Programma

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19 feb 2013 ... “Tratti appropriabili nella canzone Mamma di Bixio-Cherubini: ipotesi e proposte a partire da un documento raccolto sul campo (domestico)”.
Sapienza Università di Roma Dottorato di Ricerca in Storia e Analisi delle Culture Musicali e Curriculum Storia e Analisi delle Culture Musicali del Dottorato di Ricerca in Musica e Spettacolo Settimo Seminario Annuale dei Dottorandi 19 e 20 febbraio 2013 Aula di Storia della Musica “Nino Pirrotta” IV Piano, Edificio di Lettere e Filosofia Anche quest’anno l’attività dei dottorandi in Storia e Analisi delle Culture Musicali troverà uno spazio di confronto all’interno della programmazione accademica. Come negli anni precedenti, gli iscritti al terzo anno e i dottorandi in consegna proporranno una relazione su alcuni risultati o nodi teoricometodologici della propria ricerca. Il convegno, aperto a tutti, sarà introdotto da una lezione magistrale del Professor Anselm Gerhard dell’Università di Berna, la cui presenza è resa possibile dal programma Erasmus.

Programma del seminario Martedì 19 febbraio 11:00 Lezione magistrale Anselm Gerhard (Università di Berna): “Verdi, la ‘rivoluzione italiana’ e le contraddizioni della società post-unitaria” Pausa pranzo 14:30 Alessandro Sinopoli “Tratti appropriabili nella canzone Mamma di Bixio-Cherubini: ipotesi e proposte a partire da un documento raccolto sul campo (domestico)” 15:15 Claudio Rizzoni “Dalla ‘voce d’a cerca’ alla canzone ‘neomelodica’: tradizione e ricontestualizzazione di generi musicali nel culto dei battenti della Madonna dell'Arco” 16:00 Marco Lutzu “I tamburi parlano ancora. Tracce di correlazioni tra canto e ritmo dei tamburi nei batà afrocubani” 16:45 Pausa

17:30 Daniele Caibis “La curva dell'amore: segno e suono nella musica di Sylvano Bussotti” 18:15 Marco Crescimanno “Stile e percezione della forma nelle opere di Morton Feldman” Mercoledì 20 febbraio 10:15 Elisa Novara “Al margine dei manoscritti schumanniani: il caso della Ausruferglocke in Scheveningen” 11:00 Paola Ronchetti “Fortuna di un testo poetico. Alba cruda, alba ria: un madrigale e le sue intonazioni nel XVI secolo” 11:45 Discussione finale Pausa pranzo 14:30 Riunione del collegio dei docenti 16:30 Incontro di tutti i dottorandi con il coordinatore

ABSTRACTS DANIELE CAIBIS La curva dell'amore: segno e suono nella musica di Sylvano Bussotti La dimensione grafica riveste un'importanza fondamentale all'interno del percorso compositivo di Sylvano Bussotti; importanza ribadita dal fatto che la quasi totalità delle sue partiture edite si presenta come copia fotostatica della versione manoscritta. Esaminando con attenzione il complesso e avvincente universo delle tecniche ed esperimenti grafici bussottiani ci si rende conto che – ben lungi dall'essere una mera questione privata di gusto per la raffinatezza o per l'eccentricità dell'autore – il segno tracciato sul foglio è veicolo sostanziale di possibilità sonore, strutturali, espressive e simboliche; in un continuo gioco di rimandi tra occhio ed orecchio che – più o meno implicitamente – costituisce una delle arterie vitali della continua metamorfosi della musica in occidente: in Bussotti il rapporto tra segno e suono viene esplorato ed elaborato con una varietà e profondità praticamente uniche nella storia della musica occidentale, sebbene su ciò si sia, fino ad oggi, indagato episodicamente, per lo più contestualizzando tale rapporto all'interno specifico delle numerose possibilità di notazione create nella seconda metà del secolo scorso. Per meglio comprendere la portata della sperimentazione bussottiana, inquadrandola anche in una essenziale prospettiva storica, si propone quindi inizialmente una griglia concettuale di riferimento con cui tentare una mappatura sintetica del vasto campo di possibilità generali della notazione occidentale, sia da un punto di vista puramente fenomenologico (come essa si presenta) che semantico (quali valenze può assumere). Successivamente la riflessione verrà concentrata nello specifico della musica di Bussotti, mettendo così in evidenza come questa rappresenti un'importante sintesi di tutti gli aspetti storicamente più cruciali della scrittura musicale; importante anche – se confrontata ai percorsi dei principali autori contemporanei - per l'unicità del suo approfondimento.

***** MARCO CRESCIMANNO Stile e percezione della forma nelle opere di Morton Feldman Nell’arco della produzione di Morton Feldman (1926-1987) si possono rintracciare almeno tre differenti orientamenti stilistici che si sviluppano nel corso dei suoi quasi quaranta anni di lavoro (le sue prime composizioni risalgono agli anni Quaranta e la sua attività di compositore continuerà fino al 1987). Anche se alcune tecniche specifiche ed alcune opzioni stilistiche possono in alcuni momenti sovrapporsi cronologicamente, emergono comunque all’analisi tre diverse fasi. La prima parte della sua produzione è caratterizzata principalmente da un trattamento del materiale di tipo parapuntillistico/post-weberniano (anche se Feldman si oppone agli automatismi del serialismo integrale ed usa sempre liberamente i suoi materiali). Gradualmente in questa prima fase cominciano ad emergere forme motiviche e arcate melodiche che conducono, intorno all’inizio degli anni Settanta, alla definizione di un periodo stilisticamente caratterizzato dal recupero di una figuratività più chiara. Infine, intorno all’inizio degli anni Ottanta, nell’ultimo periodo creativo di Feldman si assiste al cristallizzarsi di queste figure in pattern sottoposti a processi di ripetizione intensiva.

Questi tre diversi momenti stilistici hanno conseguenze particolari all’ascolto. Se nelle opere del primo periodo la percezione è messa di fronte a strutture sonore “astratte” che producono configurazioni formali sfuggenti e prive di appigli immediati per la memoria, l’emersione di motivi e arcate melodiche nelle opere del periodo seguente produce al contrario una “figuratività” più chiara che offre configurazioni formali maggiormente riconoscibili all’ascolto. Con le opere dell’ultima fase la percezione è messa di fronte ad un particolare fenomeno ossimorico. Da un lato la cristallizzazione delle figure in pattern offre un elemento chiaramente riconoscibile alla percezione (come avveniva nelle opere degli anni Settanta); allo stesso tempo però le continue infinitesimali microvariazioni dei pattern, la loro ripetizione intensiva (le opere di questo periodo non durano mai meno di mezz’ora e possono arrivare fino alle cinque-sei ore), la loro giustapposizione paratattica, sono tutti elementi che rendono nuovamente sfuggente e problematico il senso della forma e la funzione della memoria (come avveniva nelle opere del primo periodo). Si produce così una singolare sintesi, dal punto di vista della percezione, tra i due opposti momenti che avevano caratterizzato la produzione di Feldman negli anni precedenti.

MARCO LUTZU I tamburi parlano ancora. Tracce di correlazioni tra canto e ritmo dei tamburi nei batà afrocubani Nella tradizione di studi etnomusicologici africanisti, diversi ricercatori si sono occupati dei cosiddetti “tamburi parlanti” o, più in generale, di formalizzazioni ritmiche realizzate con strumenti musicali che, in diverse culture, possono fungere da surrogati linguistici (Rattray 1923; Stern 1957; Cooke 1970; Arom 1976; Nketia 1976; Agawu 1995).Se una recente monografica di Amanda Villepastour (2010) ha messo in luce la stretta correlazione ancora oggi esistente tra i ritmi dei tamburi batà suonati dagli Yoruba nel continente africano e la loro lingua, dall’altra parte dell’Oceano l’etnografo Fernando Ortiz, nei suoi principali studi sul tema (1950; 1954) ha fornito solo alcuni brevi esempi della corrispondenza tra canto e ritmo nei tamburi batà afrocubani. Nel corso della mia ricerca ho individuato, documentato e analizzato diversi esempi in cui i pattern ritmici dei batà fungono da surrogato alla voce o procedono con essa omoritmicamente. Partendo da alcuni di questi, nel corso del mio intervento intendo mostrare la metodologia che mi ha portato alla loro individuazione e i modelli di rappresentazione grafica scelti per evidenziare tali corrispondenze. In conclusione, collocando questo specifico tema nella più ampia cornice della mia tesi, proporrò alcune riflessioni sulle dinamiche del processo conoscitivo nell’ambito della mia esperienza di ricerca etnografica.

***** ELISA NOVARA Al margine dei manoscritti schumanniani: il caso della Ausruferglocke in Scheveningen Gli studi filologici applicati ai manoscritti schumanniani (Gertler 1931; Roesner 1973; Mayeda 1984) cosí come la recente pubblicazione da parte della Schumann Gesamtausgabe dei quaderni di schizzi del

compositore (Wendt 2010) hanno dimostrato come il manoscritto musicale per Schumann, che sia uno schizzo di poche battute o la copia per la stampa, assolva spesso anche la funzione di un diario sul quale appuntare le sensazioni piú estemporanee o psicologicamente piú significative – famoso l´esempio dello schizzo per il Lied Grün ist der Jasminenstrauch, che reca il commento: Gar zu schwierig zu componieren./Kaum mehr als ein Versuch oppure l´autografo per l´op. 79/3, Unterbrochen durch die Sturmglocke am 3. Mai 1849 (giorno della insurrezione di Dresda). E se é vero che “nessun dettaglio storico che abbia rapporto con il compositore sia trascurabile” (Feder 1987), il compito di un filologo non puó prescindere dall´interrogarsi anche sui minimi dettagli presenti sul testo che si sta editando. Nel mio intervento propongo dunque il caso di una annotazione posta al margine dell´Arbeitsmanuskript per le Mährchenerzählungen op. 132: la traduzione in note di una Ausruferglocke in Scheveningen. Di cosa si tratta? È possibile stabilire a quale periodo risalga? Puó la datazione e ricostruzione dell´episodio interagire o modificare la genesi conosciuta dell´opera? In questo caso puó una ricerca di tipo etnografico rientrare fra le competenze di un filologo? Tentando di dare risposta a queste domande mi soffermeró principalmente sull´usus scribendi del compositore, il tipo di carta e di inchiostro presente sul foglio, nonché sulle ipotesi di datazione dell´intero manoscritto.

***** CLAUDIO RIZZONI Dalla ‘voce d’a cerca’ alla canzone ‘neomelodica’: tradizione e ricontestualizzazione di generi musicali nel culto dei battenti della Madonna dell'Arco Il culto della Madonna dell’Arco, le cui origini risalgono al secolo XV, è una devozione popolare cattolica ampiamente diffusa a Napoli e in buona parte della Campania. Esso, tuttora dotato di una forte vitalità, è caratterizzato da un complesso ciclo di manifestazioni di carattere festivo e rituale – messe in atto da gruppi di devoti, detti “battenti” o “fujenti”, organizzati in associazioni – nelle quali rivestono una notevole importanza peculiari performances coreutico-musicali; si tratta di quelle che i battenti stessi chiamano “funzioni”: saluti cerimoniali alla vergine accompagnati dalla musica suonata da piccoli complessi bandistici e contrassegnati dall’esecuzione, a scopo devozionale, di canti monodici di tradizione orale. La conservazione nel culto di pratiche e sistemi di idee tuttora fortemente carichi di elementi derivanti da forme devozionali proprie dei contesti rurali di tradizione orale non ha impedito che negli ultimi decenni avvenisse una progressiva penetrazione di elementi, musicali e non, derivanti dalla cultura di massa, peraltro oggetto di significative ri-contestualizzazioni e non sempre accettati pacificamente. Il mio intervento ha lo scopo di fornire un’introduzione al rituale della “funzione” con l’ausilio di documenti audiovisivi che mostrano alcuni tra i fenomeni più significativi riscontrati nel corso della ricerca: i materiali selezionati (le “voci” di questua, l’esibizione di un cantante “neomelodico”, la musica delle bande e quella dei gruppi dotati di strumentazione amplificata) hanno lo scopo di mettere in luce l’eterogeneità delle pratiche musicali che concorrono a dare luogo a un paesaggio sonoro stratificato e complesso, ma anche di mostrare come gli elementi di novità trovino una propria collocazione nella struttura tradizionale del rito.

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PAOLA RONCHETTI Fortuna di un testo poetico. Alba cruda, alba ria: un madrigale e le sue intonazioni nel XVI secolo Alba cruda, alba ria è un madrigale di Andrea Dragoni, inserito a metà della raccolta madrigalistica collettiva, di ambiente romano, Il Quarto Libro delle Muse a cinque voci…intitolati Benigni Spirti, pubblicata a Venezia nel 1574. Il testo poetico è un madrigale di Giovanni Battista Strozzi il Vecchio (1504-1571), che nel corso della seconda metà del Cinquecento venne messo in musica da ben sei compositori. La prima versione musicale inclusa nei repertori è del fiorentino Giovanni Animuccia, che la inserisce nel suo Secondo Libro de Madrigali a cinque voci, pubblicato a Roma da Antonio Blado nel 1551. A questa intonazione fa seguito, undici anni dopo, nel 1562, quella di Francesco Rosselli (François Roussel), nel suo Primo Libro de Madrigali a cinque voci, stampato a Venezia da Antonio Gardano. Negli anni Settanta del Cinquecento lo stesso madrigale venne messo in musica da ben quattro compositori: Giovanni Andrea Dragoni, nella raccolta Benigni Spirti, Alessandro Striggio nel Quinto Libro delle Muse a cinque voci, (Venezia, 1575); Giovanni de Macque, nel 1576 nel suo Primo Libro di Madrigali a sei voci, (Venezia, Angelo Gardano), e Tiburzio Massaino, nel 1579 inserì lo stesso madrigale, nel Trionfo di Musica di Diversi. A sei voci. Libro Primo, (Venezia, per l’erede di Girolamo Scotto). Nel 1584 venne intonato da Cristofano Malvezzi, nel suo Primo Libro de Madrigali a sei voci, pubblicata a Venezia presso l’erede di Girolamo Scotto. Nella relazione si traccerà un profilo dell’autore del testo poetico, collocandolo nell’ambiente letterario e storico di Firenze durante il ducato di Cosimo I. Verranno presentate le fonti letterarie a stampa e manoscritte, identificate nel corso della ricerca.Verrà presentato, ed analizzato, il testo messo in musica, con particolare attenzione alla forma di madrigale-ballata; tenendo presenti i saggi di Agostino Ziino e Franco Piperno, si presenteranno le varie modalità di rendere musicalmente tale caratteristica formale. Si presenteranno le fonti musicali, i compositori ed il contesto storico musicale in cui vennero prodotte. Concluderà l’intervento un tentativo di confronto da un punto di vista analitico- musicale.

***** ALESSANDRO SINOPOLI Tratti appropriabili nella canzone Mamma di Bixio-Cherubini: ipotesi e proposte a partire da un documento raccolto sul campo (domestico) In un saggio del 1985 il musicologo Gino Stefani propone una sua definizione del parametro musicale di Melodia, indicandola succintamente come “musica cantabile”. Secondo Stefani, infatti, quello di Melodia è un concetto meglio definibilea partire da una prospettiva pratica, popolare, attinente alla cultura quotidiana, piuttosto che speculativa. Musica cantabile dunque, laddove il canto rappresenta la più immediata forma di appropriazione della musica da parte della gente comune: cantabilità come primo indicatore di una musica come popolare. Ma quali sono i tratti che rendono una musica tale, e dove rinvenirli? Stefani suggerisce di cercarli, oltre che nei tratti biologici della fonazione, in pratiche e comportamenti quotidiani, che attengono al musicale e non. Alcune delle canzoni scritte da Cesare Andrea Bixio sono senza dubbio popolarissime. In questo intervento cercherò di individuare tratti appropriabili nella celeberrima canzone Mamma (1940) di Bixio - Cherubini. Lo farò a partire da un documento di natura “antropologica”,

raccolto sul campo: un'interpretazione della canzone eseguita da un “campione minimo di gente”, una donna di 87 anni, di origine “etimologicamente” proletaria, con un grado di istruzione minimo e nessun interesse musicale specifico. Perché, e come, questa donna ha potuto appropriarsi di questa canzone? Questo è l'interrogativo di fondo da cui prenderò le mosse.