Prova 8

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me bambino nelle mie dieci fughe da casa e dalla Sicilia, in viaggio avanti e indietro per quel paese ... (riadattato da Elio Vittorini, Conversazione in Sicilia) ...


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Ero in viaggio, e a Firenze, verso mezzanotte, cambiai il treno, verso le sei del mattino dopo cambiai un’altra volta, a Roma Termini, e verso mezzogiorno giunsi a Napoli Poi viaggiai nel treno per le Calabrie, ricominciò a piovere, a essere notte e riconobbi il viaggio, me bambino nelle mie dieci fughe da casa e dalla Sicilia, in viaggio avanti e indietro per quel paese di fumo e di gallerie, e fischi inenarrabili di treno fermo, nella notte, in bocca a un monte, dinanzi al mare, a nomi da sogni antichi, Amantea, Maratea, Gioia Tauro. Mi addormentai, mi risvegliai e tornai ad addormentarmi, a risvegliarmi, infine fui a bordo del battello-traghetto per la Sicilia. Il mare era nero, invernale, e in piedi sull’alto ponte, quell’altipiano mi riconobbi di nuovo ragazzo prendere il vento, divorare il mare verso l’una o l’altra delle due coste con quelle macerie, nel mattino piovoso, città paesi , ammucchiati ai piedi. Faceva freddo e mi riconobbi ragazzo, avere freddo eppur restare ostinato sull’alta piattaforma, nel vento e a picco sulla corsa e sul mare. Del resto non si poteva girare, il battello era pieno di piccoli siciliani da terza classe, affamati e soavi nell’aver freddo, senza cappotto, le mani nelle tasche dei pantaloni, il bavero della giacca rialzato. Avevo comprato a Villa San Giovanni qualcosa da mangiare, pane e formaggio, e mangiavo sul ponte, pane, aria cruda, formaggio, con gusto e appetito perché riconoscevo antichi sapori delle mie montagne, e persino odori, mandrie di capre, fumo di assenzio in quel formaggio. I piccoli siciliani curvi mi guardavano mangiare e io, mangiando sorridevo loro e loro mi guardavano senza sorridere. -Non c’è formaggio come il nostro, -io dissi. Nessuno mi rispose, tutti mi guardavano. E io di nuovo dissi: - Non c’è formaggio come il nostro Allora uno di quei siciliani, il più piccolo e soave, e insieme il più scuro in faccia e il più bruciato dal vento mi chiese: - Ma siete siciliano, voi? - Perché no?- io risposi. L’uomo si strinse nelle spalle e non disse altro. Intanto Messina si avvicinava, tutti i siciliani in piedi s’erano voltati verso le ringhiere del ponte a guardare la città. Intanto il piccolo siciliano mise fuori da un paniere un’arancia e l’offrì alla moglie bambina. La bambina guardò me poi la vidi scuotere il capo. Io osservai il piccolo siciliano dalla moglie bambina pelare disperatamente l’arancia, e disperatamente mangiarla, con rabbia e frenesia, senza affatto voglia, e senza masticare, ingoiando e come maledicendo. -Un siciliano non mangia mai la mattina, - egli disse d’un tratto . Soggiunse: - Siete americano, voi? Parlava con disperazione eppure con soavità; le ultime tre parole le disse come se gli fosse in qualche modo necessario, per la pace dell’anima, sapermi americano. -Si, dissi io, vedendo questo.- Americano sono. Da quindici anni. (riadattato da Elio Vittorini, Conversazione in Sicilia)

1. Fai la sintesi del brano in circa 80 parole senza usare il discorso diretto e mantenendo i verbi al passato. 2. Immagina che Silvestro adulto racconti in una lettera ai suoi parenti siciliani la sua vita da emigrante in America (150 parole circa). 3. A scelta: a) Oggi si parla molto di difesa delle proprie radici e della propria cultura . Cos’è per te l’identità culturale di una persona in un mondo sempre più globalizzato e massificato? Discutine in un testo di circa 200 parole portando degli esempi della tua realtà. b) Alcuni autori hanno mitizzato il ricordo della loro fanciullezza facendone il tempo della felicità assoluta e ricercando assiduamente le proprie radici. Quale ricordo conservi tu dell’infanzia ? Parlane in un testo di circa 200 parole.