo Stato le somme che gli sono dovute. Quest’ultima fase si caratterizza per la notevole varietà delle procedure: il pagamento del tributo, infatti, è normalmente preceduto e seguito da uno o più atti del contribuente e dell’amministrazione finanziaria necessari sia per determinare l’ammontare della somma dovuta, sia per assicurare che il pagamento venga puntualmente eseguito dai soggetti obbligati. L’insieme degli atti tipici della fase di attuazione della norma tributaria è 12 riconducibile, secondo l’opinione della dottrina prevalente , allo schema del “procedimento”. 12

La tesi secondo cui l’attività dell’amministrazione finanziaria è riconducibile al genus del procedimento amministrativo ha raccolto, sia pure attraverso diversi percorsi ricostruttivi, autorevoli e diffusi consensi. Tra questi E. ALLORIO, Diritto Processuale, Tori-

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Va tuttavia rilevato che la riconducibilità dell’attività posta in essere in questa fase dall’amministrazione finanziaria nel più generale ambito dell’azione amministrativa non è affatto scontata. Non va negato, infatti, che il tema, imponendo di valutare preliminarmente il significato da attribuire alla locuzione “attività impositiva” evoca la vexata quaestio della genesi dell’obbligazione tributaria e dunque la nota contrapposizione tra teorie dichiarative e teo13 rie costitutive . Sotto il profilo dogmatico, inoltre, si tratta di valutare se l’azione impositiva presenti peculiarità tali da differenziarla dall’azione amministrativa. Con riguardo al primo profilo va subito rilevato che, in realtà, la netta divaricazione esistente tra le due tradizionali ricostruzioni teoriche non sembra determinare soluzioni contrapposte anche in tema di configurabilità, in materia tributaria, di schemi di natura procedimentale. Invero, sia l’orientamento che ha ricollegato la nascita dell’obbligazione tributaria al verificarsi del preno, 1962, p. 65 ss.; A.F. BASCIU, Imposizione (procedimento di), in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989, 1; A. FANTOZZI, Premesse per una teoria della successione nel procedimento tributario, in AA.VV., Studi sul procedimento amministrativo tributario, a cura di G.A. Micheli, Milano, 1971, p. 184; ID., Diritto Tributario, Torino, 1998, p. 200; G. FALSITTA, Il ruolo di riscossione, Padova, 1972, p. 89; C. GLENDI, Accertamento e processo, in Boll. trib., 1986, p. 771; S. LA ROSA, Accertamento tributario, in Dig. disc. priv., sez. comm., Torino, 1987, 1; G.A. MICHELI, Considerazioni sul procedimento tributario d’accertamento nelle nuove leggi d’imposta, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1974, I, p. 620; F. MAFFEZZONI, Il procedimento d’imposizione nell’imposta generale sull’entrata, Napoli, 1965, p.23; F. MOSCHETTI, Avviso di accertamento tributario e garanzie del cittadino, in Dir. prat. trib., 1983, I, p. 1916; L. SALVINI, La partecipazione del privato all’accertamento, Padova, 1990; ID., Procedimento Amministrativo (Dir. trib.), in S. CASSESE (a cura di), Dizionario di Diritto Pubblico, V, Milano, 2006, p. 4533; F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, vol. I, Torino, 1998; G. TREMONTI, Imposizione e definitività nel diritto tributario, Milano, 1977, p. 145. 13 Senza alcuna pretesa di esaustività data l’ampiezza del tema e la vastità dei contributi, si vedano, tra i sostenitori della teoria dichiarativa: A.D. GIANNINI, Istituzioni di diritto tributario, Milano, 1938; ID., I concetti fondamentali del diritto tributario, Torino, 1956; F. BATISTONI FERRARA, La determinazione della base imponibile nelle imposte indirette, Napoli, 1964, p. 34; ID., Obbligazioni nel diritto tributario, in Dig. disc. priv., sez. comm., 301; E. CAPACCIOLI, L’accertamento tributario, in Riv. dir. fin., 1966, I, p. 3; P. RUSSO, Obbligazione tributaria, in A. AMATUCCI (a cura di), Trattato di diritto tributario, Padova, 1994, II, p. 14. Tra i contributi riconducibili alla teoria costitutiva, si vedano: E. ALLORIO, Diritto processuale, Torino, 1962, p. 60; F. MAFFEZZONI, Il procedimento d’imposizione nell’imposta generale sull’entrata, Napoli, 1965, p. 23; G.A. MICHELI, Profili critici in tema di potestà d’imposizione, in Riv. dir. fin., 1964, I, p. 3; ID., Premesse per una teoria della potestà d’imposizione, in Riv. dir. fin., 1967, I, p. 266; G.A. MICHELI-G. TREMONTI, voce Obbligazioni (diritto tributario), in Enc. dir., 1979, p. 417; C. GLENDI, L’oggetto del processo tributario, Padova, 1984; A. FANTOZZI, Premesse per una teoria (…), cit., p. 87; G. FALSITTA, Il ruolo (…), cit., p. 89; F. TESAURO, Il rimborso d’imposta, Torino, 1975, p. 86; ID., Istituzioni di Diritto tributario, I, 2011, p. 164; G. TREMONTI, Imposizione (…), cit., p. 216.

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supposto dell’imposta, sia quello che ha ricondotto tale momento al successivo atto impositivo, hanno ritenuto di poter inquadrare nello schema procedimentale lo svolgersi, rispettivamente, del rapporto d’imposta o dell’esercizio del potere impositivo. Per il primo orientamento il rapporto d’imposta – nato per effetto della legge al verificarsi del presupposto – esprime già da sé un collegamento tra la posizione soggettiva del contribuente e quella dell’amministrazione, con la conseguenza che il procedimento rivestirebbe un ruolo esclusivamente formale. Per il secondo orientamento, invece, il procedimento è considerato l’unico strumento idoneo a collegare situazioni giuridiche non corrispondenti – quali gli obblighi del contribuente e il potere impositivo dell’amministrazione – tutte orientate al raggiungimento di un effetto finale, costituito dalla nascita dell’obbligazione tributaria e, quindi, del rapporto giuridico d’imposta. È evidente, pertanto, che, sia pure attraverso diversi percorsi ricostruttivi, entrambe le teorie concordano circa la possibilità di configurare schemi di natura procedimentale in materia tributaria. Va inoltre rilevato che l’evoluzione del sistema normativo e la complessità della funzione impositiva hanno ormai da tempo determinato l’abbandono del tentativo di ricostruire secondo un omogeneo modello procedimentale, sia esso formale o sostanziale, l’attività dell’amministrazione finanziaria. Come è stato autorevolmente sostenuto, invero, «oggi siamo in presenza di discipline delle attività amministrative tributarie molto più articolate e complesse di quelle del passato; di discipline le quali impongono di passare ad una visione 14 marcatamente pluralistica dei poteri autoritativi» . Alla distinzione tra i poteri, in considerazione degli specifici interessi pubblici che li giustificano, corrisponde pertanto la distinzione tra procedimenti, nel senso che sono enucleabili in materia tributaria poteri e procedimenti finalizzati all’acquisizione di conoscenze su fatti fiscalmente rilevanti, poteri e procedimenti volti alla determinazione autoritativa dei tributi e, infine, poteri e procedimenti finalizzati all’acquisizione delle somme dovute dai contribuenti. Le attività connesse all’esercizio dei relativi poteri, invero, non possono essere considerate meramente interne ad un unico “procedimento amministrativo di imposizione”, perché sono tutte dotate di una propria autonomia fun14

Cfr. S. LA ROSA, I procedimenti tributari: fasi, efficacia e tutela, in Riv. dir. trib., I, 2008, p. 812. Dello stesso autore, si vedano: Accertamento tributario, in Dig. it., disc. priv. sez. comm., 1987, p. 3; ID., Caratteri e funzioni dell’accertamento tributario, in AA.VV., L’accertamento tributario (principi, metodi, funzioni), in Atti della giornata di studi per Antonio Berliri, a cura di A. Di Pietro, Milano, 1994, p. 36; ID., Amministrazione finanziaria e giustizia tributaria, Torino, 2000, p. 29. In senso conforme anche F. GALLO, L’istruttoria nel sistema tributario, in Rass. trib., 2009, p. 25.

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zionale. Con specifico riguardo all’attività amministrativa di controllo, invero, è innegabile l’impossibilità di relegare gli atti attraverso cui si manifesta ad una mera fase di un procedimento unitario preordinato all’emissione di atti autoritativi di accertamento. È di immediata evidenza, infatti, che all’attività di controllo non necessariamente segue l’attività di accertamento, atteso che la prima può essere svolta nei confronti di soggetti diversi dai possibili destinatari dell’atto di accertamento, ovvero essere indirizzata all’acquisizione di conoscenze attraverso l’esercizio di poteri autoritativi che incidono su interessi diversi dall’integrità patrimoniale, su cui invece tradizionalmente incide l’accertamento del tributo. Da un dato inconfutabilmente corretto, quale è quello della polifunzionali15 tà dei poteri esercitati dall’amministrazione finanziaria, parte della dottrina fa inoltre discendere l’irrilevanza delle illegittimità istruttorie ai fini della validità dell’atto di accertamento, atteso che queste ultime determinerebbero la mera inutilizzabilità nel processo degli elementi illegittimamente raccolti. Si tratta di conseguenze che impongono di abbandonare lo schema, tipico del diritto amministrativo, dell’invalidità derivata, consentendo al provvedimento impugnato di resistere alla verifica giurisdizionale ogni qualvolta la pretesa possa essere diversamente provata. Si tratta di precisazioni importanti, dalle quali discende, per quel che in questa sede rileva, la possibilità di meglio distinguere, tra i diversi segmenti dell’attività impositiva, quelli caratterizzati dall’esercizio di poteri vincolati da quelli caratterizzati, invece, dall’esercizio di poteri discrezionali.

3.1. Segue. La discrezionalità nella fase di attuazione della norma tributaria La tesi fin qui esposta, secondo cui la fase di attuazione della norma tributaria avrebbe natura procedimentale, non è rimasta, tuttavia, esente da critiche. Da più parti, infatti, è stato osservato che il carattere procedimentale delle attività rivolte all’attuazione della norma tributaria avrebbe un contenuto 15

Cfr. S. LA ROSA, I procedimenti, cit., p. 812; ID., Accertamento tributario, cit., p. 3; ID., Caratteri e funzioni, cit., p. 36; ID., Amministrazione finanziaria, cit., p. 29. In senso conforme anche F. GALLO, L’istruttoria nel sistema, cit., p. 29; L. SALVINI, Procedimento amministrativo (Dir. trib.), in AA.VV., Dizionario di Diritto pubblico, diretto da S. Cassese, V, Milano, 2006, p. 4542. Nel senso della tendenziale unitarietà dell’azione impositiva, invece: L. DEL FEDERICO, Tutela del contribuente ed integrazione giuridica europea, Milano, 2010, p. 82; M. BASILAVECCHIA, Funzione impositiva e forme di tutela, Torino, 2009, p. 217; ID., Accertamento (Dir. trib.), in AA.VV., Dizionario di Diritto pubblico, diretto da S. Cassese, I, Milano, 2006, p. 50.

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più limitato rispetto a quanto accade nei casi in cui l’attività della Pubblica Amministrazione si svolge in base ad accentuati poteri discrezionali. Se ne deduce che, essendo l’azione accertatrice caratterizzata da una spiccata legalità, non sarebbe configurabile in tale ambito un vero e proprio procedimento amministrativo. Va subito obiettato a tale osservazione che, anche a volere escludere la configurabilità di qualsiasi forma di potere discrezionale nella fase di attuazione del tributo, non si può escludere che le attività di cui tale fase si compone siano riconducibili all’istituto del procedimento, atteso che anche in altri settori del diritto amministrativo esistono procedimenti ablatori ex lege simili a quel16 lo concernente l’applicazione dei tributi. Autorevole dottrina , inoltre, ha incluso l’accertamento tributario nella categoria delle ablazioni legali, attribuendogli pur sempre la natura di procedimento amministrativo. Vero è che il procedimento resta tale indipendentemente dal fatto che sia configurabile l’esercizio di poteri discrezionali all’interno delle sue fasi, perché la qualificazione procedimentale di un insieme di atti tra loro coordinati in uno schema sequenziale non dipende dalla natura di questi, ma dal loro collegamento sulla base di un nesso funzionale unitario. Si consideri, inoltre, che non può escludersi l’esistenza di ogni forma di discrezionalità nell’ambito di tutti i procedimenti tributari. Se è vero, infatti, che la discrezionalità amministrativa consiste nella ponderazione, da parte dell’amministrazione, tra un interesse primario ed uno o più interessi secondari, si può convenire solo con l’affermazione secondo cui tale ponderazione sia del tutto estranea all’an e al quantum del tributo, rispetto ai quali non può negarsi che l’attività impositiva è caratterizzata dall’esercizio di poteri vincola17 ti . Invero, nonostante sia ancora prevalente la tesi tradizionale, secondo cui 16

In tal senso, M.S. GIANNINI, Diritto Amministrativo, vol. II, Milano, 1970, p. 1264; F. BARTOLOMEI, Sull’estensione del concetto di ablazione, in Le trasformazioni nel diritto amministrativo. Scritti degli allievi per gli ottanta anni di M.S. Giannini, Milano, 1995, p. 35. 17 Aderendo pienamente alla costruzione teorica di M.S. Giannini in tema di “discrezionalità amministrativa”, L. Perrone (cfr. Discrezionalità amministrativa, in AA.VV., Dizionario di Diritto pubblico, diretto da S. Cassese, III, Milano, 2006, p. 2004) ritiene che «è dotata di potere discrezionale l’amministrazione nell’esercizio della funzione tributaria se, nello specifico procedimento di imposizione, le è consentita la ponderazione degli interessi secondari rispetto al primario, in modo da poter anche eventualmente modificare la gerarchia di essi nella sua azione e nei suoi atti (…) ovvero rovesciarla del tutto». Muovendo da tale premessa, l’Autore riduce l’area di discrezionalità, nell’agire dell’amministrazione finanziaria, soltanto ai casi in cui quest’ultima possa valutare volitivamente interessi secondari ed interessi primari; laddove, invece, l’amministrazione valuta solo il modo migliore per realizzare l’interesse primario, senza disporre volitivamente di interessi secondari, opera solo una valutazione intellettiva che esclude la vera e propria discrezio-

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l’attività dell’amministrazione finanziaria è essenzialmente vincolata, non può essere taciuta una generale tendenza ad allargare il concetto di “potere discrezionale”, tanto da fare emergere profili latenti di discrezionalità in contesti 18 tradizionalmente configurati dalla dottrina come aree di potere vincolato . nalità. L’unico settore in cui talvolta è dato rinvenire l’esistenza di veri e propri poteri discrezionali in capo all’amministrazione finanziaria, pertanto, sarebbe quello della riscossione. In particolare, l’Autore ritiene che «l’ufficio nel concedere o meno la dilazione del pagamento e la sospensione della riscossione (…) ponderi l’interesse primario con interessi secondari dei privati (del contribuente) ed eventualmente pubblici (…) potendo anche comprimere il primo per tutelare i secondi». Contra, P. SELICATO, L’attuazione del tributo nel procedimento amministrativo, Milano, 2001, p. 214, che sostiene di poter ricondurre in molti casi l’attività svolta dall’amministrazione finanziaria alla nozione di “discrezionalità tecnica”. Invero, è consolidata da tempo, negli studi di diritto amministrativo, l’idea che nell’alternativa tra la «discrezionalità amministrativa pura» e l’azione amministrativa vincolata dalla legge si inserisca un tertium genus, costituito dalla «discrezionalità tecnica», che descrive quella parte del potere amministrativo in cui l’agente, operando nell’ambito di una propria autonomia decisionale, è tenuto a sottostare a determinate regole di esperienza. Cfr. in tal senso M.S. GIANNINI, Diritto, cit., vol. I, p. 477, secondo cui «la discrezionalità si riferisce ad una potestà ed implica giudizio e volontà insieme; la discrezionalità tecnica si riferisce ad un momento conoscitivo ed implica solo giudizio». Analogamente A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1984, p. 571, osserva che «dalla discrezionalità amministrativa – la quale importa sempre una valutazione e ponderazione di interessi e un potere di scelta in ordine all’agire – va tenuta distinta la c.d. discrezionalità tecnica, precisando che quest’ultima non implica valutazione e ponderazione di interessi, né possibilità di scelta (in ordine all’agire)». Infine, ad avviso di A. PIRAS, voce Discrezionalità amministrativa, in Enc. dir., Milano, 1972, p. 88, la discrezionalità tecnica, «lungi dall’avere ad oggetto una qualunque valutazione, una decisione o una scelta, si risolve in un’operazione di individuazione della materialità di un fatto, che ancora deve essere qualificato dal punto di vista della norma di legge». Va tuttavia rilevato che autorevole dottrina ritiene la nozione di discrezionalità tecnica «fuorviante e priva di una propria autonomia concettuale». In tal senso A. FANTOZZI, Il diritto tributario, Torino, 2003, p. 278. In senso analogo L. PERRONE, Discrezionalità, cit., p. 2007, secondo cui la «cd. discrezionalità tecnica non possiede un autonomo valore dogmatico (dovendo in definitiva essere compresa nel genus della vincolatezza)». 18 Numerosi e autorevoli Autori sono concordi nel ritenere che nell’accertamento tributario l’amministrazione finanziaria possa esercitare poteri appartenenti all’area della “discrezionalità”. Tra questi, A. FANTOZZI, I rapporti, cit., p. 238, secondo cui «nell’esecuzione del controllo esistono per l’amministrazione finanziaria margini di discrezionalità che probabilmente esorbitano da quella tecnica, per rientrare in quella amministrativa». Anche S. LA ROSA, Scienza, politica del diritto e dato normativo nella disciplina dell’accertamento dei redditi, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1981, p. 582, afferma la necessità che le norme disciplinanti la funzione impositiva vengano rilette assumendo la presenza, in quel potere, di profili di discrezionalità. Lo stesso Autore ha più recentemente sostenuto che «sembra diffondersi il convincimento che (…) la distinzione tra» funzioni pubbliche «vincolate e discrezionali» sia «di tipo più quantitativo (ossia di latitudine delle scelte effettuabili) che qualitativo (ossia, di natura del potere e dell’atto da emettere), posto che le funzioni pubbliche si caratterizzano comunque per la loro idoneità ad incidere autoritati-

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I limiti all’attività impositiva nello Statuto dei diritti del contribuente

Si pensi ai momenti di discrezionalità individuabili nelle scelte operate dall’amministrazione finanziaria nell’attività di indirizzo e nell’attività conosciti19 va , ovvero a quelli individuabili nelle scelte operate nell’ambito dell’attività 20 di riscossione anche dagli organi indiretti della pubblica amministrazione. Ne discende che in diritto tributario, se pure è indubbio che l’amministrazione finanziaria è tenuta ad esercitare le proprie funzioni nei limiti indicati

vamente e unilateralmente sugli interessi privati, per il soddisfacimento di preminenti interessi pubblici: e se si pone mente all’ampiezza delle scelte che l’amministrazione finanziaria quotidianamente opera quando si tratta di stabilire se proseguire o sospendere le indagini, operare o non operare determinati recuperi, con uno o altro metodo di accertamento, ecc., potrebbe fondatamente porsi in dubbio la stessa validità dell’adozione di un’etichetta (quella dell’attività amministrativa “vincolata”) che dovrebbe essere in realtà riservata ai soli casi in cui risulti compiutamente predeterminato a livello normativo il contenuto della decisione da adottare nel caso concreto» (cfr. I procedimenti tributari, fasi, efficacia e tutela, in Riv. dir. trib., I, 2008, p. 810 ss.). In senso analogo anche F. GALLO, L’istruttoria nel sistema tributario, in Rass. trib., 2009, p. 31, secondo cui «la rilevata autonomizzazione dell’attività di controllo e la sua articolazione in diversi procedimenti consentono di porre con maggiore attenzione il problema della discrezionalità con riferimento a quegli atti di ispezione, verifica e controllo, che sono sganciati dall’attività di accertamento e sono, comunque, frutto dell’esercizio libero – e, perciò, non predeterminato e non predefinito dalla legge – di un potere di scelta della soluzioni più opportune e più consone al caso concreto». 19 Ad esempio in tema di organizzazione degli uffici, di individuazione delle categorie di contribuenti da sottoporre al controllo e dei singoli contribuenti da controllare, di direzione e modalità dei controlli, nonché in tema di attribuzione d’ufficio del domicilio fiscale e di scambio d’informazioni tra autorità fiscali. Con particolare riguardo al tema della scelta del contribuente da sottoporre al controllo, va rilevato che nonostante taluni decreti ministeriali siano volti a definire l’effettuazione dei controlli, identificando i contribuenti da sottoporre a verifica mediante il sistema delle “liste”, permane un ampio margine di scelta, atteso che è espressamente prevista la destinazione di una quota di capacità operativa ai controlli ai quali gli uffici “riterranno di procedere” fuori lista (cfr. art. 3, comma 6, D.M. 28 dicembre 1994). 20 Si considerino i casi di sospensione o di rateizzazione amministrativa della riscossione, ovvero quelli in cui l’amministrazione è chiamata ad effettuare un apprezzamento delle garanzie offerte dal contribuente. Si pensi, inoltre, alle modalità della riscossione coattiva, alla scelta dei beni da pignorare, all’utilizzo in ambito cautelare dell’ipoteca e del fermo amministrativo. Con riguardo a tali profili si rinvia a L. DEL FEDERICO, Ipoteca e fermo nella riscossione: tra salvaguardia dell’interesse fiscale e tutela del contribuente, in Giust. trib., 2007, p. 427; ID., con particolare riguardo ai profili di discrezionalità nella transazione fiscale in occasione delle procedure concorsuali, La nuova transazione fiscale nel sistema delle procedure concorsuali, in Riv. dir. trib., 2008, p. 215; A. GUIDARA, Gli accordi nella fase della riscossione, in AA.VV., Autorità e consenso nella fase della riscossione, Milano, 2007, p. 367. Contro la configurabilità di profili discrezionali nella transazione fiscale, G. FALSITTA, Funzione vincolata di riscossione dell’imposta e intransigibilità del tributo, in Riv. dir. trib., 2007, p. 1062.

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dalla legge, si riconosce che tale attività è svolta in molti casi sulla base di criteri riconducibili alla nozione di “discrezionalità”. Si deve ritenere, in particolare, che proprio nell’esercizio dell’attività di indirizzo e dell’attività conoscitiva l’amministrazione finanziaria utilizzi in misura più consistente i propri poteri discrezionali, sia pure nei limiti previsti dalla 21 legge . La formulazione delle valutazioni operate dall’amministrazione trova in ogni caso il suo limite costituzionale nel principio di efficienza dell’azione amministrativa sancito dall’art. 97 Cost. Alla luce del principio del buon andamento e dell’imparzialità, invero, in considerazione del limitato numero dei controlli eseguibili, occorre selezionare ed assoggettare al controllo i contribuenti che più di altri si ritiene non abbiano adempiuto correttamente all’obbligo della dichiarazione; occorre, inoltre, scegliere il mezzo istruttorio più idoneo a ricostruire l’esatta consistenza dell’imponibile sottratto a tassazione; occorre, infine, che l’azione amministrativa limiti quanto più possibile la compressione dei diritti del contribuente all’inviolabilità del domicilio, al libero esercizio della propria attività e, più in generale, alla riservatezza. È apprezzabile, pertanto, in questi casi, l’esigenza di ponderare una pluralità di in22 teressi e, conseguentemente, la configurabilità di una vera e propria discrezionalità. Si consideri, inoltre, che il principio costituzionale sancito dall’art. 97 Cost. impone di estendere la comparazione tra l’interesse principale e tutti gli interessi coinvolti, prescindendo dalla loro natura pubblica o privata. Ne discende che il potere sarà “discrezionale” non solo quando nella ponderazione 21

Sebbene sia condivisa in dottrina l’idea che la determinazione del tributo non richiede ponderazione di interessi da parte della Pubblica Amministrazione, e che nell’attuazione della norma tributaria sia assente ogni forma di discrezionalità amministrativa c.d. pura, è diffuso il convincimento che nell’area dell’accertamento tributario siano presenti poteri discrezionali rivolti alla valutazione ed alla composizione di interessi pubblici di diversa natura. In tal senso A. FANTOZZI, Accertamento tributario, cit., e S. LA ROSA, Accertamento tributario, cit. In senso soltanto parzialmente conforme F. GALLO, voce Discrezionalità (diritto tributario), in Enc. dir., Milano, 1999, p. 536, che riconosce, nel contesto di un’attività di controllo divenuta fase meramente eventuale dell’applicazione del tributo, la presenza di una vera discrezionalità «nei pochi casi in cui questi interessi non sono attinenti alla sfera impositiva ma riguardano situazioni giuridiche soggettive – ad esempio il diritto all’inviolabilità del domicilio, alla riservatezza – che solo incidentalmente vengono compresse nell’attività di controllo». 22 Secondo A. PIRAS, Discrezionalità, cit., p. 76, di fronte ad un potere discrezionale esiste sempre un interesse specifico da tutelare, ma «nessuno di tali interessi si presenta mai isolato nel contesto sociale che fornisce la base della decisione». Inoltre, «l’Autorità» è tenuta a valutare gli interessi secondari collegati a tale interesse specifico «per quanto riflette l’opportunità di proteggerli».

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vengono contrapposti all’interesse pubblico primario gli interessi individuali degli amministrati, ma anche quando l’autorità è tenuta a contemperare tale 23 interesse primario con altri interessi pubblici . Nell’ambito dell’attività di controllo e accertamento svolta dall’amministrazione finanziaria, pertanto, sono individuabili numerosi profili di discrezionali24 tà, sia nella scelta delle categorie di soggetti da sottoporre al controllo , sia nell’individuazione degli strumenti da utilizzare a questo scopo, sia, infine, nella 25 scelta del tipo di modello accertativo da adottare nel caso di specie . Per completezza va segnalato che alcuni autori insistono nel negare l’esistenza di poteri discrezionali nella fase di attuazione del tributo, adducendo un duplice ordine di argomentazioni: da un lato, si sostiene che il presupposto dovrebbe essere “determinato” e non “accertato” e che pertanto sarebbe 26 quantificato sulla base della mera applicazione di regole tecniche ; dall’altro si sostiene che il potere discrezionale altro non sarebbe che espressione di un potere di auto-organizzazione, rilevante solo all’interno dell’amministrazione 27 finanziaria . Alle cennate posizioni, senza dubbio accomunate dall’adesione alla teoria dichiarativa dell’accertamento, si deve obiettare che l’esistenza di poteri discrezionali nella fase di attuazione della norma tributaria dovrebbe essere verificata autonomamente, prescindendo da qualunque corollario riconducibile all’adesione alla teoria dichiarativa o a quella costitutiva. Soltanto il dato normativo che disciplina l’esercizio dell’azione amministrativa può offrire soluzione al quesito: e poiché nella fase di attuazione della norma tributaria sono individuabili numerosi casi caratterizzati dall’esercizio 28 di poteri discrezionali , non può dubitarsi dell’esistenza stessa di tali poteri.

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È questa l’opinione diffusa di autorevole dottrina. Per tutti, si veda M.S. GIANNINI, L’attività amministrativa, Roma, 1966, p. 461, secondo cui è discrezionalità amministrativa «ogni ponderazione comparativa di più interessi secondari in ordine a un interesse primario»; A. PIRAS, Discrezionalità, cit., p. 75 ss. 24 Si pensi agli strumenti di selezione dei soggetti da controllare disciplinati da decreti ministeriali e basati, prima, su criteri a sorteggio o a campione e, poi, sulla formazione di liste di contribuenti sulla base della loro pericolosità sociale. 25 Non è escluso, infatti, che si prospettino all’Ufficio diverse soluzioni circa le metodologie da seguire per l’accertamento, tutte giustificabili in base alle circostanze di fatto e di diritto sussistenti nel caso di specie. 26 È l’opinione di E. NUZZO, Modelli ricostruttivi della forma del tributo, Padova, 1987. 27 Così P. RUSSO, Manuale di diritto tributario, Milano, 1996, p. 246. 28 Si pensi, come già ricordato, alla scelta delle categorie di soggetti da sottoporre al controllo, all’individuazione degli strumenti da utilizzare, alla scelta del modello accertativo da utilizzare nel caso di specie.