tutto torna - Regione Autonoma della Sardegna

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18 ott 2008 ... del panorama italiano – chiede notizie di Tutto torna di. Enrico Pitzianti, film “ cagliaritano” quanti altri mai, eppure sorprendentemente costruito ...
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Cultura

CINEMA

“Tutto torna” di Enrico Pitzianti un film che parla al presente La pellicola del regista cagliaritano accolta con favore anche nelle sale della penisola

na rivista cinematografica di Bergamo, “Cineforum” – tra le più antiche e più prestigiose del panorama italiano – chiede notizie di Tutto torna di Enrico Pitzianti, film “cagliaritano” quanti altri mai, eppure sorprendentemente costruito su una trasfigurazione degli ambienti e dei personaggi che finisce per creare una metropoli da “movida” perenne, oltretutto multiculturale e multietnica. Allo scrivente, che collabora con il periodico, viene richiesto un “pezzo” che spieghi questa “anomalia” comunicativa e soprattutto questa eclatante visività metropolitana. Alla radice della curiosità intellettuale, ma anche popolare (il film è andato abbastanza bene nelle sale del continente), sta, ovviamente, la fama crescente dei registi e degli scrittori isolani. Sonetaula di Salvatore Mereu è stato accolto quasi come un capolavoro, ma pure era una pellicola che s’inseriva nel solco di una tradizione (Deledda, De Seta, Fiori, i Taviani) ben conosciuta e digerita, al punto da poter essere discutibile archetipo non solo di riconoscibilità sarda, ma di tutto il meridione. Difatti, se si esclude Napoli e in parte Palermo (ma per ragioni diverse), è difficile trovare un film che racconti il sud d’Italia – diciamo da Roma in giù – senza far prevalere la campagna, la vita contadina o pastorale, la criminalità storica, l’arretratezza sociale, le tradizioni immutabili. Dunque, il film di Enrico Pitzianti può essere raccontato non solo a partire dalla trama, ma anche dalla biografia degli autori: il regista, il soggettista Paolo Maccioni, la sceneggiatrice Antonia Iaccarino. Il racconto è un vero e proprio romanzo di formazione che ricalca le tracce del “passaggio temporale” così tipico in ogni film “sardo”: il ragazzo, che vuole fare lo scrittore, arriva a Cagliari in treno, proveniente da un piccolo paesino minerario, le cui tracce rovinose alludono ad un passato di “modernità novecentesca”. A Cagliari viene ospitato dallo zio materno, Giuseppe (il bravo Piero Marcialis), un trafficone che abita nelle stradine del centro storico e gestisce un locale notturno, pieno di belle signorine e di clienti danarosi. Immediatamente, Massimo impara a contrapporre i suoi sogni (e i suoi brutti risvegli: uno scrittore famoso gli ruberà il suo primo romanzo) ad una realtà caotica, non sempre trasparente: la vitalità è altissima, le sorprese altrettanto alte, comprese quelle amorose; la sua fiamma si rivelerà, infatti, un transessuale. Nello stesso tempo gli affari dello zio cominciano ad andare male: gli usurai (che sembrano così affidabili) si prendono tutto, e lui, che odia neri e pakistani, ma li sfrutta nel suo locale, finisce per essere salvato proprio dalla sua cuoca africana, che organizza un “catering” di

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cibo esotico-mediterraneo, usando come base la casa del padrone razzista. Quanto alle storie personali degli autori, va detto, in breve, che la genesi di Tutto torna è ancora più emblematica: il soggettista Paolo Maccioni (anche egli scrittore) e Enrico Pitzianti lo avevano pensato, da giovani sognatori, per la New York esplorata dieci anni prima. L’obbligatoria italianizzazione lascia comunque trasparire un ricordo da Greenwich Village in sedicesimo: Massimo sogna una carriera letteraria e approda a quella che per lui, proveniente da un paesino, è una metropoli; Nino Nonnis – nella realtà un vero scrittore cagliaritano – fa pensare a Bukoswki; il viaggio iniziale del ragazzo, con il paesaggio che progressivamente cambia fino ad annunciare il passaggio dalle campagne al caos della città, fa pensare ad Un uomo da marciapiede; una musica ossessiva (del bravo jazzista Gavino Murgia), domina il racconto, anche correndo il rischio di sovrastare le immagini. Una vecchina misteriosa sembra provenire da un horror polanskiano. Eppure, se queste sono ovvie osservazioni da “cinephile”, è comunque più facile trovare altre tracce più familiari, italianissime: il palazzo fatiscente in mezzo ai vicoli del porto, sembra un condominio da commedia di De Filippo, orchestrato da un “finto ingenuo” operistico. E non a

Ottobre 2008

caso gli attori Medda e Marcialis provengono dal teatro dialettale campidanese, vecchio e nuovo, ma pur sempre leggero, se non apertamente comico. Ed in effetti, il genere principale di riferimento del film, è senza dubbio la commedia: come dire, anche il nuovo cinema sardo deve normalizzarsi, fare i conti con il pubblico, e recuperare tradizioni cittadine – la commedia teatrale è patrimonio di Sassari, Cagliari e Oristano – che possono incontrare i generi cinematografici nazionali. Insomma, se l’altro recente film cagliaritano, “Jimmy della collina” (anch’esso sceneggiato da Antonia Iaccarino, autrice televisiva e giovane scrittrice di origini napoletane, trapiantata a Cagliari), mostrava l’ultimo ribelle “impotente” della civiltà industriale che ha cambiato l’isola negli ultimi trent’anni, il protagonista di “Tutto torna” – che proviene da un passato ridotto in macerie, le miniere del Sulcis-Iglesiente, uno dei pochi e importanti segni di modernità della storia sarda dell’Otto/ Novecento – finisce davvero per riassorbire il passato. “Tottu torrara”, cioè “alla fine si fanno i conti”, è la traduzione sarda del titolo, ma un artista geniale e pasticcione, riciclatore di materiali in disuso di ogni genere, ne dà un’interpretazione filosofica che sembra voler volgarizzare Nietzsche con un po’ d’ironia. Si tratta infatti – secondo le sue teorie – di re-inventare il presente sottraendosi alla linearità del tempo e includendovi il passato. Nella pellicola, questa re-invenzione riguarda non solo tutto il coro di personaggi che appartengono ad altre culture, razze, lingue, musiche, arti – che convergono, nel sottofinale, in una festa-kermesse – ma anche tutti i sardi che si sono ormai cagliaritanizzati (la maggior parte degli abitanti), sconfessando la famosa battuta/ invettiva di Salvatore Cambosu: “Cagliari non è la Sardegna e la Sardegna non è Cagliari”. Quando ripartirà della metropoli verso una nuova meta, Massimo, oltre il mare, si porterà dietro questa nuova coscienza contemporanea. Si potrebbe così tramutare la benefica sorpresa degli spettatori continentali – o anche sardi – in una sorta di guida ad un cinema italiano che rifiuta una vecchia identità visiva di matrice sociologica neorealista, sia pure con tutti gli inevitabili richiami a quel periodo. È anche probabile che la lunga durata di tali rappresentazioni – non certo arbitrarie ma forse totalizzanti – abbia finito per creare una sorta di “autoesotizzazione”, come ha scritto recentemente Giulio Angioni. Non è più così, né in Sardegna, né altrove: forse si potrà essere ancora nostalgici o rievocare “tragicamente”, come in Sonetàula o Rosso Malpelo, il passato. Ma molti giovani registi, tra cui Enrico Pitzianti e Enrico Pau, parlano finalmente del presente e fanno vedere il presente. Gianni Olla

“Nues”, riduzione teatrale delle opere di G. Deledda Per iniziativa del Laboratorio teatrale del circolo di Pisa Per iniziativa dell’Associazione Culturale Sarda “Grazia Deledda” di Pisa, il 5 giugno scorso, nell’Abbazia di San Zeno, è stato presentato lo spettacolo “NUES” (Nuvole) ispirato alle opere narrative di Grazia Deledda. La regia è stata di Patrizia Falcone che dal novembre del 2005 dirige il Laboratorio Teatrale sorto per iniziativa del circolo. “La passione dei nostri soci – ha dichiarato il presidente Giovanni Deias – ha favorito l’idea di elaborare un progetto in cui si cerca di far rivivere le opere di Grazia Deledda anche attraverso il teatro entrando nei suoi romanzi e nelle sue novelle, per farne veri e propri testi teatrali”. L’Associazione “Grazia Deledda” è stata costituita nel marzo del 1998 con lo scopo, tra gli altri, di proporsi come punto d’incontro per tutti i sardi che il lavoro, la famiglia, gli eventi hanno portato nella città di Pisa e nella sua provincia. Un punto di incontro come luogo di amicizia, di svago, di cultura, di aggregazione e di mantenimento

delle proprie tradizioni. È affiliata alla F.A.S.I. Nell’adattamento teatrale di “NUES”, i brani tratti dalle opere narrative di Grazia Deledda diventano monologhi, dialoghi, voci dell’anima di personaggi “che hanno perso – ha spiegato la regista Patrizia Falcone – il carattere originario che avevano nei racconti per divenire, invece, altro: un anello di congiunzione tra il vecchio e il nuovo, tra la tradizione e il presente, tra l’ancestrale e il futuro”. Come nuvole i personaggi entrano in scena, in un’atmosfera rarefatta e surreale carica di suoni e di colori del Mediterraneo di cui rappresentano il substrato etnico. Patrizia Falcone, attrice e regista teatrale, laureata in Giurisprudenza all’Università di Pisa, ha cominciato la sua carriera artistica teatrale nel 1979 come attrice a cui ha affiancato, successivamente, l’attività di regia. Tra gli interpreti Angelo Canu, Anna Canu,Giovanni Dejas, Marcella Del Bianco, Nicoletta De Prà, Paola Di Trapani, Francesco Lo Bello, Elena Lunari.